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PAGINE DELLA MIA VITA - I MIEI RITRATTI
Un libro di memorie e un'autobiografia
OLGA SERINA
PAGINE DELLA MIA VITA
I MIEI RITRATTI
Copertina a cura dell’autrice
INDICE
Recensione di Silvio Sgamma
Recensione del Dirigente Scolastico Domenico Pirrotta
Recensione di Livia Nicotra
Commento di Anna Truda
Commento di Marina La Rosa
Prefazione
Le mie origini
La mia prima infanzia
In Sardegna
Tornata a Palermo
La Scuola Media
La casa di Capreria
Invocazione a Dio tramite Padre Pio
I tempi liceali e i miei primi successi
Le mie canzoni
La mia cagionevolezza e padre Matteo La Grua
Il coro angelico
I tempi dell’Accademia e il successo in piazza
La persecuzione dei ritrattisti in piazza
L’uomo della mia vita
Le mie gratificazioni
La mia giovinezza e le discipline sportive
Cambiamenti in famiglia
Il traguardo del matrimonio e il periodo felice
La nascita del mio primo figlio
La morte di mio padre e un suo segno
I miei suoceri
Incidenti scampati
Il lavoro di insegnante e la mia carriera artistica
La gentilezza
É il cane che impara dall’uomo o è l’uomo che impara dal cane?
Mario Li Gonzo
Il telefono staccato
L’amicizia
Il feeling dell’amicizia autentica
In merito al perdono
Il quadretto di Gesù
Il talento e la scuola
Mal d’invidia
L’inevitabile sofferenza
Il sole pulsa
Riflessioni
Conclusione
LA VITA
La vita è un travagliato e rischioso viaggio nel tempo.
Tuttavia il tempo non esiste.
Il tempo è un concetto astratto e convenzionale,
concepito a misura per l’essere umano,
eppure la vita, paradossalmente, è un misterioso viaggio verso il tempo.
La vita non è una filosofia, ma una realtà concreta,
nonostante la materia sia destinata a svanire.
Il nostro corpo fisico ci procura tanta sofferenza.
Infine resterà la nostra anima, con Dio o senza Dio.
La vita è un lungo viaggio che attraversa il tempo verso l’ignoto.
Questa è l’unica certezza che ho.
LA MORTE
La morte non è la morte.
É solo il punto di vista dal quale la guardi.
É il passaggio più doloroso dell’essere umano,
la fine dell’esistenza materiale,
il risveglio in una nuova dimensione:
la vita spirituale.
La morte ci accomuna tutti.
È temuta, ma non la si può sfuggire.
É la rivelazione della nostra anima nella sua interezza.
La morte è la vita stessa: l’altra faccia della medaglia.
Spesso l’essere umano vive come se la morte non gli appartenesse.
RECENSIONE
Riassumere il trascorso, le vicissitudini, il travagliato percorso della propria esistenza non è compito semplice. Il sentiero della vita, troppo spesso si presenta tortuoso e pieno d 'insidie.
Ad occultare le faticose righe c'è sempre una grossa pietra, troppo pesante da rimuovere, ma inevitabile, allorché si vogliano ripercorrere le trascorse pagine del proprio “Io”.
La biografica immagine di sé stessi richiede “lo ripeto spesso” coraggio e fermezza d'intenti e non è certo da tutti renderla nota.
Olga Serina, ora affermata “Anche Scrittrice” con il racconto “Pagine della mia Vita” cerca e non per la prima volta, di oltrepassare il sottile confine che separa l'onirico dal materiale risveglio.
Costringere la memoria “spesso restia a ricercare e raccontare i propri segreti” può diventare titanico sforzo, ma anche sintomo di spregiudicatezza di fronte al lettore di opposto pensiero.
Ovviamente l'esistenza umana si estrinseca in comunità con il prossimo, costretto spesso e forzatamente ad entrare da protagonista nello scenario del racconto stesso.
I grandi filosofi del passato dibattevano sovente nei loro sermoni, “che tenevano nelle aperte Agorà” sull'opportunità o meno di cancellare o rendere pubblici i segreti della propria anima...e non sempre arrivavano a pacata condivisione con gli ascoltatori più attenti e riflessivi.
Un vero amante dell'arte letteraria ha però il compito ben preciso di aprirsi e confrontarsi con il proprio lettore, con onestà e senso di civile convivenza.
Questo Olga lo ha capito e lo mette in pratica con ammirevole coraggio e determinazione.
La parola ora resta al critico osservante che... da dietro le quine... giudicherà...si spera, con umiltà e sincera competenza.
Buona lettura
Silvio Sgamma
RECENSIONE DEL DIRIGENTE SCOLASTICO DOMENICO PIRROTTA
É un tuffarsi nel passato riassaporando le stagioni della propria vita. Un’opportunità per fare esperienza del vissuto. Un susseguirsi di emozioni, esperienze e riflessioni.
I valori della vita, l’amicizia, la solidarietà sbocciano, si ripresentano e si intrecciano.
La consapevolezza dello scorrere della vita e delle immagini che rimangono scolpite in modo indelebile nell’essere umano appassiona il lettore.
Emozionarsi è un continuo innalzarsi.
La semplicità dell’opera la rende più intricante e appassionata in una ricerca continua di sé.
La filosofia, l’arte, l’amore per gli altri sono il filo conduttore dello scritto.
É un continuo di melodiche note che lasciano con il fiato sospeso il lettore, un alternarsi e un mescolarsi di poesia e musica.
RECENSIONE
Camminare la vita percorrendo la strada che Iddio ha tracciato per noi, uno dei tanti fili per mezzo dei quali ogni uomo ed ogni donna può trovare la strada di casa, di Casa.
Così un passo dopo l'altro si dipanano istanti, giorni, mesi. In ogni passo un terreno diverso ma parte della stessa zolla, e su questa crescono arbusti, alberi, fiori, dai profumi più svariati, ma ognuno ...necessario, indispensabile: questa è la strada e bisogna percorrerla, raccogliere frutti ora dolci, a seconda dei tempi, delle emozioni, degli incontri...ora aspri, ma pur sempre parte della nostra strada.
Il primo passo è quello che ci porta alla luce, oltre ovattata placenta, anche l'ultimo passo ci porterà oltre: oltre gli occhi spalancati al mondo dell'infanzia, oltre le silenziose sofferenze del tempo della maturità. Abbandoneremo questo corpo, come abbiamo abbandonato il primo nido, per tornare al Dio che ci ha pensati e generati. Torneremo a Casa uguali, ma diversi. La nostra essenza sarà stata modellata dai nostri passi sulla strada del tempo della vita.
Come in altre occasioni, Olga cara, hai saputo tener per mano il lettore, accompagnandolo in un viaggio fuori e dentro di te.
Livia Nicotra
7 Gennaio 2020
COMMENTO
L’autobiografia dell’autrice conduce il lettore a condividere le stesse emozioni e riflessioni poiché parla di un vissuto vicino ad ognuno.
Tali sensazioni sono in me amplificate: ciò è dovuto a un legame di empatia amicale che mi unisce all’autrice.
Anna Truda
15/01 /2020
COMMENTO
Cara amica, proprio adesso ho finito di leggere il tuo libro, ebbene! Sono stata felice di entrare con queste righe dentro la tua meravigliosa vita.
Io quando leggo, riesco a vedere luoghi e situazioni e più sono descritte bene, più io posso arricchire di particolari, rivivendo ogni singola parola dentro ai miei pensieri.
Brava, amica mia, orgogliosa di te, che sei un Angelo di Dio portato in Terra.
Marina La Rosa
PREFAZIONE
In queste pagine desidero mettere in luce il mio vissuto, soffermandomi sui punti e sui periodi più importanti della mia esistenza, vissuta fino a questo momento. Non so quanti anni di vita mi resteranno ancora, ma probabilmente (e spero) ne ho già consumato i due terzi.
In questo momento avverto l’esigenza di fare un riepilogo e di mettere in luce le gioie, le soddisfazioni e le conquiste, ma anche i dolori, le delusioni, le amarezze e tutto ciò che appartiene al mio vissuto.
Lo faccio innanzitutto per me stessa, perché scrivere mi rilassa ed inoltre amo fare chiarezza, riordinare le idee, i pensieri e lo faccio anche per gli altri, affinché i miei cari, i miei amici, i miei posteri e coloro che mi hanno conosciuta, possano conoscermi più a fondo, venendo a scoprire il mio vissuto in tutta la sua interezza.
Nel corso dell' umana esistenza s' incontrano persone anche occasionali, che ci si rammarica poi di avere conosciuto, altre invece...con cui è stato facile costruire veri e propri legami affettivi. Per me l’amicizia è sacra e posso affermare di aver avuto la fortuna di incontrare delle persone straordinarie, direi parecchie, con cui ho instaurato rapporti di amicizia autentica che si protrae nel tempo. Tra queste perle preziose, alcune sono passate a miglior vita, lasciando un vuoto nel mio cuore. Per questo motivo approfitto di queste mie memorie per poterle ricordare e mettendo in luce alcune loro caratteristiche. Credo e mi consolo che l’amore che ci ha unito durante l'esistenza mortale, resterà per l’eternità.
LE MIE ORIGINI
Le mie origini sono siciliane, ma affondano le loro radici in Lombardia.
Spiegherò il motivo per il quale, fissarci su quali siano le nostre origini, alla fine sia un fatto assolutamente relativo.
Siamo tutti “mischiati”, non solo perché noi ci uniamo con persone appartenenti ad altre famiglie o etnie, ma anche perché la provenienza dei nostri avi è derivata da nazionalità e culture diverse.
Si aggiunge inoltre un fattore fondamentale: tante popolazioni, nell’arco della storia, sono emigrate in Paesi lontani, come tuttora sta accadendo e a conferma di quanto sopra detto, vorrei parlare appunto delle mie origini.
I miei nonni paterni e nonno materno nacquero a Palma di Montechiaro, la nonna materna a Licata. Era la figlia del Conte Tommaso Adonnino, di Licata. I miei genitori nacquero a Palma di Montechiaro.
Mio nonno Angelo diceva sempre che la sua famiglia atavica proveniva da Palermo, il cui capostipite, Salvatore Serina, nel secolo XVII era amministratore dei beni del principe di Lampedusa a Palma di Montechiaro.
Mia madre è vissuta sin dall’ età adolescenziale ad Agrigento, dato che suo padre lavorava come geometra presso “Il Genio Civile” e sua madre insegnava nella Scuola Elementare. Successivamente, dopo il suo matrimonio, si trasferì con mio padre a Palermo per motivi di lavoro, dove io sono nata e cresciuta, in quella che ritengo una splendida città.
Successivamente ho incontrato l’uomo della mia vita a Taormina, lui è di Acireale ma viveva in provincia di Milano, già da alcuni anni. Ci sposammo il 10 Gennaio del 1990 e mi trasferii in Lombardia per vivere insieme a lui.
I nostri figli sono nati a Rho, in provincia di Milano.
Tanti anni fa, casualmente, una persona col mio stesso cognome, che per conto suo aveva fatto una ricerca attraverso l’albero genealogico del suo cognome, mi mise a conoscenza di particolari molto interessanti, riguardanti le mie origini.
De sempre era rimasto un mistero, quello di avere un cognome che in Sicilia è poco diffuso e che allo stesso tempo si richiama a una località in provincia di Bergamo.
Venni a sapere, che intorno al millequattrocento alcune famiglie lombarde col cognome “Serina” si stabilirono in due diverse località della Sicilia: Avola e Palermo per dedicarsi all’agricoltura e così scoprii che la mia discendenza ha origini lombarde. In provincia di Bergamo, in Val Seriana esiste un paese chiamato Serina e questo spiega il perché come il mio cognome sia molto diffuso in Lombardia.
Non è forse vero che nella stessa Sicilia si sono mescolati ai locali siculi e sicani, arabi e normanni?
Chiaramente questa mia provenienza non credo possa influenzare quelle che riconosco come mie radici, legate ovviamente al posto dove sono nata e cresciuta, ovvero la Sicilia, che continuo ad amare e dal momento che mi sono trasferita il Lombardia, è come se fossi tornata alle origini dove avevano radici i miei avi. Pur se nello spirito non potrei rinunciare alla mia sicilianità, allo stesso tempo mi sento cittadina del Mondo.
Sostengo che le origini di ciascuno di noi abbiano un'importanza relativa, poiché tutti siamo il risultato di un miscuglio di popolazioni.
Ad ogni cambiamento, o migrazione, c’è come una fotografia momentanea che per un attimo ci identifica, ma è passeggera, perché la generazione successiva si riconoscerà subito, in tutto e per tutto, appartenente alla località dove è cresciuta e che gli ha dato i natali.
Le continue emigrazioni e le unioni assortite sono le vere chiavi che determinano la storia della specie umana e benché si possa attingere a fatti relativamente aggiornati, risalendo alla nostra “recente” provenienza, non esistono tracce della nostra origine più remota, che si perde nella notte dei tempi. L’unica cosa di cui possiamo essere certi alla fine, è soltanto quella di appartenere al genere umano.
LA MIA PRIMA INFANZIA
Ricordo perfettamente il giorno della mia nascita, a Palermo. Era il 22 Marzo 1965. Sembrerà molto strano ai lettori, ma non ho dubbi su ciò che sto affermando e non me ne vergogno ad ammetterlo. Sostengo di avere una memoria nozionistica davvero labile. Tante nozioni che ho studiato a scuola infatti le ho dimenticate, ma la mia memoria visiva o di esperienze vissute è molto forte.
Il primo giorno della mia vita è stata l’esperienza più straordinaria e indelebile che abbia mai vissuto. Non solo, ricordo persino, anche se offuscata, l’esperienza prenatale, all’interno del grembo materno, un’altra dimensione da non poter dimenticare.
L’emozione di venire alla luce è grandiosa, non solo per la madre che partorisce e per chi la vive indirettamente, ma per chi l’affronta in prima persona e questo è il mio caso.
Non si può descrivere di preciso ciò che si riesca a provare il primo istante della propria vita, ma è come una sorta di risveglio da un sonno profondo o da un sogno, dal passaggio dalla realtà intrauterina e dell’oscurità ad una nuova dimensione, fatta di luci, di rumori e di nuove sensazioni, una realtà molto strana, ma che poi pian piano ci si abitua.
Ricordo perfettamente tanti momenti durante i primi mesi della mia esistenza, le emozioni e l’amore di cui ero avvolta e quindi il calore dei miei genitori. Loro erano il mio rifugio, il mio sostegno, la mia vita. Quando sono diventata matura, sono riuscita a vedere i loro difetti, così come quelli di tutte le persone con cui mi relazionavo, diventando critica. Non per questo l’affetto è venuto a mancare, ma ho imparato semplicemente a non idealizzarle.
Indimenticabili i versi, i sorrisi delle persone care e rammento ancora l’odore e il calore del seno materno che mi allattava, anche di notte. Sono ricordi nitidi che non potrò mai dimenticare.
Mio padre, dopo aver lavorato come brigadiere dell’arma per dieci anni, essendo ragioniere, decise di cambiare lavoro e così ebbe la fortuna di impiegarsi presso la Ragioneria Regionale Statale Ministero del Tesoro, un lavoro davvero tranquillo, dove lo stress non si conosceva minimamente. Invidiabile, direi.
Mia madre all’epoca insegnava alla Scuola Elementare e quindi la mattina mi affidava alla figlia della portiera, Piera. Aveva solo dodici anni, ma mi sembrava molto più grande, anche perché all’epoca le ragazzine erano molto più mature e responsabili rispetto alle coetanee di oggi. Tutte le mattine Piera mi veniva a prendere e mi portava a casa sua, dove rimanevo fino al pomeriggio. Trascorsi due anni con lei e con la sua famiglia e mi affezionai tanto alla sua casa. L’appartamento della portiera era piuttosto piccolo, ma accogliente. Le prime pappe e poi le minestrine e i legumi belli caldi che consumavo insieme a loro mi facevano sentire già grande, ma avevo soltanto due anni. Fino a quell’età pranzavo tutti i giorni in quella famiglia, che viveva al settimo piano di un’altra scala. Spesso preparavano caldi minestroni e legumi ancora fumanti. Usavano spesso il pepe. L’accento palermitano di quelle persone a cui ero tanto affezionata, era abbastanza spiccato e mi piaceva molto ascoltarlo. Ogni tanto sentivo anche delle parolacce in dialetto nei momenti di litigio tra Piera e sua sorella, che tuttavia, erano molto legate l’una con l’altra.
A casa mia si parlava solo in italiano, anche se mio padre intercalava qualche parola dialettale, con l’inflessione della provincia di Agrigento.
Il nostro condominio era molto grande, composto da sei scale con 105 appartamenti.
All’età di tre e quattro anni frequentai l’asilo: “ Patrix Scool”. Era splendido, ho ricordi bellissimi: il panierino di vimini tipico di quell’epoca, con dentro la merenda e la mela che profumava e che mia madre deponeva giornalmente, i giochi e le corse in quell’ampio giardino in compagnia di tanti altri bambini e con uno in particolare, a cui mi ero particolarmente legata. Si chiamava Paolo. Aveva i capelli rossi e le lentiggini rosse. Avevamo entrambi quattro anni. Ci innamorammo l’uno dell’altra. Eravamo compagni di banco ed eravamo inseparabili, ci tenevamo sempre per mano.
Un giorno lui mi disse che in futuro ci saremmo sposati ed io ne fui felice. Dopo di allora sperai spesso di incontrarlo ancora, ma le nostre strade, dopo l’asilo, si separarono definitivamente. Soffrì per il distacco, ma ovviamente poi mi dimenticai di lui.
Ero una bambina molto vivace e affettuosa, non litigavo mai con nessuno e mi facevo ben volere da tutti.
Era il 1967 quando mia sorella si stava gettando dal quarto piano, durante il pisolino pomeridiano dei nostri genitori. Se non successe il peggio fu un vero miracolo ed anche grazie all’intervento dei vicini di casa che accortisi di quanto stava accadendo, avvertirono il portiere. Questi, tempestivamente citofonò a casa nostra, allarmando mamma e papà, i quali accorsero precipitosamente e fecero in tempo a fermare la piccola incosciente. La bambina, trovandosi sola, si era arrampicata sul muretto, stava cercando di scavalcare la ringhiera ed era propensa quindi a precipitare nel vuoto.
Ancora oggi, ripensando, mi chiedo come mai i miei siano andati a dormire, lasciando il balcone aperto, con la piccola di soli quattro anni libera per casa.
Solo con il senno del poi mi resi di ciò che sarebbe potuto accadere e di quanto fossero stati irresponsabili i miei genitori.
Il viaggio a Capri, in compagnia di amici di famiglia, fu memorabile e conferma il mio giudizio su di loro. Avevo due anni. Certo, ho ricordi vaghi di quel contesto, ma una fotografia scattata e vista dopo tanto tempo mi fa riflettere sul fatto di quanto siano stati davvero troppo distratti i miei. Nella foto infatti si vede tutto il gruppo in posa, ma io ero girata di spalle, mentre mi sporgevo da un muretto che dava su un precipizio a picco sul mare. Anche in quell'occasione mia madre e mio padre non si erano nemmeno accorti di ciò che stavo facendo, essendomi tanto sporta e persino sbilanciata. Loro avrebbero dovuto badarmi e tenermi per mano, vista la pericolosità, ma per fortuna andò bene anche quella volta.
Se da un lato mia madre è stata una persona molto ansiosa, dall’altro canto non è mai stata coi piedi per terra, ma solo una sognatrice nel suo mondo, ovvero la tipica artista sempre fra le nuvole.... e senso pratico: zero.
In quegli anni di prima infanzia, giocavo giornalmente con mia sorella e con i miei vicini di casa. Ci divertivamo un mondo, soprattutto quando giocavamo a nascondino in casa mia, essendo l’appartamento abbastanza grande e poi, agli occhi dei bambini gli spazi anche ristretti appaiono enormi. Ero di fisico abbastanza mingherlina ed avevo la mania di arrampicarmi sulla libreria del soggiorno, tanto che per la dimestichezza con cui lo facevo sembravo una scimmietta.
Non dimenticherò quando un giorno feci uno scherzo ai miei genitori. Durante una passeggiata a piedi, alla vista di un palo della luce, trovandomi indietro, mi venne immediatamente l’idea di arrampicarmi sul palo stesso, non solo per il gusto di farlo, ma anche di vedere le cose da una diversa prospettiva, cioè dall’alto. Fu così che in pochi secondi mi trovai in cima. I miei si voltarono e non mi videro: “Olga! Olga! Dove sei?” Per non farli troppo preoccupare risposi dall’alto: “Sono qui!”
A quel punto... i miei... allarmati: “Come farai adesso a scendere?” Con la massima disinvoltura invece, scesi in un attimo, facendomi scivolare velocemente.
Era il 1970 quando un bel dì, verso mezzogiorno, mia sorella si trovava con i nostri due amichetti, vicini di casa (Giuseppe e Mirella Termini) nel balcone ed io mi ero momentaneamente allontanata nell’altra stanza. Ricordo che mia madre stava cucinando, quando all’improvviso mia sorella mi chiamò: “Olga, vieni, vieni fuori! La Madonna! La Madonna! Vieni a vedere!”
Mi precipitai, alzai lo sguardo al cielo e con grande meraviglia e tanta gioia vidi una sagoma intera di una donna molto bella, aveva un manto azzurro che le copriva il capo. Era proprio la Madonna, almeno in base alle raffigurazioni dei dipinti di immagini sacre. Lei ci guardava sorridente ed era come circoscritta in un ovale. Tutti e quattro restammo incantati, come fossimo dentro un sogno. Ricordo però che per me era quasi una cosa normale, probabilmente perché a quell’età i bambini fanno fatica a discernere il mondo reale da quello immaginario.
Una cosa era certa: non poteva trattarsi di una suggestione, datosi che eravamo in quattro a vederla e non eravamo di certo dei visionari, tanto più che il contesto non era proprio adatto ad un'esperienza mistica ed oltretutto non eravamo prede di allucinogeni. Il fatto è senza dubbio inspiegabile, ma assolutamente reale.
Chiamai mia madre per renderla partecipe di ciò che i nostri occhi vedevano, ma quando lei arrivò era oramai troppo tardi, perché la strana figura non c’era più. Mia madre molto probabilmente non prese molto sul serio i nostri racconti, anche se rimase titubante per il nostro entusiasmo e la felicità di cui eravamo investiti.
Fu la prima e l’ultima volta che io vidi la Madonna e solo dopo tanto tempo, fui consapevole che si era trattato di una Grazia. Non ho mai capito però il senso di quell’ esperienza, anzi direi più unica che rara. Chissà cosa voleva comunicarci e perché proprio a noi?
Data la tenera età, non capivamo niente di religione e di catechismo e solo dopo qualche anno ricevemmo il Sacramento della Prima Comunione.
Sta di fatto che da quel momento in poi ho sempre nutrito un amore grande verso la Madonna e Gesù e quindi ho alimentato la Fede in Dio.
Erano giorni felici quelli, determinati dalla spensieratezza e dall’amore scambievole che vivevo nella mia famiglia, nella parentela e con i bambini con cui giocavo.
All’età di cinque anni frequentai la prima elementare. La mia maestra si chiamava Clara Masi. Era tanto robusta, quanto severa. La temevo, ma mi piaceva come persona, forse anche perché ero entrata nelle sue grazie. Ricordo infatti che ero una bimba molto sveglia e la mia vivacità era senza dubbio molto controllata in classe. Apprendevo subito ed ero puntigliosa e molto attenta a non fare brutta figura, quindi studiavo e ne andavo fiera, ma soprattutto rispettavo molto l’educazione che i miei mi avevano trasmesso. Del resto bisogna ammettere che in quegli anni, l’educazione era cosa molto importante. All’epoca, nelle scuole, si praticava la bella scrittura ed io mi divertivo un mondo a scrivere bene ed essendo molto predisposta al disegno, per me era come un gioco. Già a quell’età scoprii che avevo un dono, solo più tardi mi accorsi di possedere anche del talento artistico attraverso diverse forme espressive. Dopo tanti anni ancora, scoprì anche la predisposizione per la pittura.
Non era un caso, dato che mia madre si dilettava con professionalità a dipingere: era la sua passione, tanto da organizzare mostre e vendere le sue opere. Era davvero molto apprezzata, soprattutto come paesaggista. Era conosciuta nella cerchia delle sue conoscenze di Palermo, ma anche ad Agrigento, dove aveva vissuto nella sua giovinezza.
Non dimenticherò quando nei momenti liberi, dipingeva usando la tecnica ad olio ed io mi appassionavo ad osservarla. A volte la pregavo di prestarmi il pennello (anche in modo insistente) per dare qualche tocco sulla sua tela e lei ogni tanto mi accontentava, tanto per darmi l’illusione di prestare un piccolo contributo artistico.
IN SARDEGNA
Mia madre, da ragazza, conseguì gli studi universitari, scegliendo la facoltà di lingue e lettere straniere. Non si laureò soltanto per una materia. Sicuramente non raggiunse questo traguardo perché ebbe la fortuna di lavorare molto giovane come insegnante. Io però credo che tutto sommato, avrebbe potuto portare a termine la laurea, dato che ormai era giunta quasi al traguardo. Io al posto suo lo avrei fatto semplicemente per una soddisfazione personale.
Era il 1971. Avevo sei anni quando mia madre vinse il concorso come direttrice didattica e così io e mia sorella, insieme a lei, dovemmo trasferirci in Sardegna, dove le fu assegnata una bella scuola elementare da dirigere, l’unica del paese.
Laconi era un piccolissimo paese collinare, in provincia di Nuoro. Mio padre ci veniva a trovare con l’aereo ogni mese e si fermava per un paio di giorni.
In Sardegna ho vissuto il periodo più felice della mia vita, nonostante vedessi poco mio padre, a cui ero molto legata. Credo che sia stato un bel periodo anche per mia madre e per Rosaria.
Io e mia sorella, ovviamente cambiammo scuola, frequentando la stessa in cui lavorava mia madre. Sarà stato per la fortuna o perché avevo un carattere abbastanza socievole, che mi ambientai subito e molto bene. Tutti i miei compagni e compagne mi avevano preso a cuore ed entrai nelle grazie del mio maestro, che era davvero una splendida persona, oltre che preparato professionalmente. Si chiamava Annibale Virgilio. Era sui generis, scherzoso, gioviale, alla mano. Noi alunni non ce ne approfittavamo della sua bontà, infatti eravamo abbastanza disciplinati. A volte ci portava al parchetto, un bel bosco vicino alla scuola e ci parlava degli alberi, delle piante e della natura. Sicuramente quell'insegnante contribuì a farmi amare e rispettare la natura.
Ricordo inoltre che in classe, per farci ripassare le tabelline, lo faceva sotto forma di gioco: ci predisponeva in due file poste ai lati della cattedra e iniziava: 7 x 9? E chi rispondeva per primo, passava dietro, mentre l’altro usciva fuori dalla fila. In pratica, vinceva chi rimaneva nella fila. Io ero velocissima a rispondere alle domande, anche perché avevo i riflessi pronti anche mentalmente. Vincevo sempre.
Anche mia madre ci portava spesso al parco, dato che amava la natura. Avevo fatto amicizia con i figli della padrona di casa, Paola e Giuseppe Mura. Abitavano sopra il nostro appartamento, quindi tutti i giorni giocavamo insieme e a noi si aggregava Immacolata Tosi, la figlia della bottegaia, il cui negozio era situato proprio a fianco della nostra casa.
Avevo anche fatto amicizia con tre sorelline: Franca Rosanna e Costanza, figlie di una negoziante che aveva la botteguccia di abbigliamento nella sua stessa casa e con Giovanna, figlia del macellaio.
Tutti i pomeriggi giocavamo in cortile, con la palla o a nascondino o andavamo in giro per le vie del paese e per i campi. Momenti indimenticabili. Mi ero pure affezionata ad uno stupendo agnellino e tutti i giorni all’imbrunire avevo l’opportunità di accarezzarlo, quando mia madre mi dava, insieme a mia sorella, l’incarico di andare a comprare il latte fresco. Ci dava una bottiglia di vetro e arrivate sul posto, il pastore mungeva la capra e ci riempiva la bottiglia di latte ancora caldo. Nel frattempo coccolavo l’agnellino con la sua morbida lana. Gli volevo un gran bene, così come anche al nostro gattino trovatello. Alla bestiola mancava un orecchio, ma era di una intelligenza e vivacità straordinaria. Quando morì, fu per noi un grande dolore. Non dimenticherò i miei pianti e i singhiozzi.
Mia madre trascorreva il pomeriggio a dipingere nelle sere d’inverno stavamo davanti al camino ad arrostire le caldarroste.
Era tutto bello. A Laconi c’era aria pura, anche perché passava una macchina ogni tanto. Sarà per l’età dell’innocenza, dove rimangono impressi gli odori, i rumori, l’animo genuino delle persone che si incontrano. In breve, il periodo della fanciullezza ha tutto un sapore particolare, ma anche i tempi a cui mi riferisco erano diversi e sovrastava una tranquillità assoluta. Non avevo preoccupazioni e le persone le vedevo tutte buone e sincere.
Quando arrivò il momento di lasciare Laconi, per ritornare a Palermo, se da un lato eravamo felici perché la famiglia si sarebbe ricongiunta, dall’altro fui molto triste, anche all’idea di dover lasciare i miei compagni, le mie amiche e il mio amato maestro.
TORNATA A PALERMO
Mi dovetti riadattare in un’altra scuola elementare, la stessa in cui mia madre lavorò come dirigente. Era la scuola Luigi Capuana. Mi ambientai molto in fretta. Mi trovavo benissimo con tutte le mie compagne ed anche con la mia maestra, il suo cognome era Ricupati.
Era di quelle persone all’antica, già anziana, che ci faceva cantare “Il Piave” e “Fratelli d’Italia”, alla fine della lezione, quella che si arrabbiava tanto se qualche alunna non studiava e volava persino qualche sberla. Cosa che al giorno d'oggi ci farebbe semplicemente atterrire e desterebbe malcontento e critiche da parte dei genitori.
A parte la severità degli insegnanti di quei tempi, a volte era l’educazione però era senza dubbio una regola, a differenza dei tempi attuali, e l'ineducazione considerata un fenomeno raro da condannare senza possibilità di assoluzione. Ovviamente, quel metodo non dipendeva tanto dagli insegnanti, quanto dalle famiglie che erano ben predisposte a collaborare con la scuola. Ora invece, ai giovani di oggi tutto è dovuto e istantaneamente concesso.
In quegli anni ero molto legata a Rosario, un cugino di secondo grado, mio coetaneo.
Suo padre era lo zio di mio padre, tre anni più grande di lui e quindi lo zio del cuore. Erano infatti come due fratelli. Si frequentavano spesso e quindi era consuetudine andare a casa dello zio Enzo, il quale spesso ci invitavano a cena. La sua famiglia era composta da sette persone: padre, madre e cinque figli: tre femmine e due maschi. Rosario era il più piccolo, un bambino delizioso, dolcissimo, avevamo delle affinità; non avevamo scontri verbali, non c'era mai una parola di troppo. Lui era magro come me, gentile, garbato, allegro, vivace e giocavamo sempre, senza stancarci mai. Quando arrivava l’ora di “Carosello”, correvamo per piantarci per mezz’ora davanti alla TV.
Un giorno pensai di fargli uno scherzo: gli sottrassi una macchinetta e me la portai a casa. Non mi interessava l’oggetto in sé, ma volevo vedere se ne fosse accorto. Non ci fece nemmeno caso. Alcuni giorni dopo però gliela restituii, perché essendo molto scrupolosa e corretta, la notte non riuscivo a dormire, come se avessi commesso chissà quale reato, avevo Infatti un rimorso di coscienza.
Gli dissi: “Tieni, questa è tua. Te l’avevo presa per farti uno scherzo.” Rosario si mise a ridere e mi ringraziò.
Già da piccola, avevo il senso innato della giustizia e soffrivo tutte le volte che venivo a conoscenza di comportamenti scorretti da parte di qualche conoscente.
La frequenza con Rosario durò fino all’età di nove anni, perché purtroppo morì a causa di una malattia improvvisa. In soli tre giorni se ne andò, sconvolgendo la vita della sua famiglia e della mia. Io ne rimasi traumatizzata, pur senza essere capace di versare una sola lacrima per l’infinito dolore dell’anima che mi paralizzò. Avevo toccato l’inferno, tale era la mia desolazione. Non voglio esagerare, ma ciò che provai era paragonabile al dolore che vive una madre per la perdita del proprio figlio.
Per me Rosario era un grande amico, un fratello, era tutto ed è capibile perché mi crollò il Mondo addosso.
Una parte di me ormai era morta. Col tempo continuai ad essere la ragazzina esuberante, vivace, ma dentro di me era cambiato qualcosa, non sentivo più quella gioia di vivere. Solo il tempo curò la mia ferita, ma la perdita delle persone care ti segnano inevitabilmente per tutta la vita. Questo fu il primo lutto, al quale seguì poi la perdita dei miei amati nonni, di diversi parenti ed ancora in seguito quella dei miei suoceri a cui ero particolarmente affezionata: Ci fu poi anche la perdita di mio padre che aveva 76 anni, quando io ne avevo 39. Questo fu per me un gravissimo lutto, tuttavia il dolore di Rosario resterà sicuramente il dolore più grande che io abbia patito.
Da quei tristi momenti capii quanto sia difficoltosa questa nostra vita e soprattutto ebbi la consapevolezza di trovarmi dentro a un grande mistero: la creazione, la nascita, la morte.
Il secondo lutto lo vissi quando avevo solo 11 anni, allorché morì la mia nonna paterna. Rimasi scioccata per il distacco, ma anche nel vedere la reazione compassionevole di mio padre accanto a sua madre priva di vita. Me la sognavo spesso di notte, la rivedevo in cucina mentre cucinava, sempre col suo abito nero, sempre sorridente e mi abbracciava.
Ero molto affezionata a tutti i miei parenti ed erano tanti, in particolare amavo ai miei nonni che stimavo tantissimo.
Purtroppo, durante la vita ho dovuto patire molte sofferenze proprio per il distacco di tante persone, compresi amici carissimi, dai quali non mi sarei mai voluta separare.
All’età di nove anni mio padre mi scrisse alla scuola di pianoforte. Nel nostro palazzo c’era di tutto, oltre al medico di famiglia, il Dottore Falco, che abitava in un’altra scala come pure la maestra di Pianoforte. Si chiamava Maisano. Brava ed anche severa. Io ne rimasi incantata e proprio in quell' occasione scoprii la mia predisposizione per la musica. Imparavo con una facilità estrema, infatti dopo tre mesi, riuscì a suonare un valzer: “Le Onde del Danubio” e dopo sei mesi “Il Valzer del Gattopardo”. Imparai diversi brani musicali. Studiavo tutti i giorni gli esercizi e le scale. Amavo suonare costantemente e lo facevo mettendoci l’anima. Dopo un anno e mezzo però, mio padre, per paura che sottraessi tempo allo studio, commise un errore madornale: decise di farmi interrompere lo studio di pianoforte.
Probabilmente se ne pentì successivamente, tanto da propormi nuovamente, dopo molti anni, di frequentare la scuola di pianoforte, ma era oramai troppo tardi, avevo diciotto anni ed anche per questo non ritenni opportuno riprendere e mi accontentai di suonare di tanto in tanto solo per hobby e per non dimenticare i brani che avevo imparato. Il motivo era semplice: ormai avevo altri interessi.
In quel periodo avevo infatti approfondito la passione per il disegno e il ritratto in particolare, mi cimentavo inoltre a suonare la chitarra da autodidatta e a comporre canzoni, in poco tempo ero diventata una cantautrice. Non solo, avendo scoperto anche la passione per la recitazione, mi inserii in un gruppo teatrale. Mi sarebbe piaciuto continuare a studiare il pianoforte, ma il tempo in verità non mi sarebbe bastato. Purtroppo nella vita bisogna per forza rinunciare a qualcosa.
Ma torniamo agli anni della mia prima adolescenza.
LA SCUOLA MEDIA
A dieci anni mi iscrissi alla scuola media “Antonio Ugo”. Dopo aver cambiato tre scuole durante il periodo delle Elementari, per varie vicissitudini, presto mi affezionai anche alle compagne di quella scuola. Gli insegnanti, a dir la verità non erano tutti validi, ma nel complesso me la cavavo in tutte le materie, anche se studiavo poco. Eccellevo in particolare in Ed. Artistica e in Ed. Fisica. Ricordo le gare di corse che facevo nel campetto. A scuola mi chiamavano Giamburrasca, per la mia vivacità e per i miei scherzi abituali, ma ero soprannominata anche “Il topolino”, perché durante l’ora di ginnastica, alle gare di corsa veloce, arrivavo sempre per prima. Mi divertivo tantissimo a gareggiare con le mie compagne.
Odiavo l’inglese e quindi, dopo aver frequentato il secondo anno, decisi di frequentare la terza media in un’altra scuola, per poter sostituire l’inglese con il francese. Così mi iscrissi al “Leonardo da Vinci”. Lì si studiava di più, ma in compenso il francese lo imparai con facilità, proprio perché mi piaceva tanto e mi ambientai presto pure con la nuova compagnia. Iniziavo già a fare i primi ritratti, per la verità, sin dalla quinta elementare, passavo il tempo a ritrarre il volto delle compagne e in prima media, ritraevo in pochi minuti il volto dei miei insegnanti.
Gli scherzi erano il mio forte. Fu in quel periodo che cominciai a sviluppare anche questa passione, dove avevo molta inventiva.
I primi scherzi che misi in atto furono quelli telefonici. Non sempre ero io che li cercavo, ma mi capitavano. Ad esempio, se telefonava qualcuno per sbaglio a casa mia, chiedendo di una persona, facevo finta di passargliela e trasformavo la mia voce, fingendo di essere la persona desiderata. A quel punto suscitavo la curiosità e lo stupore di quella persona che rimaneva molto perplessa. A volte rispondeva: “Ma come mai hai questa strana voce? Non sembri nemmeno tu!” Riuscivo sempre a cavarmela con la massima disinvoltura, magari inventando che stavo male, ecce cc. Alla fine della telefonata scoppiavo a ridere a crepapelle...mi sentivo soddisfatta.
A volte, in compagnia di qualche amica, facevo delle telefonate a caso, prendendo io stessa l’iniziativa. Inventavo situazioni, voci e così via discorrendo.
Ogni anno trascorrevamo le vacanze estive, tre mesi ad Agrigento: un periodo nel villino di mia nonna a San Leone, in compagnia dai miei cugini e un periodo a Capreria, zona alta di Marina di Palma, dove andavamo al mare tutti giorni. Eravamo ospiti da mia zia. Ho ricordi stupendi, le risate, le imitazioni, le corse, i giochi, i bagni al mare, le giostre. Erano tempi del tutto spensierati, c'era la compagnia di tanti amici, piccoli e adulti. E poi le partite di palla a volo al campetto. Da ragazzina incontravo al campetto, tra gli amici sportivi, Salvatore Racalbuto, il futuro arbitro di Gallarate che diventò famoso passando in serie A.
Ricordo una volta, vedendolo dopo tanti anni in televisione, mio padre disse: “Ma perché dicono che l’arbitro è di Gallarate e non di Palma di Montechiaro?”
Il motivo era semplice, Salvatore si era trasferito in Lombardia, in provincia di Varese.
LA CASA DI CAPRERIA
In quel periodo i miei acquistarono un appezzamento di terreno a Capreria, dove fecero costruire una casa. Fu quello il luogo di villeggiatura, dove poi andammo a trascorrere l'estate negli anni successivi. La casa era situata sopra una collina che si affaccia sul mare di Palma di Montechiaro.
In quel tempo si aprì un nuovo paragrafo della mia vita.
Quando la casa fu terminata, non fummo più ospiti di mia zia, avevamo finalmente ottenuto la nostra indipendenza. L'abitazione si sviluppava su di una singola villa molto grande, di tre piani, attorniata da 800 metri quadrati di terreno, in cui mettemmo a dimora diverse piante. La villa è tuttora esistente, anche se nel corso del tempo vi sono state apportate svariate modifiche. La cosa più bella della nostra proprietà, che io ricordi, era la visuale. A fianco della nostra proprietà erano state costruite altre due ville uguali, appartenenti a due sorelle di mio padre, così in quel caso eravamo tutti vicini e ci incontravamo spesso durante le vacanze. Uno zio di mio padre soprannominò le ville: “Le tre grazie”.
Eravamo fieri della nostra bella e comoda abitazione. Oltre alle ferie estive, ci trascorrevamo i fine settimana. Mio padre era attorniato da moltissimi amici, per cui il fatto di avere una tale opportunità, era un motivo in più per organizzare feste e conviviali serate, soprattutto nel periodo di bella stagione. Detta casa era diventata quasi un porto di mare, perché arrivavano tantissimi conoscenti a qualunque orario, anche all’improvviso. Mio padre, a Palma (suo paese di origine) era considerato un personaggio. Era l’amico di tutti, sempre molto disponibile, per gli amici si faceva in quattro, anzi a volte certe persone fingevano, non erano sempre sincere e cercavano di approfittare della sua bontà, perché in effetti mio padre era un buono. Era affettuoso con il prossimo, era molto diplomatico, trattava tutti con il medesimo stile e riguardo, dalla persona più umile a quella più altolocata.
Quando crebbi, in quella casa di villeggiatura invitavamo di tanto in tanto anche delle mie amiche ed in particolare una di Palermo, questo per il fine settimana ed a volte anche per un mese intero. In breve, eravamo sempre in compagnia.
Tutti gli anni arrivavano da Roma persino dei cugini di mio padre, molto affezionati...che si fermavano da noi mediamente per una settimana.
INVOCAZIONE A DIO TRAMITE PADRE PIO
Avevo undici anni, quando una sera, tramite Padre Pio perché intercedesse, invocavo Gesù per una grazia. In quell'occasione chiedevo la guarigione di mio padre, poiché in seguito ad un intervento chirurgico, non faceva altro che lamentarsi, accusando dolori continui allo stomaco. Era angosciato, pensava si trattasse di un brutto male. Io soffrivo non solo nel vederlo in quella triste condizione, ma anche per il tormentoso timore di perderlo.
Avevamo trascorso una serata d’Estate in piacevole compagnia di amici. La padrona di casa, Melina, ci raccontò la storia straordinaria di un frate cappuccino, chiamato padre Pio, morto da pochi anni ed era quella la prima volta che ne sentivamo parlare. Era già abbastanza conosciuto nell’Italia del Sud per i suoi doni straordinari e i suoi carismi, per la capacità di scrutare nel cuore della gente ed oltre al dono della bilocazione, si diceva che durante la sua vita terrena ed ancora dopo la sua morte, intercedesse, guarendo chi lo invocava con fede. Parecchie sarebbero state le testimonianze di guarigione sia fisica che spirituale.
Dopo aver ascoltato con molto interesse quelle fascinose storie legate alla figura del misterioso frate, non ebbi alcun dubbio sull’autenticità dei racconti e, come se il mio spirito si fosse arricchito, intesi che la mia anima veniva appagata. Da quella sera, incominciai a pregare con più fervore e consapevolezza. Credo però che ancor prima di allora, avessi ricevuto un primo miracolo e mi venne in mente l’esperienza mistica vissuta da bambina, il giorno in cui vidi la Madonna in Cielo.
Attraverso Padre Pio, Dio stava già operando in me. Tornai a casa con una serenità mai provata, nonostante sentissi nel mio cuore ancora una certa sofferenza e trepidazione per la salute di mio padre.
Quella sera, insieme ai miei familiari, tornai a casa con una carica spirituale mai provata e decisa a chiedere a Gesù nostro Signore, con l’intercessione di Padre Pio, quella grazia di cui avevo tanto bisogno. I miei genitori e mia sorella si diressero verso il soggiorno per seguire un programma televisivo, mentre io preferii isolarmi. Entrai in camera da letto e cominciai a pregare con tutta l’anima e con parole spontanee. Chiesi la guarigione di mio padre, supplicai Gesù, la Madonna e Padre Pio con tutta la forza che avevo. Ricordo ancora le testuali parole: “Ti prego, Padre Pio, io adesso ti conosco e non dubito di te. So che tu puoi chiedere a Dio questo miracolo: fa’ che mio padre non abbia più il dolore allo stomaco. Non so se si tratti di un brutto male, ma se tu sai che non è nulla di grave, ti prego di far cessare la sofferenza fisica, perché soltanto in questo caso, mio padre guarirà dalla angoscia...che lo sta tormentando. Fa’ che gli passi il dolore, qualunque ne sia la causa, in modo che nella mia famiglia possa tornare la serenità.”
Aspettavo con ansia la sua risposta, un segno: il profumo tipico di fiori, di cui si parlava. Mi aveva colpito infatti, durante la conversazione della stessa sera, il fatto che padre Pio elargiva le grazie, espandendo un profumo di fiori molto forte. Continuai a persistere nella mia invocazione, con le lacrime agli occhi. Passarono circa cinque minuti, forse dieci, ma ancora non percepivo un qualche riscontro, quando ad un tratto, proprio quando già piangevo in silenzio, sentii un intenso profumo di fiori come non avevo mai sentito in vita mia. L’emozione fu indescrivibile, quasi non credevo al mio olfatto ed ero sicuramente troppo piccola per poter contenere un’esperienza mistica tanto da star male. Il mio cuore batteva forte, mi misi a singhiozzare per la gioia e per l'emozione, raccontai la strana esperienza ai miei.
Avevo ricevuto una grazia per intercessione di Padre Pio, a favore di mio padre che amavo più di ogni altro. Ero felice non solo perché ero stata esaudita, ma anche perché avevo avuto una prova tangibile dell’esistenza di Dio. Avevo compreso l’importanza della preghiera fatta col cuore.
Mio padre da quel momento non si lamentò più, il dolore era completamente scomparso.
Un giorno mi presi una paura incredibile.
Entro in camera da letto a svegliare mia madre dopo il pisolino pomeridiano. Dormiva profondamente, la chiamai ad alta voce: “Mamma, mamma!” Non rispondeva. Allora la chiamai ancora più forte, ma lei non dava segni di vita, sembrava morta. Ebbi la percezione, con il terrore in cuore, che fosse deceduta durante il sonno. Restai impietrita ed invocai mentalmente Dio di farla svegliare, implorandolo di portarsi via me piuttosto, perché l’idea di perdere mia madre, all’età di dodici anni, mi faceva impazzire. La chiamai ancora urlando, ma non si svegliava. Fui colta a quel punto dall' angoscia più totale.
Finalmente, dopo momenti di sconforto, mia madre aprì gli occhi come se nulla fosse stato. Si era svegliata. Mai l'avevo vista prima, sprofondare in un sonno così profondo.
I TEMPI LICEALI E I MIEI PRIMI SUCCESSI
Fortunatamente, essendo orgogliosa e tenace, già all’età di 13 anni decisi di crearmi un piccolo impegno pur di avere la soddisfazione di guadagnare qualche soldino e così lavorai a tempo perso come rappresentante della Several (cosmetica). Riuscivo abbastanza bene, perché mi accorsi che ero portata per la vendita. I miei clienti erano amici di famiglia, conoscenti e parenti.
Frequentavo il liceo Artistico e sinceramente i primi due anni studiavo poco, non avevo tanta voglia, tranne ovviamente per le materie pratiche, dove eccellevo. Riuscivo ad impegnarmi per diverse ore al giorno, senza stancarmi, non solo per portare a termine i lavori per la scuola, ma anche per me stessa. In quel periodo infatti mi esercitavo moltissimo col ritratto. Stavo approfondendo questa passione, per cui realizzavo autoritratti allo specchio e ritratti dal vero a tutti gli amici, conoscenti e parenti. Ritratti che poi regalavo, rendendoli felici.
In quanto alla mia classe, purtroppo non ho affatto dei bei ricordi, perché a differenza di tutte le altre scuole che avevo frequentato (Elementari e Medie), mi trovavo per la prima volta davvero male con i miei compagni. Tanti (sia maschi che femmine) erano antipatici e soprattutto ipocriti. Davanti a me, se non erano in gruppo, si comportavano quasi in modo simpatico, mentre messi insieme, si trasformavano, atteggiandosi a gradassi, con aria di superiorità, facendo a gara chi la sparava più grossa e cercando di prendersi gioco di me. Ecco la psicologia del branco!
Io non ero l’unica presa di mira. Avevo deciso di non abbassarmi al loro livello, per cui sopportavo le loro offese in silenzio, facendo credere a quegli arroganti e presuntuosi che io fossi debole e che non sapessi reagire alle loro provocazioni, invece non avevano capito quanta forza avevo nel rimanere impassibile.
Non avevo neppure la maturità, essendo un anno più piccola di loro, per potermi difendere adeguatamente. Facevano di tutto per farmi perdere l’autostima e probabilmente ci sarebbero riusciti se non fossi stata sicura di me stessa e soprattutto se non avessi avuto molti amici, fuori dal contesto scolastico, che mi stimavano e mi reputavano invece tanta importanza.
Solo pochi compagni erano simpatici e corretti, per cui mi relazionavo con questi in modo sereno. Rimpiango di non aver cambiato classe, ma nonostante tutto, in quegli anni ebbi successo nell’ambito sociale.
Era il tempo dei primi innamoramenti, ma ero abbastanza esigente nella scelta del fidanzato, perché il ragazzo che avrei voluto al mio fianco non avrebbe dovuto piacermi solo fisicamente, ma avrebbe dovuto avere altre qualità molto più importanti.
In casa ricevevo sempre telefonate di amici e amiche. Facevo parte di due comitive e mi piaceva organizzare feste e uscite varie. Frequentavo le mostre di pittura, il teatro e i concerti di musica classica. Insomma, non mi mancava nulla.
Di tanto in tanto organizzavo serate musicali a casa mia, avendo il pianoforte, si suonava e si cantava insieme e ogni tanto mi capitava pure di invitare qualche pianista per trascorrere le serate in allegria.
La voglia per la lettura e la costanza nello studio, arrivò al terzo anno del liceo, infatti mi diplomai con un buon voto.
Nell’ultimo periodo, ricordo che ebbi un’opportunità di lavoro, ovviamente per tempo libero e diventai rappresentante della Zucchi. Anche quel periodo per me fu ricco di gratificazioni, in quanto riuscì a vendere parecchi capi, quella era l’epoca in cui la gente ci teneva al corredo. Giravo per gli appartamenti di vari quartieri di Palermo (di solito accompagnata dal titolare) e, grazie alla mia parlantina e il mio saper fare, riuscivo a vendere completi da tavola elegantissimi, coperte e completi da bagno raffinatissimi e guadagnai parecchi di soldi.
Ero orgogliosa dei miei successi.
Per il mio 18° compleanno organizzai una grande festa a casa mia. Invitai 50 amici. e la festa riuscì abbastanza bene. All’epoca si ballavano i lenti. Si usavano le casse musicali e le luci psichedeliche. Avevo invitato due mie amiche, entrambe di nome Margherita. Ebbene, queste conobbero due mie amici e se ne innamorarono. Il caso volle che dopo qualche tempo si fidanzassero e successivamente convogliassero a nozze. Il loro matrimonio fu duraturo ed ebbero dei figli. Per me fu una grande soddisfazione perché riuscivo a gioire a gioire delle gioie altrui.
Dopo alcuni mesi, in Estate, tenni un’altra festa nella casa di villeggiatura di Capreria e il caso volle che un’altra mia amica di Palma, Laura, incontrò, tra gli invitati un ragazzo di cui si innamorò...Attilio. Dopo qualche anno, la coppia si sposò. Successivamente lei divenne Preside e tutt’ora quella famiglia è felice.
Durante il quinto anno integrativo del Liceo, iniziai a comporre canzoni, accompagnandomi con la chitarra. La passione era tanta e mi esibivi prima tra amici, poi in pubblico. Conobbi un gruppo musicale che faceva spettacoli. Memorabile il giorno in cui mi recai presso una sala di incisione per incidere una delle mie prime canzoni: “Squilla il telefono”. Avevo 18 anni. Gli operatori rimasero sbalorditi del fatto che registrarono la canzone subito, senza nemmeno aver fatto le prove, in quanto la prima volta che la cantai non presentava imperfezioni, per cui dopo dieci minuti, l’incisione era già pronta. Mi dissero che a loro non era mai capitato di prendere per buona la prima registrazione e non era capitato nemmeno ai professionisti, infatti a volte, i cantanti, prima che il pezzo risulti perfetto, arrivano a provare anche per due ore di fila.
Anche di questo fui entusiasta e rafforzai la mia autostima.
Conobbi tante persone interessanti. In seguito partecipai a dei festival in Sicilia e mi invitarono persino delle TV private. Non dimenticherò mai quando fui invitata a “Telemontecarlo” a cantare in diretta tutti i miei brani musicali, accompagnandomi con la chitarra. Non era facile esibirmi dal vivo, anche perché l'emozione era tanta, eppure mi misi alla prova e riuscii nell'intento... fu un grande successo. Ebbi anche dei riconoscimenti. Peccato che non mi sia rimasta nemmeno una registrazione televisiva. All’epoca non era come adesso che tutto viene registrato. Mi sentivo realizzata anche in questo campo...ero felice.
Sognavo di fare la cantautrice, ma avevo altre passioni da coltivare e prima o poi avrei dovuto scegliere la mia definitiva strada.
LE MIE CANZONI
AVANTI RAGAZZI
Avanti ragazzi,
cominciate daccapo,
tutto passa, torna, ripassa,
ma poi se ne va,
se ne va!
Avanti ragazzi,
non state lì a guardare, mi sembrate tanti bambocci, sì bambocci, a piangere sui cocci.
Lasciate il passato,
sì è andata male,
ma costruite un nuovo futuro
e quindi, quindi seminate
seminate col cuore,
l’amore, l’amore,
l’amore è importante,
è importante,
sì è importante!
L’amore è una pianta preziosa
che a volte viene innaffiata col pianto,
sì col pianto, col vostro pianto!
Col pianto, col vostro pianto!
…………………………………………..
Avanti ragazzi,
fate il primo passo,
rifatelo, ritentate, riprovate,
vedrete, ce la farete!
Vedrete, ce la farete.
ce la farete, ce la farete!
Ce la farete,
ce la farete.
SQUILLA ILTELEFONO
Squilla il telefono
un tuffo al cuore
vado a rispondere ma non sei tu.
Risquilla il telefono
un tuffo al cuore
corro a rispondere
ma non sei tu!
É come se fossi rimasta bloccata in ascensore
perché sei tu che blocchi il mio cuore,
è come se fossi caduta dentro una pozza ghiacciata
perché già io mi sento lasciata!
Ed io non so che pensare di te!
E penso a te solo a te,
soltanto a te solo a te!
Nella mia stanza scende la sera
son triste e sola, mi sento giù.
Squilla il telefono
un tuffo al cuore
corro a rispondere ma non sei tu!
È come se fossi rimasta bloccata in ascensore
perché sei tu che blocchi il mio cuore,
intanto la luna si affaccia
mi fa l’occhiolino dal ciel
mi dice che tu non facevi per me.
Ma io non so fare a meno di te
e penso a te, solo a te,
ma io non so fare a ameno di te e penso a te.
Dimmi che fai tu senza di me
senza di me che pensa a te!
Che fai tu senza di me
senza di me che pensa a te!
E penso a te, solo a te, soltanto a te, solo a te!
E penso a te, solo a te, soltanto a te, solo a te!
E penso a te, solo a te, soltanto a te.
E penso a te, solo a te, ……
VIVI LA VITA
Ma cosa fai lassù in cima
solo come un eremita.
Ma cosa fai lassù in cima
a guardare il cielo e il mare
ed invano ad aspettare, così con le mani in mano
ed invano a da spettare, così…
Eh eh eh ………..
…………………………………………………………………………
Ma non sai che la gente vuole stare con te
perché in fondo lei è sola come te,
ma non sai che la gente
ha bisogno di te, perché in fondo lei
è come te.
………………………………………………………….
Ma cosa vuoi dalla vita, se non vivi la vita?
Cosa vuoi tu dalla vita?
Ma cosa vuoi dalla vita, se non vivi la vita?
Cosa vuoi?
Eh eh eh………………………………………………………..
PENSACI UN PO’
Quando io vedo un ragazzo carin
lo guardo e lui mi fa l’occhiolin.
Occhiali da sole del tipo bollè
mi guarda in faccia dicendomi: “Embè?”
Poi tira dritto sicuro di sé
sbirciando un pochino
non dando a vedere!
Lui va con gli amici nei cine o nei bar
facendo risate e commenti banal.
Ma tu, attenzione però se lui fa per te, oppure no!
Pensaci un po’,
pensaci un po’!
Ti può capitare invece però
quel tipo impacciato che dirti non so!
Può esser bellino, vestito in gilè,
camicia e cravatta
non si sa perché.
Ma quando tu incontri un ragazzo un po’ gay
non vale la pena e sta dove sei!
Ma quando tu incontri un ragazzo un po’ gay
non vale la pensa e sta dove sei!
Pensaci un po’,
pensaci un po’!
Insomma alla fine tu devi sapere
che ogni tipo va bene se l’amore c’è!
Insomma alla fine tu devi saper
che ogni tipo va bene se l’amore c’è!
Pensaci un po’, pensaci un po’!
QUANTA GENTE CHE C’E’
Vorrei un’Estate per …
Vorrei un’Estate permanete
che non mi faccia fondere la mente
e spensieratamente
passarla in compagnia di tanta gente
…………………………………………………………………………………………
Quanta gente che c’è,
chi si prende un caffè,
chi sta tutto sudato,
chi mangia il gelato.
Chi si tuffa in piscina
chi villeggia in collina.
Chi va al mare o in montagna
chi dal caldo si lagna!
Aiah aiah …..
Vorrei un’Estate per ….
Vorrei un’Estate permanente
che non mi faccia fondere la mente
e che mi lasci calma e indifferente
in mezzo a tanta gente…
Quanta gente che c’è
chi si prende un caffè.
Chi sta tutto sudato
chi parla impacciato!
C’è mi mette benzina
e chi esce con Pina.
Chi sale, chi scende,
chi le dà e chi le prende!
Chi pesca in scogliera,
chi parte in crociera!
Aiah aiah…
Chi sculaccia i rampolli
chi fa ridere i polli,
chi ride e chi scherza
e c’è chi rompe!
Sì, c’è chi rompe!!!
Quanta gente che c’è
quanta gente ce n’è!
Quanta gente che c’è
quanta ce n’è.
Quanta gente che c’ è
quanta ce n’è!
VOGLIO TORNARE CON TE
Sì, questo amor è una cosa che dà un’emozione
nuova per me quando resto a sognare con te.
Sì, questo amor mai nessuno rubarlo potrà
solo con te la mia vita felice sarà!
Voglio tornare con te, Henry,
in quella villa sul mare
mentre le stelle in ciel stanno a guardar
voglio tornare con te, Henry.
In quella spiaggia laggiù
e poi tuffarci ancor nel mare blu,
sopra uno scoglio io e te
ci scambiavamo io e te
promesse e baci che non scorderò,
non scorderò!
Voglio tornare con te, Henry,
in quella villa sul mare
mentre le stelle curiose stanno a guardar
voglio tornare con te, Henry,
voglio tornare con te,
voglio tornare con te,
voglio tornare con te, Henry,
voglio tornare con te,
voglio tornare con te.
MARIA DI PALMA
T’arrisbigli di prima matina,
t’arricrii pigliannu aria fina,
poi tinni scinni a Marina, nun la cangiassitu mai
Ah ah ah ah ah a Marina beni si sta.
A Marina si fannu lu bagnu,
si fannu lu bagnu nbichini
quanti belli signurini a Maria di Palma.
Ah ah ah ah ah a Marina si scordan li guai.
Tu t’arricogli stancu pi’ ttutti li tuffi c’hai fattu
mangi e ti vivi lu vinu e ti fai un pisulinu,
mangi e ti vivi lu vinu e ti fai un pisulinu
e Marina si scorda li guai.
Ah ah ah ah ah e Marina si scorda li guai.
Ah ah ah ah e Marina si scorda li guai.
Poi aspetti la sira, picchì tu vo passiari
e l’amici luntanu emigrati tu vulissitu incuntrari
e ti veni na nostalgia picchì iddi un su cu ttia.
Alla fini t’assetti nu bar
pi ggoditi u passiu e la luna supra lu mari
e li masculi a taliari e cantari cantari cantari
mentri t’accumpagna na birra e na chitarra
mentri t’accumpagna na birra e na chitarra.
E Marina si scorda li guai
e Marina si scorda li guai.
Ah ah ah ah ah e Marina si scorda li guai.
Ah ah ah ah ah e Marina si scorda li guai.
TRADUZIONE
Ti svegli di prima mattina,
ti ristori respirando aria fina,
dopo te ne scendi giù al mare,
(un posto simile) non lo cambieresti mai.
Ah ah ah ah ah
a “Marina” si sta bene.
A marina fanno il bagno,
fanno il bagno in bichini,
quante belle signorine a Marina di Palma.
Ah ah ah ah, a Marina si dimenticano i problemi.
Tu ti ritiri stanco per tutti i tuffi che hai fatto,
mangi e bevi del vino e fai un pisolino,
mangi e bevi del vino e fai un pisolino.
E Marina dimentica i suoi problemi.
Ah ah ah ah ah e Marina dimentica i suoi problemi.
Ah ah ah ah ah e Marina dimentica i suoi problemi.
Dopo aspetti la sera perché tu vuoi passeggiare
e gli amici emigrati lontani tu vorresti incontrare
e ti viene la nostalgia perché loro non si trovano con te.
Alla fine ti siedi al bar
a guardare il passeggio
e la luna sopra il mare
e cantare, cantare, cantare,
mentre ti fa compagnia una birra e una chitarra
mentre ti fa compagnia una birra e una chitarra.
E Marina dimentica le sue preoccupazioni
e Marina dimentica le sue preoccupazioni.
Ah ah ah ah ah e Marina dimentica i suoi problemi
Ah ah ah ah ah e Marina dimentica i suoi problemi.
UN ANNO
E ho visto carrozze passare
e ho visto cavalli trottare,
seduta qui sulla soglia sono ancora ad aspettare.
Un anno di dolore, di gioia, di ansia, di malinconia,
un anno ricco di colori, con un po’ di fantasticheria,
un anno ricco di emozioni
che adesso è andato via.
Un anno di ricordi
ti è rimasto e ti consoli perché il ricordo
vive in te ed è la cosa che non fugge mai
perché il ricordo vive in te
ed è la cosa che non fugge mai!
Adesso hai un anno nuovo da affrontare e in seguito da ricordare
e allora vivilo intensamente
Adesso hai un anno nuovo da affrontare e in seguito da ricordare
e allora vivilo istante per istante
e allora vivilo intensamente
con il corpo e con la mente.
A MEGHIU I TUTTI SUGNU IU
(canzone umoristica in dialetto siciliano)
Me soru è un bellu spicchiu,
me matri ci butta u picchiu.
Me patri è i cchiù lagnusu
si scanta puru d’un tignusu!
Me ziu è un gran bistiuni
in testa havi u palluni,
mia zia si senti sperta
a tutti fa stari all’erta.
Me nanna a tutti scanna!
Me nanna a tutti scanna!
Insumma a megghiu i tutti sugnu iu
insumma a megghiu i tutti sugnu iu
e un parru mai di nuddu.
U me zitu è un farfalluni
cu tuttu c’havi u panzuni!
So frati avi un difettu: havi la faccia d’un muffulettu!
Insumma a megghiu i tutti sugnu io,
insumma a megghiu a tittu sugnu iu
e un parru mai di nuddu!
N’haiu finuti!
Vautri ca m’ascutati,
siti cchiu bbeddi i l’antri!
Cessu, chi ssiti sperti!
Insumma a megghiu i tutti sugnu io!
Insomma a megghiu i tutti sugnu iu
e un parru mai di nuddu.
Insumma a megghiu i tuttu sugnu iu
e un parru mai di nuddu!
TRADUZIONE
Mia sorella è un bel tipo,
mia madre sembra che porti iella.
Mio padre è il più pigro
e ha paura persino di un geco.
Mio zio è un omone,
in testa ha il pallone.
Mia zia si crede furba,
tiene tutti sotto pressione.
Mia nonna ce l’ha con tutti!
Mia nonna ce l’ha con tutti!
Insomma, la migliore tra tutti sono io.
Insomma, la migliore di tutti sono io!
Il mio fidanzato è un farfallone,
malgrado abbia il pancione!
Suo fratello ha un difetto: la sua faccia è come uno sfilatino.
Insomma, la migliore tra tutti sono io
e non parlo mai di nessuno!
Insomma la migliore tra tutti sono io e non parlo mai di nessuno!
Non ho finito!
Voi che mi ascoltate
siete peggiori di quegli altri!
Caspita, quanto siete furbi!
Insomma, la migliore tra tutti sono io.
Insomma, la migliore tra tutti sono io
e non parlo mai di nessuno!
IO TI VOGLIO CONQUISTARE
Io ti voglio conquistare con un poco di cognac
tu sei astemio pero!
Io ti voglio conquistare con un poco di cognac
tu sei astemio però!
Tu sei così genial, genial, genial,
però non sei cordial, cordial, cordial!
Ma …. perché, perché, perché, perché, perché, io non sono per te?
Ma perché, perché, perché, perché io non sono per te?
Tu sei così genial, genial, genial,
però non sei cordial, cordial, cordial!
Ma perché, perché, perché, perché, perché, io non sono per te?
…………………………………………………………………………………………..
A JATTA
(Parodia)
C’era una volta na jatta
ch’aveva na macchia nivura n’taricchia
e na vecchia cantina vicinu a u bar
e una latrina, fiteva di chiù e di chiù.
Si l’ambulanza passava
a jatta arruffava lu pilu e poi s’ammucciava
sutta cosi vecchi e marazzi
si c’impirtusava e poi nun nisceva cchiù.
Ora nun ci passu di ddra
c’è nautru fetu, picchì vinninu kebab
però iu staiu a nautra banna
e ddra jatti mancu ci n’è.
Ni dra cantina mancava
u lustru, ci su fulinii pruvulazzu
e stizzeri, chiù peggiu di nta la rutta
di li taddariti, a starici comu si fa?
………………………………………………………………………………………………………………………
Ora non ci passu cchiù di ddra
c’è nautru fetu, picchì vinninu kebab
Però iu staiu a nautra banna
e ddra jatti mancu ci n’è.
Ma si iu pensu a ddra jatta
dannifica e camurriusa comu u sperciasai
mischini dri so patruni
allura a chiuderu e nun si nni parra cchiù!
Fiteva di chiù e di chiù
e nun si nni parra cchiù!
Fiteva di chiù e di chiù!
TRADUZIONE
C’era una volta una gatta
che aveva una macchia nera su un orecchio
e una vecchia cantina vicino a un bar
e un gabinetto che puzzava più di ogni cosa.
Se l’ambulanza passava
alla gatta si arruffava il pelo e si rintanava
sotto le cose vecchie e ingombranti
ci si nascondeva e poi non veniva più fuori.
Ormai non ci passo più di là,
c’è un altro cattivo odore, perché vendono kebab:
io abito in un altro posto
e lì gatti non se ne vedono.
In quella cantina mancava la luce,
ci sono ragnatele, polvere
e gocciolii (si presenta) peggio della grotta
dei pipistrelli, come si farebbe a starci dentro?
Ormai non ci passo più di là,
c’è un altro cattivo odore, perché vendono kebab,
io abito in un altro posto
e lì gatti non se ne vedono.
Ma se io penso a quella gatta
ingestibile e distruttiva come il grillotalpa,
poverini i suoi padroni,
allora l’hanno rinchiusa e non se ne parlò più!
Puzzava più di ogni cosa
e non se ne parlò più,
puzzava più di ogni cosa
e non se ne parlò più.
LA MIA CAGIONEVOLEZZA E PADRE MATTEO LA GRUA
All’età di 18 anni iniziai ad avere disturbi di salute: mal di testa e vomito.
Lo accusavo in media una volta al mese, ma successivamente il disturbo si fece sempre più frequente. La causa è rimasta ignota.
Quando mi capitava, stavo molto male, tanto da dover rimanere a letto. La cosa peggiore era il vomito continuo, a volte per diciotto ore di fila, era un vero strazio.
Quando mi riprendevo, tornavo ad essere quella ragazza molto attiva, piena di interessi e voglia di vivere.
Soltanto all’età di quarant’anni il disturbo scomparve, o meglio, di tanto in tanto ci soffro ma, in modo molto più contenibile e solo a causa di qualche virus.
La guarigione avvenne dopo la straordinaria e indimenticabile esperienza di Lourdes.
Ma torniamo indietro nel tempo.
Da ragazza ebbi la fortuna di conoscere un sacerdote speciale per i suoi doni, ed assegnato alla parrocchia della Noce, che era il quartiere dove abitavo a Palermo. Impiegavo 10 minuti a piedi per arrivare a destinazione. In quel contesto, una mia amica mi aveva parlato con tanto entusiasmo del movimento dei Carismatici e della preghiera di guarigione che celebrava padre Matteo La Grua. Rimasi affascinata per il suo modo di celebrare la Messa e pian piano scoprii i suoi carismi. Mi colpì il modo in cui si relazionava con i suoi fedeli e ne scoprii l’ autentica spiritualità. Per confessarsi da lui bisognava fare la fila, ma erano momenti emozionanti.
Io all’epoca non guarii dal mio disturbo, ma ciò poco m'interessava, in quanto appagata nell’ anima, infatti avevo ricevuto la forza per sopportare la sofferenza. Del resto c’erano tante persone affette da malattie gravi, per cui mi bastava già poter gioire delle guarigioni altrui che ogni tanto si verificavano.
Durante le Messe di guarigione, si invocava lo Spirito Santo e in quel periodo alimentai la mia Fede. Tutte le volte che soffrivo, donavo la sofferenza a Dio e per aiutare le anime del Purgatorio.
IL CORO ANGELICO
Un giorno mi trovai ad assistere a qualcosa di straordinario, di unico e di inspiegabile. Durante la S. Messa, nel momento in cui il mistico sacerdote stava elevando l’Ostia, prima della Comunione, i fedeli iniziarono a cantare e ad invocare lo Spirito Santo; ad un certo punto si elevò un coro accompagnato da arpe, violini e strumenti musicali mai sentiti e particolarmente acuti da impressionare visibilmente i presenti. Nessuno di noi comprendeva da dove potesse provenire quella insolita musica. Soltanto dopo tanto tempo, si capì che si trattava di musica celestiale, accompagnata da un coro angelico.
Probabilmente la spiritualità che si era creata in quel contesto, tramite la preghiera e il carisma particolare di padre Matteo, aveva dato luogo ad un miracolo.
Dopo alcuni anni, dei competenti analizzarono quella musica registrata a suo tempo, arrivando alla conclusione che un tal suono non appartenesse a questo Mondo, ma che fosse opera soprannaturale.
Esiste una registrazione di tale inspiegabile fenomeno. Si trova pubblicata su You Tube.
I TEMPI DELL’ACCADEMIA E IL SUCCESSO IN PIAZZA
All’età di 18 anni mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti, scegliendo la specializzazione di Scenografia. Mi sarebbe piaciuto anche studiare in Conservatorio, ma non avrei potuto scegliere entrambi.
La prima mostra di pittura la organizzai lo stesso anno, presso un noto circolo culturale che frequentavo a Palermo.
Fu una grande soddisfazione per me dover esporre i miei quadri all’età di 18 anni e riuscii anche a venderne qualcuno.
Con i miei colleghi mi trovai abbastanza bene e coltivai delle belle amicizie.
L’ Accademia era in un ambiente sano e piacevole. Ebbi anche dei bravi professori. Memorabile il prof. Francesco Carbone, nonché critico d’arte molto conosciuto a Palermo e largamente stimato. Costui fu anche fondatore di un Museo a Godrano, dedicato all’Arte contemporanea, in particolare a quella materica.
Essendo una persona determinata, in quel periodo, volevo approfondire il ritratto dal vero, non solo affinché diventassi esperta, ma anche per cominciare ad avere un riscontro economico, lavorando come ritrattista. L’arte doveva essere per me anche una fonte di guadagno, perché svolgere un lavoro per passione è il massimo che si possa desiderare.
Decisi così di fare gavetta in piazza, alla Fiera del Mediterraneo. Sapevo che soltanto l’esperienza dal vero, mi avrebbe permesso di diventare un’abile professionista, per cui la piazza sarebbe stata inevitabile.
Arrivai in Fiera con pochi mezzi: un cavalletto, una tavola da disegno, dei fogli e delle matite.
Ero spaesata e piuttosto impaurita, sapevo che avrei affrontare situazioni non facili, anche perché i ritratti che avrei eseguito, non erano destinati al regalo di piacere, ma alla vendita e quindi non avrei potuto permettermi di sbagliare.
Quel giorno conobbi un caricaturista molto simpatico, rideva sempre, aveva circa quarant’anni, insegnava Educazione Artistica alle Medie. Si chiamava Antonio Parrino. Essendo io alle prime armi e quindi al primo giorno di lavoro in piazza, dovendo esibirmi in pubblico, ero molto emozionata, ma fortunatamente, Antonio, essendo già un caricaturista esperto, mi incoraggiò tantissimo...mi aveva preso a cuore.
Sin dal primo giorno di lavoro e fino al termine della Fiera, fu un successo strepitoso. Riuscii a realizzare tantissimi ritratti alle persone che desideravano essere immortalate e che posavano per me, in poco tempo. Riuscii a cogliere molto bene la somiglianza, per cui i clienti si susseguivano uno dopo l’altro. Ricevevo applausi e quindi la gente contribuiva a rafforzare la fiducia in me stessa. Nello stesso tempo pensai di improvvisarmi anche come caricaturista, soprattutto per i ragazzi che avrebbero voluto spendere poco. Non avevo mai fatto caricature, ma con un po’ di allenamento e impegno, riuscii pure a cavarmela con discreti risultati. Ero costantemente attorniata da tanta gente che si divertiva nel vedere i buffi disegni che evidenziavano le caratteristiche e i difetti dei volti.
In Fiera si respirava un buon clima di spensieratezza e di allegria.
In quel contesto conobbi il noto scrittore (in seguito drammaturgo) Gaspare Miraglia e la moglie Rosanna, cantante lirica. La nostra amicizia in seguito durò nel tempo.
Essendo principiante, in quel periodo, i miei ritratti venivano raffigurati di profilo, ma un anno dopo mi cimentai a farli frontalmente o di tre quarti.
Ero l’unica ritrattista della Fiera, a parte Antonio che faceva soltanto caricature, quindi per i visitatori era una novità, erano quelli... gli anni ottanta. Dopo quindici giorni di lavoro, disegnando dalle prime ore del pomeriggio fino a tarda sera, tornavo a casa molto soddisfatta, anche da un punto di vista economico, infatti alla fine racimolai una bella cifra, che non avrei immaginato. Mio padre era fiero del mio successo raggiunto e si vantava quando parlava di me con gli altri. Mi considerava la sua figlia prediletta.
Lo stesso anno decisi di fare gavetta a Taormina, pensando di rimanere almeno un mese. Ero talmente ottimista, che davo per scontato che il lavoro sarebbe andato a gonfie vele ed infatti non mi ero sbagliata. La mia permanenza si poté considerare: vacanza – lavoro.
Avevo intuito che avrei avuto un riscontro positivo, datosi che alcuni mesi prima, durante una gita tra amici a Taormina, avevo notato la presenza di molti turisti che sostavano sulla piazza principale, per cui mi misi alla prova: mi sedetti su una panchina con la mia tavola da disegno e dei fogli dove disegnai il ritratto dal vero di un mio amico. In sole tre ore riuscii a guadagnare un mucchio di soldi. Da quel momento capii che per me sarebbe stato un lavoro sicuro e soprattutto un’opportunità per coltivare la mia più grande passione.
In breve, per Pasqua mi recai a Taormina con mia madre, dove restammo per alcuni giorni ed io logicamente lavoravo nella piazza principale nelle ore serali, con grande soddisfazione. Anche in quel contesto i clienti fecero la fila per avere il ritratto o la caricatura. Ero l’unica ritrattista e a fianco a me c’era un giovane artista slavo, già maturo, molto bravo a realizzare i profili ritagliandoli su cartoncino nero, Vlastimir. Era un architetto, ma aveva scelto di lavorare in piazza come profilista e ritrattista, perché si sentiva maggiormente realizzato. Aveva molto talento e intelligenza.
Feci in tempo a conoscere il luogo ed ambientarmi per poi ritornare l’Estate successiva da sola, per una permanenza più lunga e così prenotai anche il posto dove poter alloggiare, con pensione completa. Nei primi giorni venne con me un’amica.
Quando ritornai in piazza, per lavorare, disegnavo così tanto, che non avevo nemmeno il tempo di andare in bagno. Adesso eravamo in quattro a lavorare, oltre a Vlastimir, c’era Helmut, un altro ritrattista tedesco e Saro, giovane artista siciliano, che faceva il pendolare da Acireale, dove aveva la casa e durante le vacanze estive, arrivava da Milano, sua sede lavorativa.
Saro, più grande di me di dieci anni e anche più esperto nel ritratto, metteva a frutto il suo dono per poter arrotondare lo stipendio da impiegato statale. Riusciva a realizzare ritratti a colori in poco tempo. Era straordinario. Io all’epoca disegnavo solo in bianco e nero ed ero anche più lenta di lui. Eravamo i primi ritrattisti della piazza di Taormina. Instaurai un rapporto di amicizia con tutti e tre. Si era creato un bel clima, nonostante la concorrenza reciproca. Dopo il lavoro, si scherzava ma in effetti tutti e quattro lavoravamo di continuo.
Finita la stagione estiva, tornai a casa arricchita moralmente per l’intensità con cui avevo vissuto in quel periodo e con una cospicua somma di denaro. In quel contesto bisogna anche considerare che molti soldi li dovetti spendere per il vitto e per l’alloggio. Mi potevo permettere di mangiare al ristorante due volte al giorno, la mattina di andare al mare e la sera, fino a tarda ora al lavoro. Conobbi tante persone particolari ed anche dei personaggi noti nel campo dello spettacolo.
Avevo tanti corteggiatori, persino i camerieri dei bar erano candidati e mi invitavano ad uscire, a volte con insistenza, ma ero talmente concentrata nel mio lavoro che non ci pensavo nemmeno, infatti rimanevo impassibile. Non mi lasciavo coinvolgere nemmeno dai bei ragazzi, probabilmente anche perché non avevo trovato la persona giusta. Avevo 21 anni e in quel momento mi sentivo già realizzata, perché la mia attività artistica mi gratificava, sia moralmente che economicamente. In un mese di lavoro, avrei potuto mantenermi per almeno un anno.
Durante il secondo anno dell’Accademia, sottoposi al professore “che stimavo” la bozza del mio primo libro. “Grande terrazza”. Nella mia opera raccontavo le prime esperienze di ritrattista di piazza, i miei viaggi ed altro. Francesco Carbone, persona molto generosa, era solito presentare libri e mostre di pittura gratuitamente ai letterati e agli artisti. Mi aveva preso a cuore, soprattutto dopo che gli avevo fatto leggere la bozza, della quale rimase affascinato, così accolse l’idea di scrivere una recensione per me. Ero entusiasta e onorata nello stesso tempo.
Il professore, inoltre, mi incoraggiò a continuare nella scrittura, infatti nel tempo continuai a farlo, pubblicando in futuro molti altri libri. L’anno successivo, nel 1987 ritornai a Taormina per riprendere l’attività artistica. Ormai avevo superato la grande prova con i massimi risultati e adesso mi proponevo di ritornare in quella meravigliosa e ambita piazza di Taormina per l’anno successivo.
LA PERSECUZIONE DEI RITRATTISTI A TAORMINA
Nel 1984 avevo iniziato la mia attività artistica a Taormina, quando avevo solo 19 anni. Realizzavo ritratti dal vero ai turisti. Ero l’unica donna "artista di strada" a quel tempo presenti sulla panoramica piazza. Come accennai, conobbi un paio di colleghi, Helmut (tedesco) e Vlastimir (slavo) entrambi architetti che avevano deciso di vivere di ritratti. L'anno successivo conobbi Saro, colui che sarebbe stato l'uomo della mia vita.
Eravamo noi i primi ritrattisti che lavoravano nella piazza di Taormina e col tempo ne arrivarono altri da diversi Paesi del Mondo. Inevitabilmente si instaurò tra di noi un rapporto di amicizia, anche perché ci si incontrava tutti gli anni nel periodo estivo.
Quelli erano tempi d'oro per noi: la gente spendeva con molta facilità, per cui si guadagnava veramente bene e sono convinta che sia stato il periodo più bello della mia vita, anche perché già all'età di venti anni ero diventata autonoma dal punto di vista economico ed affettivo.
Dopo un paio d' anni il sindaco emanò un' ordinanza, vietandoci di lavorare e pertanto la nostra opera diventò illegale. Eppure noi eravamo stati gli animatori, apportando un tocco di colore alla monotonia giornaliera, alla cultura ed al prestigio di Taormina stessa. Avevamo creato in pratica una piccola Montmartre. Non esisteva quindi nessun motivo per cui avremmo dovuto smettere di lavorare.
Gli impiegati del Comune sostenevano che la presenza dei venditori ambulanti con tappetini, fosse causata dalla presenza dei ritrattisti. Quando arrivavano i vigili, i venditori facevano sempre in tempo a scappare, avendo poca roba da raccogliere, mentre i ritrattisti con sedie e cavalletti, venivano sanzionati, obbligati a sospendere l'attività, senonché quando la piazza veniva ripulita, dopo pochi minuti sopraggiungevano i tappetini, lavorando indisturbati. Alla fine capirono che non era il caso perseguitare i ritrattisti che non rappresentavano l'origine del problema.
Un insegnante di Taormina aveva filmato delle scene, mostrandole poi alla giunta comunale. Nel video si notava l'intervento dei vigili nella piazza.
Oltre a noi, sulla piazza c'era la presenza di venditori ambulanti e ogni volta che si avvicinavano i vigili, questi avevano il tempo di scappare, dato che qualcuno si appostava all'inizio del corso e avvertiva i venditori. Per noi ritrattisti, sparire era impossibile, perché non potevamo interrompere il lavoro mentre qualche cliente posava per noi, oltre ad avere un'attrezzatura pesante che ce lo impediva. I vigili più accaniti andavano fino in fondo, sequestrando il materiale di qualcuno. Era diventata una lotta giornaliera tra noi artisti e i vigili.
Un giorno mi venne un'idea geniale e la trasmisi agli altri: lavorare in piedi così non avremmo occupato il suolo pubblico, quindi senza cavalletto né vetrina, ma solo con una tavola in mano e dei fogli con un astuccio appeso al collo con i colori e le matite.
Ovviamente lavorare in piedi era massacrante, ma se non altro, non la davamo vinta ai vigili e non ci arrendevamo contemporaneamente ad un capriccio della giunta Comunale.
Una volta successe qualcosa di incredibile: mentre eseguivo il ritratto di una persona che posava per me, seduti su una panchina, il vigile più agguerrito mi guardava da vicino, con un atteggiamento di sfida, pensando che alla fine quando il cliente mi avrebbe pagato, lui mi avrebbe colta in fragranza di reato. Anticipando la sua mossa, ad opera compiuta, invitai il cliente ad entrare con me al bar, in modo che lui potesse darmi i soldi di nascosto e così fu. Senonché il vigile ci seguì ed entrò al bar, insieme a noi, con la presunzione di dovermi controllare, come se farmi pagare dal mio cliente, fosse stata una cosa illecita. L'uomo che aveva posato per me, mi diede quindi i soldi del ritratto. Il vigile, si avvicinò e mi disse sgarbatamente. "Lei si sta facendo pagare il ritratto!"
Senza esitare, risposi: "E allora? Qual è il problema? Lei pensa di impedirmelo? Io non sto occupando il suolo pubblico, quindi posso fare quello che voglio!"
Il vigile se ne andò come un cane bastonato, facendo una pessima figura.
Lo stesso anno, 1988 io e i miei colleghi, stanchi di essere perseguitati nel nostro lavoro, organizzammo una manifestazione in piazza per sensibilizzare i cittadini ad accogliere noi ritrattisti. Così regalammo ritratti a tutti. La manifestazione pacifica durò tre giorni. I ritrattisti chiesero autorizzazione alla Polizia di Stato. Alla fine la manifestazione non si rivelò utile, ma solo come pubblicità.
Avevamo preparato dei cartelli con le scritte: RITRATTI GRATIS. Le opere venivano eseguite in modo veloce per accontentare più gente possibile. La gente si metteva in coda, perché tutti volevano portarsi a casa un ritratto gratis.
Solo dopo, il sindaco e la giunta comunale si resero conto che i cittadini erano contenti della presenza dei ritrattisti in piazza. Fu così che la nostra battaglia ebbe un lieto fine e da quel momento non ci furono più problemi di sorta.
Però da quel momento, il Sindaco adottò una strategia per poter speculare alle nostre spalle: chiese ad ogni ritrattista una tassa annuale per l'occupazione del suolo pubblico e dopo qualche anno aumentò la cifra, che divenne abbastanza alta, a prescindere dal periodo più o meno breve della nostra attività. Se non altro, ormai noi ritrattisti avevamo riacquistato la libertà di poterci esprimere e lavorare.
Evidentemente, per chi vive solo di questo lavoro è diventato molto difficile sbarcare il lunario, ma per me e per mio marito, il problema non si pone, perché abbiamo un lavoro stabile che ci garantisce il vivere giornaliero. Di conseguenza, se decidiamo di non abbandonare la saltuaria attività artistica in piazza, è perché il ritratto dal vero resta sempre una grande e gratificante passione.
L’UOMO DELLA MIA VITA
Il 1988 fu un anno strepitoso e imprevedibile, perché tra me e Saro si era consolidata una particolare amicizia. Lavoravamo nella solita piazza, l’una di fronte all’altro.
Una sera si mise in posa per me e gli regalai il suo ritratto, dopo mi misi in posa io e lui contraccambiò.
Quando finivamo di lavorare, solitamente intorno alle tre di notte, ci dedicavamo alla musica, coinvolgendo i turisti di passaggio. Saro, all’epoca suonava la chitarra e conosceva tutti i pezzi di Franco Battiato e di Lucio Battisti. Gli feci ascoltare le canzoni che avevo composto con la chitarra e ne rimase affascinato.
Cantavamo insieme, riuscendo persino a coinvolgere i giovani che, incuriositi, si avvicinavano a noi e pian piano, al centro della romantica piazza che dava sul golfo illuminato, si formava un cerchio di persone sempre più grande. Persino la luna, che si rifletteva sul mare, contribuiva a rendere unico lo spettacolo. Ci divertivamo e ci rilassavamo tanto, dopo una serata di duro lavoro.
Bisogna riconoscere comunque che in quegli anni la gente era molto più serena e più allegra di adesso, quindi era più ricettiva verso l’arte e verso l’ imprevisto. Il motivo era semplice: non c’era la crisi economica, per cui il benessere si rifletteva anche nello spirito umano. Si spendeva con molta più facilità, respirando quella spensieratezza che purtroppo oggi non esiste più. Erano tempi d’oro.
Più conoscevo Saro e più lo apprezzavo; pian piano nacque tra noi un’intesa particolare e una complicità. Scoprivamo nel frattempo molte cose in comune, non solo per quanto riguardava i nostri interessi e talenti, ma avevamo gli stessi valori e l'animo molto affine. Apprezzavo il modo in cui si relazionava con gli altri, come pure la sua grande sensibilità, disponibilità, generosità, lealtà e correttezza.
Apprezzavo inoltre sua versatilità e spiccato senso pratico. Era capace di aggiustare qualunque cosa come risolvere problemi tecnici, doti che mancavano a me. Non a caso, era cercato e stimato da tutti.
Da parte mia non fu un colpo di fulmine, ma un graduale correre di sentimenti. Un giorno mi invitò ad andare al mare con lui e quella mattina, riuscii a vedere la persona in modo diverso, entrando nella sua anima e così mi accorsi che stava nascendo qualcosa di importante tra noi: era un sentimento che andava al di là della semplice amicizia.
Verso la fine della stagione estiva, ci fidanzammo...era il 1 Settembre.
Dopo avere trascorso una serata in pizzeria, insieme ai nostri colleghi di piazza e ad altri amici, Saro mi accompagnò davanti alla pensione in cui alloggiavo. Prima di rientrare, temporeggiammo. C’era la luna piena e a quell’ora non c’era nessuno per le vie. Saro, essendo una persona brillante e pieno di inventiva, mi disse che si era innamorato di una ragazza molto carina e speciale, ma non gliel’aveva ancora detto per paura che non fosse corrisposto. Mi chiedeva quindi cosa gli avrei consigliato di fare. Capii subito che la persona a cui si riferiva ero io ed allora gli risposi: “Devi dirglielo”. Così Saro si avvicinò a me, ci guardammo negli occhi e ci baciammo sulle labbra.
Fu un periodo stupendo per noi, non solo per il successo nel lavoro dei ritratti, ma soprattutto nel campo sentimentale.
Quando Saro dovette tornare a Milano, a metà Settembre, la nostra frequenza non fu assidua, data la distanza che ci separava. Ci scambiavamo lettere d’amore e ironiche battute, a volte persino vignette illustrate con dei fumetti.
Lui prendeva l’aereo ogni mese per raggiungermi a Palermo e veniva ospite a casa mia per una settimana. Quel breve periodo fu vissuto così intensamente che fu sufficiente per capire che eravamo fatti l’uno per l’altra. Presto ci fidanzammo in casa, poiché Saro mi dava tanta sicurezza e mi ispirava una fiducia totale.
In passato, di tanto in tanto, avevo avuto delle storie sentimentali, ma non durature, perché se capivo che quel determinato ragazzo non era idoneo a stare a fianco a me per un’intera vita, non ci perdevo tempo. Soltanto Saro si rivelò a me come l’anima gemella.
L’anno successivo, dopo aver consolidato il nostro rapporto di coppia, non andavo più a dormire in pensione, ma ero ospitata a casa sua, infatti i suoi genitori mi avevano accettata con gioia ed entusiasmo. I suoi erano due splendide persone, a cui mi affezionai molto presto.
Il lavoro in piazza andava come sempre a gonfie vele. Avevo preso il coraggio di affrontare il ritratto a colori, grazie a lui, che mi spronò a fare il salto di qualità. Lo osservavo nel suo lavoro, per apprendere la tecnica dei gessetti e crete colorate e per poi metterla io stessa in pratica, per cui i ritratti che realizzavo erano diventati sempre più impegnativi. Saro non aveva frequentato una scuola d’Arte, come avevo fatto io, era un elettrotecnico e aveva coltivato il disegno e la pittura da autodidatta, raggiungendo però ottimi risultati. Avevamo scoperto di avere avuto due vite parallele, infatti anche lui mi aveva confidato che da ragazzino si divertiva a ritrarre i compagni e gli insegnanti e in seguito anche lui regalava i ritratti ai suoi amici.
Mi raccontò che in epoca adolescenziale era vivacissimo, velocissimo a correre e si divertiva a fare scherzi come me. Eravamo troppo simili e sempre più convinti di amarci. Percepivo che presto mi avrebbe proposto di sposarmi.
Non mi sbagliavo, infatti quando dopo il suo rientro a Milano, mi raggiunse di nuovo a Palermo, mi fece questa proposta impegnativa ed io, felicissima, non esitai a dirgli di sì. Decidemmo a quel punto la data del fatidico giorno. Il matrimonio fu programmato per sei mesi dopo. In pratica, il nostro fidanzamento durò poco più di un anno e tra l’altro, senza esserci frequentati in modo assiduo.
Saro in quel periodo aveva iniziato a comporre delle canzoni, dedicate a me. Erano toccanti, molto apprezzabili, sia i testi che la musica. Avevo scoperto in lui anche la dote di cantautore. In seguito scrisse altre canzoni molto belle e profonde, così come era la profondità e la bellezza del suo animo. Lui comunque è molto modesto. Una persona eclettica: un vero artista e nello stesso tempo anche un tecnico- pratico.
Posso affermare che il nostro incontro assomiglia ad un romantico film.
La nostra autentica amicizia si trasformò in vero amore.
Non avrei mai immaginato di innamorarmi seriamente in quel contesto, nella piazza di Taormina. Saro...posso dirlo con certezza, è come se mi fosse “piovuto dal cielo”.
LE MIE GRATIFICAZIONI
L'attività artistica in piazza è piena di soddisfazioni e l'emozione che dà un ritratto creato dal vero non è paragonabile a quello realizzato mediante una foto. Nel lavoro diretto occorre più abilità, sia perché è più difficile, sia perché si deve essere necessariamente veloci. In breve, un vero artista deve essere capace di fare ritratti dal vero.
Nello specifico, si incontrano clienti sensibili che apprezzano l'arte e che spesso si emozionano nel vedere i propri connotati riportati velocemente su un foglio di carta.
A volte mostrano costoro la gratitudine, regalando all'autore una cospicua mancia, tante volte fanno persino degli applausi di ringraziamento, ma purtroppo altri più esigenti arrivano anche a muovere giudizi negativi nei confronti degli artisti presenti.
È vero comunque che proprio sulla strada si incontrano anche ritrattisti incompetenti, che lavorano solo per soldi, visto che non tutti posseggono il necessario talento artistico, né tanto meno lo fanno per passione. Ci sono però anche artisti validi, come in ogni campo, a prescindere dal contesto in cui si lavora.
Ovviamente, nella massa si incontrano anche persone di scarsa cultura e di poca sensibilità che non si farebbero mai ritrarre, perché ritengono che siano soldi sprecati.
Basta ascoltare certe frasi pungenti per rendersi conto di quanta ignoranza esiste ancora oggi. Tra le domande più frequenti ricorrono: "Quanto costa una stampa?" Oppure: "Quanto costa una fotocopia"? Oppure: "Se ci facciamo ritrarre insieme, può farci il prezzo di uno?"
Voglio però soffermarmi sugli aspetti positivi, riguardo ai bei ricordi degli anni passati: all'incontro con certi personaggi dello spettacolo e l'esecuzione dei loro ritratti. La piazza riserva spesso delle grandi emozioni e delle situazioni inaspettate.
Una sera, nel 1994, si verificò una combinazione molto emozionante per noi due, un’esperienza nella nostra carriera artistica che non potremo mai dimenticare. Si fermarono da noi una distinta coppia di mediorientali, di mezza età (lei molto bella) con quattro figli a seguito. Chiesero di farsi ritrarre da me e da mio marito. Sembravano dei Principi, a giudicare dai vestiti e dalla fattura dei preziosi che indossavano. Durante i momenti di posa scambiavano con loro, di tanto in tanto, qualche parola in francese e ci dissero che gli altri due figli non erano in vacanza con loro. Attorno a loro si aggiravano ben otto uomini, alti e robusti, impegnati a fare la scorta. Erano inglesi e ognuno aveva la sua ricetrasmittente. Ricordo perfettamente quando assieme all’emozione avvertivo un po’ di agitazione mentre disegnavo, perché attorno a noi si era formato un esagerato capannello di persone fino ad intralciare il passaggio.
Ad un certo punto, per strana coincidenza, si avvicinò a me proprio un’amica che si trovava in zona e mi sussurrò all’orecchio chi, finalmente capii perché tanta gente! Ci trovammo davanti al Ministro “Rafjani”, membro della Commissione OPEC, che decide il prezzo del petrolio in tutto il mondo. Il momento “peggiore” fu quando qualcuno mi fece traballare il cavalletto, talmente era la curiosità di osservare sia l’intera nota famiglia, che le opere che stavamo per realizzare. A quel punto, rimproverai quelle persone invadenti che mi infastidivano, dicendo loro che mi impedivano di lavorare.
Realizzammo i sei rispettivi ritratti a colori che piacquero molto. Soddisfatti ci lasciarono anche una cospicua mancia e ci ringraziarono augurandoci buona fortuna.
Ricordo che dopo, quella sera, lavorammo tantissimo, perché si era formata una lunga coda di gente che attendeva per il proprio ritratto.
Un giorno si avvicinò a me una coppia di giovani sposi con un bimbo nel passeggino:
" Lei è Olga? " " Si, sono io. Mi conoscete?"
Lui: "Sì, una volta lei ha disegnato il mio profilo, era il 1987. Tramite la sua firma, sono risalito all'autore del disegno. Ho chiesto di lei a un suo collega, il quale mi ha riferito che Olga è l'unica persona in piazza che realizza ritratti di profilo e così mi ha indicato la sua postazione. Siamo venuti di proposito da Randazzo, per fare realizzare il profilo di nostro figlio".
Mi fece vedere la foto del ritratto dal cellulare... Incredibile! Me lo ricordavo, nonostante la miriade di volti che all'epoca mi erano passati davanti, posando per me!
Quel giorno feci il ritratto di profilo del loro bambino, che aveva al momento la stessa età del padre, allorché realizzai l'opera.
Un' altra volta arrivò una famiglia dalla Germania, con tre figlie, una delle quali, aveva posato per me dieci anni prima e che adesso mi chiedeva di realizzare il ritratto delle altre due sorelle.
Una sera, una bella ragazza che aveva posato per mio marito, alla vista dell'opera compiuta, rimase sbalordita, come pure altri che avevano assistito alla composizione dell'opera stessa.
Lo zio della ragazza si emozionò così tanto, da baciare mio marito quando si alzò dalla sedia. Rimasi colpita dal tanto entusiasmo, mi avvicinai a lui e mi presentai. Gli diedi molta importanza, percependo la sua sensibilità e così gli raccontai in due parole dell’ incontro avvenuto tantissimi anni addietro con mio marito in quella stessa piazza, come da semplici colleghi fossimo diventati marito e moglie e che adesso tornavamo in quel luogo con i nostri figli.
Ebbene, l'uomo rimase affascinato, mentre i suoi occhi esprimevano gioia e commozione. Anche noi fummo colti da uguale euforico sentimento nel vedere quella persona sincera che si era immedesimata nella nostra storia d'amore. Ci chiese il nostro contatto e ci promise che l'anno prossimo sarebbe ritornato a Taormina per incontrarci di nuovo.
Ci disse che viveva in Francia dove era nato e che tutti gli anni trascorreva le vacanze in Sicilia, poiché il suo paese di origine era Licata e dopo un po' scoprimmo pure che avevamo delle conoscenze in comune.
Spesso vengono a salutarci a Taormina, tantissimi nostri clienti di vecchia data, come alcuni bambini di allora, adesso diventati adulti.
Grazie al lavoro in piazza, i nostri ritratti, si trovano in diverse parti del Mondo e questo ci gratifica e ci onora.
LA MIA GIOVINEZZA E LE DISCIPLINE INTRAPRESE
Da ragazza, per un certo periodo frequentai una scuola di ballo moderno. Mi piaceva tantissimo ballare, anche perché ero predisposta e molto atletica. Frequentai poi la scuola di Hatha yoga e infine, per un paio d’anni mi iscrissi in una palestra di arti marziali: Ju jitsu.
Erano bei tempi. Non avrei mai immaginato di essere portata anche per una tale disciplina. Prima (erroneamente) la reputavo violenta, mentre in realtà non lo è affatto, in quanto è molto utile per sviluppare il proprio autocontrollo ed anche per scaricare lo stress accumulato durante la settimana.
Indimenticabili sono i combattimenti a corpo libero, durante i quali riuscivo ad esternare tutta la mia aggressività nascosta.
Nell’ambiente della palestra conobbi delle belle persone. Il maestro, oltre ad essere molto bravo nel mestiere, era una persona formidabile.
Incontrai sul tatami una persona (cintura nera) che anni addietro era stato un mio collega di teatro. Non c'è che dire, il mondo è davvero piccolo!
Adesso, arrivata a cinquantaquattro anni, mi rendo conto dei cambiamenti mentali e fisici che sono sopravvenuti, ma ciò è più che normale e inevitabile. La giovinezza passa e con essa svaniscono tante novelle ambizioni. Diceva infatti una vecchia canzone: “Addio sogni di gloria! Addio castelli in aria!”.
Il passato è passato e più passano gli anni, più acquisto consapevolezza di come il tempo voli in fretta, trasformando e divorando tutto. La vita è una lenta e continua morte quotidiana di sé stessi. Mi impressiona il pensiero di come arrivi furtiva e veloce la vecchiaia... la vedo sul prossimo e inizio a percepirla su me stessa.
Cerco di non pensarci troppo, ma non è facile.
Spesso mi immergo nel mondo mio dell’arte, che è poi l’unico ambito che non ho mai abbandonato. Ho bisogno sempre di creare qualcosa di nuovo, perché ciò mi gratifica, consapevole che sono delle mie spiccate naturali capacità artistiche, ma nello stesso tempo mi sento piuttosto inappagata. Il tempo a disposizione è poco. Causa impegni familiari e di lavoro, non posso ovviamente raggiungere i traguardi che dentro di me vorrei concretizzare. So che devo dare obbligatoriamente le priorità alle innumerevoli esigenze di tutti i giorni, tanto più che oggi il sistema di vita è diventato molto complesso e pesante, rispetto ai tempi andati a cui eravamo avvezzi.
Adesso tutti corriamo, immersi, “chi più chi meno” in una vita frenetica che non sappiamo fin dove possa portarci.
Tantissime persone mi chiedono se per arrivare al raggiungimento di alti livelli artistici bisogna aver frequentato il liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti.
Rispondo sempre che per essere bravi a disegnare o a dipingere, non occorre tanto la scuola specifica di frequenza, quanto la predisposizione indole di natura.
A me personalmente, nessuno ha insegnato a disegnare. Sono convinta che artisti si nasca, con la scuola e seguendo specifici metodi operativi ci si perfeziona. Occorrono però, come in tutte le cose che mirino un fine valido: tanta costanza, sacrificio, coraggio ed esperienza.
CAMBIAMENTI IN FAMIGLIA
Nonna Olga, vedova da un po’ di tempo e non essendo più autosufficiente, si era trasferita da noi nella casa di Palermo. Aveva poco più di 80 anni. Non ci pesava affatto, anzi, avendo un buon carattere era molto ben voluta. Ero felice che facesse parte fisica della mia famiglia, in quanto persona di compagnia, tranquilla, allegra, colta, intelligente. Arrivata che fu all'età di novanta anni, ricordava a memoria tutto il primo canto della Divina Commedia. Aveva insegnato alle Elementari per 47 anni, aveva cominciato a lavorare già a 16 anni. Soltanto dopo i 93 anni la sua mente cominciò a vacillare, fino a diventare un vegetale, specie negli ultimi due anni della sua lunga esistenza, Non aveva mai avuto problemi di salute e solo in età avanzata, soffrendo di osteoporosi, fu costretta a stare seduta nella sedia a rotelle. Mia nonna, fin quando non perse la lucidità mentale, non si lamentava, anzi, era sempre di buon umore ed era gratificante nei nostri confronti...evidentemente considerava che la trattavamo con particolare riguardo. Morì alla veneranda età di 97 anni.
Mia sorella in quel periodo vinse un concorso all’INPS. Aveva 23 anni quando si trasferì a Modena per lavoro. Dopo poco tempo conseguì la laurea in lingue con 110 e lode e conquistò l’ottavo livello, percependo un cospicuo stipendio.
Sembravano anni felici per la mia famiglia.
Fortunatamente, durante il periodo dell’Accademia, ero già autonoma da un punto di vista economico. Di tanto in tanto facevo qualche viaggio che io stessa mi finanziavo. Grazie al mio orgoglio, non chiedevo denaro ai miei.
Ricordo che prima di conoscere Saro, decisi di fare una vacanza di un mese con una mia collega di Accademia. Trascorremmo i primi 20 giorni nella ex Iugoslavia, dove girammo tantissimo e conoscemmo un'infinità di splendidi luoghi. Poi tornammo a casa e partimmo poco dopo per Firenze, dove rimanemmo per dieci giorni, in modo tale da poterla visitare con tranquillità e conoscerne quindi le stupende opere d’arte.
A proposito della Iugoslavia, non dimenticherò un episodio davvero increscioso. Il caso volle che noi gitanti ci trovassimo in una città della Bosnia dove grazie alla spensieratezza che l'età chiedeva, non sentii l’esigenza di telefonare a casa, cosa che almeno per me era consuetudine almeno ogni due giorni. Lo avrei fatto comunque il giorno dopo, da Medjugorje. Arrivate a destinazione, però, non trovammo nemmeno una cabina telefonica, per cui anche durante quei tre giorni, mi fu impossibile dare notizie ai miei. Ero in pensiero per loro, immaginavo che si sarebbero preoccupati e all’epoca non esistevano i cellulari. Ovviamente i miei erano in stato di intensa preoccupazione, visto che non davo mie notizie da ben cinque giorni. Soltanto dopo, venni a conoscenza di quanto si fossero preoccupati e con quanta e quale angoscia avevano vissuto quei momenti, tanto da essere costretti a rivolgersi ai Carabinieri, perché effettuassero delle ricerche.
A volte si creano delle situazioni davvero impensabili e incresciose.
Ma adesso vorrei raccontare di un’altra esperienza poco piacevole in merito al viaggio fatto a Firenze. Ebbene, se io commisi un errore dovuto alla mia giovane età, i miei ne commisero un altro ancora più grave: quello di non darmi i soldi necessari per la permanenza; davano per scontato che avrei lavorato nella piazza di Firenze come ritrattista e col guadagno mi sarei pagata la vacanza, ma non fu così. Infatti se è vero che era questo il mio desiderio, non avevo valutato il fatto che ciò non dipendeva da me. Arrivate a Firenze, infatti, io e la mia amica, dovemmo constatare che non c’era spazio per i nuovi ritrattisti nella piazza riservata all'arte, perché occupata dai residenti che tra l’altro pagavano già da tempo una tassa per l’occupazione del suolo pubblico, regolamento non ancora entrato in vigore a Taormina.
Di conseguenza, in quel momento mi trovai in difficoltà, perché non avevo una lira, nemmeno per il viaggio di ritorno. Il caso volle che ebbi un’idea: mi ricordai che a Firenze viveva un amico di famiglia, Riccardo, di origine siciliana, a cui poter chiedere aiuto. Le sue tre zie anziane erano state in passato grandi amiche di mia nonna, gli telefonai però, chiedendogli il favore. Questi si mostrò molto disponibile e mi prestò 300.000 lire. Trascorremmo in quell'occasione, io e la mia amica, un pomeriggio in sua compagnia. Gli avrei restituito i soldi, da Palermo, tramite bonifico. Soltanto dopo tanto tempo, ripensando all'episodio, capii quanto fossero stati poco previdenti i miei genitori.
IL TRAGUARDO DEL MATRIMONIO E IL PERIODO FELICE
Devo ammettere che sono stata davvero fortunata in amore. Se è vero che è determinante l'intuito iniziale per capire se il proprio partner sarà la persona giusta per la vita (purtroppo non tutti lo posseggono) è anche vero che non guasta una buona dose di fortuna. In molti casi la persona scelta che sembrava quella adatta, si rivela poi sbagliata o completamente diversa rispetto a ciò che appariva durante il periodo del fidanzamento. In certi casi la cattiveria che era nascosta viene alla luce, con tutte le conseguenze drastiche che ne derivano.
Dal canto mio, ho avuto il giusto intuito per capire che Saro era la persona che faceva per me. Il matrimonio o la convivenza, penso che siano comunque una scommessa. Dopo sposati e con il tempo, mio marito si è rivelato ancora più prezioso di quanto potessi immaginare e ancora più grande si è dimostrato nella sua statura spirituale. Apprezzabili sono le molteplici qualità artistiche e umane, ma soprattutto mi colpisce la sua nobiltà d' animo. E comunque, a parte tutto il resto, la cosa fondamentale è che il nostro continua ad essere un grande amore.
Dato che il fidanzamento era stato molto breve, io e Saro avevamo pensato di aspettare alcuni anni prima di mettere al mondo dei figli, infatti dopo ben cinque anni nacque Sebastian e dopo altri tre, nacque Francesco. Entrambi i figli erano stati programmati e vennero alla luce nel momento da noi desiderato.
Prima che nascessero Sebastian e Francesco, ovvero durante gli anni trascorsi da sposini, avemmo l'opportunità di conoscerci a fondo e forse fu il periodo più bello della nostra vita. Furono anni molto intensi e ricchi di memorabili ricordi.
Ci dedicavamo molto alla pittura, organizzavamo mostre, lavoravamo per agenzie di spettacolo a Milano, spostandoci in luoghi diversi per l'Italia e una volta persino all'estero. Le gratificazioni furono tante, comprese quelle sul piano economico.
Avevamo tantissime commissioni di ritratti, da quelli a gessetti a quelli più impegnativi, sia per tecnica (olio su tela) che per dimensione. Il lavoro aumentava sempre di più dato che la voce si spargeva e inoltre circolavano anche più soldi, per cui la gente non badava a spese.
Nel 1997 io e mio marito fummo invitati come ospiti, in veste di ritrattisti, in una trasmissione televisiva, (Telemontecarlo) condotta da Marco Balestri. L’emozione fu tanta, dato che realizzammo in soli dieci minuti, un identikit attraverso descrizione.
Purtroppo quei tempi non torneranno più e la nostalgia a volte si fa sentire. Per un certo periodo fummo ingaggiati come animatori caricaturisti- ritrattisti. Viaggiavamo e giravamo molto. Avevamo anche il tempo per coltivare le nostre belle amicizie.
In parole povere...andava tutto a gonfie vele.
Le nostre migliori conoscenze furono comunque quelle della strada e spesso legate al contesto della pittura.
Dopo alcuni anni, acquistammo uno studio a Legnano e decidemmo di tenere dei corsi privati di disegno e pittura per ragazzi e adulti. Si presentarono altre gratificazioni.
LA NASCITA DEL MIO PRIMO FIGLIO
Durante la notte del 5 Giugno 1995 fui sul punto di dover dalle alla luce il mio primo figlio.
Mio maritò mi portò immediatamente in ospedale, a Rho. Avevo già le prime contrazioni che man mano aumentavano. Il travaglio durò più di otto ore...fu un vero calvario.
Non potrò dimenticare la sofferenza atroce e nemmeno il temporale che quella notte imperversò, accompagnato da fulmini e tuoni che scandivano i battiti del cuore del nascituro e che acceleravano, per poi io arrivare al culmine del dolore e guarda caso, coincidente con i tuoni, come se tuoni e contrazioni andassero di pari passo. Sembrava la scena di un film, pieno di emozioni e anche di tormento.
Alla fine però, la gioia fu immensa, quando nacque Sebastian. Non si potranno mai descrivere le emozioni che possa provare una madre in quei momenti! L’amore che si prova è indescrivibile nel vedere nascere il proprio figlio e forse proprio per questa atroce sofferenza, l’amore materno è infinito e quindi anche il dolore che ne deriva sarà ricordato per sempre. Infatti amore e dolore sono due facce della stessa medaglia. Non c’ è dolore senza amore e non c’è amore senza dolore.
Dopo la nascita di un primo figlio, la visione della vita cambia, perché il bambino passa in primo piano, diventando la cosa più importante di tutto il resto.
Solo chi è genitore può riuscire a vedere la realtà con occhi diversi e percepire un amore totalizzante. Dopo tre anni anni, nacque Francesco. Il travaglio fu breve, ma i dolori delle contrazioni furono sempre gli stessi. Non potrò mai dimenticare la sofferenza fisica che dovetti affrontare per mettere alla luce i miei figli, ma oggi dico fermamente che ne è valsa la pena.
Ovviamente i figli mi hanno cambiato la vita, mi hanno fatto maturare e soprattutto essere più consapevole di ciò che rappresenta l'esistenza terrena. Mi sento una donna più completa, più realizzata e nello stesso tempo più sensibile alla sofferenza umana. Una madre conosce l’amore più grande, è inevitabile, ma nello stesso tempo soffre anche molto di più rispetto a chi è non ha figli.
Non riesco a capire come possano esistere madri (o padri) che fanno del male ai propri figli fino ad ucciderli o ad abbandonarli. È vero purtroppo, esistono al mondo anche dei genitori snaturati. Allo stesso modo, ci sono anche dei figli che non provano amore per i propri genitori ... anche queste sono brutture che fanno parte delle miserie della vita umana.
LA MORTE DI MIO PADRE E UN SUO SEGNO
Mio padre morì all’età di 76 anni, nel 2004, a causa di un infarto.
Lo vidi già privo di vita all’obitorio di Licata. Avrebbero potuto salvarlo se l’avessero ricoverato nell'ospedale di Agrigento. Dopo la sua morte, gli rubarono persino l’orologio d’oro, regalato dai suoi colleghi di lavoro, quando andò in pensione.
Dopo aver vissuto momenti di angoscia e giorni di dolorosa tristezza, ritornai a Villa Cortese con la mia famiglia.
Erano passati circa tre anni da allora, quando in un periodo ancora di stress e di sconforto pregai Dio, invocandolo affinché mi desse la possibilità di avere da mio padre un segno della sua presenza.
Alcuni giorni dopo, esattamente il 2 Novembre, inspiegabilmente, trovai di fronte alla mia macchina, un cappotto appoggiato alla ringhiera della recinzione del condominio, identico a quello che mio padre aveva indossato per lunghi anni; era di lana a lisca di pesce, color grigio e c'era persino una bruciatura uguale a quella che era sul cappotto di mio padre.
Alla vista di quel vecchio indumento, mi emozionai tantissimo, capii che non era una semplice casualità, ma che era un segno di mio padre, la mia preghiera era stata esaudita. Nei giorni successivi, quando prendevo la macchina, vedevo il cappotto al solito posto e nessuno lo notava. Per me era sempre un’emozione nuova ed avvertivo chiaramente la presenza di mio padre. Dopo una decina di giorni, decisi di fotografare il cappotto e guarda caso, nel momento in cui scattai la foto, vidi un lampo attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. Era una giornata uggiosa, aveva appena finito di piovere.
Quando sviluppai la foto, mi accorsi che era piena di sfere bianche luminose. Solo dopo, seppi che poteva trattarsi di “Orbs”, ovvero delle presenze di anime. La sfera di luce più grande che apparve in primo piano, rappresentava probabilmente l’anima di mio padre.
Il giorno successivo, il cappotto era scomparso, forse perché non serviva più o perché lo avevo fotografato.
PREGHIERA
Gesù, fa’ che la tua Misericordia sciolga le tenebre
e guarisca tutti i mali sulla Terra.
Ti supplico, irradia col tuo amore
il bambino e il vecchio in agonia.
Fa’ che la tua luce sia il faro
che possa darmi conforto sino alla fine.
Non ti chiedo nulla Gesù,
nulla che appartenga a questo Mondo
e che il tempo farà sparire…
A te, Signore, affido la mia speranza,
la mia sofferenza passata.
Chiedo di poter intravedere ora il tuo volto
e quando sarà il momento
di rivelarti a me nella Tua pienezza.
(Dal libro: “ Dio nel cuore” dell’autrice - Edizioni Segno)
I MIEI SUOCERI
Quando entrai a far parte della famiglia di mio marito, mi sentii subito accettata e trattata come una figlia. Tutta la parentela era costituita da bellissime persone.
I miei suoceri legarono presto con me, in particolare la mamma di mio marito entrò nel mio cuore.
Avevano costoro una casa in una frazione di Acireale, ad una manciata di chilometri dall' Etna: erano da una parte il vulcano, dall’altra il mare. In estate trascorrevamo un lungo periodo nell’appartamento che mio suocero aveva costruito per noi, essendo le case allogate in un unico cortile, arricchito da un giardino coltivato ad agrumi.
Mia suocera aveva un’intelligenza spiccata, un estro artistico non comune e una bontà d’animo straordinaria. Aveva uno spiccato senso dell’umor e ci divertivamo tantissimo durante le conversazioni. L’idea che lei fosse la mamma della persona che amavo, mi portava inevitabilmente ad amarla incondizionatamente.
Lei lavorava sempre, era allegra, affabile, discreta, disponibile con tutti e molto laboriosa. Era sarta e la sua passione per il ricamo la rendeva ammirevole ed unica.
Mio suocero era pure straordinario, sia per la vivacità mentale, che per il suo operato, per la correttezza e per la dedizione totale alla famiglia.
Era stato sempre abituato a lavorare, infatti già all’età di 11 anni lavorava come muratore.
Aveva sofferto la fame e rischiato la vita in prigionia, durante la seconda guerra mondiale. Fu internato in un campo di lavoro in Germania, dove lavorò per quattro anni. Raccontava che però i tedeschi lo trattavano bene, soprattutto perché ricompensavano la sua onestà e abilità nel lavoro. Si ingegnava in varie riparazioni di concetto, oltre ad impiegarsi principalmente come muratore.
Era una persona molto atletica. Anche durante l'anzianità “da ultrasettantenne” era capace di correre e di arrampicarsi sugli alberi. Era lavoratore assiduo, fino ad annientarsi. Era un costruttore e muratore specializzato, ma anche agricoltore: aveva un grande appezzamento di terreno vicino casa, dove coltivava alberi da frutta, verdura e ogni ben di Dio. I miei suoceri erano molto bravi a cucinare.
Quei tempi d’oro purtroppo non torneranno più. Ad essi fece seguito un lungo periodo buio. Mio suocero dovette assistere per parecchi anni sua moglie nella sopraggiunta malattia, comportandosi da eroe; volle infatti prendersi cura di lei personalmente fino all' ultimo respiro. Soffrì pur esso lancinanti dolori durante la sua grave malattia, che in meno di tre mesi ed all'età avanzata di ottantotto anni, lo portò alla morte.
In me ed ancor più in mio marito, “che era il figlio”, la perdita di quelle due care persone, lasciò un vuoto incolmabile ed un amaro indelebile segno.
Dopo alcuni anni, anche mia cognata ci lasciò e quindi la famiglia diventò ancora più esigua.
A conclusione: siamo tutti di passaggio, anche per questo dovremmo abituarci ad una maggiore riflessione e reciproca tolleranza.
SALVADOR DA QUI
Un giorno di parecchi anni fa, a Milano, partecipai ad una mostra collettiva, presentando un quadro raffigurante una copia d’autore e con esattezza: La Madonna della seggiola di Raffaello. Il caso volle che tra tanti pittori, un dilettante espose un quadro ispirato allo stesso soggetto, ma in formato molto più piccolo, senonché i due lavori messi a confronto, il mio col suo, anche di fronte al giudizio di un profano, esaltava l’enorme differenza per la fattura e per il risultato. Il suo dipinto era tutto sproporzionato e di pessimo gusto.
Il pubblico che visitava la mostra, essendo le due opere esposte una accanto all’altra, si avvicinava alla mia, complimentandosi.
Ad un certo punto, il dilettante, credendosi un bravo pittore, si avvicinò, quasi per contestare il giudizio del pubblico ed esclamò: “Però bisognerebbe vedere quale delle due opere è più fedele all’originale!”
Io feci finta di approvare la sua osservazione, come se fosse pertinente, ma da quel momento, prendendo spunto dal ricciolo dei suoi baffi, che mi ricordavano quelli di Salvador Dalì, inventai un nomignolo per lui, che nella mia intenzione sarebbe stato per metterlo in difficoltà, ma lui invece, sentendosi preso in considerazione, accolse il soprannome con entusiasmo.
Da quel momento in poi fu chiamato: “Salvador Da Qui”.
L’AMICIZIA
Per me l’amicizia è molto importante, quel sentimento sacro che ti arricchisce l’anima e ti dà un motivo ed entusiasmo in più per vivere, che dà dignità alla propria esistenza.
Durante il percorso della mia vita, ho avuto la fortuna di creare diversi legami di amicizia che dura da lunghissimi anni e credo non finirà mai, sia con donne che con uomini. Non è vero che non può esistere un legame affettivo disinteressato tra un uomo e una donna, nonostante non sia molto ricorrente come il legame tra individui dello stesso sesso.
Per me non è stato difficile e non lo è tuttora instaurare autentici legami affettivi con persone, sia da giovane, sia in età matura e ogni volta che mi capita di trovare un’amica o un amico, è come aver trovato un tesoro, perché non esiste bene più prezioso dell’amicizia stessa. Credo che i simili si attraggano e infatti tutte le mie amicizie sono destinate a perdurare per sempre, proprio perché l’animo che ci accomuna è molto affine.
Tra le mie amicizie, alcune persone sono passate a miglior vita, lasciandomi un vuoto nel mio cuore, ma nello stesso tempo è come se la loro anima avesse lasciato un’impronta nella mia. Percepisco ancora il grande amore che ci ha legato durante l’esistenza terrena.
Fra queste voglio ricordare Angelo Sormani, Stefano Cagnola, padre Giuseppe Samà, padre Antonino Cataldo, missionario di Carini, vissuto per cinquant’anni in un villaggio del Madagascar, Francesca, nonché parente acquisita, suor Maria Rosa Fanara.
Sono state persone straordinarie, sante, per il loro operato e per ciò che hanno lasciato ai posteri.
Tra le anime pure, ne vorrei ricordare una in particolare, la quale apparteneva alle mie più recenti amicizie, che incontravo spesso. Si tratta di Angelina Rogora, di Busto Arsizio, deceduta alcuni anni addietro a quasi 101 anni. Era una figlia spirituale di padre Pio. Il Santo, nel 1960, donò la sua coroncina del Rosario (in semi di carruba) a sua zia suora che si era recata da lui per parlargli e le disse:
“Questa è per Angelina”. La zia, sbigottita, replicò: “Angelina chi?”
“Angelina tua nipote!”
Da quel momento, la vita spirituale di Angelina cambiò totalmente.
Ho dedicato e pubblicato su Youtube un intero video in merito alla sua intervista in cui racconta la sua vita e il mistero che l’avvolgeva attraverso fatti inspiegabili.
Tra i suoi innumerevoli doni spirituali, ne spiccava uno in particolare: riuscire ad analizzare l’animo di ciascun individuo, non solo scoprendo le sue caratteristiche, pregi e difetti, ma soprattutto se si trattava di una persona sincera, falsa, buona o cattiva, sana o malata. Tutto questo, attraverso la fotografia personale dell’individuo interessato e la foto non occorreva nemmeno guardarla, dato che bastava tenerla tra le mani, persino a occhi chiusi.
Tantissime volte, nell’arco dei lunghi anni in cui frequentavo Angelina, le ho sottoposto tantissime foto di: conoscenti, amici e parenti, non solo per avere delle conferme su di loro, ma anche per conoscere il loro stato di salute. Ebbene, lei ha sempre indovinato alla perfezione l’indole di quelle persone e addirittura mi metteva in guardia da alcune, che effettivamente nel tempo si erano rivelate persone non buone. Le ho persino sottoposto foto di personaggi del campo della politica, dello spettacolo ed ecclesiale e lei era stata sempre molto precisa nei suoi giudizi, magari sfatando la loro apparente credibilità, in alcuni casi.
Angelina era attorniata da tantissima gente, tra cui medici e sacerdoti, che chiedeva preghiere e lei non si negava mai, perché aiutare gli altri, era diventato il suo stile di vita.
Una volta pensai di fare uno “scherzo” alla mia mitica amica, anche per metterla alla prova: le sottoposi la foto di mia nonna defunta ormai da tantissimi anni, senza dirle però di quale persona si trattava e nemmeno che lei era passata a miglior vita. Ebbene, Angelina, mi disse che non riusciva a percepire la sua energia e non capiva quale fosse il motivo. Solo dopo che le dissi la verità, lei riuscì a darsi una spiegazione: non poteva percepire la sua anima perché mia nonna ormai apparteneva alla dimensione spirituale.
Io per Angelina era l’amica del cuore e anche lei lo era per me.
Dopo la sua morte, lei mi lasciò dei segni tangibili della sua presenza. Adesso non voglio dilungarmi, anche perché nel mio libro “Il miracolo continua”, pubblicato parecchi anni fa, ho parlato tantissimo di lei e dei fenomeni soprannaturali che si manifestavano attorno alla sua persona e che io stessa ho potuto toccare con mano.
Ormai, essendo abituata a ciò che hanno visto i miei occhi, a casa sua e non solo, non mi stupivo più di nulla e tutt’ora non mi meraviglio dinanzi a fenomeni inspiegabili e misteriosi di cui sono ancora testimone. Ho imparato a vedere il normale nel paranormale, per via degli innumerevoli episodi verificatisi.
IL FEELING DELL’AMICIZIA AUTENTICA
Nel corso della mia vita ho potuto verificare che tutte le amicizie autentiche, cioè quelle intramontabili che durano da una vita, sono caratterizzate dalla stessa particolarità: al primo impatto della conoscenza con una specifica persona, (che sia uomo o donna) percepisco un sentimento positivo, come una sorta di legame, come se quella persona l’avessi sempre conosciuta. La cosa evidentemente è reciproca.
È come se ci fosse un’intesa tra due anime e infatti posso affermare che tutte le belle persone che ho conosciuto, sono entrate per sempre nel mio cuore.
Non ho mai litigato con i miei amici, né dubitato di loro, perché la fiducia reciproca è alla base di un legame affettivo.
Grazie al mio carattere socievole, solare e probabilmente anche alla “fortuna”, posso affermare che ho instaurato molti rapporti di amicizia autentica e per questo mi sento arricchita spiritualmente, nonché fortunata.
Evidentemente è normale che lungo il nostro percorso esistenziale, ci si possa imbattere anche in persone sbagliate, che si sono poi rivelate false, per cui tali individui li ho dovuti per forza allontanare. Nello stesso tempo però, non a caso, con queste persone non era mai esistito quel feeling particolare iniziale, proprio perché erano troppo distanti dalla mia indole. In breve, nella mia vita ho rotto i ponti soltanto con persone che erano dominate dall’egoismo, opportunismo, cattiveria, falsità o invidia e avevano finalità nascoste, quindi è inevitabile non avere a che fare con questa categoria di individui pericolosi, che vivono solo per danneggiare gli altri e che minacciano la serenità di chi le avvicina, l’importante è fare la differenza e stare alla larga.
Del resto non saremo noi a “convertirle” al nostro modo, tantomeno al bene, perché ognuno ha una propria natura già definita, ma d’altronde non vale neanche la pena abbassarsi al loro livello o confrontarsi con loro, proprio perché queste non vogliono avere alcun confronto con nessuno, perché facilmente propense all’ira, al litigio e allo scontro.
La conclusione è quindi che anche nel campo delle amicizie, i simili si attraggono, ecco perché non tutti possono andare d’accordo. Queste dinamiche si possono notare anche negli ambienti di lavoro: le brave persone si relazionano e si attraggono con i propri simili, mentre la gente poco per bene, si attrae con quelli del proprio rango. I comportamenti insani e prepotenti degli esseri umani tendono a prevaricare il prossimo, essendo guidati dalla violenza, che talvolta può essere fisica, molto più spesso psichica. Chi prevarica possiede come idoli il denaro e il potere.
Di conseguenza nel campo dell’amicizia, cerco di essere selettiva, anche se continuo ad usare la gentilezza con chiunque.
L’amicizia autentica è un bene prezioso e direi anche raro, che va custodito gelosamente.
IN MERITO AL PERDONO
Credo che le persone perfide debbano essere perdonate, ma a distanza. Il motivo è semplice:
Tali individui non sono consapevoli della propria cattiveria, quindi del male che procurano agli altri, per cui dovrebbero essere necessariamente allontanati, altrimenti chi continua a relazionarsi con “gli aguzzini”, sarà destinato a subire gratuitamente o a doversi scontrare, a discapito della propria salute e tranquillità.
Il paradosso è che spesso i tipi malefici credono di essere impeccabili, definendosi persone giuste, si atteggiano a vittime e riescono persino a vedere la cattiveria nelle persone dall’indole buona.
Per amor di pace, quindi, bisognerebbe allontanare le persone negative.
Sarebbe l’ideale dimenticarle e perdonarle, perché solo se si scorda il male ricevuto, si può riacquistare la pace nel cuore.
MARIO LIGONZO
Saro, in quel periodo, pur avendo un lavoro fisso, svolgeva l'attività di ritrattista, sua vera passione, che tra l'altro gli rendeva abbastanza. Fu appunto in una di quelle occasioni che conobbe Mario, in piazza Duomo, con il quale strinse un' amicizia, che perdurò nel tempo.
Mario, di statura alta, aveva un'ossatura molto robusta ed una forza fisica non indifferente. Non a caso, da giovane aveva praticato pugilato, ottenendo diversi riconoscimenti.
Persona ammirevole sotto ogni punto di vista. Era costui originario di Taranto e abitava a Milano. Suo padre era stato Ammiraglio della Marina Militare Italiana.
Mario, essendo pure del mestiere, si divertiva ad osservare i ritrattisti e ogni tanto si permetteva dare dei suggerimenti, specie se notava errori o imperfezioni.
Ebbene, Saro era uno dei pochi che accettava con umiltà i suoi consigli, anzi gliene era persino grato e forse anche per questo, quel tale prese a nutrire considerevole stima nei suoi confronti. Nel tempo l' amicizia si rafforzò.
Dopo il nostro matrimonio, Mario divenne ovviamente anche amico mio. Ogni volta che ci telefonava, se ero io a rispondere ero solita dirgli: "Ciao Mario, sapevo che eri tu!" E di rimando rispondeva: "Sei una pitonessa!"
Con lui ci facevamo le migliori risate, anche perché aveva anche lui uno spiccato senso dell'umorismo. Riusciva anche ad imitare molto bene gli altri.
Aveva vissuto una vita molto intensamente e alla grande. Aveva lavorato come capo crittografo, per l'ambasciata polacca, dove decifravano i messaggi segreti. Il suo stipendio era elevatissimo.
Per circa quarant'anni aveva vissuto in albergo, aveva conosciuto personaggi altolocati.
Non ebbe legami duraturi affettivi col gentil sesso, ma solo flirt occasionali. Un giorno, ricordo, ci mostrò alcune foto dei tempi passati: era affiancato da donne bellissime e in una appariva persino con il noto armatore Onaxis.
Purtroppo, però, anche costui aveva un punto debole: il vizio del gioco al casinò ed infatti ci confidò che nell'arco della sua vita, sui tavoli verdi aveva perso una fortuna.
Aveva anche lavorato per tanti anni come giornalista per testate importanti. Era stato collega di Indro Montanelli e ci raccontò tanti particolari in merito a quel grande genio della carta stampata.
Mario era anche un bravo pittore. Aveva venduto e partecipato con i più grandi nomi della storia dell'Arte contemporanea, ma poi aveva deciso di seguire la via più sicura, ovvero, quella del giornalismo.
Suonava ad orecchio il pianoforte ed era abbastanza bravo. Teneva la mente sempre occupata con la lettura, la pittura e le parole crociate, anche fino all'età molto avanzata.
Era rimasto single, anche se negli ultimi vent' anni, si era legato sentimentalmente a Fiammetta, una ricca vedova (moglie di un ambasciatore) ma ognuno viveva per proprio conto. Quando lei morì, ne fu particolarmente addolorato.
Mario era invitato spesso a cena in casa nostra.
Conosceva diverse lingue ed aveva una cultura impressionante. Si intendeva molto di storia. I suoi colleghi lo chiamavano: "L'enciclopedia".
Questi ci incentivò ad approfondire la pittura, ci dava anche dei suggerimenti tecnici in materia e ci ripeteva sempre di non abbandonare mai il ritratto, perché tra le innumerevoli tematiche, è quella che non passa mai di moda. Ci stimava tantissimo. Era in fondo piuttosto schivo, anche se molto aperto e soprattutto senza peli sulla lingua.
Una volta ci confidò che dopo essere andato in pensione, aveva preso l'abitudine di dire parolacce, proprio per infrangere quelle regole che per una vita aveva dovuto rispettare, frequentando gente alto locata. Si definiva "anarchico", ma aveva un senso spiccato dell'onestà e della giustizia.
Noi eravamo le uniche persone che trattava, forse perché, oltre agli interessi comuni, lo ascoltavamo tanto. Da lui c'era molto da imparare. Mio marito, ogni mese, a Milano, andava a riscuotere per lui la pensione e ricordo che puntualmente Mario gli consegnava due scatole di cioccolatini: una per noi e l'altra per l'impiegata della Banca, che conosceva da una vita. Tramite Saro, da lei veniva anche a sapere i nomi dei colleghi passati a miglior vita.
Aveva una grande considerazione nei nostri riguardi e spesso ci diceva: "Voi avete un lavoro d'oro nelle mani, che non dovrete mai abbandonare!"
Tutte le volte che con lui ci sedevamo al bar, a Legnano, ci faceva divertire, perché oltre a parlare di problematiche serie, essendo anche un burlone (si avvicinava già ai novant’anni) si prendeva gioco delle cameriere e soprattutto di quelle donne tutto fumo e niente arrosto, che volevano palesemente apparire, mentre lui le detestava. Le salutava in modo ossequioso e non appena si girava, faceva una smorfia quasi di sdegno e sussurrava col suo accento tipico: " É una pernacchia".
Una volta Mario entrò nel bar e si avvicinò al bancone per scegliere dei pasticcini. Il barista si rivolge a lui: "Desidera?"
Lui non rispose e guardò ancora i dolci.
Il barista, in tono più deciso: "Desidera?"
Mario, imperterrito, lo ignorava, come se non sentisse.
Allora il barista, per la terza volta, gridò: "Desidera?"
Mario rispose: "Calma, calma! Non sono sordo!”
Il cameriere rimase stupito!
Aveva la battuta sempre pronta.
Visse a Legnano l'ultimo periodo della sua vita, fino all'età di 97 anni.
Si era trasferito nell'appartamento in cui io e Saro avevamo vissuto in affitto per sei mesi.
Eravamo contentissimi, perché adesso Mario si era avvicinato a noi e potevamo vederci con maggiore frequenza.
Un giorno ci raccontò un episodio che ci fece sbellicare dalle risate.
Spesso al parco incontrava un uomo anziano, un po' più giovane di lui e che aveva voglia di parlare. Siccome Mario non aveva voglia di approfondire la sua conoscenza, un giorno, dopo che questa persona gli domandò: "Ma tu come mai vivi in Lombardia? Perché hai lasciato la tua terra così bella e attraente? Chi te l'ha fatto fare?"
Mario, gli imbastì una storia:
"Sai? Ti faccio una confidenza! Però tu promettimi che non lo dirai a nessuno!"
"Certo! Stai tranquillo!...ci puoi contare!"
"Io sono un latitante. Ho commesso tante sciocchezze anche gravi e adesso qui vivo tranquillo, perché non mi conosce nessuno."
"Veramente? Ah, ho capito!" ...e dopo un po': "E adesso cosa fai di bello?"
Mario, in modo molto serio rispose: "Sto andando dal corniciaio a ritirare il ritratto di mio nonno e poi andrò da lui a portarglielo!"
L'uomo lo guardò strabiliato: "Ho capito, - rispose - ho capito! Scusa, adesso devo proprio andare... Buona fortuna!"
Da quel momento, tutte le volte che quell'uomo incontrava Mario, faceva finta di non vederlo. Mario aveva così raggiunto il suo scopo, ossia di non essere più importunato.
Col tempo, Mario si affezionò sempre di più a noi. Dopo la nascita dei nostri figli, decise di aprire un libretto di risparmio personale per entrambe i bambini e ad ogni anno, per Natale, faceva loro un bel regalo.
Negli ultimi anni della sua vita, io e Saro gli fummo molto vicino. Gli facevamo la spesa ed eravamo sempre disponibili per le sue necessità. Era diventato per noi un secondo padre.... Prima di morire, in seguito ad una brutta malattia, Mario volle regalarci le sue cose più importanti, tra cui il materiale pittorico, compresi cavalletti, libri d'arte ed una miriade di tele e colori, nonché i suoi quadri astratti, molto belli.
Chissà se un domani riusciremo ad organizzare una mostra in sua memoria? Sarebbe veramente molto bello!
Il distacco finale con Mario fu molto triste.
Resterà costui per sempre nella nostra memoria e nei nostri cuori. Fu veramente una carissima indimenticabile persona... ed un grande artista.
IL TELEFONO STACCATO
Spesso sono costretta a staccare il telefono perché un amico di vecchia data che presenta gravi problemi psichici, mi telefona oramai da tanti anni, ripetutamente, fino a diventare ossessivo. Mi racconta le stesse tediose lagne circa le sue sofferenze, piange, ed è ossessivamente ripetitivo. Purtroppo nessuno riesce ad aiutarlo, forse perché la sua depressione si è ormai radicata nell' anima.
In conclusione: Simone non può guarire nemmeno con i farmaci e non a caso si ritrova da solo.
In passato, per diverse volte mi accennò al fatto di volersi suicidare, finché un giorno mi confidò una sua paura: non tanto della morte in sé stessa quanto della pena eterna che l’avrebbe atteso, dato che la Chiesa gli aveva inculcato l’idea che le persone che si suicidano finiscono all’Inferno. Nello stesso tempo affermava però “paradossalmente” di non credere all’anima e a Dio. Tuttavia, aveva il dubbio di cosa sarebbe successo dopo la morte e soprattutto cosa gli sarebbe capitato se si fosse suicidato.
A quel punto, per cercare di dissuaderlo da quell’estremo gesto, gli dissi che purtroppo sarebbe finito all’inferno, per cui gli consigliai di lasciar perdere, perché non ne valeva la pena.
Da quel momento in poi, Simone non mi parlò più di quell’idea, rinunciando al suicidio.
INCIDENTI SCAMPATI
Nel corso della mia vita, finora sono stata abbastanza fortunata da un punto di vista infortunistico, dato che ho scampato tre incidenti automobilistici molto gravi.
Il primo (e l’unico per colpa mia), all’età di 20 anni, essendo neopatentata, lo evitai. Mi trovavo alla guida insieme ad una amica e a mio cugino, mentre percorrevo la strada, trovandomi in vacanza in Sicilia, presi una curva svoltando sulla destra per imboccare la strada che scendeva verso il mare, senza rallentare, né tanto meno scalare di marcia. Di conseguenza la macchina si mise a sbandare all’impazzata, sollevandosi da un lato. Il cuore mi batteva all’impazzata perché poteva succedere il peggio. Grazie al Cielo, dall’altra corsia non provenivano altre autovetture. Ebbi la prontezza di sterzare, non mi ricordo nemmeno come ho fatto, e se non avessi avuto i riflessi pronti, sarei potuta finire nella scarpata, o magari mi sarei schiantata contro qualche autovettura, mettendo a repentaglio anche l’incolumità dei due passeggeri. Il caso volle che la strada libera mi salvò la vita e probabilmente qualche Angelo da lassù mi aiutò a districarmi da questa inconsulta manovra. Da quel momento imparai ad essere molto prudente.
Dopo tantissimi anni, mi trovavo in macchina con mio marito e i nostri figli e mentre percorrevamo una strada a Legnano, con una corsia per ogni senso di marcia e piuttosto stretta. Ad un tratto ci trovammo di fronte un furgoncino che si dirigeva verso di noi, abbastanza speditamente, avendo sorpassato un’automobile sulla doppia striscia continua. L’impatto frontale sarebbe stato inevitabile e fatale se mio marito non avesse avuto la prontezza di sterzare per schivarlo, così finimmo sullo sterrato ma senza alcuna conseguenza, dato che subito dopo, rientrammo nella stessa corsia. Il caso volle che c’era stata la possibilità di uscire dalla carreggiata senza incontrare ostacoli o muri.
La paura però fu inimmaginabile e ci sembrò di vivere un incubo. Ebbi la sensazione di sentirmi miracolata, insieme alla mia famiglia.
Il terzo episodio si verificò alcuni mesi dopo. Stavo percorrendo la strada che conduceva verso la mia abitazione, quando all’ improvviso, un’automobilista con la sua autovettura che proveniva da una strada confluente, senza guardare, si immise nella mia corsia, tagliandomi la strada. Io non stavo correndo, altrimenti l’avrei preso in pieno, ebbi infatti la prontezza di sterzare e schivarla.
La fortuna fu che nella corsia opposta non arrivavano macchine, per cui anche questa volta evitai un grave incidente.
IL LAVORO DI INSEGNANTE E LA MIA CARRIERA ARTISTICA
All'età di quarantun' anni, si apriva un nuovo capitolo della mia vita: l'inizio della mia carriera scolastica, come docente nella Scuola Pubblica.
Era la prima volta che lavoravo alle dipendenze di qualcuno; da quel momento avrei avuto uno stipendio assicurato e questo mi dava gioia, però avrei perso l'autonomia che avevo nel ruolo di libera professionista. Continuavo a dedicarmi all'arte, ma solo nel tempo libero, considerando che purtroppo non è facile riuscire a vivere di solo pittura.
Emozionante fu il mio primo giorno di scuola nel ruolo dell'insegnante; non paragonabile comunque al mio primo giorno di lavoro come ritrattista in piazza e nemmeno paragonabile all'impatto con le telecamere puntate su di me, per l'esordio con le mie canzoni in televisione! Né al primo debutto teatrale quando ero ancora ragazza!
Eppure ero emozionata, perché adesso il mio posto era dall'altra parte della cattedra. Provavo già ad immaginare che impressione avrei suscitato nei ragazzi, in qualità d' insegnante.
Ho sempre creduto che per essere una brava docente, è necessario possedere una spiccata carica di umanità e in tal senso mi sentivo piuttosto tranquilla, quindi non avrei deluso i miei alunni. In quanto alla professionalità, l'avrei certamente acquisita con l'esperienza.
Dominava in me l'entusiasmo, l'ottimismo, la voglia di dare ed anche un po' di paura di non essere all'altezza del ruolo che avrei rivestito. A parte tutto, mi sentivo innanzitutto un'artista, più che una professoressa.
Devo francamente ammettere che seppi conquistare, nonostante le mie perplessità, la simpatia e la stima degli alunni, sin dall'inizio. Amavo il mio lavoro e le soddisfazioni erano tante. Incontrai dei ragazzi talentati e lavorare con loro fu una grande gioia.
Riuscivo (e riesco) a sbalordire i ragazzi quando alla lavagna realizzavo dei disegni da far copiare o prendere come spunto.
Senza volerlo, facevo spettacolo, avendo avuto alle spalle una carriera di ritrattista di strada, oltre che lavorare su commissione in studio.
Parallelamente alla docente di Arte e Immagine, lavoravo anche come insegnante di sostegno ed ebbi altre gratificazioni, di tipo diverso, anche da parte dei genitori. Ho conosciuto belle persone, lo devo ammettere.
Con gli anni che passavano, mi accorgevo però che il lavoro dell'insegnante diventava sempre più faticoso. Il lavoro in sé non è difficile, quanto tutto il contesto.
A snervare sono infatti i molteplici impegni didattici che il sistema scolastico impone, alle troppe adempienze formali e carte da compilare, spesso prive di contenuto, utili solo a soddisfare l'apparenza ed a togliere agli insegnanti l'energia indispensabile per andare avanti.
Un altro fattore che rende il lavoro stressante e difficile è l'utenza, infatti soprattutto nei nostri tempi, dove la maleducazione è sempre più diffusa, il fatto di dovermi relazionare (come tutti i miei colleghi) con ragazzi indisciplinati e a volte anche pericolosi, mi angosciava, così come mi angosciava il fatto che qualcuno durante la lezione potesse farsi male. Se il docente deve insegnare, non può fare il sorvegliante dei ragazzi imprevedibili, perché ciò è praticamente impossibile.
Logicamente, il docente sorveglia come può i suoi ragazzi, ma non può garantire che tutto sia sempre sotto controllo...in fin dei conti, anche il docente è un essere umano.
La causa di tutto ciò è alquanto semplice: il docente ha perso il potere di autorevolezza, per cui anche se volesse prendere qualche iniziativa per segnalare il caso al dirigente, diventerebbe davvero un problema. Non tanto per l'alunno, ma per il docente stesso, che magari ha espresso il desiderio di dare un segnale educativo al ragazzo che ha sbagliato, anche per incentivarlo alla correttezza. Nel caso in cui lo studente non venga ripreso, sarà incoraggiato a comportarsi ancora in modo scorretto.
Tanti dirigenti ignorano la problematica, non danno più segnali educativi ai ragazzi che sbagliano o a coloro che addirittura sfidano gli insegnanti...e questo è degrado!
Questo è uno dei motivi per cui la scuola è decaduta e i docenti hanno perso la propria dignità professionale.
Va detto che: oltre a questo increscioso fenomeno, c'è la maleducazione di quelle famiglie (spesso disastrate o assenti) sempre pronte a difendere i loro figli (anche delinquenti) a spada tratta. I presidi, spesso per paura, chiudono un occhio. Risultato: gli insegnanti lavorano male, si sentono frustrati e stressati psicologicamente. Ovviamente ne pagano le conseguenze non solo i docenti più sensibili e onesti, ma anche gli alunni stessi.
Detti dirigenti sono capaci solo di improntare bellissimi discorsi durante il Collegio dei Docenti, presentando spesso inutili progetti.
C'è nel complesso anche un altro fattore che rende il lavoro del docente più difficile: il mobbing che tante volte si esercita (come anche in ogni ambiente di lavoro, s'intende).
In compenso però ho conosciuto delle splendide persone e con alcune docenti ho instaurato un vero e proprio rapporto di amicizia che dura ancora nel tempo. Ho conosciuto inoltre dei dirigenti scolastici davvero straordinari.
Nella Scuola pubblica ho insegnato per dieci anni come precaria e poi finalmente di ruolo.
In passato tenevo dei corsi privati di disegno e pittura.
Anche quello fu un periodo ricco di soddisfazioni morali ed economiche. I miei allievi erano bambini e adulti. Pure mio marito tenne dei corsi di pittura e ancora oggi abbiamo qualche allieva affezionata che frequenta le nostre lezioni.
Da quando insegno a scuola, ho sempre poco tempo per me stessa e riesco a dipingere o a scrivere solo nei momenti liberi. Tuttavia a volte mi stupisco di me stessa e non riesco a capire come io possa riuscire a portare a termine i miei obiettivi extrascolastici. C'è da dire però che sono piuttosto soddisfatta di quello che riesco a fare, anche se vorrei poter fare sempre di più e per questo non mi sento totalmente appagata, perché è come se una parte di me non riuscisse ad esprimersi in tutte le sue potenzialità, dato che il tempo non basta mai.
Sono per indole una sognatrice, ma con l'esperienza e con la maturità ho imparato necessariamente ad essere abbastanza pratica, soprattutto ai nostri tempi, dove è diventato tutto più difficile e quindi non sempre si può fare tutto ciò che si desidera e a volte i nostri sogni rimangono irraggiungibili.
Sono fortunata perché ho una famiglia unita e insieme a mio marito, sono riuscita a trasmettere ai miei figli una salda educazione. I miei figli inoltre mostrano uno spiccato talento e coltivano passioni artistiche. Tutto ciò gratifica noi genitori.
Io e Saro abbiamo inoltre tante amicizie preziose, che durano da una vita e che arricchiscono la nostra esistenza.
Abbiamo messo l'amore al primo posto, in tutti i campi.
LA GENTILEZZA
Se è vero che la gentilezza dovrebbe essere trasmessa ai bambini e ai ragazzi affinché crescano educati, sono fermamente convinta che soltanto una persona gentile possa insegnarla, con l’esempio ed attraverso il proprio comportamento.
A parte tutto, credo che ognuno di noi, sin da piccolo, sia caratterizzato “eventualmente” da una tale qualità, che però non tutti posseggono.
Una persona gentile si percepisce subito, si riconosce per strada, al supermercato, negli uffici, nel' ambiente di lavoro, a prescindere dal ruolo che riveste...e questo è intuibile dal più ignorante al più colto.
Purtroppo la mancanza di gentilezza nei nostri tempi pare che sia sempre meno diffusa.
In tutte le scuole in cui ho lavorato ho incontrato delle bravissime persone, quindi anche gentili, mentre altre, sono del tutto rozze e maleducate. Di conseguenza, per loro, essere gentili è un’impresa ardua, perciò non possono stupirsi, vedendo dei ragazzi irrispettosi.
Non c’è niente di peggio che maltrattare i propri alunni e umiliarli, così come è gravissimo permettersi di maltrattare i propri colleghi. Certe persone credono che incutendo terrore, diventino più rispettabili e forti, mentre sbagliano di grosso e si rendono, così facendo, semplicemente odiabili. Tali individui possono legare soltanto con i propri simili a loro, mentre le persone gentili non fanno alcuna fatica a relazionarsi con le persone di indole bonaria e altruista.
Ciò che ho potuto verificare, dopo tanta esperienza in ambito lavorativo, è che inevitabilmente nelle scuole si formano spesso due “fazioni”: quelle con le persone corrette e quelle con le persone scorrette, o più semplicemente giusti e ingiusti.
È come se nell'ambiente serpeggiasse una sorta di lotta tra bene e male. E questo avviene non solo nelle classi, ma anche tra i docenti e il personale impiegatizio.
Ci sono anche di quelli che usano una falsa galanteria, mentre in realtà nutrono nel loro cuore avversi sentimenti. Gli individui appartenenti a quest'ultima categoria sono sicuramente fra le peggiori.
La scuola è paragonabile a una cellula della nostra società, in cui si riflettono le dinamiche scaturite dagli stessi moventi, caratterizzanti l’indole dell’essere umano.
In qualità di docente, posso affermare che, a parte le amarezze che ho vissuto, spesso dovute al meschino sentimento dell’ invidia, ho raccolto tanti frutti positivi e ne sono orgogliosa: gli alunni si affezionano facilmente a me, intuendo la mia indole buona. Per me infatti è naturale essere gentile, sia con i colleghi che con gli alunni.
Mi emoziono e mi sento gratificata quando alcuni miei alunni, in particolare le femmine, mi vogliono abbracciare o mi dicono frasi del tipo: “Prof ti voglio bene!”, oppure “Non ci lasciare mai!”...e ancora: “ Sei la persona più buona del mondo!” E’ vero che apprezzo anche i complimenti legati alle mie capacità didattiche e alla figura professionale, ma mi sento maggiormente gratificata quando gli alunni mi attribuiscono delle qualità umane, probabilmente perché io do molta importanza a tali valori. Riconosco di essere una persona empatica.
Evidentemente il compito dell’insegnante è anche quello di riprendere i ragazzi quando sbagliano, ma bisognerebbe farlo sempre con gentilezza e determinazione.
Gli alunni amano o detestano un insegnante, perché sono molto intuitivi.
Penso che il successo di un insegnante non dovrebbe fondarsi soltanto sul fatto che svolga bene il proprio lavoro o alla capacità di gestire le classi, ma soprattutto nel sapersi relazionare con i ragazzi in modio sereno, giusto, comprensivo e comprensibile.
Le persone che non posseggono tali qualità umane, sono convinte che il successo sia determinato dal fatto di essere temuti. Piuttosto vivono nell’illusione di essere considerati dei bravi insegnanti, mentre in realtà sono degli autentici falliti.
Lo stesso discorso vale per i dirigenti scolastici: se tali individui hanno un’indole buona e quindi sono gentili, sapranno conquistarsi la simpatia di tutti e saranno ben voluti, però dovrebbero anche essere capaci di non farsi plagiare o sottomettere da qualche furbo che nasconde secondi fini. Un dirigente (tutti dovremmo averlo) dovrebbe avere il dono del discernimento. Tali personaggi saranno attorniati da gente sincera, ma probabilmente anche da persone false che cercheranno di circuirle e di arruffianarsi, onde poterne trarne dei vantaggi.
Ecco la differenza: i buoni riusciranno a provare affetto e sincera benevolenza nei confronti del dirigente di turno, mentre i cattivi, prima o poi, lasceranno trapelare la loro falsità e saranno visti con una certa obbligatoria diffidenza.
Una cosa è certa: il dirigente dall’indole buona legherà soltanto con i docenti della sua stessa lunghezza d’onda.
I dirigenti dall’ indole cattiva, saranno soltanto temuti e rispettati per puro opportunismo. Tali presidi, in genere saranno degli odiati falliti. Costruiranno relazioni soltanto con i docenti caratterizzati dalla loro stessa negativa indole.
É IL CANE CHE IMPARA DALL’UOMO O È L’ UOMO CHE IMPARA DAL CANE?
Quante volte andando in giro, si nota la somiglianza impressionante tra il padrone e il loro cane. Se è pur vero che tante volte le persone si scelgono il cane che assomiglia a loro nelle fattezze, ovvero nella fisionomia, ma dopo succede ancora qualcosa di più forte, perché il cane, dopo un poco, ricopierà gli atteggiamenti, la natura e il carattere del proprio padrone.
Per questo motivo esistono cani aggressivi e cani docili, proprio perché l’animale cane, che non è né buono, né cattivo, fa di tutto per compiacere il suo padrone, imitandone il carattere, perché per lui il padrone è il capobranco.
Nella società umana, la stessa dinamica cane - padrone si riscontra spesso nelle sedi del potere, in tutti i contesti dove c’è un capo e un diretto sottoposto, un dirigente e il suo vice. I contesti cambiano ma la dinamica è uguale: tutte le volte che c’è un capo magnanimo e comprensivo, ci sarà un vice che ne ricalcherà le orme. Così come per ogni occasione in cui un capo si presenta dispotico e tiranno, ci sarà sempre un vicario abile a riprodurne la cattiveria.
Qualcuno potrebbe dire che questo è solo il gioco del potere ed è quindi inevitabile che succeda, ma giudicando il fenomeno in modo disincantato, dovremmo dire soltanto che l’essere umano, in molti casi, agisce solo per opportunismo e convenienza, anche se a nessuno farebbe piacere sentirsi dire che agisce come un cane e magari s’ indignerebbe, ma nei fatti e in tantissime occasioni, è proprio il cane il vero maestro di vita!
QUADRETTO DI GESU'
Poiché stavo dando una diversa collocazione ai quadri nella casa di villeggiatura, un giorno pensai di togliere da una parete un quadretto che raffigurava Gesù Misericordioso, per appenderne un altro al suo posto. Si trattava di una stampa su compensato.
Ebbene quel quadro non si staccava e sembrava murato. Cercai di toglierlo dalla parete con tutta la mia forza e ci provò anche mio marito, ma niente da fare. Anche lui ne restò stupito, non esisteva una spiegazione per ciò che stava succedendo.
A quel punto pensai che forse non dovevamo insistere oltre, perché evidentemente il suo posto era quello.
Raccontai poi lo strano episodio a mio figlio che rimase incredulo e perplesso e io stessa lo invitai a provare. Francesco verificò che in effetti il quadro non si staccava, ma continuò ad insistere impiegando tutta la sua forza e finalmente riuscì a staccarlo, ma la cosa ancora più strana fu che non c'era alcun segno di alterazione o di colla. Il materiale di legno lucido era intatto, così come era intatto l'intonaco della parete.
Evidentemente non esistono spiegazioni logiche in merito a un tale inspiegabile episodio. Io riesco solo ad interpretarlo come un piccolo segno di Dio, perché anche con tutta la buona volontà, non riuscirei a dare delle razionali spiegazioni.
Gesù, a mio avviso, si era voluto manifestare in quel modo.
Dopo un po’ di tempo, mio marito mi confidò che prima di lasciare la casa di villeggiatura, provò a sollevare di nuovo il quadretto dalla parete e con stupore, notò che questo era come attratto da una calamita. Sì, si staccò dalla parete, ma dovette leggermente forzarlo. Era solo per verificare se questo si fosse di nuovo attaccato in modo inspiegabile.
IL TALENTO E LA SCUOLA
Le stelle non si possono oscurare perché brillano di luce propria.
Nella mia vita ho conosciuto tantissime persone meritevoli che normalmente si possono incontrare in strada, negli uffici pubblici e/o nell’ambiente di lavoro. Ormai sono piuttosto esperta, dopo aver conosciuto miriadi di persone, riesco a farne la dovuta distinzione.
Le persone per bene si riconoscono in fretta anche attraverso lo sguardo, il sorriso, l’ espressione mimica e soprattutto si riconoscono dal modo di esprimersi. Gente valida, emana in genere una particolare energia.
Esistono “purtroppo” anche individui odiosi e talmente stupidi, da non valere la pena ascoltare e prendere in considerazione.
Ricordo l'episodio in cui, in una scuola dove lavorai come supplente annuale, una mia carissima collega pianista mi comunicò con entusiasmo che si sarebbe esibita al pianoforte durante il giorno dell’open day, programmato a breve. La dirigente, con tanto entusiasmo aveva organizzato il concerto, non solo per gli alunni, ma anche per le famiglie, scegliendo proprio quell'occasione perché ci fosse maggiore affluenza.
Arrivato il momento, però stranamente l’Aula Magna risultò piuttosto vuota: c’erano pochissimi colleghi e alunni che tra l'altro non prestavano nemmeno attenzione. Io ero in prima fila, perché l’idea di ascoltare una pianista dal vivo, oltretutto mia collega di lavoro, mi entusiasmava.
Quando la giovane docente iniziò a suonare, notai subito il livello di perfezione con cui si esprimeva. Rimasi sbalordita e mi emozionai tanto nell'osservare le sue dita scorrere con delicatezza, agilità e padronanza sulla tastiera, sino a creare delle straordinarie melodie.
Maria suonava con infinita espressività, tanto che la sua musica penetrava nella mia anima.
Ero gioiosa e nello stesso tempo mi vennero spontanee delle deludenti riflessioni: Lei, con la sua esibizione, in quel momento dava onore alla scuola, pensavo quanto il suo spiccato talento artistico fosse sprecato in quel contesto, visto che in appagamento non c’era partecipazione. Dulcis in fundo, una collega, rivolgendosi ad un’altra disse: “Ma questa si vuole mettere sempre al centro?”
Non a caso questa “collega” non si era nemmeno degnata di mettere piede in Aula Magna per dare almeno quel minimo di importanza alla pianista che... effettivamente meritava.
Da quel momento, la perfida persona si espose per quello che era, facendo trapelare la sua pochezza, soprattutto quando riuscì persino a coltivare nei confronti della pianista sentimenti di odio e la spiegazione la davano: l’invidia e la temuta competizione, ma la collega musicista aveva altro a cui pensare. Il problema non esisteva, era solo l 'accusatrice a sentirsi minacciata.
La malmostosa insegnante di musica, non a caso, alcuni giorni prima dell’open day si era recata in presidenza per apostrofare la dirigente, perché a suo avviso non avrebbe dovuto concedere ad una giovane insegnante, arrivata da poco e nemmeno di ruolo, di esibirsi in Aula Magna, davanti agli alunni, ai genitori e ai colleghi. Sempre secondo il suo contorto pensiero, il concerto sarebbe stato fuori luogo, ne avrebbe tratto vantaggio e prestigio l'esibizionista, oscurando la sua esimia persona e il suo talento di gran lunga superiore. Ovviamente, la dirigente capì la situazione e cacciò malamente la perfida insegnante.
La strana donna malediceva e diffamava le persone che spiccavano per i loro talenti, soprattutto nel campo della musica, quando a dirla in vero, lei non era nemmeno musicista, mentre Maria “concertista per giunta” lo era sul serio.
Paola, insegnante acida e presuntuosa, viveva solo per onorare ed elevare la propria reputazione, avendo una considerazione di sé stessa infinitamente alta. In realtà, non aveva altro a cui pensare e sacrificava quindi le relazioni umane. Si sentiva padrona della scuola.
Purtroppo le persone invidiose sono tante e sono soprattutto donne.
Nell'occasione, qualcuno aveva creduto che attraverso quell’iniziativa culturale fosse la scuola a offrire un’opportunità a Maria musicista, mentre in realtà era lei a prestarsi e dare un’opportunità alla scuola stessa.
Con il vile gesto, qualcuno credette di affossare la musicista di mestiere, mentre tutto era relativo... aveva infatti, la pianista, un lungo curriculum alle spalle, con una miriade di concerti anche di successo, per cui l'esibizione scolastica sarebbe stata solo ed esclusivamente a beneficio della collettività scolastica.
La scuola è una micro-realtà dove purtroppo sopravvivono invidie e mediocri ambizioni, per cui sinceramente tutto ciò che si è profilato attorno a questa sua piccola iniziativa è stata come la cartina al tornasole che mi ha fatto capire meglio come funzioni questo piccolo mondo chiuso, che reagisce per difendere psuedo-privilegi i primati di nessun valore e ciò mi sembra talmente buffo, perché la cosa che al di sopra di tutto noi insegnanti dovremmo far prevalere, sarebbe quella di tutelare l’interesse degli alunni, della loro preparazione e di tutto ciò che può contribuire alla crescita e alla loro formazione.
La scuola, come la società democratica e liberale, deve dare ad ogni individuo l’opportunità di potersi esprimere in funzione delle sue capacità e talenti, che si possono rivelare utili alla crescita culturale dell’intera comunità. Anche noi insegnanti abbiamo il compito di stimolare e far crescere le abilità dei nostri alunni. Se mettiamo il caso in una classe uno studente superasse di diverse misure l’abilità dei suoi compagni in una specifica attitudine, l’insegnante non ha nessun titolo per abbassargli i meriti, col pretesto che la bravura strabiliante del suddetto alunno possa far sentire “a disagio” la media della scolaresca.
MAL D’INVIDIA
In veste di docente, di situazioni analoghe mi sento un esempio. Devo ammettere con tutta sincerità che sono una persona amata, non solo nella vita privata sociale, ma anche nell’ambiente di lavoro, soprattutto mi sento benvoluta dagli alunni e ciò mi fa gradito piacere, sono però anch'io invidiata e per questo motivo ho spesso dovuto penare. Tempo trascorrendo, mi sono abituata ed ho imparato a non dare importanza alla pochezza di certi malevoli soggetti.
Non a caso, in scuole dove ho lavorato, ho conosciuto delle colleghe accomunate dallo stesso malefico sentimento: l’invidia...che rende la loro vita infelice, procurandole una sorta di sofferenza inutile quanto dannosa. A mio avviso, dipende il tutto da uno squilibrio psichico, spesso accompagnata da una sorta di innata e incontrollabile perfidia.
Non posso dimenticare un’esperienza vissuta in una delle prime scuole in cui lavorai. Fui invitata dall’Assessore alla Cultura ad allestire una mostra personale di pittura, in coincidenza con la presentazione del mio nuovo libro, “essendo conosciuta anche come scrittrice” presso la Sala Consiliare del Comune dell’ interland milanese. L’ Assessore aveva ottenuto il patrocinio del Municipio e nella scuola dove insegnavo il dirigente ebbe la felice idea di diffondere i volantini con gli inviti a studenti e famiglie. La mostra ebbe successo. Fu visitata da tantissimi miei alunni, dai genitori, da diversi miei colleghi, tranne evidentemente da quelli altezzosi e superbi che ignorarono la manifestazione a scopo culturale.
Se già ero benvoluta e stimata dai ragazzi, da quel momento, in quella scuola diventai quasi un mito, ma io non ci facevo nemmeno caso, dato che sono una persona abbastanza semplice e non mi attribuisco dei meriti, visto che madre natura mi ha fatto così. Risultato: una mia collega, essendo amica di vecchia data del preside e quindi, esercitando potere su di lui, da quel giorno mi creò dei seri problemi, inventando calunnie sul mio conto e cercando di mettermi in cattiva luce dinanzi alle altre colleghe. Mi mise pure il preside contro, “ovviamente senza carattere” facendo terra bruciata. Mi sembrò di vivere un incubo. Quanta perfidia c'è talvolta nell’essere umano!
Logicamente le persone sensate che mi stimavano, non si fecero condizionare dalla sua diabolicità, mentre soltanto i docenti “per lo più donne” prive di senso critico e cattive per natura, si lasciarono abbindolare dalle infondate calunnie.
Una delle menzogne fu quella “per citarne una” che io avrei venduto i libri di mia stesura a scuola, mentre in realtà i libri erano stati venduti solo in occasione della mia mostra personale e della presentazione di uno dei miei libri, per cui il luogo dove avvenne la vendita fu esclusivamente la Sala Consiliare del Comune in questione. Sarei stata fuori di testa se avessi venduto i libri nel mio ambiente di lavoro! Conosco benissimo le regole della scuola. Semmai “a parte l’evento culturale” in seguito donai alcuni libri alle biblioteche delle scuole, quindi si trattava di un gentil contributo da parte mia. Gli alunni interessati alla lettura, che avevano letto alcuni miei libri, si complimentarono con me e ciò fece scatenare maggiormente l’ira e l’odio da parte di qualche docente di lettere, perché non sopportava che io potessi emergere anche in tal senso. Ma che colpa ne avevo?
Devo dire inoltre che in passato ebbi anche la possibilità di fare adottare il mio primo libro di narrativa presso una scuola media di Agrigento e ne fui onorata. Avevo solo 24 anni.
Evidentemente tali malefiche persone, abituate a godere della sofferenza e soffrire della felicità altrui, avevano bisogno di screditarmi per poter raggiungere il loro scopo. Dovevano distruggermi perché il mio successo le faceva maledettamente soffrire. Mi veniva in mente la storia di Biancaneve e la strega cattiva. Quanta verità esiste nelle fiabe!
Le persone cattive non sanno di esserlo, anzi, spesso si credono vittime dell'ipotetica cattiveria degli altri.
Sembra incredibile, ma altre volte, in altre scuole e in altre occasioni, qualche collega “sempre di sesso femminile” mi creò gli stessi problemi e con lo stesso movente. Insegnando Arte, è inevitabile che i ragazzi scoprano il mio talento! E se poi mi chiedono pure le fotocopie dei miei disegni, come posso negarle? Che colpa ne ho se sono benvoluta e apprezzata? Che colpa ne ho se sono attiva e piena di iniziative? Il problema quindi non è mio, ma solo della gente meschina e frustrata.
Essendo però ormai vaccinata, riesco facilmente a disarmarle con la mia arma più potente: ovvero con l'impassibilità e gentilezza, anche perché vorrei insegnare loro l’educazione che a loro, ipotetici educatori manca.
La categoria di colleghe acide, che soffre di mal di invidia e voglia di competizione, non si rende conto che, trattando gli alunni in modo arcigno e suscitando terrore, sicuramente perdono la stima.
Altri problemi li ebbi per una questione sempre di gelosia, in quanto, avendo lavorato anche come insegnante di sostegno, alcuni alunni che seguivo si erano particolarmente affezionati a me e quindi, senza volerlo, suscitai altre discrepanze da parte di alcune colleghe meschine, capaci di mettermi contro una mamma, a sua volta, plagiata dalla diabolica sobillatrice insegnante che mi odiava solo perché mi ero ripromessa di non farmi trattare come uno zerbino, anche considerato che era abituata a calpestare le colleghe che non le andavano a genio. Questa credeva di avere l’autorità di offendere e calpestare, solo perché era la collaboratrice della dirigente e pertanto mi creò problemi non da poco. L’alunno problematico a cui prestavo sostegno, aveva confidato a sua madre che avrebbe preferito me al posto suo: “Vorrei per mamma, la mia prof. di sostegno”. Da quello fecero allarmare la signora come se io avessi voluto conquistare la simpatia di suo figlio per conflittualità, mettendole la madre contro. Quanta perversione mentale!
Per questo motivo sono invidiata, anche per le mie doti umane, che per me sono comportamenti spontanei. Se sono docile soprattutto con i ragazzi più fragili, credo che ciò sia doveroso da parte mia, anche perché sono per indole di natura mite.
Deduzione logica e finale:
Finché si avrà la fortuna di trovare nell’ambiente di lavoro la persona per bene che sappia dirigere l'ambiente scolastico, che riesca a pesare le persone per quello che sono, riuscendo a discriminare il bene dal male e che prenda le giuste salomoniche decisioni, allora si potrà ragionare, ma se capitasse un preside cattivo e debole tanto da farsi corrompere o plagiare, non ci sarebbe Santo a tenere! Il preso di mira sarebbe spacciato/a. Combattendo una guerra contro i mulini a vento non ci sarebbe possibilità di salvezza. In tal caso, la designata vittima potrebbe essere anche “Dio in persona” che tanto non avrebbe scampo..... l’esperienza questo mi ha insegnato. Rimarrebbe a questo punto una sola soluzione: abbandonare il campo e cercare altro luogo ove lavorare.
L'INEVITABILE SOFFERENZA
A volte mi chiedo se sia solo una bella favola, il credere che l'uomo sia fatto a somiglianza di Dio. L' essere umano si rivela tante volte cattivo e spietato, supera di gran lunga la "brutalità" delle bestie e gli animali sono decisamente più buoni.
Penso anche, per fortuna, che esistano le persone buone, ma purtroppo sono la minoranza.
Devo confessare che la sofferenza nella mia vita è inevitabile, in quanto percepisco il dolore degli altri, percepisco la mancanza di amore che domina nel nostro pianeta. Percepisco la grande paura del distacco dalle persone care, della malattia e che tutto possa svanire da un momento all'atro in un attimo. Percepisco l'effimero di questa dimensione terrena, che è poi un viaggio da affrontare, ognuno con le sue lotte e le sue pene.
Amore e sofferenza sono due facce della stessa medaglia.
Si può soffrire per odio o per amore. Certo, se si soffre per amore è diverso, perché questo è un nobile sentimento, a differenza della sofferenza che procura l'odio... basso sentimento autodistruttivo.
Purtroppo non ho più quella gioia nel cuore o quella voglia di vivere rispetto a quando ero giovane. É come se fosse una dose d'incoscienza, a rendermi felice ma non soddisfatta.
Molto probabilmente perché con l'avanzare degli anni e della maturità, ho acquisito un'altra percezione della realtà, quella consapevolezza e soprattutto il peso della responsabilità dei figli e di mia madre anziana.
Tante possono essere le motivazioni per cui ho perso la vitalità di prima, osservando la realtà con occhi diversi.
Il fatto di aver superato il mezzo secolo di età, sicuramente mi fa capire che ormai inizia il declino e questo mi dà la consapevolezza che prima o poi dovrò lasciare questa vita. Il fatto è che la salute fisica non è più quella di prima e che persistono degli acciacchi che non mi permettono più di vivere la vita con la stessa intensità di prima.
Consapevole però di possedere ancora una grande forza di volontà, proseguo la battaglia, consapevole di dover fare i conti con i miei limiti e con la mia fragilità umana.
Soprattutto sono consapevole che bisogna sempre lottare con le innumerevoli ingiustizie giornaliere. Credo che tutto sommato, se è vero che col tempo tutto ha finito per peggiorare, causa anche della crisi economica e dei valori perduti, è anche vero che sin da quando esiste l'uomo sulla faccia della terra, poco è cambiato, perché l'indole umana è sempre la stessa e la cattiveria esiste in tutte le forme di vita del Creato.
Questo è il vero dramma della nostra esistenza. Questo è il motivo della mia nascosta tristezza. Soltanto la Fede in Dio mi aiuta e mi consola.
IL SOLE PULSA
Il 4 Ottobre 2019, alle ore 7,45 avevo posteggiato la macchina davanti alla scuola dove lavoro. Ad un certo punto vengo folgorata dalla luce del sole che era alle mie spalle. Mi voltai e vidi il sole che pulsava a vista d’occhio. Rimasi stupita e nello stesso tempo, ero piena di gioia, perché intuivo che si trattava di qualcosa di anomalo. Questo strano fenomeno durò per circa trenta secondi.
CONCLUSIONE
Ho sempre vissuto secondo la filosofia dell’essere e non dell’avere, infatti per me ciò che più conta nella vita è formarsi come individuo per dirigersi verso la “perfezione”, nei parametri dei propri limiti e delle proprie potenzialità umane.
Non ho mai dato importanza al senso del possesso delle cose, delle persone e del denaro, pur considerando quanto esso sia indispensabile.
Sono sempre stata esigente con me stessa, per cercare di dare il meglio. Con la forza di volontà sono arrivata a raggiungere i miei traguardi.
Queste pagine sono già terminate, ma le pagine della mia vita non sono state scritte tutte. Molte le ho lasciate bianche e tante sono in attesa di essere riempite, in base agli anni che mi resteranno da vivere.
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio sentitamente Silvio Sgamma, il Dirigente Scolastico Domenico Pirrotta e Livia Nicotra per la loro recensione.
Un grazie particolare ad Anna Truda e a Marina La Rosa per il loro commento.
CURRICULUM DI OLGA SERINA
. Cantautrice dal 1983 al 1989.
. Ritratti dal vero ai turisti presso la Fiera del Mediterraneo di Palermo e nella località di Taormina (dal 1983 al 1997).
. Animatrice caricaturista e ritrattista presso Agenzie di Spettacolo di Milano per Convegni e feste private (dal 1990 al 1998).
. Lezioni private di disegno e pittura a Legnano (dal 2006 al 2014) per bambini e adulti.
. Mostre di pittura presso gallerie, Comuni, Chiese in diverse località e presso il Palazzo Ducale di Palma di Montechiaro (dal 1983 al 2019).
. Video: ARTE PURA di Olga Serina (650 opere artistiche) Durata 40 minuti.
. Dal 2007 Insegnante di Arte e Immagine presso Ministero della Pubblica Istruzione (provincia di Milano).
. Pubblicazioni libri dal 1989 al 2020:
1 - GRANDE TERRAZZA (Racconti di esperienze di viaggio).
2 - SULLE ALI DELL’ARTE (Considerazioni e riflessioni del rapporto tra arte e spiritualità).
3 - DIO NEL CUORE (Riflessioni sul tema spirituale).
4 - IL MIRACOLO CONTINUA (Riflessioni sui segni del soprannaturale).
5 - LA REALTA’ CHE SUPERA LA FANTASIA (Racconti umoristici, reali e fantastici).
6 - SOS SCUOLA (Ricognizione di testimonianze raccolte tra persone operanti nell’ambito scolastico).
7 - IL MATRIMONIO DEL CACTUS (Racconti umoristici).
8 - USI E ABUSI DEL POTERE (Storie di mobbing nella Scuola)
9 - QUANDO I NANI SI CREDONO GIGANTI (Racconti inventati e storie reali).
10 - PENSIERI PER VOLARE (Meditazioni di uno spirito libero).
11 - Il TRAMONTO DELLA RAGIONE.
12 - PAGINE DELLA MIA VITA - I MIEI RITRATTI
. Realizzazione di video (pubblicati su Youtube) riguardanti recite, poesie, racconti e riflessioni, che trasmettono messaggi educativi, illustrati dalla stessa autrice, tra cui:
“Dall’ignoranza nasce il business”.
“La sovversione del senso dell’arte”.
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