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IL MATRIMONIO DEL CACTUS
Racconti
Olga Serina

IL MATRIMONIO DEL CACTUS

Della stessa autrice:

Grande terrazza.

Sulle ali dell’arte - Itinerario creativo tra arte e spiritualità.

Dio nel cuore - Intuizioni e manifestazioni divine.

Il miracolo continua - Anime straordinarie, eventi e guarigioni soprannaturali.

La realtà che supera la fantasia - Racconti, stranezze ed altro …

S.O.S. Scuola

OLGA SERINA

Alla mia famiglia e ai miei amici.

Illustrazione copertina a cura dell’autrice.

Finito di stampare Giugno 2016.

PRESENTAZIONE DELL’AUTRICE

Perché questo titolo? Lo scoprirete da soli.

Tra le mie pubblicazioni del genere ironico - umoristico, “Il matrimonio del cactus” rappresenta la seconda pubblicazione.

Il libro è costituito da brevi racconti e distinto in tre parti:

la prima riguarda le mie memorie, la seconda tratta diversi tipi umani particolari e storie bizzarre, alcune reali, altre inventate, tra realtà e immaginazione, la terza riguarda racconti fantastici.

Il contenuto ha due fili conduttori:

il principale è quasi sempre quello umoristico, mentre l’altro riporta temi matrimoniali, i racconti trattano situazioni per lo più ironiche e grottesche, ma non solo, a volte serie o addirittura drammatiche.

Per tale motivo il titolo dell’opera si potrebbe prestare a diverse interpretazioni.

PRIMA PARTE

MEMORIE

CAFONE

Mi è venuto un mente un ricordo remoto: avevo quattro - cinque anni quando tutte le volte che incontravo nel lungo corridoio, un conoscente che abitava nel condominio di Palermo, dove vivevamo, credendo di essere simpatico e molto affettuoso, mi fermava dicendo: “Che sei bella Olga!” Mi dava un pizzicotto sulla parte anteriore del collo, facendomi anche male!

Un bel giorno, incontrandomi con i miei genitori, mi disse: “Olga, come sono io?” Non rispondevo, perché non sapevo cosa dire, e poiché egli insisteva nell’avere un mio parere sulla sua persona, mi venne spontanea la seguente risposta:

“Cafone”. Egli ci rimase molto male! Ma la cosa più comica fu che la mia intenzione non era quella di offenderlo, anche perché a quell’età non conoscevo bene i termini del vocabolario e per me quel “cafone” non significava nulla.

A pensarci bene, forse quell’attributo sarà stato un errore provvidenziale, dato che da quel momento il signor …… non mi infastidì più con le sue mani pesanti.

PRATICAMENTE

Non potrò dimenticare il divertimento di un lontano giorno. È vero: i bambini si divertono con poco, soprattutto quando entra in ballo un po’ di “creatività” ed io ero davvero una bambina terribile!

Avevo nove anni o forse meno. Un pomeriggio i miei genitori aspettavano a casa una persona per discutere di una problematica lavorativa. Poiché questa presentava una caratteristica a me nota, cioè usava in modo ripetuto il termine “praticamente”, feci una scommessa con me stessa: conoscendo il difetto del personaggio, mi nascosi prima del suo arrivo nella stanza vicina, per ascoltare la conversazione, in modo da poter contare quante volte il signor … avesse pronunziato il termine “ praticamente”.

Il timbro della sua voce era molto grave, per cui ogni sua parola non poteva sfuggirmi.

Rimase a parlare per più di mezz’ora e contai ben 105 “praticamente” e quando l’ospite se ne andò, uscii dalla camera ridendo a crepapelle, senza potermi contenere. Quando mi ripresi dissi ai miei genitori: “Ha detto 105 volte “praticamente!” Vi rendete conto?! 105 volte praticamente!!!

Scoppiammo in una fragorosa risata.

IL MAESTRO PSICOPATICO

Avevo nove anni quando trascorsi un capitolo strano della mia vita, a causa della paura ed ansia procuratami da un maestro psicopatico.

Mia madre lavorava come direttrice didattica in una scuola abbastanza grande. Frequentavo la quinta elementare nella stessa scuola e ogni giorno, al suono della campanella, mi recavo nel suo ufficio didattico e attendevo un po’ ad aspettarla per rincasare insieme.

Ebbene, si era creata una situazione molto fastidiosa e spiacevole.

In quel periodo un maestro si mise a perseguitare mia madre e solo in seguito si capì il motivo: si era innamorato di lei.

Alto, aspetto cupo, bruno, sguardo strano, penetrante, che mi incuteva paura. Probabilmente avevo ingigantito le mie paure, ma non erano del tutto infondate!

Tutti i giorni si presentava in direzione, senza proferir parola, si sedeva e guardava la dirigente mentre era impegnata nel suo lavoro.

Mia madre gli diceva: “Cosa mi deve dire? Ha qualche problema con gli alunni?” Ma lui stava zitto e la osservava con ammirazione.

Ovviamente mia madre capì che in lui esisteva uno squilibrio mentale, perciò faceva finta di niente. Un giorno il maestro ossessivo si sbilanciò un po’ troppo. Pur sapendo che lei avesse famiglia, le disse: “Signora direttrice, devo dirle una cosa molto importante, mi vuole sposare?”

Mia madre sbalordita replicò: “Ma cosa sta dicendo?! Io sono felicemente sposata e ho due figlie! Non si permetta più di parlarmi in questo modo!”

Il maestro, come se nulla fosse: “Non importa, lasci suo marito e pensiamo al nostro futuro!”

- “Mi ascolti bene, lei mi deve lasciare in pace e non mi deve più cercare, se non solo per lavoro! Ha capito?”

Ma il signor … faceva orecchie da mercante. Non mollava! Quando vedeva l’ufficio didattico chiuso a chiave, si rivolgeva in segreteria chiedendo di voler parlare con la direttrice. Il segretario era messo al corrente, per cui non gli dava assolutamente la possibilità di vederla.

Evidentemente il maestro non si voleva rassegnare e come tanti malati di ossessioni, aveva deciso di pedinare mia madre tutte le volte che lei tornava a casa a piedi.

Ho vissuto un periodo colmo di ansia e di angoscia. Avevo paura che il maestro psicopatico potesse far del male a mia madre, o a qualcuno della mia famiglia.

Mio padre evidentemente era stato messo al corrente da un pezzo e iniziò anche lui a preoccuparsi. Ricordo, a tavola non si faceva altro che parlare del maestro folle.

La situazione diventava sempre più inverosimile e più critica: lui a volte restava sotto casa fino a quando non vedeva mia madre uscire o rincasare, solo per poterla vedere. A volte stava anche tutta la notte davanti al portone del palazzo.

Ero terrorizzata, ogni volta che sentivo il suo nome, tremavo.

Finalmente mia madre prese la decisone che le consigliarono in Provveditorato e si rivelò che l’uomo soffriva di una grave malattia mentale e non era in grado di continuare a lavorare.

Finalmente, il signor ... non si vide più in circolazione (probabilmente lo avranno ricoverato, chissà!) ed io e la mia famiglia ci sentimmo finalmente sollevati.

Mi sembrò di vivere quel periodo della mia infanzia come un incubo e ci volle un po’ di tempo prima di rimuoverlo.

IL GRANDE EQUIVOCO

A volte basta poco, una semplice combinazione o coincidenza per creare un grande equivoco. Ciò che sto per raccontare è pazzesco. Condivido il pensiero di Luigi Pirandello: la vita è davvero tragicomica.

Il fatto si svolge nella mia città.

Avevo forse diciotto anni quando volli far parte di un gruppo teatrale. Mia madre in alcuni giorni ci aveva dato l’opportunità di utilizzare il teatro della scuola elementare in cui lavorava come dirigente, per poter fare le prove dello spettacolo che avremmo tenuto nella stessa scuola a fine anno, per uno spettacolo teatrale.

Un pomeriggio si verificò qualcosa di inaspettato. Dopo aver fatto le prove con i miei colleghi di teatro, arrivò il fiduciario, il docente che aveva avuto l’incarico da mia madre di farci entrare nel teatro della scuola. Concitato mi disse:

“Olga, ci sono tantissimi genitori davanti alla scuola che stanno protestando e vogliono parlare con la dirigente!”

La cosa molto strana è che non era orario di servizio, infatti era un tardo pomeriggio.

Dissi: “Non capisco, cosa vuole dire? Quale protesta?”

- “Stanno protestando perché a scuola ci sono stati dei casi di pidocchi.”

- “E cosa c’entro io in questa storia?”

Il docente era riuscito a trasmettermi ansia perché aveva detto: “E adesso come facciamo ad uscire? Saranno tutti alle nostre calcagna!”

- “Per quale motivo?”

- “Ascolta, spiega loro tu che la direttrice non è a conoscenza del fatto e ha già provveduto a telefonare all’Ufficio di Igiene per la disinfestazione!”

In realtà mi sembrava fuori luogo, dare spiegazioni a quella folla, anche perché nessuno mi conosceva e se avessi fatto le veci di mia madre, avrei dato adito a fraintendimenti. Perché avrei dovuto dire che ero la figlia della dirigente?

Risposi: “No, io non dico nulla, non saprei cosa dire! Non mi sembra il caso! Per favore, non dica che sono sua figlia! Cerchiamo di ignorarli e andiamo via!”

L’ingenuità dell’insegnante peggiorò la situazione, infatti quando uscimmo dal portone della scuola, la prima cosa che lui disse, sentendo le proteste e le urla di tutti quei genitori, fu: “Ascoltate! Lei è la figlia della direttrice. Si trova qui perché….”

Subito venne interrotto da qualcuno, che causò ulteriori accanimenti:

- “Ecco, vergogna, ha mandato la figlia perché la dirigente non ha il coraggio di affrontarci! Perché non veniva lei? Dov’è la direttrice? Vogliamo parlare con la direttrice, altrimenti non ce ne andiamo da qui!”

Intanto mia madre, a casa, era molto tranquilla poiché all’oscuro di quella specie di “sommossa” e perché aveva fatto quanto previsto al fine di risolvere il problema che destava preoccupazione agli impulsivi genitori e che erano già partiti in quarta.

Qualcuno si avvicinava a me per chiedermi spiegazioni. Mi sentivo spaesata, confusa, quasi terrorizzata e non avrei nemmeno potuto chiarire il grosso equivoco, visto il contesto.

Ero vicino ai miei colleghi che mi seguivano e al docente, molto confuso, che cercava di allontanare da me la calca di quei genitori ignoranti, maleducati e invadenti. Ci facevamo spazio per incamminarci verso l’uscita del grande spiazzale della scuola. Gridava: “Fateci passare! Lei è la persona sbagliata, non c’entra nulla!”

Loro replicavano: “No, la figlia non se ne va da qui, finché non ci dice cosa intende fare la direttrice!”

Eravamo lì per puro caso, per fare le prove di recitazione e senza volerlo ci eravamo imbattuti in una protesta del tutto fuori luogo. La situazione imbarazzante che si era creata sembrava una vera e propria scena di un film. Io ero la persona sbagliata nel posto sbagliato.

A quel punto, il docente riuscì a dire due parole spiegando loro che la dirigente aveva già provveduto.

Finalmente, pian piano, riuscimmo ad uscire da quella folla di persone quasi furibonde. Neanche se fosse successo qualcosa di grave!

I giorni successivi a scuola tornò la calma, si vede che i pidocchi erano stati debellati con opportuni shampoo e polverine, come aveva consigliato l’ufficio sanitario, come se nulla fosse.

SCHERZARE CON I TURISTI

All’età di vent’anni partecipai al primo viaggio organizzato, in compagnia di una mia amica; destinazione: Palma di Maiorca.

Un giorno, durante un’escursione in pullman, decisi di fare uno scherzo ai turisti, con la complicità della mia amica: parlare tra noi due ad alta voce in dialetto palermitano, pronunciando frasi inerenti a delle osservazioni sui viaggiatori.

Ad esempio: “Guarda che pancione che ha quest’uomo!”, oppure: “Mamma mia, che brutta collana ha questa signora!” Ci divertivamo perché le persone sentivano la nostra parlata ma non capivano una sola parola e noi ridevamo divertite.

Dopo aver fatto tappa in un luogo da visitare, mi avvicinai ad un cinese con la macchina fotografica per chiederli gentilmente di farmi una foto con la mia amica. Lui acconsentì, ma dato che ero ancora in vena di scherzare, mi misi a parlare con lui in dialetto palermitano, molto accentuato, come se volessi comunicargli qualcosa di importante, ma in realtà mi prendevo gioco di lui, poiché pronunciavo frasi sconclusionate.

L’uomo mi guardava basito, come per dire: “Chissà questa cosa mi vuole dire e in quale lingua sta parlando!”

Infine mi disse in inglese: “Mi scusi, io non capisco!” Ed io continuavo a parlare imperterrita, come se nulla fosse, aumentando il tono della voce, come se il problema fosse una questione di udito. Quando mi allontanai dal turista, commentai il divertente episodio con la mia amica e ridemmo a crepapelle.

Un altro caso davvero comico, riguarda una persona (siciliana) molto burlona. Quando incontrava e incontrava degli stranieri, dopo aver fatto conoscenza con loro, si divertiva a prenderli in giro. Ecco le sue parole: “Mi raccomando, tornate in Sicilia! Vi aspetto, così vi faccio girare un po’. Vi ospiterò pure a casa mia!”

Loro contentissimi rispondevano: “Sì, va bene, grazie! Te lo promettiamo!”

Lui continuava pronunciando la solita frase in dialetto, velocemente, per non farsi completamente comprendere: “Ditemi quando arrivate, che io non mi farò trovare!”

MOLTI VEDONO CIÒ CHE PENSANO

A volte ci troviamo ad affrontare situazioni davvero imprevedibili e imbarazzanti. Credo sia fondamentale mantenere un certo autocontrollo, non perdendo la propria dignità e per molti non è facile.

Avevo 20 anni, ero agli inizi della mia attività artistica, e nel periodo delle vacanze estive, trascorrevo come al solito alcune settimane a Taormina. Un giorno si presentò un’anziana signora. Mi salutò gentilmente e disse:

“Vorrei il mio ritratto”. La invitai ad accomodarsi sullo sgabello per posare e iniziai ad abbozzare il suo volto.

Mi sentivo un po’ a disagio perché lei era piena di rughe, nonostante volesse sfoggiare un’eterna giovinezza attraverso l'appariscente look e i suoi scintillanti orecchini. Ero un po’ combattuta perché mi dicevo: “Se non disegno le sue rughe, rischio di non farla molto somigliante e se le disegno, rischio di deluderla!”

Nel frattempo alcuni ragazzi osservavano il mio lavoro mentre pian piano prendeva forma ed esclamavano: “ Ma come fa? Uguale! Uguale!” L’anziana modella di turno si compiaceva, sembrava un po’ emozionata, gioiosa. Giunta alla fine, arrivato il momento di mostrare il ritratto, pensai: “Sono molto soddisfatta per averla saputa ritrarre con molta somiglianza e adesso mi coprirà di complimenti.” Appena lo vide, invece, cambiò espressione, era imbarazzata e mi disse: “Ma questa non sono io!!! Lei mi ha disegnata brutta e vecchia! Io invece sono bella!”

I ragazzi si guardarono e scoppiarono a ridere. Le dissero: “Signora, ma che sta dicendo? È lei! Questa è lei!”

Con tutta calma mi rivolsi alla donna e replicai: “Signora, se non è soddisfatta del ritratto e ritiene che non sia valido, non lo prenda! Non è obbligata a comprarlo! Non mi dica però che non le somiglia, perché le assicuro che è identico al suo viso! Se il ritratto rimane a me, non è la fine del mondo! A me interessa che i clienti siano contenti!”

La signora andò in escandescenze e disse: “Non è vero! È veramente brutto!” Poi si rivolse ai ragazzi che tra lo stupore e le risate disse loro: “Maleducati! Chi vi ha interpellato?” Prese sotto braccio la donna che era a suo fianco, forse la sorella e disse concitata: “Andiamo! Andiamo!” Si incamminarono senza nemmeno salutare.

Il bello deve ancora arrivare: dopo un paio di minuti, la donna con cui si accompagnava fece dietro front e velocemente mi si avvicinò dicendomi quasi mortificata:

“Signorina, mi scusi, mi dia il ritratto, lo pago io! Sarebbe un peccato rifiutarlo! È molto bello, è così riuscito! Complimenti, complimenti davvero!”

In quel momento mi sentii risollevata e capii che in fondo la brutta figura l’aveva fatta la signora. Avrei dovuto continuare ad avere fiducia in me stessa, soprattutto nel ritratto che ho sempre coltivato con tanta passione.

Inoltre acquisii una nuova consapevolezza: nei ritratti successivi avrei dovuto attutire le rughe delle donne anziane, o addirittura eliminarle, perché loro preferiscono vedersi più giovani e più belle. Si tratta di una piccola astuzia che deve mettere in atto un ritrattista professionista.

Probabilmente il mio era stato un “errore” di ingenuità: l’esigenza di essere il più fedele possibile alla realtà; ma quella spiacevole esperienza, mi insegnò che non sempre è opportuno farlo.

L’INVITO A CENA DISDETTO

Ricordo uno strano episodio capitatomi tanti anni fa a Palermo.

Avevo 24 anni quando pubblicai il mio primo libro: “Grande terrazza”, adottato in seguito in alcune scuole medie di Agrigento. Ci fu la prima presentazione del libro in un importante centro culturale della mia città.

Uno dei presentatori fu un noto giornalista, scrittore e critico d’arte, che conobbi tramite una mia cara amica. Prima di acconsentire a dedicare al mio libro una sua recensione per poi presentarlo, naturalmente l’aveva letto ricevendo una impressione positiva.

Da premettere che alcuni giorni prima della presentazione, il giornalista mi aveva proposto un invito a cena, dopo l’incontro culturale tanto atteso. Mi era sembrato scortese rifiutare, considerando la sua disponibilità e gentilezza e considerandola una persona distinta e soprattutto seria, tanto più che aveva manifestato nei miei confronti una certa stima e amicizia.

Così gli dissi che avrei dato conferma la stessa sera, ma era molto probabile che accettassi l’invito. Del resto da parte mia non era affatto imbarazzante, poiché davo per scontato che insieme a me ci fosse il mio fidanzato, futuro sposo.

Arrivato l’atteso giorno, per me importantissimo, tutto si svolse come avevo sognato: ci fu una notevole affluenza di persone tra conoscenti e amici e l’evento culturale ebbe un risvolto abbastanza gratificante, soprattutto per i giudizi lusinghieri dei presentatori nei confronti del mio primo esordio letterario.

Il noto scrittore, critico d’arte e giornalista, spiccò più degli altri per il modo in cui elogiava il mio libro, per di più dichiarando ai presenti la sua intenzione di far tradurre, a breve distanza, il testo in lingua polacca e successivamente divulgare le copie all’estero.

A me poteva fare semplicemente piacere, mi sentivo lusingata ed emozionata, anche se non riuscivo a capire come una persona estranea potesse prendere un impegno non di poco conto! Chi avrebbe affrontato le spese per un simile progetto?

Perché tanta generosità nei miei confronti? In fondo questa persona mi aveva appena conosciuta!

Arriva adesso il bello: in quell’emozionante contesto era presente Saro, il mio fidanzato, che però fino a quel momento non era stato presentato, talmente ero presa dalla situazione. Del resto davo per scontato che io, senza di lui, non sarei andata da nessuna parte. Tra l’altro il nostro legame affettivo è ed è sempre stato molto forte sin dall’inizio della nostra unione.

Ci furono applausi, e congratulazioni, e quando la gran parte della gente si congedò dalla sala, dopo avermi chiesto un autografo, il noto giornalista, tutto gasato, si avvicinò a me, in un momento in cui Saro si era intrattenuto a parlare con qualcuno. Mi disse:

“Allora Olga, stasera si va a cena insieme? Così avremo modo di parlare del grande progetto che ho per te.”

Proprio in quell’istante si avvicinò il mio fidanzato, e che subito presentai al giornalista e poi interpellai:

“Saro, questa sera abbiamo l’onore di essere invitati a cena dal famoso scrittore …. Non possiamo rifiutare, vero?” (Lui ovviamente era già stato messo al corrente).

Saro non fece in tempo a rispondere, notai la faccia del giornalista: la sua espressione si trasformò: un misto di imbarazzo e stupore. Molto probabilmente non si aspettava che io fossi fidanzata, né tanto meno che potessi intervenire col mio partner a quella cena che doveva essere speciale per lui e per me, come si figurava.

Immaginava che fossi una ragazza come tante, di quelle che accettano compromessi per arrivare al successo, ma evidentemente aveva fatto i conti senza l’oste!

Con voce forzata disse: “Scusami Olga, mi sono appena ricordato che stasera non posso uscire più con voi e mi dispiace tantissimo! Ho un impegno molto importante, che era stato programmato già da un pezzo, ma non vi preoccupate, si rimanda ad una di queste sere. Non vi offendete! Olga, ti chiamerò domani per concordare".

Prima di salutarlo gli dissi: “Va benissimo, non c’ è alcun problema! La informo che io e Saro tra qualche mese ci sposeremo e noi due usciamo sempre insieme”.

Si trattava di una puntualizzazione per fargli capire che non mi ero mangiata la foglia. Egli fece orecchie da mercante.

Ovviamente questa persona, che aveva promesso mari e monti, non mi telefonò, come del resto immaginavo.

Se da un canto sono stata ingenua da non capire in anticipo la sua squallida intenzione, costui si era rivelato soprattutto poco intelligente, sia da farsi scoprire palesemente, nel momento in cui si era tirato indietro, disdicendo l’invito, perché evidentemente aveva sperato che io fossi da sola.

Non potrei tralasciare inoltre un particolare: il bizzarro personaggio (considerato degno di stima e di spicco culturale) era un vecchietto, curvo, basso, sembrava appena uscito dall’ospizio data la sua veneranda età: aveva superato gli 85 anni e sarebbe potuto essere mio nonno.

STRANA PASSEGGIATA

Durante le festività di Pasqua a Rimini, insieme a mio marito e i miei figli decisi di fare una passeggiata in riva al mare.

Non riuscivo a star dietro i loro passi e come se non bastasse, decisero di fare una gara di corsa. Così, mentre un attimo prima li vedevo sempre più piccoli per via della lontananza, adesso li avevo proprio persi di vista.

Il punto di riferimento sarebbe stata la ruota panoramica, e mio marito dava per scontato che avessi recepito il messaggio.

A quel punto continuavo a camminare da sola, immersa nei miei pensieri e di tanto in tanto mi fermavo per contemplare il mare mosso, immortalando con qualche gabbiano che si adagiava sulla cresta delle onde.

Ad un certo punto, però la mia pace fu disturbata dalla presenza di un turista: mi vedo affiancata da un uomo alto, piuttosto atletico, non male, occhiali da sole e di qualche anno più giovane di me. Mi rivolse qualche parola e sinceramente pensavo che volesse chiedermi delle informazioni, o magari che mi conoscesse. Subito dopo però capii che il suo era un modo per attaccare bottone, quindi accelerai il passo.

Mi disse: “Signora, lei è in vacanza da sola?”

Avrei avuto l’istinto di rispondere: “Ma a lei cosa gliene frega?”

Decisi però di proferire altre parole: “Certo che no!” Sono con mio marito e i miei figli che si trovano più avanti e mi stanno aspettando”.

In questo modo credevo che lui si rassegnasse a lasciarmi in pace, ma non fu così, certo pensava che la mia fosse solo una scusa.

Replicò: “No dai, non mi dire che sei in compagnia! Perché se tu avessi veramente un marito, lui adesso non ti lascerebbe certamente da sola!”

Nel frattempo pensavo: “Sono stata seminata da loro per una gara di corsa e per giunta adesso mi trovo alle calcagna uno strano turista che si è messo idee balzane in testa!”

Pensavo inoltre: “Che piacere, se Saro e i ragazzi si fermassero ad aspettarmi! Vorrei vedere che faccia farebbe questo qui! Ma perché loro sono andati così oltre?”

Dopo un po’ quest’uomo impertinente continuava a seguirmi.

Ripresi in modo più deciso:

“Per favore, te ne vuoi andare?”

Facendo finta di non sentire, lui continuava a camminare vicino a me: se rallentavo il passo, lo faceva anche lui e se acceleravo l’andatura, faceva la stessa cosa.

Continuò: “Ho capito che ti trovi in vacanza da sola e siccome anch’io mi trovo qui da solo, ci possiamo fare compagnia a vicenda! Ti va di andare al bar per prenderci un gelato? Anzi, stasera potrei offrirti anche una pizza! Mi sembri una persona molto interessante, anche se non sei molto gentile con me!”

Le sue parole mi lasciavano indifferenti, anzi mi indisponevano del tutto e non vedevo l’ora di arrivare a destinazione per incontrare mio marito e i miei figli, ma la strada era ancora lunga!

Mi fermai, presi il cellulare e feci il numero di Saro e guarda caso, il suo telefono era spento, tentai di contattare mio figlio Francesco, ma non rispondeva: possibilmente aveva lasciato il cellulare in camera d’albergo.

Ero abbastanza infastidita, ma non impaurita, perché tutto sommato l’uomo era solo invadente e cocciuto, non sembrava potesse essere capace di fare del male a qualcuno.

Adesso lui non parlava più e continuava a camminare a mio fianco.

Ad un certo punto i miei occhi si posarono su un ragazzo, un po’ distante da me, si trovava alla mia sinistra, era disteso sulla sabbia tutto vestito e senza alcuna stuoia. Sembrava molto rilassato.

Passai avanti e pensai: “Povero ragazzo, cosa fa lì, da solo, incappucciato? E poi non gli dà fastidio la sabbia addosso? Poi mi dissi: “E se fosse Sebastian che anche lui non ce l’ha fatta a seguire Saro e Francesco, per via del loro passo veloce?”

Mi girai e meno male! Quel ragazzo era proprio lui: mio figlio. In quel momento infatti si mise seduto a gambe incrociate e, sorridente, mi fece cenno. Si alzò e mi venne incontro.

Gli dissi: “Sebastian, cosa fai lì da solo? Dove sono papà e Francesco?”

“Sono andati avanti, non so adesso dove siano arrivati!”

Mi rallegrai e provai un senso di sollievo. Mi dimenticai subito, nello stesso tempo, dell’importuno turista che fino a quell’istante mi aveva seguita, per quel quarto d’ora che sembrava interminabile.

Mi girai intorno e finalmente l’uomo si dileguò. Notai che anziché proseguire, fece dietro front: prese la direzione opposta, molto probabilmente per evitare di peggiorare la situazione, rischiando di incontrare mio marito e facendo senza dubbio una pessima figura.

Infine io e Sebastian incontrammo gli altri due componenti della famiglia e dopo qualche mio disappunto, poiché si era creato un disguido, raccontai loro lo strano episodio che si era verificato e scoppiammo tutti a ridere. Seguirono battute di vario genere.

La sera, durante la cena in Hotel, pensai di fare uno scherzo a mio marito e ai miei figli: dissi che in fondo, tra i tavoli dei commensali, avevo individuato proprio il giovane che mi aveva importunata in spiaggia.

Notai le loro espressioni facciali. Francesco era stupito, curioso, imbarazzato e infastidito nello stesso tempo; fremendo mi disse: “Dai, mamma, dimmi, chi è? Lo voglio vedere! Descrivilo! Chi è questo scemo?!”

Dopo un po’ però dissi che era uno scherzo: era solo un modo per metterli a disagio e far pesare che non avrebbero dovuto lasciarmi così tanto indietro! D’altro canto, non era possibile, altrimenti lo strano turista non mi avrebbe proposto di invitarmi in pizzeria.

STRANE COINCIDENZE

A volte si verificano quelle strane e gradevoli coincidenze che ci fanno sorridere e abbiamo voglia di raccontarle.

L’altra sera ho ricevuto una telefonata da una persona cara: si tratta di un anziano sacerdote, amico di famiglia che non sentivo da un po’ di tempo. Mi disse: “Olga, mi devi scusare se non vi ho potuto salutare alla fine della Messa, il giorno di Pasqua! Ero molto stanco e stavo anche male. Avrei voluto avvicinarmi a te, a tuo marito e ai vostri figli, ma purtroppo non è stato possibile”.

Ascoltavo perplessa e risposi: “Ma sei sicuro che eravamo noi?”

Disse: “Penso di sì! Vi hanno visto anche altre persone che vi conoscono”.

Ripresi: “Non devi scusarti affatto! Non potevamo essere noi, perché eravamo altrove. In quei giorni siamo stati a Rimini! Che strano! Come è possibile?”

Rimase di stucco e non riuscì a darsi una spiegazione.

Riprese: “Comunque promettimi che qualche Domenica mi verrete a trovare e accetterete l’invito a pranzo.”

Risposi: “Molto volentieri!”

La Domenica di Pasqua, a causa del mal tempo eravamo rimasti bloccati in albergo, di conseguenza non abbiamo potuto partecipare alla S. Messa.

Ad un tratto mi balenò un desiderio: quello di trovarci per l’occasione pasquale in quella chiesetta di …., dove celebra padre …..

Stranamente, lo stesso giorno, il sacerdote e alcuni suoi amici sostenevano di averci visto proprio lì, durante la funzione religiosa.

Magari si sarà trattato di un’altra famiglia che avranno scambiato per la mia, o forse c'era stato il desiderio di incontrarsi con noi, dato che non ci si vedeva da tanto tempo.

Terrei a precisare che escludo ogni possibilità di avere il dono della bilocazione.

FIRMA DI UN GENITORE

Era arrivato il giorno della consegna delle comunicazioni trimestrali alle famiglie.

Gli alunni della scuola media, il giorno successivo le consegnarono all’insegnante facendo notare loro che in calce al foglio era stato commesso un errore di stampa, che però aveva cambiato il senso della frase: “Firma di un genitore o di chi ne fa le feci”. A quel punto, alunni e insegnanti scoppiarono a ridere.

Nell’ora di ricreazione, nell’ aula dei docenti, risuonò una risata che durò a lungo, perché si erano resi conto della situazione imbarazzante ma soprattutto comica. A causa di una distrazione, qualcuno della segreteria aveva commesso l’errore di scambiare una consonante per un’altra e così si era creata una situazione davvero divertente, soprattutto in un contesto didattico, in cui il corpo insegnanti sempre pronti a correggere, adesso veniva corretto dagli alunni.

Che figura nei confronti dei genitori che hanno dovuto firmare! O forse sono stati indotti a credere che si fosse trattato di uno scherzo di pessimo gusto?

UNO SCHERZO AI MIEI ALUNNI

Un giorno, durante l’ora di lezione, mentre spiegavo la Storia dell’arte, fui distratta da un alunno che non mostrava affatto attenzione, così pensai di richiamarlo all’ordine. Dopo però mi accorsi che avevo perso il filo del discorso, ma ebbi la brillante idea, tanto per rendere la lezione più vivace, di sfruttare l’occasione per mimare una piccola messa in scena: feci finta di aver perso qualcosa vicino a me, così mi alzai dal mio posto chinandomi e intenta fingevo di cercare qualcosa.

Gli alunni mi dissero: “Prof che cosa ha perso? Cosa è successo?”

Risposi: “Oh! Ho perso una cosa! Come faccio adesso? Non riesco a trovarla!”

Qualche alunno mi chiese: “ Che cosa?”

- “Il filo!”

Stupefatti dissero: “Quale filo, prof ?!”

Ripresi: “Il filo del discorso!”

A quel punto i ragazzi scoppiarono in una fragorosa risata e capirono che si trattava di uno scherzo!

Anch’io risi con loro, divertita.

Ma lo scherzo non terminò: mi avvicinai ad un alunno, assumendo un atteggiamento molto serio e gli dissi: “Per favore, me lo tieni per un attimo? Non vorrei perderlo di nuovo, altrimenti non posso più spiegarvi la lezione!”

Vedendomi troppo convinta, istintivamente lui prese l’immaginario filo. Seguirono delle risate.

Dopo qualche attimo gli dissi: “Ok grazie, adesso puoi restituirmi il filo trasparente”.

Continuai a spiegare, portando a termine la lezione.

IL PIGIAMA

Una mattina entrando in classe, un alunno, cercando di rendersi spiritoso, fece una battuta: “Prof ma stamattina è rimasta in pigiama?”

I pantaloni che indossavo erano particolari: con delle righe colorate in senso verticale.

Avendo il senso dell’ humor molto spiccato, ebbi la prontezza di rispondere, non solo per smontare il ragazzo, ma per rendere l’atmosfera più allegra. Ecco la mia reazione: guardai i pantaloni che indossavo e feci finta di trovarmi in pigiama assumendo un’espressione di meraviglia e di imbarazzo nello stesso tempo.

Dissi: “Oh, mamma mia!!! É vero! Come ho potuto?! Ho dimenticato di mettermi i pantaloni! Che figura!!! Ecco cosa fa fare la fretta!!! Ragazzi, scusatemi … oggi è stata una corsa pazzesca!!!

Non ci fate caso se sono rimasta in pigiama, del resto assomiglia ad un paio di pantaloni! Non ci fate caso! Però … cosa dovrei dire io quando vedo alcuni di voi con i jeans strappati? Meglio un pigiama elegante piuttosto che certi pantaloni ridicoli!”

Vedevo le facce dei miei alunni perplessi, non avevano capito se scherzassi o facessi sul serio.

Mi domandarono: “Prof, ma è vero che è un pigiama, o sta scherzando?”

Risposi: “Certo che è vero, però vi prego, acqua in bocca! Non mi fate fare una pessima figura! Mi promettete che non lo andrete a spifferare in giro? Soprattutto al Preside! Altrimenti mi prende per una “fuori di testa” e mi licenzia”!

Gli alunni: “Si, va bene prof, non si preoccupi! Non se ne deve andare da questa scuola assolutamente! Non lo diremo a nessuno!”

Un alunno: “Prof, in compenso però … ci dovrebbe aumentare il voto! Non crede?”

Replicai fingendo di essere indignata: “Ah, mi ricatti? Bravo!”

Alla fine dissi ai mie alunni: “Ma ragazzi, scusate, credete che io sia così stolida? Ve l’ ho data a bere però! Ci avete creduto! È vero?”

Tutti scoppiarono a ridere senza potersi contenere ed io insieme a loro.

Alla fine un’alunna mi disse: “Lo sa prof che lei oltre a farci lavorare ci fa anche divertire? Per me le ore di Arte sono le più belle”.

STRANA TELEFONATA

Una mattina mio figlio Francesco è stato svegliato da una telefonata. Si trattava di una signora dal tono gentile, ma la discussione che si intavolò lo lasciò perplesso e lo fece sorridere.

Ecco il dialogo:

F. - Pronto, chi parla?

- Sei Salvatore?

- No, non sono Salvatore.

- Ah, allora ho sbagliato numero!

- Non fa niente.

- Ma ti ho svegliato?!

- No, ero già sveglio.

- Ma perché hai questa voce? Sei raffreddato?

- No, la mia voce è sempre così.

- Vabbè, Rosetta sta bene.

- Ah, ok.

- Adesso ti saluto, ciao Salvatore.

- Ciao.

SECONDA PARTE

TIPI PARTICOLARI E STORIE BIZZARRE IL MATRIMONIO DEL CACTUS

Giorgio e Luisa decisero di sposarsi e organizzare il trattenimento nuziale in modo originale.

Avevano programmato una festa moderna, per i giovani, (anche se erano stati invitati diversi parenti anziani) informale, fuori dagli schemi convenzionali, a volte noiosi.

Giunto l’atteso giorno, dopo la cerimonia in Chiesa, gli invitati furono ricevuti in uno spiazzale di una villa barocca adibita a ristorante. Bello il luogo, situato in altura, circondato dal verde con maestosi alberi.

Però le persone non si sentivano a loro agio, perché il terreno non era liscio, (uniforme, o piastrellato), ma in terra battuta e le donne con i tacchi alti facevano fatica a camminare. Chi prendeva una storta (e qui piccoli urli) chi perdeva il tacco di una scarpa (risate) e gli eleganti abiti si coprivano di polvere.

Qualcuno mormorava: “Oh che peccato! Le mie scarpe! Il mio vestito!”

Il cibo doveva essere conquistato, infatti non veniva servito ai tavoli (che quasi barcollavano per l’instabilità). Niente posate. Si doveva fare a gara per poter riuscire a mangiare ciò che servivano in un grande bancone. Chi arrivava in ritardo rischiava di non trovare nulla.

Intanto si ascoltava la musica dal vivo: un gruppo musicale incombeva con un’assordante musica che inevitabilmente copriva le voci degli invitati, per cui per parlare si doveva urlare, anche perché il complesso era esageratamente vicino ai tavoli.

Ci furono degli inconvenienti non previsti: la cugina della sposa era rimasta intrappolata in bagno a causa della rottura della serratura. Bussava agitata e nessuno la sentiva per via della musica assordante. Tentava di telefonare al marito col cellulare, ma lui non sentiva il telefono. Urlava più forte che mai, anche perché molto ansiosa. Soltanto dopo mezz’ora, notando che ancora non era tornata al suo posto, il marito cominciò a preoccuparsi, così si alzò e la raggiunse in bagno; finalmente sentì le urla di sua moglie.

Dopo un po’ dovettero intervenire i pompieri che l’aiutarono ad uscire. Però gli invitati, accaldati, sudati e un po’ nervosi, avevano dovuto interrompere i loro balli, al suono della sirena dei nominati pompieri. (Ma non sarebbe bastato un falegname?)

Una bambina di due anni, si sentì male e la madre non fece in tempo ad accompagnarla in bagno, tra l'altro occupati, così vomitò per terra, proprio lì alla vista di tutti e nella confusione, per sbaglio, la sposa sporcò il suo lungo strascico.

Nel frattempo gli invitati, in mezzo a questa specie di caos, si precipitavano ai tavoli tuffandosi sull' assortimento dei dolci che stavano per finire.

Il fratello della bimba che stava male, Luca, di nove anni, aspettava con ansia il suo momento: doveva esibirsi con il suo clarinetto, avendo prima preso accordi con i musicisti, i quali gli avevano detto che ancora doveva aspettare; ma essendo ormai molto stanco, giunta la mezzanotte, si mise a correre col clarinetto, per sgranchirsi le gambe, oltrepassò la siepe ed essendoci buio, Luca andò a sbattere contro un cactus. Seguì un urlo e un pianto di dolore. Tanti accorsero a vedere cosa fosse successo e così sfumò pure la sua esibizione, del resto i presenti non avrebbero avuto probabilmente voglia di ascoltarlo, in tutto quel trambusto. Ma il cactus intanto faceva nuove vittime, perché in quell’angolo buio nessuno lo scorgeva e ci urtavano contro, per cui calze sfilate, spine nelle braccia, ecc.

Mentre la madre si occupava della bambina, sporca e lamentosa, il padre adesso doveva occuparsi del figlio: togliere tutte le spine conficcate sul suo corpo.

Verso la fine della serata, la sposa dovette correre spesso in bagno a causa di una sopravvenuta dissenteria, la sorella fu punta da una vespa e le sue urla fecero preoccupare gli invitati, come se non fossero già stressati abbastanza.

Prima che gli sposi e le persone si congedassero, scoppiò un violento temporale. Si bagnarono tutti, mentre la zia dello sposo, diceva ad un'amica: “Non vorrei pensare male, ma qualcuno ci ha buttato il picchio!”

Il giorno dopo, la coppia di sposini, già stanchi in partenza, persero il volo prenotato per Parigi, ma non si arresero e presero quello successivo, esausti per la lunga attesa in aeroporto.

Ma non è finita! Dopo due giorni dalla cerimonia, il 90 per cento delle persone presenti, avendo incubato il virus della salmonella a causa di un cibo avariato che era stato servito, si sentirono malissimo: ebbero vomito e diarrea, compresi i festeggiati, già in viaggio di nozze.

A parte il matrimonio così movimentato e pieno di imprevisti non desiderati, la vita di questa simpatica coppia fu in compenso colma di soddisfazioni. Giorgio e Luisa non si lasciarono mai e si amarono, a differenza di tante coppie che poi si separarono pur dopo una cerimonia perfetta senza una pecca.

Ah, dimenticavo! Luca è diventato un bravo musicista, si esibisce col suo clarinetto ai matrimoni. Odia i cactus e non mangia più fichi d’india.

Per concludere e anche per giustificare la scelta del titolo di questo racconto, i parenti e gli amici tramandarono questa cerimonia nuziale come: “Il matrimonio del cactus”.

TRATTENIMENTO DI NOZZE “A SORPRESA”

Ognuno di noi si ricorderà di certe cerimonie nuziali per via di alcune situazioni indimenticabili, esistono casi davvero incredibili e magari a raccontarli si farebbe fatica pure a credere che siano vere. Vi assicuro però che non sto scherzando. Un' altra cerimonia è rimasta nella “storia”. Ero stata invitata tanti anni fa ad un matrimonio, in una città della Sicilia. Tutto era alla perfezione: gli sposi bellissimi, invitati elegantissimi, chiesa meravigliosa, locale di lusso, un particolare non quadrava: seduti a tavola all'ora di pranzo, si aspettava per essere serviti e dopo circa un'ora di attesa, arrivò la torta. (I camerieri erano stati indaffarati a servire pasti ai tavoli di un altro reparto).

Pensai: “Che strano! Perché ci portano prima la torta? Non dovremmo mangiarla alla fine del pranzo?”

Non riuscivo a capire il motivo. Intanto gli invitati applaudivano: “Viva gli sposi! Viva gli sposi!”

Ebbene, di quella torta ce ne toccò una fettina molto scarsa. Pensai: “Magari è tutto calcolato per non farci saziare, dato che tra un po' arriverà il primo piatto”.

Ma quando mai! Hai voglia di aspettare!!! Non dimenticherò gli occhi di tutti noi, che a momenti uscivano di fuori per la fame e l’attesa, dato che erano già le ore 15.00.

Dopo un po' arrivò lo spumante e si brindò. Tutti, con allegria: “Viva gli sposi! Viva gli sposi!”

Non arrivò più niente: non esisteva il pranzo! Infatti il trattenimento si era limitato ad una misera fetta di torta e un bicchiere di spumante! Sembrava uno scherzo di pessimo gusto.

Vi assicuro che dopo aver aspettato vanamente con tanta pazienza, gli sposi si alzarono da tavola dicendo: “La cerimonia è finita, possiamo andare”. Non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie! Pensai: “Ci stanno prendendo in giro?”

I festeggiati però avevano ricevuto sul serio i regali degli invitati.

Oggi, a distanza di tempo, definirei anche questa cerimonia: “Un matrimonio del cactus.”

Credo che se le famiglie degli sposi, non avendo avuto molto probabilmente la possibilità economica per poter affrontare un'adeguata cerimonia, avrebbero dovuto concepirla in un altro modo, ad esempio invitare solo i familiari degli sposi e fare un pranzo decente, senza bisogno di invitare gli amici e tutta la parentela allargata, per lasciarli a digiuno. Oppure avrebbero potuto concepire un semplice bouffet, offrendo qualche dolcetto e salatino in più, magari in un altro orario.

Ma voltiamo pagina, non c'è fine al peggio: trovo drammatico quei casi in cui alcuni giorni prima del matrimonio, uno dei due sposi si tira indietro: non vuole più sposarsi! Quindi tutto crolla come un castello di sabbia e grosse somme di denaro investite, vanno in fumo, per non parlare della delusione morale!

Ma questo incosciente non poteva pensarci prima?

Tutto sommato, è pur vero che prima di scegliere la persona da sposare, bisognerebbe essere più che sicuri, ma d'altro canto, tanti futuri sposi, o spose, recitano molto bene la parte durante il periodo del fidanzamento (nascondendo il loro vero carattere) e solo dopo le nozze, con la convivenza, escono fuori i difetti! Tutti li abbiamo, ma alcuni difetti sono davvero intolleranti. Allora nascono le guerre! È anche vero che il matrimonio è una scommessa.

Esiste inoltre un altro fattore da considerare, che spesso viene sottovalutato: la persona che decide di fare questo importante passo, che cambia la vita, oltre che scegliere il partner adatto, si è mai chiesta se lei (o lui) ha i requisiti per potersi sposare?

Nel primo caso, oltre all'episodio del cactus, questo potrebbe simboleggiare la pianta dal frutto in apparenza pungente, sgradevole, ma internamente molto dolce e gustoso. Nello stesso tempo, potrebbe far pensare ad una persona col carattere pieno di spine, quindi inavvicinabile.

Per questo motivo sarebbe più opportuno che tanti matrimoni (tranne questo, s'intende) non fossero mai avvenuti.

A proposito di matrimoni, ho dei ricordi piacevoli che risalgono all’età della giovinezza.

In occasione del mio diciottesimo compleanno, a Palermo organizzai una festa tra amici; invitai cinquanta persone a casa mia e il caso volle che due mie amiche, di nome Margherita (entrambe) conobbero due ragazzi tra gli invitati, si fidanzarono e dopo un po’ di tempo si sposarono. Lo stesso anno organizzai un’altra festa nella villa di villeggiatura dei miei e invitai gli amici delle vacanze estive. Quella sera una mia amica fece amicizia con un ragazzo. Si fidanzarono e dopo alcuni anni si sposarono. Ebbene, le mie tre amiche, ancora oggi sono felicemente sposate, con figli. Combinazioni venutosi a creare che certamente non possono fare altro che tantissimo piacere.

UN CLIENTE SUI GENERIS

Diversi anni fa, quando la crisi era ancora lontana, un uomo telefona a Paola.

All’inizio non capì il motivo di quella telefonata, ma poi collegò e fu tutto chiaro.

In poche parole cercava lei e suo marito, nel ruolo di pittori a lui già noti.

I motivi erano due: avere l’onore di conoscerli personalmente, avere la possibilità di acquistare i loro dipinti senza alcun intermediario. Lui infatti aveva acquistato dei loro quadri tramite una galleria dell’ interland milanese.

Chiese loro se risiedessero a Bergamo e Paola rispose che viveva in provincia di Milano. Lui si stupì, perché così era stato informato: il gallerista gli aveva dato informazioni sbagliate, ma solo dopo si capì il motivo: voleva evitare di metterlo in contatto diretto coi due pittori per continuare ad avere la sua parcella. Sarà una coincidenza, ma il desiderio di conoscerli era talmente forte che casualmente un fatto lo avvantaggiò (e avvantaggiò anche loro): il gallerista nel consegnare al cliente un ritratto da lui stesso commissionato, non si era accorto che sul retro della tela era rimasto attaccato il loro biglietto da visita e così, dopo alcuni giorni, il cliente con sorpresa ed entusiasmo telefonò per prendere un appuntamento.

Il primo incontro risultò piuttosto comico: quando si presentò, li riempì subito di complimenti per il loro spiccato talento artistico, dicendo che lui era diventato un loro cliente assiduo. Disse: “Ve lo devo dire! Senza offesa, voi due siete dei mostri! Due mostri di bravura!” Continuò: “Ho sempre apprezzato i vostri quadri, ma adesso che li vedo qui in studio, tutti insieme, con voi presenti, mi sembra un sogno!”

Ogni mese Ernesto li veniva a trovare, sceglieva almeno un quadro e ne commissionava altri. Era molto corretto e preciso nei pagamenti. Pensarono che fosse un collezionista di opere d'arte, un amatore, anche se non capivano come potesse spendere tutti quei soldi, essendo una persona con un reddito normale.

Ernesto disse loro che non era un collezionista e che nemmeno guardava le opere di altri pittori, ma era interessato esclusivamente ai loro dipinti. Beh, la coppia di coniugi si sentiva molto gratificata, lusingata e ogni tanto pensavano che grazie alla distrazione del gallerista, era come piovuta “la manna dal cielo”.

Non dimenticheranno mai l’esperienza entusiasmante di una loro mostra: Ernesto acquistò ben sette quadri in un colpo! Davvero un’esagerazione!

Questo periodo gratificante da un punto di vista professionale durò per più di tre anni. Ernesto aveva confidato loro che investiva tutto lo straordinario per i loro quadri: paesaggi, nature morte e ritratti. Tutte le volte che andava nel loro studio, dopo aver parlato di lavoro, si intratteneva con loro, perché aveva voglia di parlare e soprattutto raccontare i suoi problemi, dato che aveva notato in loro la capacità di ascoltare. Era una persona fondamentalmente sola.

Purtroppo aveva avuto alle spalle due matrimoni. Un giorno commissionò loro il ritratto della donna di cui si era da poco tempo innamorato e così raccontò una situazione che si era venuta a creare, davvero bizzarra, che li fece proprio divertire.

La persona in questione era la proprietaria dell’agenzia matrimoniale a cui Ernesto si era rivolto per trovare la donna della sua vita.

Da non credere! Come poteva dichiararsi a colei che per lavoro lo avrebbe dovuto aiutare in campo sentimentale?

Nell’ultimo periodo Ernesto manifestò qualche segno di stranezza, infatti li pregò calorosamente di non firmare il ritratto. Sembrò molto strano e subito capirono che lui stesso lo avrebbe firmato e così avrebbe fatto bella figura con la persona di cui si era innamorato, per sfoggiare una bravura che sicuramente non gli apparteneva. Ernesto era un autodidatta principiante.

Chissà come si sarà conclusa la faccenda!

Pensarono che molto probabilmente Ernesto rivendesse i loro quadri, in modo da poter guadagnarci sopra, ma si erano sbagliati!

Un giorno li invitò a casa sua per mostrare tutte le opere che nel tempo aveva loro acquistato. Fu una vera soddisfazione vederle collocate al posto giusto e valorizzate con belle cornici. Aveva arredato la sua casa esclusivamente con le loro tele e logicamente per questioni di spazio, tante erano appoggiate alle pareti. Il suo entusiasmo quasi li commosse.

La cosa pazzesca fu quando Ernesto mostrò con orgoglio due coppe: il primo e il secondo premio, che aveva vinto ad un concorso di pittura, avendo partecipato con un’opera di lei e una di suo marito, ma c’era un particolare: li aveva firmati lui! Aveva vinto i premi con i loro quadri e lo aveva pure detto! Da non credere!

I coniugi pittori si guardarono e sorrisero. In fondo cosa importava? Tutto sommato gli erano grati perché Ernesto aveva comprato loro una quarantina di tele, dalla piccola alla grande dimensione.

D' altro canto si trattava in gran parte di copie d'autore, in cui la tecnica non richiedeva uno stile personale.

In seguito, per varie vicissitudini, soprattutto a causa della crisi economica, finirono i tempi d'oro, così i coniugi persero di vista Ernesto: una persona simpatica ed un cliente sui generis nello stesso tempo, più unico che raro; sicuramente non lo dimenticheranno.

DUE CUORI E UNA CAPANNA

Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

Quando esiste l’attaccamento al denaro come fine a se stesso, è un dramma e l’individuo non si rende conto che danneggia se stesso fino a rendere impossibile la sua esistenza, perché diventa schiavo dei soldi.

Ogni dipendenza è una vera e propria schiavitù. Fabio ed Anna erano due pittori già affermati, senza figli.

Avevano avuto la fortuna di aver realizzato un bel po’ di soldi.

Tuttavia non si erano permessi un tenore di vita adeguato alle loro ceto sociale, proprio a causa del loro attaccamento al denaro e inoltre avevano ancora un sogno da coronare: acquistare una villa enorme e lussuosa con un esteso terreno attorno.

Ma gli anni passavano e la coppia di artisti stravaganti aspettava di poter trovare la casa ideale che non riuscivano mai a trovare, date le loro difficili esigenze.

Fabio ed Anna vivevano da lunghi anni ormai in un piccolo monolocale, in cui il loro piccolo spazio si restringeva sempre di più a causa dell’ingombro delle loro tele e materiale assortito. Tutto sembrava precario, perché cataste di quadri e roba in disuso riempiva quelle quattro mura ed opprimeva la coppia.

Non ci si poteva più nemmeno muovere! Mobili non ce n’erano, non c’era lo spazio per contenerli e regnava un disordine impressionante da stare male. Non potevano invitare nessuno, per mancanza di spazio e loro stessi entravano in quella casetta a malapena.

La loro posizione economica era molto agiata, ma essendo avidi, avevano accumulato così tanti soldi da privarsi di tutto, persino delle cose di prima necessità.

La casa presentava un unico lato positivo: era situata su un’ altura che dominava un pittoresco paesaggio del Salento.

Intanto continuavano a sognare una lussuosissima villa in cui andare a vivere in futuro. Ma quale futuro? Non consideravano che il futuro era già presente, dato che avevano superato i sessanta anni e non erano ancora stati capaci di godersi la vita.

Tutte le volte che giravano per trovare casa, non erano mai contenti perché c’era sempre qualcosa che non andava e perché agli spilorci sembrava che il costo fosse eccessivo.

Il conto in banca intanto aumentava e loro erano già vecchi, fino a quando arrivò il momento di essere ricoverati in una Casa di Riposo. Fabio ed Anna ebbero un grande rimpianto: essere stati prigionieri nella loro stessa casa, vivendo una vita misera, a causa della prigionia del loro pensiero che li aveva resi schiavi dei soldi.

In Casa di Riposo trascorsero gli ultimi anni della loro vita.

Il loro capitale andò in eredità alla loro unica nipote, antipatica e superba.

LA SIGNORA GIOVANNA

La signora Giovanna: un personaggio.

Donna come quella di una volta, dai caratteri normanni, apparentemente burbera, ma di una sensibilità e generosità di cuore immensa.

Vive in un paese della Sicilia sul Mediterraneo, ma la sua Sicilia non è quella di adesso, ancorata invece ai valori e alle usanze di un tempo.

Il suo intercalare dialettale, spiccatamente marcato la caratterizzano; la sua voce decisa, dal tono vigoroso, di costituzione robusta.

Laboriosa, sempre dalla battuta pronta, disposta al sorriso e all’ottimismo.

Rispettosa nei confronti del marito, per tutto il tempo che il destino li ha tenuti insieme, insomma di quelle persone che sanno tenere le redini in famiglia, soprattutto dopo essere rimasta vedova ancora giovane, quando si ritrovò a dover crescere quattro figli, già ragazzi.

Aveva accudito il marito per dieci anni in seguito ad una gravissima malattia che lo rese infermo a letto.

Giovanna, a causa di uno sforzo fisico, ebbe la lesione di un bicipite a un braccio di cui rese molto limitati i movimenti.

Ha dovuto sempre darsi da fare, anche per poter sbarcare il lunario, con le modeste risorse che si poteva permettere.

Conosco la signora Giovanna da quando ero bambina, all’epoca in cui in Estate frequentavo la sua pizzeria che aveva messo su col marito nella sua abitazione estiva, vicino al mare.

Rimasta sola, dovendo accudire i figli, non riuscì a portare avanti la sua attività, anche perché non era capace di sostenere delle situazioni poco piacevoli, che di tanto in tanto doveva affrontare, legate ad inevitabili incontri con gente poco per bene, che magari avrebbero potuto approfittarsi del fatto che accanto a lei non c’era più un uomo.

Giovanna però per natura si sapeva difendere abbastanza bene, e quando doveva rispondere a qualcuno che non voleva pagare dopo aver consumato, o magari male intenzionato a darle fastidio, la sua lingua era talmente pungente che riusciva a colpire il bersaglio rispondendo sempre per le rime, fino a farlo zittire.

Un giorno una sua conoscente le disse: “Perché non sposi il signor ….?”

Lei tranquillamente replicò: “Aspetta che muore tuo marito e poi te lo sposi tu”.

Dopo tanti anni che non ci si vedeva con la signora Giovanna, grazie anche all’amicizia con la figlia, ci siamo rincontrate con tanta gioia, ricordando i tempi passati. Da allora si rinsaldò tra di noi un bellissimo rapporto di amicizia.

Ogni anno, quando mi trovo nel luogo in vacanza dalle sue parti, lei mi invita con la famiglia a cena, sul grande terrazzo di quella sua antica, ma sempre affascinante e accogliente residenza estiva che si affaccia sul mare.

Tutte le volte che ci accoglie ci racconta le sue vicissitudini ed episodi accaduti, esponendoli in modo così colorito che ho l’impressione di trovarmi dinanzi a quei personaggi folcloristici, che recitano a teatro, sembra di veder rivivere un pezzetto di Sicilia che ormai va sparendo: bella, genuina, che evoca un passato quasi perduto.

Nonostante gli anni che passano, è sempre pronta a rifiorire, pur di non mollare nelle le sue battaglie quotidiane, dovendo lottare anche per via di una condizione economica non tanto fiorente. Giovanna però confidando nella Provvidenza, non si è mai fatta mancare il necessario, anzi! Inoltre è sempre disponibile e generosa con chi ha bisogno, riuscendo persino a dare ospitalità a qualche persona molto povera che bussa alla sua porta che le chiede un piatto di minestra calda.

Dolcissima nonna, amata dai suoi nipoti e benvoluta da tutti, ma attenzione se qualcuno le fa uno sgarbo e guai a chi la volesse prendere in giro o raggirare! Lei con la sua parlantina, ribalta quella persona. Con il suo linguaggio colorito e diretto riesce a fargli ko. Non fa differenza se ha a che fare con una persona laureata, un medico, un sacerdote, o un analfabeta. Con lei bisogna fare attenzione a come si parla e a come ci si comporta.

L’ultima storia della signora Giovanna è davvero formidabile, non so come potrei definirla.

Sicuramente è un fatto più unico che raro nel suo genere, degno di essere menzionato e impresso nella memoria delle storie umane, di quelle che non saranno annoverate tra i libri di storia, proprio perché rientra in un vissuto che riguarda gente semplice e umile come lei.

È una storia che mi ha affascinato e mi sono proposta di raccontare affinché non fosse dimenticata.

La definisco toccante e umoristica allo stesso tempo, quasi surreale.

La donna aveva vissuto 24 anni assieme al marito e per poter raggiungere il traguardo delle nozze d’oro, sarebbero dovuti trascorrere ancora altri 26 anni da vivere ancora insieme, ma questo sogno come abbiamo visto non si concretizzò.

Il tempo (in solitudine) passava e arrivato ad un certo punto della sua vita, a Giovanna balenò una geniale idea: festeggiare il suo 50 anniversario di matrimonio, anche senza il marito. Adesso il giorno si faceva sempre più vicino.

Fece un ragionamento: cosa importa se la mia dolce metà non è più su questa terra? Se io credo che Dio, con il vincolo del matrimonio, ci ha uniti in terra e in Cielo, vuol dire che siamo ancora legati: adesso io sto vivendo ancora qui e lui vive in Paradiso e considerato il nostro vincolo di amore, quando arriverà il giorno dell’anniversario, per cause impreviste lo festeggeremo separatamente.

Così si recò dal nuovo sacerdote. Persona alquanto colta e brillante, considerato su tutti gli aspetti un tipo eccezionale: spicca per la sua ricca intelligenza, per la sua grande umanità e semplicità, una persona colma di Spirito Santo.

Lei gli spiegò la sua originalissima intenzione.

In un primo momento don Franco quasi trasalì e sorrise, ma subito dopo disse:

“Interessante come idea! Ci sono donne che dimenticano il marito persino in vita…!

Non potrò celebrare una vera e propria cerimonia in Chiesa, però le prometto che verrò a casa sua per una bella benedizione e per brindare insieme. Penso che tutto sommato lei meriti davvero il festeggiamento, proprio per valorizzare un sentimento d’amore sincero”.

La festa Giovanna se la meritava davvero, anche perché lei aveva sempre fatto da madre e da padre ai suoi figli.

Entusiasta, dopo aver organizzato la festa in casa, arrivò il lieto giorno e partecipò tutta la sua famiglia ingranditasi fino alla seconda generazione. Le figlie prepararono una bella torta con l’insegna delle nozze d’oro e quando don Franco si presentò tra gli invitati, furono momenti di grande gioia, poiché si respirava un’atmosfera inusuale: colma di emozione e di allegria. La tavola imbandita tra fiori, bibite e spumante. Venivano scattate foto alla festeggiata, insieme alla foto del suo indimenticabile coniuge.

Il giorno successivo si era sparsa la voce nel paese: “Ieri in qui in paese qualcuno ha festeggiato le nozze d’oro senza il marito! Chi è questa persona? Come è possibile?”

Soltanto Giovanna avrebbe potuto avere una simile iniziativa.

Credo che questo meraviglioso e “strano” episodio trasmetta un profondo messaggio educativo e faccia parecchio riflettere sul vincolo d’amore, sulla sacralità dell’unione tra due coniugi.

COME DUE GOCCE D'ACQUA

Questa storia risale agli anni ’50 e mi è stata raccontata da una signora che ho personalmente conosciuto. Lei è la figlia del protagonista.

Nino, un ragazzo di 24 anni, è coinvolto in un incidente. Un uomo lo aveva investito con la sua auto e scappava senza chiamare soccorso. Furono testimoni due donne (madre e figlia) che chiamarono tempestivamente l’ambulanza che trasportarono il ragazzo all’ospedale.

La situazione si presentò abbastanza grave, tanto che fu necessario amputargli la gamba a causa di una sopravvenuta cancrena. Gli impiantarono una protesi.

Passarono parecchi giorni quando in ospedale si trovarono le due donne che erano state testimoni dell’accaduto, poiché erano andate a visitare una parente che per coincidenza era ricoverata nello stesso ospedale. Ad un certo punto il caso volle che queste si accorsero di Nino, così riconoscendo lo salutarono e gli dissero: “Ma tu non sei il ragazzo che ha avuto l’incidente con la moto alcuni giorni fa?”

- “ Certo, ma voi eravate presenti all’incidente?”

- “ Sì, siamo state noi a chiamare i soccorsi, perché l’uomo che ti ha investito era scappato!”

- “ E sareste disposte a testimoniare?”

- “ Molto volentieri!”

Arrivò il giorno atteso: giorno della causa in tribunale e le due donne testimoniarono l’accaduto. Dopo un po’ di tempo, la mamma di Nino, preoccupata per lui, disse al figlio: “Chissà se adesso ti potrai sposare senza una gamba! Chi vorresti sposare?”

- “ La figlia della signora venuta a testimoniare”.

- “ Vuoi che vada a parlare con la madre per chiederle se la figlia è disposta a sposarti?”

- “ Si, ti sarò grato! Domani vai a casa sua e fammi sapere l’esito di chiesta richiesta”.

La mamma gli promise che lo avrebbe accontentato, anche se in cuor suo sapeva che le possibilità erano molto scarse ed era in pena per lui. Il giorno successivo andò a casa delle due donne, ma non ebbe il coraggio di bussare, così tornò indietro, ma dopo aver riflettuto, ebbe il coraggio di tornare indietro, pensando che nonostante tutto, sarebbe stato un peccato non tentare! Così arrivò a casa delle due donne e parlò con la madre della ragazza.

La signora le disse che avrebbe parlato con la figlia e che le avrebbe dato presto una risposta. Passarono solo due giorni quando giunse la risposta attesa e sospirata. Madre e figlio sprizzavano di gioia.

Presto i due giovani si sposarono, ebbero due figli e si amarono per tutta la vita. Durante gli anni di matrimonio accadde a Nino qualcosa di veramente incredibile. Non posso fare a meno di raccontare questa storia pittoresca e ai limiti della realtà. Nino, che lavorava come venditore ambulante di frutta e verdura in un paese etneo, veniva salutato in modo tra rispettoso e confidenziale da persone che nemmeno conosceva, perché lo scambiavano per un’altra persona. Era venuto a conoscenza di avere un sosia, così era desideroso di incontrarlo un giorno.

Dopo alcuni anni finalmente arrivò il momento: si trovò al mercato di Catania e si trovò faccia a faccia con il suo sosia. Entrambi rimasero esterrefatti dell’impressionante somiglianza, provando una grande emozione. Sembravano due gemelli. Il sosia portava il suo stesso nome, stesso viso, statura, carnagione, capelli. Esercitava persino lo stesso suo lavoro e la cosa più pazzesca era che anche lui aveva la protesi, dato che gli mancava pure una gamba! Esisteva soltanto una differenza: Nino, il protagonista, aveva perso la gamba destra, mentre l’altro aveva perso la gamba sinistra. I due non si erano visti prima perché vivevano in paesi diversi della stessa provincia.

Esisteva inoltre un altro particolare, che caratterizzava la vita di queste due persone uguali: il sosia era una persona poco raccomandabile, infatti frequentava ambienti mafiosi.

Dopo aver parlato un po’, con stupore ed entusiasmo, il sosia disse: “Ho il piacere di invitarla a cena una di queste sere con sua moglie”. Nino era molto imbarazzato e titubante dato che l’idea di accettare l’invito da una persona legata alla mafia, non gli piaceva affatto, ma vedendo la sua decisione, non si sentì di rifiutare.

Grazie al Cielo la serata andò abbastanza bene. Nino e sua moglie furono accolti tra i suoi amici, in un lussuoso ristorante, per festeggiare questo speciale incontro. Furono trattati in modo gioviale e rispettoso.

Logicamente da quella volta non si incontrarono più.

Una notte, viaggiando da solo in auto, Nino dovette fermarsi in un paesino, a causa di un guasto all’auto. A quell’ora era molto difficile chiedere aiuto. Il caso volle che si fermò una macchina con delle persone che lo salutarono confidenzialmente, come se lo conoscessero da tempo. Nino capì e stette al gioco. Premurosi subito chiamarono il meccanico, nonostante la tarda ora, il quale si precipitò da Nino per risolvere il suo problema. Così la macchina fu aggiustata in poco tempo. Evidentemente queste persone l’avevano scambiato per il suo sosia e di conseguenza anche se sembrerà molto strano, gli portarono rispetto.

Se da un lato questa combinazione può sembrare positiva e stuzzichevole, dall’altro però comportava un problema: Nino si preoccupava per la sua incolumità, dato che poteva essere scambiato per il suo omonimo, nonché sosia e fare magari una brutta fine.

Fortunatamente non gli successe mai nulla di male, mentre al sosia, come poteva prevedersi, il destino riservò una brutta morte: fu ucciso.

PER AMOR DI PACE

Quando si superano i limiti, sacrificarsi per amor di pace è pura follia.

Amor di pace significa cercare di andare oltre, cercare di sopportare certi atteggiamenti intolleranti che possono indisporre chi ci sta accanto.

Quante volte ognuno di noi lascia correre su tante situazioni per amor di pace?

Questo avviene per evitare accese discussioni o litigi, sia nell’ambiente familiare che in quello lavorativo.

Esistono dei casi in cui, però, soprattutto nelle famiglie o nella parentela, l’amor di pace diventa controproducente, nel caso in cui qualcuno subisce una violenza fisica o psicologica, annullando la dignità umana.

Riporterò due esempi:

Una donna ha vissuto per trent'anni una vita infernale a causa dell’ignoranza e cattiveria del marito che, avendo il vizio dell’alcol, arrivava a casa e la picchiava violentemente.

La povera donna subiva e non ebbe mai il coraggio né di denunciarlo, né di lasciarlo, sperava che il marito cambiasse, ma non faceva altro che peggiorare. Davanti alle due figlie la picchiava a sangue, crescendo nell’angoscia.

La moglie aveva paura e non solo, era debole e soprattutto viveva con la paura delle critiche della gente, era inoltre condizionata ed assillata dal giudizio religioso. Credeva che il divorzio fosse un peccato. Evidentemente la sua mentalità era chiusa e non riusciva a vedere oltre.

Se avesse avuto un po’ di buon senso, avrebbe dovuto capire che non solo ha rovinato la sua stessa vita, ma anche quella delle figlie che hanno vissuto nella paura e nell’angoscia continua, considerando il padre come una specie di orco.

Proprio perché la donna decise di mettere al primo posto l’amor di pace, un giorno il marito la spinse molto forte, picchiò la testa e morì.

L'uomo andò in prigione, anche se ormai il danno che aveva compiuto era troppo grave e soprattutto troppo tardi per rimediare. Aveva tolto la vita della madre alle proprie figlie!

La sua morte non è servita a niente e inoltre la donna non è stata nemmeno un’eroina dato che il marito non si è mai convertito, né tanto meno si è immolata per una giusta causa.

Per “amor di pace” non si può permettere di redimere un folle alcolizzato che non vuole essere aiutato!

Se il matrimonio è sacro, credo che la separazione, in casi estremi, sia la decisione più sacra, dato che le scelte, sia nel bene, che nel male, vanno valutate in base alle conseguenze che ne derivano.

Se tante coppie commettono l’errore di sposarsi perché non sono fatti l’uno per l’altra, non è detto che debbano commettere altri errori se la loro convivenza diventa impossibile! Sarebbe quindi più sensato ricorrere al male minore: la separazione.

Riportando il secondo caso, nel caso della violenza psicologica, non è giusto che in certe famiglie debba essere sostenuta o incentivata la cattiveria gratuita di persone che vorrebbero soggiogare fratelli, sorelle, nuore o nipoti, o ancora peggio figli o genitori! Tutto questo per soddisfare l’ipocrisia.

Esistono tanti casi in cui non si ha il coraggio di rompere i ponti con parenti per “amor di pace”, quando questo stesso “amor di pace” crea più sofferenza in chi subisce.

Quando le situazioni diventano davvero insostenibili, la “vittima” che subisce soprusi o violenze psicologiche, avrebbe il sacro diritto di allontanare l’“aguzzino”, perché non dimentichiamo che ognuno di noi ha il diritto di tutelare la propria dignità.

La discussione o litigio avrebbe senso soltanto se l’artefice è in grado di capire e cambiare atteggiamento, ma dato che mi riferisco ai casi in cui si tratta di grettezza mentale, pura cattiveria o invidia, questa persona non è nemmeno consapevole di risultare nociva, per cui sarebbe più opportuno l’allontanamento di questa.

Non tutti, fortunatamente, sono in grado di farsi martiri, soltanto per soddisfare l'ego e la stupidità di certe persone che amano torturare gli altri e molte volte ciò avviene anche nell’ambito della parentela, approfittandone della confidenza.

La conclusione quindi è che l'amor di pace è molto importante per garantire l'armonia familiare e in altri ambienti, ma non bisogna sottovalutare quelle situazioni in cui per amor di pace si alimentano atteggiamenti deleterei, per cui prima di scegliere la via del “perbenismo” e farsi condizionare dal giudizio sociale, bisognerebbe usare il buon senso e analizzare i pro e i contro. Valutare se il gioco vale candela.

È più opportuno continuare a fare la vittima a oltranza, oppure andare alla radice, allontanando la persona che provoca il male?

LA BISBETICA INDOMABILE

Lucia era una bella donna, e perciò sicura di sé; era laureata in matematica, motivo in più per insuperbirsi ulteriormente. Dopo aver fatto un corso di specializzazione, trovò un lavoro come infermiera professionale in un ospedale.

Si atteggiava a persona aristocratica, nonostante non avesse i requisiti perché di famiglia modesta. Il suo sogno era sposare un buon partito e acquisire un alto tenore di vita. Ambiva soltanto alle frivolezze, alle cose effimere e al puro divertimento.

Era molto corteggiata, per la sua bellezza appariscente e per la sua capacità seduttrice, ma avendo chiaro il suo unico obiettivo, snobbava quasi tutti, infatti non si legava a nessuno sentimentalmente, se non per delle avventure amorose che potevano soddisfare i suoi capricci. Ribadiva: “Per me un uomo non vale niente se non ha un reddito alto come dico io! Gli uomini devono essere soltanto sfruttati e cadere ai miei piedi”.

Spesso, quando conversava con le sue (apparenti) amiche, non faceva altro che spettegolare, facendo battute ironiche su tanti uomini, come se lei fosse l’imperatrice.

Lucia aveva avuto un’infanzia difficile, poiché essendo rimasta orfana a soli sei anni, era vissuta per parecchio tempo in un orfanotrofio, cresciuta da suore molto acide e insensibili che molto probabilmente avevano contribuito negativamente alla sua formazione. Aveva ricevuto un’educazione religiosa rigida, ma risultando piuttosto bigotta e soprattutto imbevuta di ipocrisia. Non ricevette affetto e amore. La società poi le trasmise dei falsi valori, un perbenismo fatto di etichette e senza sostanza.

La sofferenza purtroppo non la fortificò nei sentimenti, ma la rese più arida, incapace di amare. Con l’età della maturità, Lucia non si affezionò a nessuno e non riusciva ad instaurare rapporti di amicizia. Godeva persino se vedeva qualcuno che stava male! Le sue soddisfazioni erano le sconfitte di altri.

Il suo desiderio di sposare un uomo facoltoso era talmente forte da riuscire a coronare il suo sogno all'età di 38 anni: riuscì a fare invaghire il primario dell’ospedale, il dott. Claudio Scorsone del reparto dell’ospedale, il dott. Claudio Scorsone, fino a sposarlo.

Lucia si sentiva vincente, orgogliosa, tanto da peggiorare il suo aspro carattere, procurando malessere e disagio in chi le stava accanto.

Derideva tutte le coppie che avevano un tenore di vita più basso del suo, o chi non aveva una laurea e nel suo ambiente di lavoro si vantava della sua presunta superiorità: del suo attico megagalattico in cui viveva, delle costose ville e dei terreni che suo marito possedeva, per non parlare dei tappeti persiani, quadri d’autore e abiti lussuosi sempre alla moda, dei ristoranti raffinati che frequentava.

In realtà era una persona chiusa mentalmente, non aveva mai viaggiato, non aveva fatto molte conoscenze, niente amici, dato che in realtà (senza esserne consapevole) era lei ad essere allontanata dalla gente comune, semplice, sincera, ma tuttavia aveva sempre quell’atteggiamento di superiorità che la rendeva odiabile, soprattutto a causa dell’incontrollata invidia che la dominava.

Lucia faceva di tutto per suscitare invidia, mostrando il suo alto tenore di vita che tra l’altro aveva acquisito sposando un uomo solo per interesse e non certo per amore, ma in verità era lei a invidiare gli altri.

Quando si è invidiosi, si invidia persino l’aria che gli altri respirano!

A causa di questo meschino sentimento, la sua esistenza diventava sempre più squallida e insopportabile.

Lucia divenne intrigante, metteva zizzania nelle coppie e tanto più riusciva a creare scompigli, tanto più era appagata. Era sadica e cattiva.

Gli unici momenti di “affettuosità” erano quando a qualcuno capitava una disgrazia, allora si mostrava compassionevole.

Probabilmente invidiava le persone fondamentalmente buone, sensibili, spontanee, semplici, intelligenti, probabilmente perché lei inconsciamente si sentiva inferiore.

Nel suo ambiente di lavoro l’avevano ormai studiata abbastanza bene. Quando si avvicinava alle colleghe, le più superstiziose toccavano un corno rosso (che tenevano nascosto).

Lucia, presuntuosa come sempre, si vantava inoltre di essere una cristiana perfetta perché non perdeva mai una S. Messa. Aveva anche il coraggio di criticare, sparava sentenze e si accalorava quando si parlava di religione, giudicava male persino chi aveva un solo pensiero diverso dal suo.

Trattava il marito come un burattino, perché era lei che comandava su di lui in ogni situazione e decisione da intraprendere. Lo sgridava in continuazione come se fosse un bambino da educare. Doveva persino scegliere lei i vestiti che lui doveva indossare!

Incredibile come riusciva a manipolarlo, eppure lui avrebbe avuto un motivo in più per non farsi dominare dalla moglie, considerando la sua avvantaggiata condizione economica. Non a caso si dice: “Chi ha più soldi comanda”. Claudio invece era un’eccezione: troppo buono, troppo! Molto remissivo e soprattutto una persona debole, per non avere mai avuto il coraggio di ribellarsi alla prepotenza della moglie. Lucia aveva potere di decisione anche sulle persone da frequentare.

Aveva il diritto di uscire il fine settimana, senza dare conto al marito, mentre Claudio doveva restare a casa come un cagnolino ammaestrato. Il povero marito era compianto dagli altri per questa assurda situazione. Soffriva e taceva per amor di pace.

La coppia decise di procurarsi una governante, dato che Lucia non era in grado, o forse non aveva voglia di stare dietro alle faccende domestiche. Per lei era una gran perdita di tempo dedicarsi alla casa e inoltre spendeva le sue giornate per fare shopping, andare in palestra o alternando parrucchieri ed estetiste. Persino in cucina non era brava a cucinare.

Così un bel giorno arrivò Nadia, carina, molto semplice, colta. Era rimasta vedova, pittrice e non avendo avuto fortuna, decise di lavorare come governante in casa del dott. Claudio Scorsone. Lei dava il meglio di sé, era molto precisa e corretta, un' ottima governante.

Quando Lucia usciva, Nadia ascoltava tanto Claudio, poiché lui si sfogava raccontandole tutte le incomprensioni che aveva con sua moglie ed era diventata la sua confidente; considerata da lui una vera amica, un sostegno morale che dava un po' di sollievo alla sua vita difficile. Invece Lucia era molto fredda e autoritaria anche con la governante, pretendeva di trattarla quasi come una cenerentola.

Passarono nove anni e il rapporto di coppia diventava sempre più arido, Lucia e Claudio, nonostante il lusso in cui vivevano, si sentivano sempre meno appagati, anche perché l’idea di non avere avuto figli, li rendeva ancora più distanti l’uno dall’altra. Claudio non era più capace di sopportare il carattere asfissiante della moglie e soprattutto percepì di non essere da lei amato, quando un giorno finalmente ebbe come un’illuminazione: capì chi fosse in verità. Da quel momento, con dolore, ebbe la sensazione di avere tolto quel velo davanti al suo volto, che per tanti anni lo aveva reso cieco!

Si sentì un fallito.

Nello stesso tempo però provò come un grande sollievo nella sua anima. Era arrivato il momento di dare una svolta decisiva.

Questa consapevolezza avvenne dopo un’esperienza traumatica: Claudio scoprì che Lucia aveva un’amante: Franco, un ragazzo aitante, universitario, più giovane di lei di venticinque anni. Lo copriva di costosi regali (ovviamente con i soldi del marito) per legarlo a sé.

Tuttavia, Claudio sperò che la moglie lasciasse il suo amante per ritornare alla normalità, anche se questa normalità in fondo non era mai esistita. Ma Lucia negò tutto al marito e continuava imperterrita la sua storia extraconiugale.

Claudio era molto condizionato da quella specie di moralità religiosa che sin da piccolo gli era stata inculcata e influenzato dal giudizio sociale che purtroppo spesso sacrifica la serenità o la felicità di una persona o di una coppia, perciò era ad un bivio, non sapeva che fare, mentre la moglie non sognava nemmeno di lasciarlo, non certo per amore, ma per convenienza. Credeva di continuare a fare la doppia vita.

Lui non riusciva a valutare i pro e i contro, cioè a pesare la situazione per poi arrivare ad una scelta ponderata secondo coscienza e raziocinio, era ormai succube, come prigioniero di lei e ingabbiato nelle convivenze sociali un po' troppo rigide.

Fortunatamente, dopo tanta sofferenza, Claudio si accorse di essere innamorato di Nadia, degna di lui.

Finalmente il dott. Claudio prese una saggia decisione: separasi definitivamente da Lucia che gli aveva reso la vita un inferno.

Le scrisse una lettera molto pungente, ma col cuore in mano, in cui una volta per tutte ebbe il coraggio di esprimere tutta la sua rabbia, i suoi sentimenti, insomma tutto quello che fino a quel momento non aveva mai avuto il coraggio di dirle.

Ecco lo scritto:

“Cara Lucia, è arrivato il momento di dirti tutto ciò che provo nei tuoi confronti. Ti ho sposata perché ero innamorato di te, ti vedevo bella e mi avevi fatto perdere la testa. Purtroppo ti avevo idealizzata e credevo che la tua bellezza fosse anche dentro di te. Sfortunatamente la mia ingenuità e la mia passionalità mi avevano reso cieco, talmente cieco da non riuscire a vedere il tuo carattere assolutamente negativo; ti elencherò i tuoi grandi difetti, i tuoi grossi limiti e soprattutto quella cattiveria che ti caratterizza e che hanno reso infelice me, ma anche tutte le persone che ti circondano. Sei stata capace persino di fare separare tua cugina dal marito, con le tue maldicenze!

La tua superbia ti ha autorizzato a giudicare gli altri. Sei bigotta, classista, ipocrita, prepotente, dispotica, falsa, talmente falsa da recitare per tutta la vita, senza farmi capire che mi hai sposato solo per convenienza, per opportunismo: soltanto per poter soddisfare l’unico tuo scopo: l’attaccamento al denaro e la voglia di potere. Affermando la tua presunta superiorità sugli altri, credevi di tenere in pugno il mondo intero.

Hai creduto di poter ottenere tutto con i soldi, tra l’altro quelli miei!

Mi hai trattato come un bambolotto. Mi hai tolto la dignità di uomo (forse tu non l’ hai mai avuta). È vero, anch’io ho commesso una colpa, l’unica colpa: quella di permettere che ciò accadesse, ma adesso faccio un passo indietro.

Ti sei sbagliata di grosso, Lucia, perché il tuo atteggiamento, le tue azioni, sono state la tua condanna. Mi hai trattato come uno zerbino!

Ti sei ritrovata sola, senza affetti, priva di amicizie vere, senza l’amore che non hai mai conosciuto. Non giustificarti per favore, dicendo che non hai ricevuto l’amore dei tuoi genitori che ti sono venuti a mancare, né tanto meno hai avuto la fortuna di riceverne dalle suore che ti hanno cresciuta. Non farti vittima!

Io conosco persone che hanno sofferto come te e che nella loro vita si sono riscattate, nel senso che avendo conosciuto la sofferenza, sono state capaci di amare gli altri ancora di più, hanno dedicato la loro vita ai più poveri e sfortunati.

Credo che il fatto di non avere avuto un figlio da te, sia stato provvidenziale!

Che valori avresti trasmesso a nostro figlio?

Nella sfortuna di non avere avuto un figlio, sicuramente è positivo che lui non sia mai nato. Se si mette al mondo un figlio, dato che già il Mondo in cui viviamo è davvero difficile e pieno di sofferenza, almeno gli si dovrà garantire amore, protezione, serenità e valori morali, quelli veri. Non certo i valori falsi e mondani che tu gli avresti dato.

Se mancano le condizioni, è meglio non procreare, perché sarebbe la rovina per il bambino stesso!

Ebbene, mi rifarò un’altra vita con Nadia e ringrazio Dio che ciò sia avvenuto. Lei è una vera donna, ha un cuore puro, ha un’anima ed è stata lei che mi ha dato la forza di dire basta a questa vita colma di sofferenza.

Basta!!! Resta pure con il tuo amante, (che tra l'altro potrebbe essere tuo figlio!)

Dovresti piuttosto vergognarti, soddisfi le tue basse passioni e per non farti scappare il giovincello, lo riempi di regali e te lo mantieni con il mio denaro. Credi di usarlo come un oggetto, perché non credo proprio che tu possa provare amore per lui, tu non sei stata mai capace di donare amore a nessuno.

Ebbene, credo che anche lui ti sfrutti, non certo per la tua bellezza fisica, perché ormai il tuo tempo è passato, sei come un fiore appassito, non pensare che la tua bellezza fisica sia eterna! Lui ti usa per i suoi scopi: ama i tuoi soldi! Gli stessi soldi che hanno attratto te come una calamita, fino a sposarmi, ingannandomi e giocando con i miei sentimenti.

Vedi, Lucia, la vita è una ruota, non scappa nessuno! Il bene o il male che si compie, prima o poi tornerà!

Con la differenza però che tu hai commesso un errore più grosso del suo, credendoti più furba: hai sposato l’uomo che ti ha permesso di vivere come desideravi, il tuo amante invece non ti sposerà mai! Non solo perché da questo momento non avrai più la possibilità di mantenerlo, ma anche per via dell’ eccessiva differenza di età.

Non ti sposerà mai perché lui è più astuto di me e non sopporterà di certo il tuo asfissiante carattere, se già ha avuto il tempo di conoscerti bene, non accetterà di viverti accanto. Vivere con te è come una tortura!

La decisione che ho preso: separarmi da te e per sempre.

L'idea mi rende già felice, mi rende un vero uomo. Finalmente mi sento una persona libera di agire e di amare.

Mi sento sereno, ho ritrovato la gioia nel cuore e soprattutto ho riacquistato la dignità e la voglia di vivere che avevo perso.

Finalmente ho l’opportunità di amare una donna che mi ami davvero. E se non avrò la fortuna di avere figli, mi rassegnerò perché la mia vita sarà ugualmente appagata.

La donna che vivrà con me, nella mia casa, è quella che tu hai sempre disprezzato e snobbato: Nadia, la nostra governante. Lei è senza dubbio superiore a te, mi riferisco al suo livello spirituale.

Come vedi, il mio metro di misura non corrisponde al tuo, contorto.

Te ne andrai per sempre dalla mia vita!

Dimenticavo: stai certa che il tuo amante, adesso che sei tornata ad essere una povera miserabile, (il termine che usi normalmente per giudicare gli altri) ti lascerà molto presto, perché non avrà nulla da guadagnare. Vedrai se mi sbaglio!”

Lucia, dopo aver letto questa lettera, quasi le mancò il fiato per il colpo subito. Non ebbe la forza di reagire, anche perché sarebbe stato vano, quindi non rispose mai a quella lettera e nemmeno ebbe il coraggio di affrontare il marito. Sapeva che ormai quella specie di incantesimo era finito, aveva perso il suo potere su di lui.

Fino a quel momento aveva pensato di essere una vincente, ma si era illusa perché era stata ingannata dalla sua ignoranza e presunzione. In verità lei era stata sin dall’inizio una perdente!

Fino a quel momento aveva creduto di avere goduto della sua libertà, invece era stata prigioniera dei suoi stessi pensieri malati e contorti che avevano procurato sofferenza a sé stessa e agli altri. Ebbe la sensazione di trovarsi in un incubo, perché il Mondo le crollò addosso in un istante, un istante che sembrò l'eternità.

La sua sensazione fu quella di essere denudata e avvertì una vergogna indicibile, anche se non provò rimorsi di coscienza, infatti non cambiò mai.

Da quel momento, fino al resto della sua vita, Lucia si ritrovò da sola, senza l’amante che la confortasse, perché Franco la lasciò senza esitare. Aveva ripreso a lavorare, anche se costretta a fare un lavoro umile: donna delle pulizie (proprio il lavoro che aveva maggiormente detestato) poiché non riuscì più a lavorare come infermiera.

Soffrì non tanto per la separazione dal marito, quanto per il drastico cambiamento di vita che dovette intraprendere.

Fu isolata dagli altri, probabilmente era stata perdonata da tutti quelli che aveva fatto soffrire, ma non dimenticarono il male da lei ricevuto, non certo per mancanza di carità, ma per tutelarsi, dato che non era mai cambiata.

Dopo qualche anno trovò un cane bastardo per strada e lo prese con sé. Gli disse: “Tom, ti hanno abbandonato, povera bestia! Io invece ho scelto la solitudine perché le persone sono cattive, soprattutto sono inferiori a me e per questo non mi possono capire”. Tom riusciva in qualche modo a compensare quel vuoto dovuto alla solitudine che la affliggeva.

Nonostante il suo passato, Lucia non si era mai smentita. Claudio ebbe la meglio: Nadia non lo deluse mai e gli restò fedele per sempre. La sua bontà e sincerità era stata premiata.

Ebbe un figlio con lei, che arricchì la loro esistenza donandogli tanto affetto, e vissero in un clima sereno e amorevole.

La cosa peggiore fu che Lucia non riuscì mai a farsi un esame di coscienza.

Pensava che fosse semplicemente sfortunata e che la colpa fosse sempre ed esclusivamente degli altri. Morì di vecchiaia e anche di invidia.

IL RAGAZZO OGGETTO

Ho conosciuto un ragazzo di 22 anni, con una fissazione: il culto del proprio corpo, trasformandolo in un idolo. Il suo aspetto (a mio avviso) antiestetico, per il semplice fatto che era “artificiale”, nonostante (paradossalmente) per alcune ragazze potrebbe risultare bello. Aveva tutti i muscoli del corpo pompati, paragonabili a quei bambolotti “Super man, Big Gim (di una volta) ecc.

Aristide (ho cambiato nome) mi raccontò tutti i grossi sacrifici a cui andava incontro, per poter arrivare a suo dire era l’obiettivo ideale: avere un corpo modellato e perfetto. Dieta esasperata, a base di alimenti per niente gradevoli, albumi d’uovo a colazione, privandosi invece di tutti quei cibi gustosi che avrebbe desiderato, mai una pizza, mai un gelato, mai un piatto di spaghetti come solo mamma sa fare. Quattro ore al giorno di palestra assieme allo sforzo del sollevamento pesi. Sempre così …!

Ma la cosa più tremenda era quella di dover assumere gli anabolizzanti, affinché i suoi muscoli potessero gonfiarsi a dismisura come per prodigio! Il suo atteggiamento in società era tipico del classico play boy, si piazzava lungo il corso principale del luogo turistico, dove passeggiavano le persone in vacanza. Indossava jeans attillati e una canottiera molto scollata, in modo da poter mettere in evidenza i muscoli esagerati delle braccia. Impressionante vedere la sua innaturale postura: le sue braccia non aderivano più al busto, ma scendevano divaricate, a causa del volume muscolare attorno al torace.

Aristide, come una statua, col suo sguardo andava a caccia di sguardi, cercando di carpire l’attenzione delle ragazze, non solo per avere consensi sulla sua presunta avvenenza fisica, ma con la finalità di far cadere ai suoi piedi qualche donna affascinante, solo per un diversivo, senza impegni sentimentali, perché non avrebbe voluto legami importanti. Sosteneva che le donne gli avrebbero soltanto complicato la vita e lui amava la libertà.

Da un canto non aveva poi tutti i torti in questa convinzione, capita che un ragazzo può imbattersi nella donna sbagliata che gli rende la vita impossibile, ma quello sarebbe il rischio degli uomini con poco carattere. A pensarci bene, non è che lui avesse questo gran carattere, per cui è probabile che il suo era un modo per tutelarsi.

Ovviamente però niente avrebbe potuto giustificare la sua scelta di proporsi come “uomo oggetto”.

Pensai: “È un ragazzo molto superficiale, non ha nulla di sensato nella testa, perché la sua eccessiva frivolezza gli impedisce di capire cos’è la vita e di guardare in faccia la realtà. Speriamo che in seguito cambi, dato che è ancora molto giovane. Chissà!” Che tristezza dover ince

ntrare l’esistenza sul culto del proprio corpo e renderlo unico “strumento” per appagare le proprie aspirazioni! Che tristezza farsi considerare dalle donne solo come ammasso di muscoli!

Attraverso il dialogo avuto con lui, cercai di fargli capire quanto grave fosse l’uso di sostanze nocive, gli anabolizzanti e il testosterone, che creano uno sviluppo artificiale della muscolatura in molto più veloce rispetto all’apporto dato agli esercizi fisici. Queste sostanze chimiche possono anche provocare conseguenze serie alla salute. Lui mi parve poco sensibilizzato dal problema, perché la sua fissazione era l’obiettivo più importante da raggiungere.

Aristide, con pacatezza, mi confidò inoltre che l’obiettivo che si prefiggeva era ancora più alto: avrebbe dovuto aumentare la sua massa corporea di altri 15 kg! Ambire infatti alla “perfezione assoluta”. Da non credere, il cervello di un bambino dentro un fisico da Hulk!

RIPENSAMENTO

Mohamed, un uomo algerino, risiede da tanti anni in Sicilia, dove avendo messo su famiglia, ha trascorso metà della sua vita.

Persona molto corretta, di sani principi, leale e rispettoso con tutti.

Un giorno decise di acquistare un’auto usata, ma in buone condizioni. Tramite un giornale vide un’inserzione di un privato che nel Veneto vendeva una bellissima macchina di grossa cilindrata dal costo abbastanza modico.

Mohamed, trovandosi da quelle parti, raggiunse Verona e incontrò il venditore che appena lo vide, la prima domanda che gli pose fu questa:

“ Ma lei è per caso siciliano?”

- “ No, sono algerino”.

Esclamò: “Ah, va be

ne, meno male!!!” Mohamed replicò stupito: “Perché mi chiede questo? Non capisco!”

- “Se lei fosse stato siciliano, non le avrei venduto assolutamente la mia macchina, perché non voglio avere a che fare coi siciliani. Per carità!!!”

Mohamed, meravigliato e infastidito disse: “Perché mai ce l’ ha tanto con quella gente? Io vivo in Sicilia da oltre venti anni e ci sto benissimo, mi trovo bene anche con gli abitanti. Non posso dire nulla contro i siciliani e poi le cattive persone si incontrano in tutti i posti. Tutto il mondo è paese. Sa cosa le dico? A me non piacciono le persone con la sua mentalità, quindi ho cambiato idea: la macchina non la compro più da lei. Buona sera.”

L’uomo rimase di stucco, senza proferire parola. Mohamed si congedò da lui e dopo alcuni giorni cercò un’altra occasione. Comprò un’altra un’auto, un affare ancora più interessante di quello appena sfumato.

LO ZIO

Lo zio è un uomo di mezza età, di bassa statura, molto magro, occhi azzurri, capelli bianchi e barba bianca; di origine tedesca, architetto, una persona molto tranquilla, di sani principi.

Non si è mai sposato e ha fatto una scelta di vita ben precisa: vive per sei mesi in India, dove può permettersi di coltivare i suoi hobby, non avendo problemi di famiglia e soprattutto si concede un soggiorno con tutte le comodità.

Gli altri sei mesi li trascorre a Taormina dove si mantiene col lavoro di ritrattista di piazza.

Lo conosco da tanti anni, poiché ogni Estate ci incontriamo nella solita conosciuta piazza, insieme agli altri colleghi artisti. Sono stati loro a chiamarlo: “lo zio”. Una sera, un po’ di tempo fa, dato che lui dopo tanti anni non è ancora perfettamente padrone della lingua italiana, una coppia di sposi si ferma davanti a lui e gli chiede: “Quanto costa fare un ritratto?”

Lo zio avendo i tappi nelle orecchie (per attutire i frastuoni della piazza e potersi concentrare maggiormente nel suo lavoro) risponde:

“Non mi sento bene!” (avrebbe voluto dire: “Non sento bene”, scusandosi per non aver capito le parole pronunciate dal turista).

Ormai però l’equivoco aveva portato i suoi effetti, così il turista se ne andò chiedendo scusa per averlo disturbato mentre stava male.

Un’altra sera una coppia di sposi decide di farsi fare dallo zio un ritratto in coppia.

Comincia a posare la modella. Non appena abbozza il suo volto, ad un tratto sente il commento del partner: “Ma che sta facendo? Perché ha lasciato così poco spazio per il mio ritratto?”

In effetti l’uomo era abbastanza corpulento. Il ritrattista cominciò un po’ ad infastidirsi per il disappunto, ma continuò a disegnare ignorando la frase.

Il coniuge continuò a rimbrottare: “Ma cosa sta facendo? Come potrà farmi entrare nel foglio?”

Egli si spazientì e disse: “Stai zitto, per favore, lasciami lavorare!”

L’uomo dopo un po’ riprese a criticare il ritratto, perché la sua paura consisteva nella sproporzionata destinazione degli spazi.

L’artista aveva un punto debole, del resto come tutti i ritrattisti: non sopportare le critiche durante l’esecuzione del lavoro, dato che soltanto alla fine si può giudicare il disegno. A quel punto, perse la pazienza e con tono molto alterato e deciso gli disse: “Guardi che se mi arrabbio……..!”

Il cliente, a questo punto, con tono minaccioso, si arrabbiò davvero e disse:

“Se ti arrabbi tu… ?! Se mi arrabbio io …!” Contemporaneamente mimò il gesto come se torcesse il collo a qualcuno, imitando il rumore dello scricchiolio delle ossa.

A quel punto lo zio dovette arrendersi al fare minaccioso del cliente, rassegnandosi per il fatto che il cliente ha sempre ragione, specie se in esso è abbondante la superiorità fisica. Riprese il disegno e terminò i due ritratti in modo decoroso e pregevole. La coppia non ebbe più nulla da dire, pagò e se ne andò.

UNA STRANA CONFESSIONE

Una giovane donna si va a confessare da un sacerdote. Inizia ad esporgli il problema che la assillava: la sofferenza procurata da suo figlio, non sposato, che viveva ancora in famiglia. Motivo di discordia: il suo brutto carattere e la sua prepotenza che lo caratterizzava. La trattava come una schiava e pretendeva di gestire lui la sua pensione. Di conseguenza la donna perdeva spesso la pazienza ed era costretta ad alzare la voce per non fare del tutto calpestare la sua dignità.

Ecco il dialogo:

don Giuseppe: “Signora, lei dovrebbe usare molta dolcezza con suo figlio, altrimenti se si lascia sopraffare dall’ira, è nel peccato! Gesù piange se la vede in questo stato!”

- “ Si figuri quanto piango io per avere un figlio che non meritavo e per essere trattata in questo modo!”

- “Conosce il Vangelo? Non bisogna arrabbiarsi!”

- “Lei ha ragione, caro don Giuseppe, ma crede che non io non abbia adottato le buone maniere? Essendo però recidivo, mio figlio si comportava ancora peggio! E allora solo usando le cattive maniere, lui riesce un po’ a moderarsi, anche se crede di poter fare il padrone a casa mia! La sua prepotenza viene frenata. Non ce la faccio più, con lui è una lotta continua!

Don Giuseppe, le chiedo se agli occhi di Dio sono nel peccato, anche perché non riesco a percepire la gioia nel mio cuore, la gioia di Gesù che tutti vorremmo avere per essere in grazia di Dio”.

- “Certo che è nel peccato, perché non mette in pratica il Vangelo!”

- “Ma allora dovrei buttare di casa mia figlio?”

- “Questo non saprei dirglielo, anche perché dipende da caso a caso: un conto è se suo figlio è autonomo, un conto è se non lo è.”

- “Infatti, purtroppo non lo è!” - “E vuole pure comandare? Con quale coraggio?” - “ Ha visto don Giuseppe che ci sono mille ragioni per arrabbiarsi e a volte perdere anche le staffe? Anche i santi perdono la pazienza!”

- “ Ma perché, lei signora, si crede santa?” - “Non sto dicendo questo, ma semplicemente che non mi sento in colpa!” - “Allora perché è venuta qui da me a confessarsi?” - “Non saprei, forse semplicemente per uno sfogo o per sentirmi dire una parola di conforto, o forse per togliermi il dubbio”. - “Quale dubbio?”

- “Se commetto peccato o meno.” - “Credo di essere stato chiaro, signora, lei è nel peccato!” - “Ma mi tolga una curiosità: se qualcuno non ha rimorsi di coscienza, come può sentirsi in colpa? E poi sa cosa le dico? Se con mio figlio adottassi le buone maniere, lo indurrei maggiormente a peccare!”

- “Perché?”

- “Perché non farebbe altro che trasgredire al comandamento: Onora il padre e la madre. Infatti ricordo che in passato, quando mi tenevo tutto dentro, mio figlio mi trattava proprio come uno zerbino! In effetti non mi rispetta neanche adesso, però sperpera meno soldi”.

- “Insomma è venuta qui per farmi la morale? Chi è il prete io o lei?”

- “Se sono qui da lei è per avere un supporto psicologico, dato che soffro tanto a causa di questa situazione così pesante”.

- “Ma allora vada da uno psicologo! Io non sono la persona giusta!”

- “Sa cosa le dico allora? Lei non è nemmeno un bravo sacerdote, perché dovrebbe essere anche uno psicologo. E continuo, anche lei dovrebbe confessarsi, perché non è così che si trattano i fedeli! A tutti i costi vuol farli sentire in colpa! Parla di buone maniere ed è il primo che non mette in atto ciò che dice!

Parla così perché non ha figli. Provate a sposarvi e ad avere figli anche voi, prima di fare la morale a chi conosce la vita e la vera sofferenza e poi, forse capirete cosa comporta l’amore materno o paterno, anziché parlare solo di amore etereo! Lei non ha mai conosciuto il dolore che i figli danno ai genitori. Le dirò di più: mi ha giudicata, mentre in realtà Gesù dice di non giudicare!”

- “Non è vero che l ’ho giudicata! Ho giudicato il peccato, non il peccatore!”

- “E io sarei il peccatore perché non uso le buone maniere con mio figlio?”

- “Signora, sa cosa dice Gesù? Se ti danno uno schiaffo, porgi l’altra guancia!”

- “Quindi nel caso specifico, dovrei soccombere, non contrastare mio figlio che vuole fare il dittatore a casa mia, con la pretesa di impossessarsi dei miei soldi per poter soddisfare i suoi vizi: donne e gioco d’azzardo. Non solo, dovrei anche porgere l’altra guancia? Ma lei, don Giuseppe, sa interpretare il messaggio di Gesù Cristo o lo usa come gli conviene?”

- “Il sacerdote con tono alterato: “Lei non ha capito niente del perdono! Bisogna perdonare!”

- “ Certo che bisogna perdonare, ma se per perdono s’ intende darla vinta ai figli prepotenti, siamo proprio lontani! Si vede che lei non ha capito proprio niente! In questo modo non faremmo altro che alimentare le ingiustizie e il male nel mondo!”

Il sacerdote non dandosi per vinto e urlando disse: “Signora esca subito da qui, la benedico! Vada via però!!!”

Nel frattempo, tutto agitato, cospargeva la donna di acqua benedetta. La donna: “Ha visto che lei è il primo a perdere le staffe? Si è lasciato prendere dall’ira! Adesso come la mettiamo? Ha peccato! Si vada a confessare da un sacerdote più in gamba di lei!”

UNA CONFESSIONE INSOLITA

Una donna va a confessarsi da un sacerdote. Don Filippo: “Da quanto tempo non si confessa?”

- “Da circa quattro anni”.

- “Molto grave! Lo sa che la confessione deve essere fatta almeno una volta al mese?”

- “Sì, lo so, ma in questi anni non ho peccato e sono qui per confessare l’unico peccato che ho commesso.”

- “Sentiamo”.

- “Quello di non essermi confessata”.

- “Lei stessa ha detto di non avere peccati, perché avrebbe dovuto confessarsi?”

- “Per essere a posto con la mia coscienza. La Chiesa mi ha fatto sentire in colpa, dato che sostiene che è impossibile non commettere peccato”.

Il sacerdote pone delle domande alla donna e si rende conto che in effetti la donna non ha commesso nulla di male.

Infine le dice: “Complimenti signora! La assolvo per i peccati che non ha commesso, dato che è stata davvero in gamba e stia tranquilla, non si senta in colpa, perché se la sua coscienza è pulita, non ha motivo di confessarsi. Un’ultima cosa, prima che se ne vada, non le ho fatto una domanda: Lei è una persona pettegola?”

- “In che senso?”

- “Che guarda ciò che fanno gli altri e li critica gratuitamente?”

- “Pettegola no, anche se dinanzi a certe scene non posso fare a meno di tacere!”

- “Si spieghi meglio!”

- “Quando vedo camminare certe donne nel corso principale del paese, sa … quelle che vogliono apparire, tutte truccate che sembrano delle battone, o quelle che si mettono in prima fila in chiesa, o che si vantano di quello che hanno o che fanno, io, don Filippo, non ci vedo più! Non le posso digerire, è più forte di me!!! Provo una rabbia! Mi viene il voltastomaco! Allora parlo male di loro con le mie amiche e forse sotto sotto provo una certa soddisfazione.”

- “Ah, no, signora, questo è peccato! Lei è una pettegola! Si faccia un esame di coscienza e cerchi di non farlo più, perché dovrebbe riuscire a restare distaccata dinanzi all' atteggiamento di certe persone, soprattutto se nemmeno le conosce!”

- “Come? Non le conosco? Abitano nel mio paese!”

- “Intendo che le conosce di vista, non le conosce a fondo e poi non le riguarda nemmeno! Si faccia gli affari suoi! Il problema è loro!”

- “Allora mi sta dicendo di non uscire più di casa per non peccare?”

- “Ma cosa sta dicendo signora? Certo che può uscire, ma dovrebbe ignorare le persone che non le stanno a genio, magari sopportarle di buon animo.”

- “Io non riesco, è più forte di me!!!

Allora facciamo così, don Filippo, verrò da lei ogni mese a confessare questo peccato, perché mi conosco troppo bene! Anche brevemente per non farle perdere tempo. Dirò “idem” cioè lo stesso”.

- “Faccia come crede, però le do un suggerimento, cerchi di memorizzare l'undicesimo comandamento: non esiste, ma Dio lo approverebbe molto volentieri: “Fatti i fatti tuoi”.

Riprende: “Se la sua natura è questa (pettegola) almeno si impegni per cambiare!”

- “Ma don Filippo, che ho colpa ho io se Dio mi ha creata in questo modo? Di chi è la colpa della natura o di Dio? E se la colpa fosse della natura che mi ha fatto nascere con questo difetto, allora dovrebbe essere rivisto il concetto di peccato? Chi è il responsabile, Dio che mi ha fatto nascere con questa natura, o il caso?”

- “Signora, Dio non ha nessuna colpa!”

- “Ma non è Lui che mi ha creata?”

- “Certo che è Lui che l' ha creata, ma non sono in grado di risponderle! Le faccia direttamente a Dio queste domande! Si assuma piuttosto le proprie responsabilità!”

- “Forse lei non ha capito bene: se è questa la mia natura, perché mi conosco fino in fondo, che colpa ho io se sono pettegola?”

- “Ma lei ha il libero arbitrio signora e quindi può decidere anche di evitare gli errori!”

- “Potremmo parlare all'infinito don Filippo, perché sto cercando di spiegarle che non si tratta di errori, ma semplicemente di un atteggiamento che è legato al mio modo di essere!”

- “Sa cosa le dico signora? Vada a fare queste domande direttamente a Dio, non a me, dato che non sono in grado di risponderle!”

IL SANTONE E L’INVESTIGATORE PRIVATO

Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

Silvana, quarantenne, era alla continua ricerca spirituale. Affascinata dalla filosofia orientale, pensò di coltivare una sua passione: lo yoga. Si iscrisse quindi ad una nota scuola di yoga (pubblicizzata su internet). Nello stesso tempo era assillata da un cruccio: non era riuscita ad avere figli, dopo otto anni di matrimonio, ma non aveva perso ancora la speranza.

La prima volta che conobbe la scuola, ne rimase colpita positivamente. Gli allievi sembravano distinti, persone tranquille e l’ambiente era molto rassicurante: profumo di incenso, musica rilassante, eleganti cuscini e arredamento molto elegante. L’insegnante, di bella presenza, con aria aristocratica, ci sapeva fare, non solo a trasmettere la disciplina …. !

Silvana col tempo aveva fatto progressi, anche se nello stesso tempo notava che qualcosa non quadrava. Si rendeva conto che quella non era soltanto una scuola, ma una vera e propria setta, celata. Ma cosa è in realtà una setta? La setta è costituita da un gruppo di persone che dopo aver subito una sorta di lavaggio del cervello (plagio) pilotate da una persona apparentemente innocua, si trovano senza volerlo irretite in questo gruppo a circuito chiuso (piccolo o esteso che sia). Successivamente per chi riesce a tornare in sé, è sempre più difficile liberarsene.

La setta può essere di carattere religioso, ideologico o filosofico e la finalità è quella di rendere l’essere umano incapace di pensare liberamente, ma pilotare il suo pensiero verso una direzione mirata. In poche parole, gli adepti sono da paragonarsi a delle pedine che devono fare il gioco di qualcuno che sta in alto o qualcuno che è nascosto dietro le quinte della piramide sociale, ma che strumentalizza i suoi “burattini”, molte volte all’insegna di un’alta ideologia o elevati livelli spirituali.

Dietro questo tipo di congregazioni, o piccole sette, come nel caso specifico, il fautore di solito è un astuto marpione, che più delle volte attinge alle Scritture, o alla religione in cui crede, o quella che reputa più conveniente, per raggiungere i suoi principali scopi: fama e potere. Tanta più credibilità gli danno gli adepti, tanto più importanza egli acquisisce.

Le persone che si lasciano intrappolare nelle diverse e più svariate sette sono le più fragili o le più insicure. Spesso non posseggono una spiccata personalità, sono in buona fede (se si tratta di sette apparentemente innocue) soffrono di solitudine e il fatto di identificarsi in un gruppo, soprattutto in cui esiste lo stesso pensiero di base, fa sentire l’individuo più forte e più sicuro, addirittura più amato. Poiché ognuno si sente migliore di chi non rientra nel proprio ambito, l’adepto guarda con diffidenza chi appartiene ad un’altra setta. In poche parole, si innescano meccanismi di presunzione perché gli adepti commettono un errore madornale: credono che il resto del mondo sia nell’oscurità e che soltanto loro posseggano la verità. I più arroganti pretendono di voler convertire gli altri.

Non c’è di peggio se qualcuno della setta ha l’illuminazione di riuscire a vedere senza il velo dell' illusione e, consapevole dell’inganno, decide di abbandonare definitivamente la setta, perché il “pentito” viene considerato un traditore. Torniamo al caso specifico di Silvana, cercherò di riportare la sua incredibile storia attraverso le sue stesse parole:

“La scuola di yoga non si limitava a trasmettere le tecniche. La maestra sembrava una persona misteriosa, ambigua, tentava di infiltrare delle strane idee indirizzando noi allievi verso una direzione: la conoscenza diretta di uno strano personaggio, denominato il Santone. Sicuramente tutti e due erano “il gatto e la volpe” della situazione.

La maestra era considerata dagli allievi la seguace più vicina alla figura del Santone, rispetto agli adepti che già lo conoscevano. Il pensiero che pian piano la maestra era riuscita ad iniettare negli allievi (adepti) era la venerazione e l’amore verso il Santone.

Questo era considerato il successore di un mistico indiano, la cui missione era di portare i suoi devoti verso “l’illuminazione”. Alla fine della lezione, lei ci suggestionava con le meravigliose storie che ci raccontava, basate sulle guarigioni e miracoli attribuite al Santone. Nello stesso tempo ci raccomandava di non parlare con nessuno di queste cose straordinarie al di là del nostro gruppo, dato che non saremmo stati mai capiti. Diceva inoltre:

“È come buttare le perle ai porci!” Un'altra frase ricorrente: “È lui il vero maestro, noi dovremmo cercare di diventare come lui e soltanto attraverso la via dello yoga, possiamo arrivare a questo alto traguardo. Se non seguiamo questa via, siamo costretti ad essere soggetti alla legge della reincarnazione per poter elevarci spiritualmente. Lo yoga abbrevia il nostro cammino vero la realizzazione, il Santone per tutti noi è un modello reale, una grazia che Dio ci ha dato”. Più ci raccomandava massima prudenza, più le sparava proprio grosse!

Gli allievi si sentivano fortunati e graziati se avevano avuto la possibilità di conoscere personalmente il Santone (che viveva nella periferia della stessa città). Un giorno decisi di recarmi da lui, anche se mi sentivo combattuta, perché la faccenda non mi convinceva e la maestra mi era sempre meno simpatica.

Mi dicevo: Sarò io scettica!? E se fosse un vero Santone? Come mai ha tutti questi seguaci? Voglio tentare l’ultima possibilità, vorrei chiedere preghiere speciali per poter avere il dono della maternità. Tanto cosa mi costa? E poi ho voglia di capire, di vedere con i miei occhi.

Così, dopo aver preso l'appuntamento, mi presentai dinanzi alla sua abitazione: una villa da sogno attorniata da alti alberi e da una grande piscina decorata con mosaici.

Entrai nella sala di attesa in cui una decina di persone aspettavano di essere ricevute, alcune erano gravemente ammalate. A regolare gli appuntamenti dei “pazienti” era una bella donna appariscente, che stava di fronte, dietro ad un tavolo, spiccava per la sua eleganza, sembrava sudamericana; due bambini dalla carnagione scura si rincorrevano, girandole intorno. La donna di tanto in tanto li riprendeva: “Fate piano! Vostro padre sta lavorando!” Pensai: “Sarà la moglie”.

Man mano vedevo uscire dalla stanza del Santone le persone, per lo più donne e la cosa che mi colpì maggiormente fu che erano ricevute singolarmente. Perché non entravano in compagnia? Notavo inoltre che i devoti uscivano dalla stanza del Santone emozionate, a volte con le lacrime agli occhi e prima di salutare la moglie che fungeva da segretaria, le lasciavano dei soldi. La donna era molto calorosa con quelli più generosi, mentre salutava freddamente chi se ne andava senza lasciare offerte.

Fremevo di conoscere il Santone e mi dissi: “Che aspetto avrà?”

Nello stesso tempo, guardandomi intorno, mi lasciò perplessa lo sfarzo esagerato che incombeva e quasi stonava in quella casa e mi venivano in mente le parole della maestra di yoga, la stessa che lo pubblicizzava e lo elogiava: “Sappiate che il nostro amato Santone è ad un livello spirituale elevatissimo, è già un essere illuminato, dato che è distaccato dalla materia”.

Alla faccia del distacco!!! E se non fosse illuminato in quale luogo vivrebbe?

Mi veniva in mente un'altra sua frase: “Il Santone accoglie tutti, anche i più poveri e prega per tutti, gratuitamente”.

Osservavo il look delle persone in coda, erano messe tutte molto bene e non ne vedevo una dimessa!

Dopo un po' mi venne in mente proprio l'ultimo appellativo che avevo sentito tra gli allievi della scuola di yoga che ormai da un anno frequentavo:

“Il Santone è onnisciente!”

Beh, questa era davvero grossa!!! Ci volevano far credere che il Santone fosse Dio in terra!

Finalmente arrivò il momento di essere ricevuta, la moglie mi invitò ad entrare nella stanza. Il mio stato d'animo era combattuto. Da un canto volevo tentare l'ultima carta, cioè chiedere la grazia di poter diventare madre, dall'altro ci andavo per pura curiosità e piuttosto scettica.

Mi trovai davanti un uomo sui sessanta anni, capelli lunghi e barba bianca, uno spiccato sorriso e sguardo penetrante e intelligente. Gli esposi subito il mio problema, mi rassicurò e mi disse con convinzione che presto avrei avuto un figlio, bello e forte. Mi disse:

“Abbi fede. Tu credi in me? Quanto sono importante io per te? Ti aspetto tra un mese”.

L'impressione è stata positiva, anche se tutto sommato non riuscivo a vederlo come un vero Santone, lo vedevo come una persona normalissima. Tuttavia volli incontrarlo di nuovo il mese successivo, ma questa volta cercai di mostrarmi con lui molto più aperta, il mio intento adesso era di farlo sbilanciare un po', in modo tale da poter riuscire a capire chi si nascondeva in verità dietro quella persona.

Simulai la parte di una vera devota e gli dissi: “So che tu sei una persona di Dio e sarò per sempre la tua discepola”.

Egli salì al settimo cielo, i suoi occhi sprizzavano gioia, sentendosi gratificato nella sua mania di grandezza. Si avvicinò a me e mi disse: “Silvana, ti faccio una confidenza che però non dirai a nessuno, perché tanto non ti crederanno!”

“Stai tranquillo!” Risposi.

Riprese: “Io sono la reincarnazione di un mistico indiano, del grande ….....…………. , morto nel 19.. Mi credi?”

Risposi: “Certo, non ho ombra di dubbio!”

Non ho mai creduto alla reincarnazione, nè tanto meno ad una corbelleria simile!

Ho recitato però molto bene la mia parte.

Ormai mi era tutto chiaro, avevo deciso di allontanarmi innanzitutto dalla scuola di yoga.

Il mio buon senso mi aveva fatto aprire gli occhi una volta per tutte.

Il Santone era il fondatore della setta, cercava di fare iscrivere alla scuola di yoga tutti quelli che lo andavano ad incontrare, prometteva mari e monti a chi chiedeva preghiere o esprimeva qualche desiderio. Se il problema si risolveva, voleva far credere che fosse per merito suo, viceversa, non era volontà di Dio. Costui doveva stare sempre a galla e non poteva sbagliare! (io non ho mai avuto figli). Lo sbaglio madornale però era che illudeva la gente.

A lui interessava solo guadagnare soldi, grazie alle offerte che la moglie intascava e inoltre si compiaceva di gloria e di potere!

La maestra di yoga ovviamente era complice perché ricambiava il favore al Santone, lui pubblicizzava la sua scuola e lei pubblicizzava la sua persona come personificazione divina. Si era innescato questo meccanismo perverso. Erano “il gatto e la volpe” che tenevano in piedi questo grande imbroglio.

Il Santone era un truffaldino impostore che speculava sulla sofferenza altrui giocando sull' ingenuità smisurata di tanti. Usava le sue armi: il carisma della suggestione, loquacità, una certa preparazione culturale in campo spirituale e capacità (diabolica) di raggirare i suoi discorsi. Non a caso non riceveva mai in coppia, per non avere eventuali testimoni.

Chissà quante altre frottole raccontava a tutti quelli che andavano da lui!

E poi il contesto che avevo conosciuto strideva con gli insegnamenti del Vangelo o di Dio: Dio e mammona non vanno mai a braccetto. La scuola era frequentata dall' elite e la casa del Santone altrettanto.

Ecco la conclusione: guarda caso, mio marito ha un cugino investigatore privato, decisi di andare più a fondo. Cercai di coinvolgerlo per avere delle informazioni più precise.

E così la verità venne alla luce: l'impostore aveva subìto tante denunce ed era nato due anni prima che morisse il noto mistico indiano, di cui affermava di essere la reincarnazione. Ecco perché quando gli avevo chiesto di mostrami la carta d'identità, non me la mostrò! Se ne uscì con la frase: “Come puoi dubitare del tuo Maestro?”

Dopo aver elaborato l'incredibile esperienza, decisi di non frequentare mai più la scuola di yoga e di inviare una pesante lettera al Santone, esprimendo con massima disinvoltura la mia opinione e soprattutto che avevo scoperto il suo gioco. Mettevo in evidenza inoltre l'anno della sua data di nascita che non corrispondeva alla data che lui dichiarava.

Lo mettevo in un certo senso in ridicolo per il semplice fatto che nella scuola di yoga si era sparsa la voce della sua onniscienza ed io esprimevo tutta la mia ilarità, nonostante lo squallore di tutta questa madornale bufala. Da non credere!!! Dopo diversi giorni mi arriva una raccomandata. Si trattava di una lettera del suo avvocato che comunicava che il suo assistito aveva tutti i requisiti per farmi querela.

Scoppiai in una fragorosa risata, anche se un po' di rabbia non poteva mancare.

Risposi senza esitare alla lettera assurda e ridicola: “Se dubitare o meglio negare l'onniscienza di un essere umano, in questo caso del suo assistito, comporta una trasgressione alla legge, allora, proceda pure! Basta solo dimostrarlo!”

Logicamente non mi arrivò nessun'altra lettera, perché sia il Santone che il suo avvocato avevano fatto una pessima figura. Avranno la testa a posto?”

DALL’ ESORCISTA PER SBAGLIO

Un giovane uomo, Claudio, decise di recarsi da un esorcista perché lo affliggeva un pensiero che era quasi una certezza: avrebbe subito un malocchio o una fattura, a causa di tante vicissitudini negative.

Arrivato in parrocchia, l’esorcista stava già esorcizzando un paziente, per cui l’uomo si mette seduto in una stanza attigua con alcune persone che facevano la fila. A suo fianco era sdraiata un una donna di mezza età, che si dimenava (una paziente da esorcizzare) quando all’improvviso questa gli mollò un pugno con una forza brutale.

A quel punto fu inevitabile non reagire: le restituì il colpo.

Quando arrivò finalmente il momento di presentarsi all’esorcista, questo dopo averlo guardato gli disse sorridendo che lui non era da esorcizzare; doveva piuttosto tornarsene a casa tranquillo.

Conclusione: Claudio dovette incassare le botte procurate da una persona “posseduta”. Però qualcosa di positivo dovette mettere in conto: sapere che si era sbagliato sulla “fattura” e quindi avrebbe dovuto attendere solo la buona sorte.

MALEDUCATI NON SI NASCE

Un ragazzino di 10 anni correva con la bici cercando di infastidire un turista piuttosto anziano che si trovava seduto ad un tavolo di un bar di un paese rinomato della Sicilia. Dava sul corso principale di una zona turistica.

Il ragazzino cercava imperterrito di provocare l’uomo per farlo indisporre. Chissà perché lo avesse preso di mira! Forse per il suo look un po’ bizzarro e per scarpe argentate che indossava, forse per il suo aspetto burbero?

L’uomo gli diceva di smetterla perché già stava perdendo la pazienza, ma lui sembrava recidivo, continuava a passargli attorno con la bici per provocarlo. Il turista perde la pazienza, si alza di scatto e si mette ad inveire contro di lui:

“Vattene!!! Te ne devi andare!!! Hai capito? Lasciami in pace!”

Il ragazzino però non solo rimane indifferente alla sua escandescenza, ma gli fa pure le boccacce!

Intanto la gente guarda indignata la scena. Il turista si accalora sempre di più, si toglie il cappello e glielo dà in testa, ma non gli fa male, è solo per dargli un segnale.

Il ragazzino se ne va, ma dopo dieci minuti arriva la madre, una bella donna prosperosa, era inviperita! Rivolgendosi all’uomo, voleva conto e ragione perché il figlio le aveva riferito che un turista con le scarpe argentate lo aveva picchiato. Evidentemente l’uomo lo negò e cercò di raccontare l’episodio. La signora non prese per buona la sua versione e continuava ad urlare contro di lui. L’uomo a questo punto si infuriò di più. Sembrava una scena da film quando il cameriere teneva stretta la donna cingendole il seno, in modo da non farla avvicinare all’uomo infuriato e ingiustamente accusato e intanto il cameriere se ne approfittava.

Qualcuno pensò che stessero girando una scena per un film, dato che lì vicino, guarda caso, c’erano gli attrezzi televisivi per girare le prove per qualche programma televisivo.

Il turista cercava di interpellare i presenti affinché testimoniassero il fatto e un ragazzo si fece avanti dicendo che in realtà il bambino non era stato picchiato, ma fu inutile, infatti la donna agguerrita continuava ad offendere l’uomo che gli rispondeva a tono. Lui perse l’autocontrollo e le disse:

“Sa cosa le dico? Se suo figlio che non ha ricevuto l’educazione da lei, continua a disturbarmi, prima o poi lo butto dalla terrazza del belvedere!”

Questa frase pesante non fece altro che peggiorare la situazione. La donna se ne andò ancora gridando, mentre lui continuava a sbraitare e passarono circa dieci minuti quando si presentò il marito infuriato che quasi voleva mettergli le mani addosso. Erano entrambi furibondi, perché anche questo non credeva alla versione del turista. Dovettero intervenire fisicamente due camerieri che fermarono il padre del ragazzino (bugiardo). Ma si può arrivare a tanto? A volte da una scintilla può nascere un incendio.

Il bambino innanzitutto avrebbe potuto evitare di comportarsi in modo così irrispettoso e provocatorio, soprattutto nei confronti di adulti. Il secondo errore (più grave) è stata la bugia che lui stesso ha raccontato.

I genitori hanno sbagliato perché non hanno ascoltato la versione del turista accusato e nemmeno hanno ascoltato le testimonianze della gente presente.

Infine anche il turista ha commesso un errore per aver pronunciato quella pesante frase che ha peggiorato tutto.

E infine credo che a parte l’impulsività e la rozzezza del turista (esasperato) si denota inevitabilmente la maleducazione dei genitori e del figlio che ha provocato il putiferio.

“PARLO SOLO IO”

Esiste nelle persone la capacità di saper parlare e ascoltare gli altri, ma non tutti adottano questa modalità.

Credo che ognuno di noi arricchisca il proprio spirito e bagaglio culturale ascoltando l’altro, imparando dalle storie raccontate e soprattutto conoscere la psicologia umana.

Un po’ per il lavoro, un po’ per la mia attitudine, sono una persona disponibile all’ascolto e per questo motivo in tanti casi, mi riscopro, senza volerlo, psicologa, perché molti vengono a sfogarsi con me, raccontandomi mille particolari della loro vita: dai più importanti ai più insignificanti. La cosa mi gratifica perché assieme all’ascolto, posso anche interagire con giudizi o consigli, se richiesti, perché tendenzialmente mi piace dare importanza agli altri.

Ma non è esattamente questo l’argomento che vorrei affrontare, o meglio, cercherò di mettere in evidenza un altro aspetto del problema: considerando non tanto chi parla e ascolta, ma chi pretende solo di parlare senza ascoltare.

Ahimè!!! Ho avuto modo di conoscere questa particolare categoria di persone.

Col passar del tempo, ho verificato che parecchie presentano un grosso limite: quando ti incontrano, o ti telefonano, parlano, parlano, parlano, in modo irrefrenabile, così incalzante e senza soste, da non lasciarti il minimo spazio per pronunziare anche una sola sillaba! Sono come delle macchinette caricate, che fin quando non esauriscono la carica, non si fermano neanche un attimo, nemmeno per prendere fiato, o per fare un colpo di tosse, sembra quasi che non prendano neanche fiato, perché non interrompono mai il discorso e o i vari argomenti che cuciono l’uno all’altro senza sosta.

Tu non puoi assolutamente interagire con loro, perché, guarda caso, appena apri bocca, interrompono il tuo discorso, aprendone un altro, fregandosene di quello che tu stavi per dire, o addirittura accalorandosi se per caso gli fai qualche considerazione spassionata.

Ebbene, con tutta la pazienza e la capacità di ascolto che si possa avere, quando vedi che la lancetta dell’orologio è andata molto avanti, e il tuo interlocutore continua imperterrito nelle sue chiacchiere “prioritarie”, appassionandosi sempre più, e tu fremi per l’insofferenza, avresti voglia di gridare: “Devo scappare in bagno!” Ma non lo fai per paura di essere scortese o mancare di tatto.

Lui (o lei) ancora continua a parlare, ha voglia di sviscerare proprio tutto, manifestare il suo sentire, il suo sapere, i suoi fatti. Tutto ti dice, magari quanti peli ha il suo gatto.

Non ti rimane altro che un solo pensiero: “Che stress! Non ce la faccio più! Quando terminerà? Se dovessi incontrarlo un’altra volta, gli darò un saluto e scapperò via! Ho già mal di testa”.

Nel corso della mia vita, ho avuto modo di conoscere parecchie persone con questa caratteristica negativa e credo che alla fine queste saranno sempre mal sopportate o evitate dagli altri, perché mancano di delicatezza e di autocontrollo, per il semplice fatto che sono come dei bambini mai cresciuti; hanno bisogno di sentirsi sempre al centro.

Non tutti comprendono che per quanto possa essere interessante essere loquaci, bisognerebbe fermarsi un momento prima che l’altro cominci già a stancarsi.

Quando si dialoga con una persona che non conosce limite, si ha la sensazione di perdere tutta la propria energia.

Queste persone agiscono così senza accorgersene, o lo fanno per essere cordiali a modo loro, ma più spesso queste persone hanno la presunzione che tu debba soltanto imparare da loro, si atteggiano a “maestri” e soprattutto non riescono ad avere considerazione per gli altri, come se si ponessero su un piedistallo di importanza e di priorità.

Ma ogni cosa ha un limite, persino la pazienza!

TERZA PARTE

RACCONTI UMORISTICI E FANTASIOSI

GESÙ E LAZZARO

Lazzaro dopo essere stato risuscitato da Gesù, gli dice:

“Gesù, non saprò mai come disobbligarmi con te per quello che hai fatto! Dammi almeno la gioia di farti un piccolo omaggio: desidero offrirti una cena al ristorante!”

Gesù: “Va bene, se è per accontentarti, accetterò. Preferisco però che prima tu vada a casa a rinfrescarti, farti una bella doccia, così dopo ti sentirai rinato, perché sarà almeno da tre giorni che non ti lavi! Non è vero? Inoltre … preferisco andare in un posto molto tranquillo, possibilmente poco frequentato, altrimenti se vengo riconosciuto … apriti Cielo!!! In questo periodo devo dire che sono molto stanco.

Lazzaro: “Certamente, la doccia sarà una santa cosa! Per il locale come vuoi tu, anzi ti dirò che anch’io lo preferisco. Ti porterò in un localino che è la fine del Mondo, un angolo di Paradiso, si mangia da Dio! In questo ristorante inoltre non circola anima viva e c’è veramente una pace degli angeli! Devo confidarti che i due ristoratori vicini non mi stanno per niente simpatici, perché sono due ladroni.

Gesù: “Approvo, i luoghi tranquilli sono la mia passione”.

Dopo essere passati da casa di Lazzaro, entrambi si recano presso un piccolo ristorante in cima alla collina.

Una volta accomodatisi, il cameriere rivolgendosi a Gesù chiede: “Il signore desidera?”

Gesù (quasi infastidito) rivolgendosi a Lazzaro, sottovoce: “Cominciamo bene! Vuoi vedere che questo mi ha già riconosciuto?”

Gesù chiede al cameriere: “Vorrei un risorto.”

Il cameriere lo corregge: “Forse voleva dire risotto?!”

Gesù: “Ah sì mi scusi, è colpa della stanchezza!” Lazzaro: “Sarà davvero buono?”

Cameriere: “Buono? Ottimo! Tutto quello che prepariamo noi fa resuscitare i morti!”

Il cameriere continua: “E da bere cosa preferite?”

Gesù: “Un po’ di…vino, grazie”.

Cameriere: “Oh Gesù, che peccato! Mi dispiace davvero, ma lo abbiamo finito ieri! Signori, non posso proprio accontentarvi!”

Interviene Lazzaro: “Non avete più vino, ma che diavolo di storia è questa?”

Il cameriere rivolgendosi ai due clienti, ma guardando in particolare Gesù:

“Oh mio Dio! Ma come ve lo devo dire? Ma mi volete mettere proprio in croce? Il vino l’ ho finito nell’ultima cena di ieri sera e lo consegnano domani! Non è che adesso posso fare miracoli!”

Gesù a questo punto, sentendosi scoperto, con aria pacata e con un leggero sorriso, si alza in piedi e rivolgendosi al cameriere dice:

“Sono felice che tu mi abbia riconosciuto, figliuolo! Non c’è alcun problema per il vino, porta pure dell’acqua, me la vedo io!”

TESTIMONI DI GEOVA A NAPOLI

È Domenica mattina. Suona il citofono. Filomena va a rispondere. Immagina subito dal tono della voce di chi si possa trattare e non appena la voce dal cancello comincia a dire: “Buongiorno, signora, possiamo lasciarle un foglio nella cassetta postale? Si tratta della torre di …”

Lei interrompe al volo e dice: “Signurì, ch’ata ritt ? A torre di Babele?”

Dall’altro lato del citofono la donna puntualizza: “Siamo testimoni di Geova, lei lo sa che la fine del mondo si avvicina?”

Filomena: “Ohi Mamma ro Carmine! A fine ru munn, ma proprio rinta a casa mia l’avite a purtà, ie stong già n’ grazia di Dio, iatavenne! Ma sì, aggiu capito: site testimoni di Genova!”

La donna al citofono finge di non accorgersi della gaffe e insiste a parlare esprimendo il desiderio di avere un dialogo con lei “di persona”. Filomena: (decisa, ma con gentilezza) “Scusate se vi interrompo. Guardate ca chill ca fate vuie, già lo faccio pur ie e vaio a faticà tutti i santi giorni!” La signora al citofono: “Ma dite sul serio?”

Filomena: Sicuramente!!! E mica sto a pazzià! Non è uno scherzo! Tengo anche l’attestato!”

“Mi spieghi bene, non capisco!!! Cosa vuole dire?”

F: “Questo lavoro che faccio io, si chiama “convertitore universale”.

La signora, stupita: “Ma cosa sta dicendo, è mai possibile?!”

Filomena: “Assolutamente! Song abilitata a convertì chiunque a scelta per qualsiasi religione! Guadagno na provvigione di 40.00 euro a conversione, che mi viene pagata dalla congregazione religiosa che riceve il convertito. Io non sforzo nessuno; si può scegliere tra: cattolicesimo, protestantesimo, buddismo, Testimoni di Genova, ecc, ecc. Il mio lavoro va bene per i credenti e pure che per i miscredenti. Se per caso vuje avesseve voglia di cagnà religione, saglite, saglite n ‘coppa, trasite! Così mi risparmiate un’uscita!”

La donna, spiazzata: “Grazie, non c’è proprio bisogno! Buona Domenica!”

LA SCIMMIA UMANIZZATA

Un bel giorno, durante l'anno scolastico 2022, arrivò in classe (terza media) una scimmia travestita da alunna. Si trattava di uno scherzo di pessimo gusto da parte di una bizzarra coppia, che non potendo avere figli e avendo superato il limite di età per aver concessa l'adozione, avevano ripiegato su un animale. Il desiderio di avere un bambino, era molto forte, tanto da aver scelto quello per eccellenza più vicino all'essere umano: adottarono uno scimpanzé (femmina), Gasparina.

Appena avuta la scimmia, la coppia fece di tutto per camuffarne l'aspetto primitivo del primato, con abbigliamenti vivaci, che ne nascondessero la peluria e le caratteristiche animali.

Non tutto però si riusciva a camuffare bene, perché le braccia risultavano un po' sproporzionate, eccessivamente lunghe, ovviamente. Ma dopo tanti sforzi, nessuno si accorgeva più che cosa ci fosse dietro quell'accozzaglia di colore e si fidavano di quanto dichiarato dai presunti genitori.

Ebbene, queste strane persone decisero di iscrivere in terza media la loro scimmietta, nonostante fossero consapevoli della loro penuria di creatività e che lo scherzo sarebbe durato poco, perché chiunque, prima o poi, si sarebbe accorto della bufala. Avevano superato ogni limite!

Nello stesso tempo però, questa specie di ostentazione di farle frequentare la scuola, era legata al fatto che pensavano di doverle dare delle regole, poiché facevano fatica a gestirla in casa. Così un bel giorno arrivò in classe la nuova "alunna".

Piuttosto bassa di statura, carnagione scurissima, gambe arcuate, molto pelosa, abbigliamento sportivo e il capo coperto da uno stretto berretto di cotone bianco con un fiocco rosa in testa che le copriva orecchie e l’immaginaria capigliatura.

I docenti erano stati informati che sarebbe arrivata una nuova alunna e inoltre avrebbero dovuto evitare domande indiscrete, per non metterla in imbarazzo, soprattutto rispettare la sua scelta di indossare il berretto, perché si era sparsa la voce che Gasparina era affetta da una malattia che le aveva procurato delle lesioni sulla cute.

Logicamente, le era stata affiancata la figura di un insegnante di sostegno, dato che l'alunna era ipercinetica e con un’ ipotetica diagnosi di cui nessuno comprendeva il significato.

Da quel momento, però si verificarono una serie di avvenimenti che adesso mi cimento a raccontare. Gasparina era eccessivamente discola, tanto da non permettere di far fare lezione: non riusciva a stare seduta al posto suo, non parlava, sua "madre" sosteneva che a casa fosse una chiacchierona, mentre a scuola non spiccicava una sola parola, capace solo di emettere suoni animaleschi e a volte saltava da un banco all'altro, distogliendo ovviamente l'attenzione.

I compagni si divertivano da morire e ridevano in continuazione, perché la consideravano la mascotte della classe, ma ciò non giocava a favore del proficuo andamento scolastico.

Risultato: gli insegnanti non riuscivano a lavorare, perché dovevano richiamare in continuazione l'alunna e soprattutto sorvegliare che gli altri non si facessero male, dato che era pure manesca.

Lo studio non le interessava (ovviamente) ma nessuno aveva ancora capito il motivo reale: era una scimmia! A volte Gasparina era davvero ingestibile, a tal punto che il suo insegnante di sostegno spesso doveva scontrarsi con i colleghi, i quali avrebbero voluto che l’alunna non uscisse dall’aula, sia pure affidata alla sua sorveglianza.

Un tantino la situazione didattica - disciplinare della classe migliorò (anche se ancora i problemi non si risolvevano del tutto) quando si ricorse ad un educatore che doveva sopperire quando l'insegnante di sostegno non copriva le ore con Gasparina. Ma l'educatore era un originale, perché diceva parolacce e faceva gestacci quando qualcosa non gli andava a genio e si giustificava sostenendo che avrebbe dovuto adeguarsi all’alunna rozza.

Non rispettava le regole stabilite, permettendo a Gasparina di farla entrare in classe proprio durante l'ora di verifica. Un giorno ebbe il coraggio di dire: "Dovete avere un po' di pazienza! La vostra compagna è stufa di restare da sola, ha bisogno di compagnia!"

Dopo un diverbio acceso con il docente di Arte, interpellarono la dirigente, che decise di portarla in presidenza, ma Gasparina si scatenò più che mai, strappò un paio di documenti che si trovavano sul tavolo, fece delle grosse pernacchie prolungate, accompagnate da versacci.

La preside, inviperita, telefonò alla madre perché si recasse a scuola e conducesse immediatamente a casa quella peste di alunna; la madre si precipitò in presidenza e si scusò con la dirigente. Gasparina fu sospesa dalla scuola per tre giorni, ma al suo rientro nulla era cambiato: si presentarono gli stessi problemi.

Tutti erano stressati più che mai: insegnanti, segretario, bidelli, l'educatore e la cosa più incredibile fu che sebbene il consiglio straordinario dei docenti, avesse votato l' espulsione definitiva della terribile alunna che era stata capace di mettere la scuola in subbuglio, la preside non prese in considerazione questa decisione e restò irremovibile, dicendo che responsabili erano i docenti che non sapevano gestire l’alunna. Affermò inoltre che questa avrebbe avuto bisogno di affetto e di particolari attenzioni e se ne uscì con una frase: "Mi dispiace, questa è una scuola di notevole prestigio e non si può emarginare un' alunna soltanto perché è diversa dagli altri o ha qualche problema in più!”

La dirigente organizzava di continuo collegi straordinari per discutere il caso difficile, soltanto per dare l’impressione di volere fare qualcosa: imbastiva bei discorsi, ma restavano solo parole, mentre in realtà lasciava correre e non si faceva nulla di concreto.

La preoccupazione della dirigente, in verità, era quella di deludere le aspettative dei genitori, presuntuosi e arroganti, che sentendosi vittime volevano scaricare le loro difficoltà sui docenti.

Un bel giorno ci fu il colpo di scena: mentre i suoi compagni prendevano in giro Gasparina, per il suo aspetto e la fisionomia, il più sfacciato le disse:

"Vogliamo lo strip tease!!! Spogliati, Gasparina! Ti vogliamo vedere nuda!"

Gasparina non esitò a farlo e così si spogliò per fare un po' di spettacolo in più.

Si tolse tutti i vestiti e il berretto bianco, rimanendo in mutandine.

Adesso tutti potevano vedere che Gasparina era una scimmia!

I compagni e la prof di tecnologia che entrava in aula in quel momento rimasero sbigottiti, senza parole. Seguirono urla, risate e accorsero bidelli, preside, insegnanti, alunni di altre classi. Successe un vero pandemonio: c’era chi scappava terrorizzato, chi addirittura piangeva. Dopo un po’ arrivarono i carabinieri.

La notizia fu diffusa sui giornali e inevitabilmente il personale della scuola si giocò la reputazione, ma l’inconsueta coppia adottiva adesso doveva fare i conti con la giustizia.

Dopo tutto questo trambusto finalmente i “genitori” hanno capito. Hanno affittato una casa per le vacanze in una bella zona verde con alberi secolari. Gasparina adesso è libera di muoversi e di arrampicarsi sugli alberi, sfrenandosi in acrobazie. Al momento di tornare in città, i suddetti genitori hanno acconsentito ad una tacita richiesta della scimmietta: hanno sistemato per lei una casetta di legno sulla cima di un albero salutandola da giù con sventolii di fazzoletti e qualche lacrima.

Ora Gasparina sogna “il branco” e una vita normale secondo la sua natura. Il ricordo della scuola si allontana sempre più; però ricorda con gratitudine i suoi genitori adottivi, e dice fra sé: “Torneranno? Chissà!”

PRAZZITA CATANUTO

Intervistatrice: “Signore e signori, vi presento una delle più importanti maestre dell’occulto, famosa anche nei Paesi d’oltre oceano! All’età di soli cinque anni aveva già previsto lo sbarco dell’uomo sulla luna.

Signore e signori, ecco a voi: la nostra paragnosta Prazzita Catanuto!”

P: “Buona sera, buona sera a tutti. Mi scuso se non sono molto informata per il viaggio che ho dovuto affrontare, infatti sono appena rientrata da un Paese dove sono molto richiesta. Lì, le persone sono molto scaramantiche e si rivolgono sempre a me per farsi consigliare”.

I: “Può svelarci di quale luogo si tratta?”

P: “Come no! È facile! Lo dice la stessa parola: Paraguai!”

I: (Fa un’espressione di titubanza) “Acciderba!”

P: “Come dicevo, da questo viaggio sono rientrata letteralmente scremata”.

I: “Immagino voglia dire stremata!”

P: “E vabbè, vuol dire che non mi sono espremuta bene, mi sento sbattuta!”

Prazzita ha in mano un compasso e lo mostra al pubblico, mimando di tracciare delle circonferenze nell’aria, con la mano sinistra.

I: “Mi scusi, ma cosa sta facendo col compasso? Si tratta per caso di un rito esoterico?”

P: “Col mio gesto, sto dimostrando di essere una paragnosta a 370 gradi! Di settima generazione”.

I: “Vorrà dire forse 360 gradi? Come mai questi dieci gradi in più?”

P: “È semplice! Noi in Sicilia col caldo che fa, sempre 10 gradi in più abbiamo!”

L'intervistatrice fa una faccia allibita. I: “Ma andiamo avanti: ci racconti un po’ della sua vita. Ci illustri”.

P: “Il trapianto che ho subito lo avevo previsto con la mia sfera di plastica”.

I: “Ha detto di plastica? Ma non dovrebbe essere di vetro?”

P: “Di vetro? Una volta le mie sfere erano di vetro, anzi di cristallo! I miei nipoti me le rompevano sempre! Rompevano sempre le mie sfere! Per questo mi sono dovuta arrangiare!”

I: “Continui, continui pure …”

P: “All’età di 15 anni, appunto, mi hanno trapiantato un reno”.

I : “Vuole dire un rene?!”

P: “Si, mi sono confusa, volevo dire un rene”.

I: “Forse lei ha qualche lacuna? Lo dica con tutta sincerità!”

P: “No, non ho nessuna laguna”.

L’intervistatrice ha un’espressione perplessa.

I: “Va bene, sorvoliamo! Sorvoliamo!”

P: “No, non voliamo, non voliamo! Questo è troppo!!!”

I: “A quale partito politico appartiene?”

P: “Essendo mancina, appartengo alla sinistra”.

I: “Quando lei toglie il malocchio o le fatture, emette fatture?”

P: “Ma che sta dicendo! Io le levo le fatture! E basta!”

I: “Insomma, emette le fatture? Rilascia le ricevute?”

P: “Si, è ovvio! Le persone che ho ricevuto, poi le ho rilasciate sempre!!!”

I: “Allora lei , ci dica, lavora in nero?”

P: “Io? Non mi capitano quasi mai persone africane!”

I: “Vuole dare un consiglio, una parola di conforto a tutti i telespettatori che la stanno guardando?”

P: “Certo, il consiglio è questo: Carissimi amici, non vi dovete spaventare, anche se i tempi sono molto tristi e poco allegri, dovete sempre sperare: coraggio e ottimismo, perché basta pensare all’esistenza della sottoscritta: Prazzita Catanuto, che risolverà tutti i vostri problemi! Venite a me che vi sistemo io!!! Aggiungo: Ovviamente c’è un inter da seguire!”

I: “Ma cosa sta dicendo!!! Vuole dire un iter!”

P: “E cosa ho detto?”

I: “Lasciamo stare! Un’ultima domanda: La sua tariffa è modica o un po’ salata?”

P: “Intanto vorrei precisare: non sono di Modica ma sono siculo – americana e poi nelle porzioni magiche non ci metto mai il sale”.

P: “Allora concludo: rivolgetevi a Prazzita Catanuto. Risolverà tutti i vostri problemi in un minuto! Ho detto tutto. E basta!”

DUE PERSONE AL POSTO SBAGLIATO

Un giorno Candida, una signora sulla quarantina, decide di recarsi da una psicologa per tentare di far chiarezza sulle incomprensioni che col tempo si sono create tra lei e sua madre. Causa di ciò è il fratello che essendo rimasto a vivere con la madre, per sua scelta, ha fatto si che questa si legasse maggiormente a lui.

Facendo un po’ di anticamera, come solitamente avviene, la signora Candida pensa punto per punto a ciò che deve far presente alla dottoressa. È molto fiduciosa, crede che quella seduta debba essere come un toccasana e scacciare i pensieri che la assillano.

Il dialogo si svolge pressappoco così:

“Buongiorno, dottoressa. Posso esprimere il mio caso?”

- “Si accomodi signora. Anche a lei accadono delle brutte faccende? O ha sensi di colpa, disistima di se stessa, insonnia? Bocca amara? Ho quello che fa per lei. Innanzitutto ingoi questa caramellina lassativa. Non sa che benefici apporta. Come recita il detto latino:

“ Mens sana in corpore sano”.

- “Ma io non sono malata!”

- “ Oh, questi pazienti! Ne vogliono sapere più di me! E allora cosa è venuta a fare? Chiede un aiuto e poi lo rifiuta!? Sa che lei è un bel tipo?”

- “Sono venuta per esporle il mio caso”.

- “ Ma prima devo conoscerla. È sposata, lei, cara la mia povera signora?”

- “Veramente no”.

- “Meglio, meglio. Meno corna in giro. Ed è meno difficile curarla, perché i problemi di questo tipo (corna) sa, sono i più recidivi.

- “Ma cosa vuole insinuare? Che io avrei fatto le corna a mio marito?”

- “Non si sa mai, non si sa mai. Ma pensavo piuttosto che suo marito le avrebbe fatte a lei, è perciò è meglio che siate tutti e due liberi, lei e suo marito”.

- “Marito? Crede che siamo divorziati?”

- “Futuro marito, volevo dire. Mi scusi, Le mie pazienti mi parlano sempre di mariti, ossessionano anche me. Dunque? Lei è sola? Non ha neanche il cane?

- “Neanche un cane”.

- “Allora soffre la solitudine o di un complesso di bruttezza?”

- “Non direi. Mi faccia ricordare”.

- “Davvero? Che le succede, cara la mia povera signora? I monelli le danno la baia? Per strada i cani la mordono?”

La signora Candida è avvilita, tenta di indirizzare la psicologa verso il punto, cioè verso la questione che vuole sviscerare. Appena accenna all’argomento, la psicologa esplode:

- “Lei non è la sprovveduta che sembra! Lei è una furbacchiona e una vipera! È anche in malafede! Come si permette di venire a sparlare della sua famiglia? Vorrebbe più di quanto ha avuto finora?”

- “Mi ascolti” dice la signora Candida quasi supplichevole. “Lei non ha capito. Io non voglio niente. Non sopporto che mio fratello si compianga dicendo che i soldi non gli bastano mai… Certo, perché li sperpera ai tavoli da gioco! E che mia madre lo assecondi in tutto!”

- “Zitta!” inveisce la psicologa. “Non faccia la vittima e soprattutto non mi racconti frottole! E poi non ha ancora capito che a me dei suoi problemi familiari non me ne frega niente? Se è venuta qui per raccontarmi problemi di questo tipo, si è sbagliata di grosso! Vada subito via! Mi parli di tutto, tranne che di queste cose. Io già ne ho abbastanza di guai, ho già i miei problemi in famiglia che sono più gravi di quelli suoi, quindi se ne vada! Devo sentire pure quelli di gente estranea! Ha capito? Se ne vada!”

- “È prevenuta! Lei è prevenuta contro di me! Mi fa cadere le braccia!” esclama la paziente. “Glielo giuro! Io sono venuta qui per avere qualche consiglio che possa illuminarmi…”

- “ Non giuri! È una spergiura!”

La psicologa si tappa le orecchie perché non vuole darle nemmeno la soddisfazione di ascoltarla.

Candida continua a parlare, malgrado l’altra continui a tapparsi le orecchie e questa volta è adirata e anche offensiva:

- “Lei è una linguacciuta … e certo schizofrenica. Vuole curare gli altri? Ma se non sa quello che dice! Quando parla non collega le parole al cervello … sì, sì, scantona e questa volta ha scantonato forte!”

La psicologa, ancora insistendo sul suo discorso: “Cosa vuole che me ne importi dei fatti suoi? Adesso mi paghi e vada via subito. Ho già mal di testa!”

- “Come! La devo pure pagare? Dopo essere stata umiliata e offesa? Io piuttosto la denuncio, la denuncio!”

Candida uscendo da quello studio, ha l’impressione di uscire da un incubo, le giungono lontane le grida concitate della strana psicologa che sicuramente ha bisogno lei di qualche seduta, non dalla psicologa, ma dalla psichiatra.

DUE PERSONE STOLIDE A TELEFONO

Un uomo al telefono:

- “ Casa Vaccaro?”

- “ No, casa Vacca.”

- “ Porca Vacca!”

- “ C’è bisogno di offendere la mia famiglia?”

- “Porco cane! Non volevo offenderla! È un modo di dire!”

- “ E adesso se la prende pure col mio cane?”

- “ Ma cosa sta dicendo, signora! Che ne so io se lei ha una un cane e poi non mi permetterei mai di giudicarlo! Mamma mia, come è suscettibile! Se nemmeno la conosco!”

- “Beh, adesso mi conosce. Sono suscettibile perché ho una causa a causa di un coinquilino del primo piano, che ha un cane maleducato (a differenza del mio che è molto scrupoloso): si figuri, fa i bisognini sul mio terrazzino tutte le mattine e quando mi sono accorta che quelli feci provenivano dal suo cane, gli ho manifestato il mio dissenso, ma il signore si è discolpato!”

- “Sta scherzando signora?”

- “No, no, dico sul serio!!! Sa come si è giustificato? Ha detto che il suo cane che era stitico, da quando ha deciso di fare i suoi bisogni sul mio terrazzino, ha superato la stitichezza! Del resto lo difende perché dice che la sua bestiola non lo fa per farmi un dispetto o con premeditazione e non ha la malizia delle persone. Gli animali sono istintivi, quindi è giusto lasciarli liberi!”

- “Porco cane! Ma stiamo dando i numeri? Quest’uomo è a posto con la testa?”

- “Mi scusi, ma io direi piuttosto: Porco padrone! Il fatto è che mi ha preso in antipatia e mi vorrebbe far credere che il suo cane abbia scambiato il mio terrazzino per un luogo di decenza! La realtà è ben diversa: è stato il suo padrone ad abituarlo in questo modo, non ci sono altre motivazioni! Gli ha suggerito di scavalcare il recinto della mia proprietà, ci scommetto”.

- “Ma lei dovrebbe piuttosto denunziare il cane del suo coinquilino, dato che è lui il responsabile!”

- “Sta scherzando? Il cane è sempre un cane e il padrone fa le sue veci!”

- “Come ? Le sue feci? Non ha detto che è il cane che fa le feci?”

- “Basta, ho già perso la pazienza! Le dico solo una cosa e chiudo: il coinquilino in causa è davvero un cane!”

- “Ma allora vede che ho capito bene? Lei ha fatto causa al cane, non al padrone!”

LA GIOVENTU’ SOGNATA In questo racconto mi sono ispirata a dei personaggi reali di in un paese della Sicilia.

I dialoghi sono del tutto inventati, anche se probabilmente ho preso spunto dalla realtà, dopo avere ascoltato con molta attenzione le conversazioni e osservato l’atteggiamento di alcune donne.

Profilo dei personaggi:

Madre: età intorno a 80 anni. Una grande velleità dimostrare una giovinezza da molti anni sfiorita con l’abbigliamento e l’atteggiamento mentale.

Lucrezia (figlia): età approssimativa 45 anni, personalità molto simile alla madre.

Aspetto appariscente, alta considerazione di sé e della propria bellezza.

Dialogo tra madre e figlia:

Lucrezia: “Mamma, lo sai che ti do una bella notizia? Mi hanno detto che il “principe azzurro attempato” (ormai molto conosciuto da tutti) terrà una festa e stanno cercando belle ragazze!”

Mamma. “Daveru? Ma u sai ca mi parrava u cori? (davvero? Ma lo sai che avevo un presentimento?)

Lucrezia: “Ma dài, mamma, fai pure l’indovina?”

Mamma: “Lucrè, chistu era il mio più grandi disidderiu! Ci annamu tutti dui insemmula?” (Lucrezia, questo era il mio più grande desiderio! Ci andiamo tutte e due assieme?)

Lucrezia: “Mamma! Ti vuoi mettere a scherzare? A queste feste ci vogliono donne giovani!”

Mamma: “ E picchì, iu chi sugnu?! A massimo a massimo dimostro 45 anni!” (E perché ? Io chi sono? Al massimo dimostro 45 anni!)

Lucrezia. “Dài mamma, lo so che cerchi di far credere di essere ancora giovane, ma non è il caso, credimi, che tu venga!”

Mamma: (mordendosi le labbra e percuotendosi con una patacca sulla coscia). “Oh, mannaggia, allura non era una bella notizia pi’ mia! Ma forse pi tia si! Iu sugnu appena passata d’età, ma tu ca si na carusedda approfittani!” (Oh, mannaggia, allora non era una bella notizia per me! Ma forse per te si!

Io sono appena passata d' età, ma tu che sei ancora ragazzina approfittane!)

Lucrezia: “A proposito, io quanti anni devo dichiarare?”

Mamma: “Lucrè, dicci 28!” (Lucrezia, rispondi 28!)

Lucrezia: “ No, mamma, 28 mi sembrano pochi, dico 30?”

Mamma: “Mah, bonu macari, bonu macari! Ma si guadagnanu piccioli?” (Mah, va bene lo stesso! Ma si guadagnano soldi?)

Lucrezia: “Che so, forse qualche regalo, dipende!”

Mamma: “Ma qualche 2 – 3 mila euro ti dunanu?” (te li danno?)

Lucrezia: “Ascolta, io te lo dico, ma non è che dopo lo viene a sapere tutto il paese? Deve essere un segreto tra noi due! Mi hanno offerto 4.000 euro!”

Mamma: “Che fortuna!!! Non ti puoi immaginare quante ragazze vorrebbero essere al posto tuo! E ci pensi ancora? Accetta! Accetta subito! Si tratta del principe azzurro! (anche se ormai è vecchio, in fondo è tutto rifatto nuovo!) e poi 4.000 € non sono da buttare! Accontentalu in tuttu e pi tuttu! (Accontentalo in tutto).

Chi fortuna! Chi fortuna! Tu sei l’orgoglioso del paese! Chi figghia fortunata ca aiu!!! Bedda, giovane e invidiata!” (Che figlia fortunata che ho!!! Bella, giovane e invidiata!)

DISGUIDO A TELEFONO

Una donna decide di telefonare al suo amante per invitarlo a casa sua.

Elisa: “Ciao Riccardo, pensavo di invitarti stasera a casa perché sono tranquilla: mio marito è partito ieri, si trova a Roma per lavoro e tornerà tra due giorni”.

- “Dici sul serio? Non vedo l’ora di trascorrere un’intera serata con te! Mi manchi tanto”.

- “Certo che dico sul serio, anzi! Anche tu mi manchi, non puoi immaginare quanto! Puoi anche restare a dormire, perché domani sarò libera, ho chiesto un giorno di ferie. Sai? Ho preparato una cenetta davvero speciale, la musichetta che piace a te, spumante pregiato e persino a lume di candela. Sei contento tesoro?”

- “Certo! Non vedo l’ora! Sarà una serata fantastica!”

- “Tu sei fantastica! Sei una donna piena di iniziativa, sempre sorprendente. Ma sei sicura che tuo marito non rientri prima del previsto?”

- “Vuoi scherzare? Arturo è molto preciso ed è di parola! Se dice che tornerà domenica, tornerà domenica!”

- “Cambiando argomento, il cane come sta? Si è ripreso? Poveretto, l'altro giorno eri molto preoccupata per il suo stato di salute!”

- “Ma di quale cane stai parlando?”

- “Come quale cane! Bob!”

- “Io non ho mai avuto cani, Riccardo!”

- “Ma tu non sei Elisa Crimi?”

- “No, sono Elisa Bianchi! E tu … allora tu non sei Riccardo! E non sei un avvocato?”

- “Sì, sono Riccardo, sono un avvocato e il mio cognome è Urso”.

- “Pazzesco!!! Che coincidenza! Che strana coincidenza!”

- “Anche la mia amante si chiama Elisa, anche suo marito si chiama Arturo e anche lui di tanto in tanto parte per lavoro!”

- “Da non credere! E tu porti il nome del mio amante! E la voce è uguale!!! Sembri il mio Riccardo!”

- “Incredibile, anche la tua voce è identica a quella della mia amante Elisa! Sono l’avvocato Riccardo Urso”.

Elisa: “Allora... allora... è stato tutto un equivoco!? Un grande equivoco!!! Noh!!! Che peccato! Che magra figura! Mi scusi tanto! Ho sbagliato numero di telefono!”

- “Non si preoccupi signora, sono cose che succedono! Dispiace anche a me che lei non sia la mia Elisa!”

- “Mi scusi, non vorrei che adesso debba pensare male di me! Sappia che io sono una persona seria e non tradirei mai mio marito! Amo Arturo e perché no, anche Riccardo, il mio amante. Del resto, mi capirà… anche lei ha una moglie e un’ amante! E non è facile!”

- “Ma scusi un momento, signora, io ho un amico che si chiama Arturo e sua moglie si chiama come lei, Elisa. Non vorrei che magari io conoscessi suo marito! Mi dice il suo cognome?”

- “Ma dai, non pensa mica di conoscere mio marito?”

- “Tutto è possibile! Come si chiama?”

- “Si chiama Gigliotta”.

- “Ed è un grafico pubblicitario?”

- “Sì!”

- “Signora Elisa, suo marito, Arturo Gigliotta, io lo conosco da dieci anni!”

- “Da non credere! Quante coincidenze!”

- “Mi promette che non racconterà nulla a mio marito di questa telefonata?”

- “Ma si figuri! Anzi mi dispiace proprio che il nostro incontro sia andato in fumo!”

- “Mi scusi, avvocato Riccardo, se mi sono lasciata andare! Poi mi capisce… c’è anche l’euforia …

di essere da sola!” - “Ma lei signora, non aveva già preso accordi con il suo Riccardo?”

- “Sinceramente ancora no”.

- “Allora perché non ci vediamo?”

- “Sì, tagliamo la testa al toro! Mi ha davvero incuriosita… cosa ne pensa se ci incontrassimo stasera a casa mia, per la cenetta che già ho preparato? Avviserò il mio Riccardo, per non avere qualche spiacevole sorpresa, gli dirò che sto male, in modo da non rischiare che arrivi stasera a casa mia! Sa, lui è a conoscenza del fatto che mio marito è a Roma e non vorrei che magari mi facesse qualche spiacevole sorpresa! Basta solo che lei accetti l’invito e con lui me la sbrigo io”.

- “Come potrei rifiutare la gentilezza di una donna suadente come lei? Accetto lusingato il suo invito! Mi garantisce però che andrà tutto bene, cioè che non ci saranno intrusioni?”

- “Stia tranquillo, avvocato Urso! Si fidi di me. L’aspetto stasera alle otto”.

Elisa, eccitatissima, prepara tutto alla perfezione. Crea un’atmosfera molto gradevole.

Puntualissimo, si presenta l'avvocato Riccardo Urso con dei dolci, e nasce subito un’intesa tra i due. Si raccontano tante cose. Intanto squilla il cellulare, lei controlla il numero ed è quello dell’amante.

Elisa lo aveva già avvisato di non farsi vivo, cercando di liquidarlo dicendo che stava male e aveva pure la febbre, ma lui la chiama per sentirla ancora e lei non risponde, dato che non ha alcuna intenzione di rovinare quella magica atmosfera. Il cellulare però continua a squillare, così lei decide di spegnerlo.

Riccardo a quel punto decide di fare una sorpresa alla sua amante, sapendo di trovarla da sola in casa. Dopo un paio d'ore, mentre i due ballano un in modo piuttosto appassionato, si reca davanti al portone di Elisa. Suona al citofono ed Elisa in un primo momento non risponde, poi vede dalla finestra che è Riccardo e non può fare a meno di non farsi viva, ma lo invita a tornare indietro perché ovviamente non è in condizioni di riceverlo. Elisa: “Mi dispiace tesoro, non posso farti salire!

Sto molto male e ho paura di contagiarti la febbre! Non ti offendere. Ci sentiamo domani”.

- “Ma dai, non preoccuparti! Ti lascio i fiori e me ne vado!”

Intanto il suo omonimo era più confuso che persuaso e non sapeva cosa fare. Era quasi terrorizzato.

Elisa, vedendo la decisione dell’amante mentì nuovamente a citofono: “No, Riccardo, ti prego, vai via! Tra un po’ arriva mio marito! Mi ha appena telefonato!”

Così l’amante lasciò i fiori ad una donna che in quel momento era entrata, con la raccomandazione di lasciarli davanti alla porta di Elisa Bianchi.

I due ormai stavano per lasciarsi andare alla loro passionalità.

Elisa si era già buttata nelle braccia del nuovo arrivato quando sentono bussare alla porta di casa. Frastornata e seccata, brontola: “Adesso basta! Non pensavo che Riccardo fosse così insistente! Se i fiori me li ha già portati, cosa vuole ancora? Io intanto mi faccio una doccia, tu aspettami in camera. Non gli rispondo nemmeno, fingo di essere già a letto! Del resto sa benissimo che sto male!”

Continua, mentre si sveste in bagno: “Ci vuole rovinare proprio la serata?! Mannaggia a lui! Facciamo finta di niente!”

Riccardo è già disteso sul letto, quando sente il rumore della serratura che si apre e dei passi che avanzano. Va quasi in panico.

Arturo vede in sala la tavola ancora apparecchiata, capisce che era stata consumata la cena per due, spiccava un bel mazzo di fiori, e le luci soffuse… Riccardo non fa in tempo a pensare che all'improvviso ... vede Arturo.

In quell'istante esce Elisa dalla doccia coperta da un accappatoio. Lei rimane di ghiaccio.

Il marito urla sbigottito: “L'avvocato Urso nel mio letto con mia moglie?”

Nacque un putiferio.

- “Ebbene, ho scoperto l'amante di mia moglie! Io vi denuncio!”

Riccardo: “Un momento, c'è un grande equivoco! Io non sono l'amante di sua moglie! Lei non è nel letto con me!”

- “Ma guarda che sfacciataggine! Pensa che io sia nato ieri? Allora che ci fa nel mio letto, avvocato Urso? Vi raccontate le barzellette?”

- “Le spiego tutto, io sono una persona seria! E poi non dimentichi che noi ci conosciamo da tanto tempo!”

Interviene Elisa molto concitata: “Ti giuro Arturo, io e lui non abbiamo fatto nulla!!! Ci siamo conosciuti stasera! E poi sei arrivato tu … quindi non c'è stato neanche il tempo di...!”

- “Cosa mi vorresti dire? È l'intenzione quella che conta!”

Interviene l'avvocato: “Ma lei, signor Arturo, non può fare un processo alle intenzioni! Lo dico io che conosco bene la legge!”

Arturo non si lascia convincere ed è deciso ad uscire per andare dai carabinieri.

Riccardo è furibondo, perché Elisa lo ha cacciato in questo grosso guaio, allora decide di spifferare la verità: “Signor Arturo, vuol sapere come stanno veramente le cose? Lo sa chi è l'amante di sua moglie? È il signor Riccardo, ma non io!” Riccardo il vero amante! Quindi denunci lui! Il colpevole! Io sono la persona sbagliata!”

Dopo aver avuto un forte litigio, l'avvocato se ne andò e la coppia litigò per il resto della notte.

Ed ecco la ciliegina sulla torta:

La mattina dopo, alle ore 9 si sente bussare alla porta. Arturo corre ad Aprire pensando che l’anziana vicina avesse bisogno di qualche cosa, nel frattempo accorse Elisa. Era il suo Riccardo, imperterrito, con un mazzo di fiori, che voleva accertarsi delle condizioni di salute dell'amante. Non si aspettava di trovarsi davanti il marito, così fece finta di avere sbagliato indirizzo, si scusò (imbarazzato) e se ne andò.

Arturo, molto titubante, uscendo di casa incontrò nel pianerottolo l’inquilina vicina, guarda caso, la stessa donna a cui Riccardo la sera prima aveva dato l’incarico di portare i fiori alla sua amata. Così Arturo, fiutando la verità, disse alla signora: “ Mi scusi, mi sa dire chi è l’uomo che è appena uscito? La donna, pensando che fosse il fioraio rispose: “Il fioraio, ieri sera mi ha consegnato un mazzo di fiori per sua moglie”.

Arturo, con le idee poco chiare, volle verificare: si recò dal fioraio più vicino e si informò chi aveva comprato poco prima dei fiori per sua moglie, ma evidentemente la risposta fu molto vaga. Finalmente il marito ebbe tutto molto chiaro: l'apparente fiorista era il vero amante. A quel punto si recò dai carabinieri per fare denuncia.

Arturo capì che sua moglie aveva mentito, per ben due volte, e non le bastava un solo amante! Era stata in procinto di far nascere un'altra relazione con l'avvocato Urso, appena conosciuto a telefono (per sbaglio).

Elisa evidentemente aveva ormai distrutto il rapporto coniugale.

La donna, in seguito, non riuscì nemmeno a mantenere il rapporto con l'amante, né tanto meno con il nuovo candidato amante, dato che aveva spifferato la verità al marito.

Elisa (eternamente insoddisfatta) si ritrovò da sola. Chi troppo vuole, nulla stringe.

Si è capito che, oltre che spudoratamente infedele, Elisa non è stata affatto prudente.

Aveva staccato il cellulare per non essere disturbata, in procinto di nuova avventura amorosa. Se non avesse staccato il telefono, avrebbe risposto al marito che l'avvisava per comunicarle il suo rientro anticipato e così avrebbe evitato di farsi trovare in “lieta compagnia”.

Come finì la storia?

Non poteva finire altrimenti: Elisa fu abbandonata per sempre dal marito, dall'amante e dall'ultimo arrivato: Riccardo Urso, l'avvocato che successivamente avviò le pratiche per il suo divorzio.

GILDA

Monologo da me interpretato e pubblicato su youtube Sono la maestra Gilda, ho 105 anni, un mese e un giorno.

Vi racconterò la mia storia:

da giovane ero bella, affascinante ed ero molto corteggiata. All’età di venti anni undici spasimanti si volevano fidanzare con me, avevo l’imbarazzo della scelta, perché ognuno di loro presentava i propri requisiti. Tutti impazzivano per me, allora un giorno decisi di invitarli a casa mia, col consenso dei miei genitori.

Li misi in fila, perché dovevo sceglierne uno, li guardai con attenzione, li feci parlare, per ascoltare il loro tono della vocee per capire i loro pensieri e alla fine capii che nessuno degli undici andava bene per i miei gusti!

I giovani se ne andarono tristi, delusi, demoralizzati, con le lacrime agli occhi.

Ma non tutti i mali vengono per nuocere! Infatti la stessa sera incontrai l’uomo giusto della mia vita. Lo incontrai per caso in ascensore. Tra noi due ci fu il colpo di fulmine, proprio durante un temporale che scoppiò violentemente quella sera. Poverini i miei spasimanti! Tornarono a casa bagnati di pianto e inzuppati d’ acqua.

Questo lo sposai subito, soprattutto quando seppi che ero ricco! Possedeva ville, appartamenti, un conto in banca inimmaginabile ed io, essendo amante della ricchezza, non esitai a sposarlo.

Dopo un anno di matrimonio però lo lasciai. I parenti e gli amici mi dicevano: “Gilda che fai? Sei impazzita? Non puoi lasciarlo! È un bell’uomo! Sembra un attore! E poi è ricco! Tu sei pazza!”

Rispondevo: “Che ne sapete voi!?” Io ero disperata. Non ce la facevo più di stare insieme a lui, perché parlava in continuazione! Era una macchinetta! Si alzava dal letto, accendeva la radio, la televisione, la sigaretta, tutto accendeva! Ma non accendeva il mio cuore! E parlava, parlava, parlava all’infinito, di cavolate, di incidenti stradali, di investimenti, era una tortura! Non ce la facevo più! Che tragedia in casa!

Dopo un po’ di anni, altri uomini si presentarono a me: grandi, piccoli, belli, brutti, alti bassi, grassi, magri. Io ero indecisa e avevo l’imbarazzo della scelta. Erano dodici.

Così decisi di invitarli a casa mia, senza il consenso dei genitori. Li misi in fila, li guardai, li interrogai, ma nessuno di loro mi convinse.

Così dissi loro: “Andate via, per favore, non siete fatti per me!”

Dopo qualche mese incontrai il tredicesimo, così per caso dal dottore.

Subito lo presi, me lo portai a casa e decisi di sposarlo. Dopo due anni lo lasciai.

Tutti: “Gilda, che fai? Sei impazzita! Non puoi lasciarlo!”

“ Ma che ne sapete voi! Zitti! Linguacciuti!” La gente parlava e mi criticava, ma senza sapere la vera motivazione!

Mio marito era muto come un pesce. Non parlava mai! Lavorava, lavorava e lavorava; usciva e nemmeno mi guardava! Gli dicevo: “Parla!” ma lui zitto. Guardami! Ma lui era sulle nuvole, oppure sempre pensieroso. Che tragedia in casa! Mi annoiavo da morire! Non ce la facevo più!

Da quel momento non mi sposai più, ero talmente sfiduciata che scelsi la solitudine. Stetti sessanta anni da sola. Ecco perché adesso mi voglio risposare!

Non c’ è due senza tre, si dice. Del resto l’amore non ha età, ma adesso non mi vuole nessuno!

Chissà perché!!!

NOTE BIOGRAFICHE

Olga Serina è nata a Palermo il 22 Marzo 1965, dove ha conseguito il diploma del Liceo Artistico e la specializzazione di Scenografia all’Accademia di Belle Arti.

Trasferitasi a Milano, nel 1990 appena sposata, ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento di Educazione Artistica e dal 2006 lavora come docente nella Scuola Media.

Olga, essendo una persona eclettica, è autrice di diverse canzoni e coltiva tutt'ora il suo talento canoro.

Sin da ragazza ha esercitato l’attività di pittrice, specializzandosi nel ritratto. All’età di 24 anni, nel 1989, pubblica il suo primo libro: Grande terrazza, adottato come testo di narrativa in alcune classi della Scuola Media.

L’autrice ha aperto un canale su youtube in cui sono pubblicati diversi video inerenti alle sue varie attività artistiche.

www.olgaserina.it

Olgabook

Olgallery

mail@olgaserina.it

INDICE

Presentazione dell’autrice 4

MEMORIE 1 - Cafone 6

2 - Praticamente 7

3 - Il maestro psicopatico 8

4 - Il grande equivoco 12

5 - Scherzare con i turisti 16

6 - Molti vedono ciò che pensano 18

7 - L'invito a cena disdetto 21

8 - Una strana passeggiata 26

9 - Strane coincidenze 31

10 - Firma di un genitore 33

11 - Uno scherzo ai miei alunni 34

12 - Il pigiama 36

13 - Strana telefonata 38 TIPI PARTICOLARI E STORIE BIZZARRE

14 - Il matrimonio del cactus 40

15 - Trattenimento di nozze “a sorpresa” 45

16 - Un cliente sui generis 49

17 - Due cuori e una capanna 54

18 - La signora Giovanna 57

19 - Come due gocce d’acqua 63

20 - Per amor di pace 68

21 - La bisbetica indomabile 72

22 - Il ragazzo oggetto 86

23 - Ripensamento 90

24 - Lo zio 92

25 - Una strana confessione 95

26 - Una confessione 100

27 - Il santone e l’investigatore 104

28 - Dall'esorcista per sbaglio 115

29 - Maleducati non si nasce 116

30 - Parlo solo io 119

RACCONTI UMORISTICI E FANTASIOSI

31 - Gesù e Lazzaro 124

32 - Testimoni di Geova a Napoli 127

33 - La scimmia umanizzata 129

34 - Prazzita Catanuto 136

35- Due persone al posto sbagliato 140

36 - Due persone stolide al telefono 145

37 - La gioventù sognata 147

38 - Disguido al telefono 151

39 - Gilda 162

Note biografiche 165
IL MATRIMONIO DEL CACTUS  
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