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LA REALTA' CHE SUPERA LA FANTASIA
Racconti umoristici
Olga Serina

LA REALTA’ CHE SUPERA LA FANTASIA

Racconti

Stranezze

e altro…

INDICE

INTRODUZIONE……………………………………1

BREVI CONSIDERAZIONI (di G. Miraglia)………3

MI CHIAMAVANO GIAMBURRASCA………… ..5

LO SCHERZO………………………………………. 7

IL BARBONCINO………………………………..…10

PUCCI ……………………………………………….12

ILVESPINO………….………………………………14

QUANDO SI SUPERANO I LIMITI………………..18

NOTTE INDIMENTICABILE………………………20

“AMANTI MALDESTRI”…………………………..31

L’UOMO CHE POSSIEDE UNA STELLA………...35

MARGHERITA SENZA PAURA…………………..37

UNA CERIMONIA INDIMENTICABILE…………40

IL VETRAIO………………………………………...43

U DUTTURI…………………………………………45

RICORDI DI UN’ INSEGNANTE…………………49

IL LIBRO RESTITUITO……………………………57

VIRGINIA CITTÀ FELICE …………………………62

PHIELTOR…………………………………………..71

LA FAVOLA MAGICA……………………………..75

CHI È PIÙ UMANO L’UOMO O L’ANIMALE?…..81

LA SIGNORA E L’INDOVINA…………………….87

A MEGGHIU I TUTTI SUGNU IU…………………91

LA REALTÀ SOGNATA…………………………...99

NOTE BIOGRAFICHE……………………………136

INTRODUZIONE

In questo breve volume, nulla di pretenzioso, racconto delle storie reali, traendo spunto dalla mia biografia che, sotto molti aspetti considero, originale e imprevedibile, mentre gli ultimi sei sono racconti di fantasia, a volte partendo da situazioni reinventate per mero divertisement. Un mio vezzo che spero possa coinvolgere pienamente il lettore.

Ho scelto questo titolo perché alcuni racconti sono umoristici, altri un po’ strani. In altre parole la nota dominante seguirà il fil rouge della fantasia e dell’ironia diversamente dosata, ma con finalità (e questo lo spero vivamente) educative.

Attraverso i racconti di fantasia cerco di ampliare l’orizzonte dei ragazzi facendo conoscere la realtà sotto diversi aspetti.

Credo e spero che queste pagine possano trasmettere un messaggio educativo ai giovani.

L’ultima parte del libro è arricchita da vignette, caricature e da disegni astratti che ho realizzato a mano libera, a partire dal 1988 e che, in modo diverso, alcuni momenti della mia creatività. Spero che anche questi concorrano a rendere più divertente e fruibile questa mia opera.

BREVI CONSIDERAZIONI

di Gaspare Miraglia

Ancora una volta, la mia carissima amica Olga, mi concede il piacere e l’onore di scrivere qualche breve nota “critica” (termine solenne che personalmente detesto e contesto) su uno dei suoi libri, che da qualche anno a questa parte, con regolare metodicità, scrive per la gioia di molti che l’ hanno già gratificata con lodi sincere.

Ma di note critiche, questo lavoro, non ne necessita, giacché, ritengo, servirebbe solo ad appesantirne il senso e questo è proprio quello che l’autrice non vorrebbe. Infatti, l’opera nasce col preciso intento di essere leggera e accattivante, anche se ciò non vuol dire che sia questo un libro disimpegnato per addormentare lo spirito e la mente.

Al contrario, frugandovi bene dentro, dopo che il rigo ci estorce l’inevitabile sorriso, Olga ci costringe a riflettere e a pensare da altri punti di vista la prospettata situazione comics e quindi a desumere precipuamente una morale o più semplicemente un insegnamento sulla vita.

Olga Serina è un’artista a tutto tondo, perseverante in ogni suo progetto creativo che persegue ormai da tempo lunghissimo, e a sondarla bene (studiarla con attenzione intensa, intendo), la si scopre e riscopre sempre vivace e interessante e lucida nel suo gesto creativo, che è per lei una necessità imprescindibile del suo vissuto di scrittrice e di, non dimentichiamolo, pittrice. Anzi in lei le due arti, quello della scrittura e quella dell’elaborazione cromatica, procedono sempre a braccetto e di pari passi, come del resto in altre grandi personalità dell’arte contemporanea. E qui i nomi sarebbero molti da elencare e questo ve lo voglio proprio risparmiare. Tal cosa significa che il minimo comune denominatore tra le due arti è il segno (la traccia dell’anima), diversamente espresso.

Beh, io non vorrei, dilungarmi troppo in sterili analisi e dico più semplicemente per concludere, che io nello spilluzzicare queste pagine, mi sono immensamente divertito e pertanto invito i lettori ad avvicinarsi al testo con semplicità, gustando ogni racconto senza troppe elucubrazioni filosofiche, che conducano dove l’autrice non vorrebbe mai che vi si approdasse, poiché il suo intento, ripeto, è quello di proiettarsi nel suo disincanto lieve.

MI CHIAMAVANO GIAMBURRASCA

Mi chiamavano Giamburrasca, almeno fino all’età della scuola media. Ricordo quando ad Agrigento, a casa dei miei nonni, a quell’età mi divertivo coi miei cugini a mettere in difficoltà mio nonno, il quale, poveretto, essendo già molto anziano era un po’ sordo: fingevo di parlare con lui, mentre in realtà aprivo solo le labbra e mimavo con la gestualità. Di conseguenza, mio nonno non sentiva niente e diceva: “Come? Cos’ hai detto? Non sento niente!” Soltanto prima che lo scherzo si facesse abbastanza pesante, ammettevo a mio nonno che si era trattato di uno scherzo, dato che non avevo parlato affatto. Tutto finiva con una risata.

Gli scherzi che non potrò dimenticare furono all’età di undici anni. Abitavo a Palermo, in via … Nutrivo una leggera antipatia per il portiere, nonostante fosse una brava persona, che col suo modo di fare, certe volte mi indisponeva. Era un tipo particolare, lo vedevo piuttosto esagerato nei suoi atteggiamenti. Io invece gli ero molto simpatica, forse per la mia esuberanza.

Poiché il portiere aveva l’abitudine di puntualizzare il modo in cui si doveva chiudere la porta dell’ascensore, interveniva: “La porta si chiude con delicatezza!” Non si stancava mai di dirlo.

Una tarda sera, ebbi l’idea di scendere da casa pian pianino e di applicare alla porta dell’ascensore un piccolo cartello con la seguente scritta: “Si prega di sbattere con violenza lo porta dell’ascensore”. Considerando però che il condominio era (ed è) composto di ben sei scale, (con 103 appartamenti), affissi diversi cartelli, uno per ogni ascensore. Forse non arrivai a sei (non ricordo bene), per il timore di essere vista da qualcuno, ma mi sentivo abbastanza soddisfatta di quel mio bizzarro progetto.

Un’altra sera fui folgorata da un’altra idea ugualmente divertente. Applicai sulla bacheca del grande ingresso principale del palazzo, un piccolo cartello con la seguente scritta: “I signori condomini che posseggono un cane sono pregati tutte le sere dopo la chiusura della portineria, di recarsi coi rispettivi cani giù dal portiere, il quale avrà il piacere di portare tutti i cani a fare i bisognini”, ovviamente, precisavo, il servizio era assolutamente gratuito.

Un’altra sera, a un’ora un po’ tarda, applicai sulla stessa bacheca un apposito cartellino: “Giorno … alle ore 21,00 si organizzerà una partita di calcio fra tutti i signori condomini di entrambi i sessi, il portiere farà da portiere. Per ulteriori informazioni rivolgersi al capo-condomino”.

In quei giorni sentivo i commenti dei coinquilini e sentivo il portiere lamentarsi con mio padre, che proprio lui era il capo-condomino. Gli disse: “Signor Serina, come dobbiamo fare con questo mascalzone? Se lo becco …. Gli farò vedere io! Certo, deve essere qualcuno del palazzo!”

Nessuno dubitava di me, ovviamente, ero così insospettabile nella mia comoda posizione. Anzi, una volta il portiere mi disse: “Olga, tu che sei una ragazzina furba, cerca di scoprire questo misterioso ragazzo degli scherzi, conto su di te.”

Confesso che non mi fu facile frenare una risataccia incontrollata.

LO SCHERZO

Gli scherzi sono sempre stati il mio forte. Iniziai all’età di sei anni quando mi nascosi nel cortile della casa di un paesino della Sardegna dove abitavo e mia madre all’imbrunire mi chiamava preoccupata perché non davo alcun segno di vita. Solo da grande ho capito che non è affatto uno scherzo da concepire!

E che divertimento quando all’età di dieci anni feci uno scherzo memorabile alla famiglia che abitava sotto al nostro appartamento! In realtà, non c’era troppo feeling tra di noi per via del fatto che la famiglia a noi sottostante si lamentava sempre con noi perché mi sentiva suonare spesso il pianoforte. In effetti, l’entusiasmo da parte mia era tale, considerando che solo a quell’età avevo raggiunto livelli abbastanza alti e soltanto dopo un anno di studio, per cui l’euforia mi portava a suonare con un certo impeto.

È vero che la figlia della signora sottostante, essendo universitaria, avrebbe preferito piuttosto il silenzio: motivo di incomprensioni. Ed ecco lo scherzo che sto per raccontare.

Una sera, preparai un grosso ragno di gomma nero, dai movimenti mollicci e a dir poco repellenti, lo allacciai ad un filo bianco e attaccai questo alla ringhiera del mio pianerottolo. Scesi a piedi scalzi giù al piano inferiore, molto tacitamente, suonai il campanello della signora e in un baleno mi precipitai sopra come una saetta, origliando quale potesse essere la sua reazione. Non appena la signora aprì la porta, sentii un urlo di stupore e di paura, imprecando una frase dialettale. All’istante prese il finto ragno e lo strappò dal filo.

Rientrata a casa mia mi sbellicai dalle risate. Non è ancora finita. L’indomani sera, rincasando coi miei, notai vicino ai sacchi dell’immondizia proprio il mio grosso ragno di gomma che aveva fatto impaurire e innervosire la signora. Era tutto sporco e impolverato. Così ebbi immediatamente un’idea migliore. Lo raccolsi e arrivata a casa, lo legai nuovamente ad un filo bianco. Passò ancora un giorno e organizzai la stessa cosa: feci pendere il ragno dal filo attaccato alla ringhiera del pianerottolo, suonai il campanello della porta della stessa signora e scappai come un fulmine per non farmi vedere. Quando la signora aprì, non si aspettava di ritrovare un’altra volta lo stesso brutto ragno nero orripilante, con l’aggravante che adesso era pure sporco.

Lei gettò un urlo: ” Ahhhhh!!! E cchi cci fa ancora stu ragnu?!! Cosi da pazzi!!!”

Rientrai a casa, chiusi la porta e le risate mi buttarono per terra che, guarda caso, riuscivo pure a sentire più dettagliatamente tutte le imprecazioni e le piccole grida della signora (che continuava a borbottare) dato che adesso poggiavo anche l’orecchio sul pavimento per sentire meglio i disappunti di tutta la famiglia!

Che divertimento quando da ragazzina, rispondendo al telefono, se qualcuno sbagliava numero, trasformavo la voce fingendo di essere la persona desiderata, e se dall’altra parte mi dicevano: “Ma come mai hai questa voce strana? “Subito rispondevo: “Sì, lo so, oggi sto molto male”. In altri casi giocavo con le parole creando situazioni paradossali e facendo quasi impazzire la gente. (Ero sempre pronta a improvvisare scherzi telefonici, soprattutto se per sbaglio telefonavano a casa mia, mantenevo la calma, la massima impassibilità, e non scoppiavo mai a ridere, in più avevo una capacità di alterare la mia voce). Capivo però, nello stesso tempo, che non dovevo sfociare nell’esagerazione per non danneggiare l’altro.

IL BARBONCINO

In prima media il desiderio di possedere un morbido barboncino si era accentuato. Giornalmente gridavo contro mia madre affinché mi accontentasse. Le lotte però erano vane, così mi rassegnai, ma decisi di possedere un barboncino nella mia fantasia.

Una mattina, in classe, dissi ad una mia compagna che i miei mi avevano regalato un bel barboncino e anche molto intelligente. Assunta era molto compiaciuta e quasi m’invidiava, ma con benevolenza. Ogni mattina mi chiedeva del cane ed io mi divertivo a inventare piccole storie comiche sul mio adorato cagnolino. Lei si divertiva tanto ad ascoltare le mie fantasie e immaginava di tenerne anche lei uno in casa, ma la sua era troppo piccola per potersi permettere un cane.

Un pomeriggio telefonai ad Assunta con una scusa, pensando di fare uno scherzo molto divertente, infatti mentre parlavo con sua madre, nei momenti di pausa abbaiavo, anche perché le imitazioni erano il mio forte, ero talmente immedesimata nell’immaginario cane che mi sentivo proprio un piccolo animale. E che soddisfazione quando la madre e Assunta sentivano il mio barboncino per telefono!

Un giorno la mia compagna decise di fare una visitina al mio barboncino. Non sapendo quale scusa inventare, decisi di non ricevere Assunta a casa mia.

PUCCI

Pucci era una gatta meravigliosa, molto vivace e soprattutto di una intelligenza quasi umana. Era molto affettuosa, in particolar modo con mia madre, che l’accudiva e anche con me e mia sorella perché nei momenti di riposo davanti al televisore accarezzavamo la sua morbida pelliccia siamese. La cosa più divertente era quando certe volte ci dimenticavamo di lei, così Pucci senza alcun sentimento di orgoglio, veniva ad accovacciarsi con un bel salto sul nostro grembo e, al ritmo delle sue dolci fusa, ci guardava coi suoi grandi occhi e ci baciava col suo musetto umido. Che delizia la nostra Pucci che vedevo come un giocattolo o meglio come una neonata.

L’unica persona che non gradiva era mio padre, forse perché non è stato dolce con lei, tutt’altro, poiché aveva distrutto l’arredamento della nostra casa, infatti le tende erano irriconoscibili e le poltrone nuove tutte bucherellate, ma Pucci doveva pur rinforzare i suoi artigli! Mio padre andava in bestia, ecco perché quando rincasava, Pucci cercava i nascondigli più impensati.

Il fastidio più grande lo procurava ai nostri coinquilini, quando andava in calore. Dopo avere galoppato come un cavallo sfrenato per tutta la casa, veniva chiusa in balcone e addio sonno. Le urla di Pucci penetravano nella notte mentre i poveri vicini non potendo chiudere occhio imprecavano contro la gatta del quarto piano. I miei genitori la mattina dovevano subire le lamentele del portiere che riferiva i disappunti di ciascuno. Mio padre già pensava di regalare questa gatta che definiva la peste della famiglia, ma vedendo il nostro affetto morboso, rimandava sempre la sua decisione.

Una notte in piena estate, Pucci, euforica più del normale, dopo aver fatto un paio di giri per la casa, sfrenata più che mai, si precipita nella stanza da letto e correndo si scaraventa sul letto di mio padre che già profondamente dormiva. Così dal soggiorno sentimmo un grido. Era mio padre che balzando giù dal letto in mutande e con un piede sanguinante, furibondo inseguiva Pucci, mentre lei, sconvolta e terrorizzata scappava come un fulmine e riusciva a svignarsela.

Il giorno successivo però con le lacrime agli occhi dovemmo salutare per sempre Pucci.

IL VESPINO

All’età di tredici anni già frequentavo il primo anno del Liceo Artistico e vedendo diversi ragazzi e ragazze della mia età che guidavano il “Boxer”, il “Ciao” o il vespino 50 per quelli che avevano compiuto i quindici anni, in me crebbe il desiderio di possedere anch’io una piccola moto. L’idea mi faceva sognare.

L’unico ostacolo da dover affrontare era il fatto di dover convincere i miei a far loro mantenere la promessa che appena avessi raggiunto quell’età, mi avrebbero fatto questo regalo.

Mia madre e mio padre però non erano affatto propensi all’idea, dato che lo consideravano un mezzo molto pericoloso soprattutto se usato da ragazzi ancora minorenni e imprudenti, non ancora molto coscienti dei rischi a cui vanno incontro.

Ricordo ancora le accese discussioni che avevo coi miei. Una sera, prima di andare a letto, mi venne in mente di fantasticare e fare divertire mia madre, anche perché lei mi ascoltava molto. Nello stesso tempo però confesso che c’era alla base un’altra motivazione più sottile: si trattava infatti di una “strategia” affinché mia madre potesse dirmi: “Va bene, Olga, ti prometto che tra due anni ti comprerò il tuo sospirato vespino”. In pratica una sera ho inventato delle storie che sembravano reali per la convinzione con cui mi esprimevo, anche perché i due protagonisti erano: la mia ex maestra della scuola elementare e la mia ex compagna di banco. Avevo scelto tra le due protagoniste la mia maestra perché non solo ero una delle sue predilette della classe, ma anche perché era molto stimata da mia madre. L’insegnante Ricupati era all’epoca in procinto di andare in pensione, data la massima età, per cui era di quelle all’antica. Insegnava nella maestosa e bella scuola elementare “Luigi Capuana”, situata al centro di Palermo, dove mia madre lavorava come direttrice didattica.

Ho ricordi bellissimi in quella scuola: la disciplina, la pulizia, la mia scrupolosità nell’eseguire i compiti assegnati. Ebbene, ritornando al discorso, ecco le storie che inventavo a mia madre dopo alcuni anni che lasciai la Scuola Elementare:

“Sai mamma, mi ha telefonato Giovanna (la mia ex compagna delle elementari) e mi ha raccontato che ha incontrato la nostra maestra, in via ….. , siccome stava aspettando l’autobus e portava ritardo, Giovanna, essendo con la sorella maggiore sul vespino, offrì un passaggio alla maestra dicendole: “Perché non accetta un passaggio da mia sorella? Non si faccia problemi. Mia sorella è molto brava nella guida”.

Mia madre scoppiò a ridere ed io insieme a lei perché non riuscivo ad immaginare la scena: lei, una persona molto tradizionalista, quell’insegnante che tutte le mattine ci faceva cantare al termine della lezione “Fratelli d’Italia e “Il Piave”; quell’insegnante che si arrabbiava di brutto se qualche sua allieva faceva scena muta, anzi a volte dava loro anche dei ceffoni, quel personaggio austero su una moto!

In realtà era la tipica maestra molto severa, di quelle dalle reminiscenze fasciste. Io e mia madre continuavamo a ridere non riuscendo ad immaginare la mia maestra su un vespino, soprattutto perché indossava sempre quelle gonne un po’ aderenti, fino alle ginocchia.

- Olga, è sicuro che non stai scherzando? Dai! dillo che è uno scherzo! Sembra davvero una barzelletta, perché non ci posso credere! –

- É vero mamma! Te lo assicuro!

Più mia madre rideva, più mi divertivo perché immaginavo che ingenuamente mi credesse.

Raccontavo gli ipotetici commenti che la maestra aveva fatto a Giovanna sul vantaggio di possedere un vespino, utile a muoversi con disinvoltura.

Il tempo passò ma mia madre e mio padre non cambiarono idea sull’acconsentire alla mia richiesta.

Solo quando mi rassegnai a non possedere più un vespino, decisi di raccontare la verità a mia madre: la storia sul vespino era stata di sana pianta inventata per tentare di rassicurare i miei.

QUANDO SI SUPERANO I LIMITI

Spesso, durante l’età dell’adolescenza rimanevo impressionata da episodi che si verificavano quasi tutti giorni in un appartamento nel palazzo di fronte dove vivevo con la mia famiglia, a Palermo. In pratica questo condominio era separato dal nostro da una terrazza al pianterreno e proprio lì si svolgeva puntualmente la scena. Questa terrazza era diventata palcoscenico di squallide “scene teatrali”, mentre i coinquilini dei circostanti palazzi erano diventati “spettatori”. Viveva una famiglia composta da padre, madre, due bambini (di circa quattro e sei anni) e la nonna. Devo premettere che il quartiere dove vivevamo era abitato da famiglie di svariati ceti sociali, dal medio – basso al medio – alto.

Il caso che sto per raccontare rispecchiava non tanto il ceto della famiglia in questione, quanto la maleducazione per eccellenza e l’ignoranza indicibile. In pratica durante il giorno sentivamo le urla disperate della madre e della nonna che inveivano, con accento dialettale molto spiccato, contro i due bambini, i quali combinavano sempre le loro marachelle e la cosa scioccante era quando la nonna pronunziava ai suoi nipoti le più brutte parolacce, soprattutto: “ Disgraziati e figli di p……!!!”

Io, pur se ancora ragazzina, non potevo sopportare, né tanto meno concepire come queste due donne volgari e rozze potessero trattare i loro bambini; così, una tarda serata, quando le luci erano tutte spente, decisi di scrivere un biglietto per lanciarlo sulla loro terrazza. Ecco le testuali parole: “Care signore, complimenti per il vostro carattere così amorevole. Vergognatevi!!! Quando la smettete di trattare le vostre creature in questo modo? Cosa significano queste brutte parolacce? Voi non fate altro che offendere voi stesse!”

Beh, posso affermare che dal giorno successivo in poi queste due donne, pur se continuavano a sgridare “i due monelli”, si erano per lo meno moderate, infatti non abbiamo più sentito pronunziare contro di loro quelle brutte parole.

NOTTE INDIMENTICABILE

Le ore in treno passavano lentamente, ma Mostard ormai era vicina. L’ennesimo treno della Iugoslavia ci portava in questo pittoresco paesino poiché io e Rosanna eravamo in vacanza – strapazzo.

Arrivate finalmente a Mostard, (parlo del 1987, pochi anni prima della guerra civile), stanchissime e insonnolite, desideravamo una doccia e un bel morbido letto per tuffarci a peso morto.

Entrate nella casa che precedentemente un’agenzia ci aveva indicato, ci aprì un giovane piuttosto robusto, dall’aspetto sornione e cordiale, che intuii fosse il proprietario. Ci fece sistemare in una piccola stanzetta, poco più grande di una topaia, ciò che importava era la pulizia e inoltre i copriletto rossi accesi vivacizzavano la cameretta. Ma io e Fifina eravamo troppo stanche per badare a queste piccolezze. Così mi precipitai in bagno a piedi scalzi per evitare di svegliare i padroni di casa.

Fifina che mi seguiva, mi fece notare che delle persone vestite, stranamente dormivano in letti incassati alla parete del corridoio, e infatti si sentiva un lieve ronfare nel buio, che prima non avevo avvertito. Tornai in camera e dopo una rilassante doccia balzai sul letto, quando … ad un tratto intravidi una piccola sagoma scura che si muoveva sulla parete. Spalancai gli occhi rimanendo di ghiaccio: era uno scarafaggio volante. Trattenni un piccolo urlo perché non potevo gridare nel silenzio della notte, così aspettai Fifina che uscisse dal bagno. Appena lei entrò le dissi:

“ Calma e sangue freddo, c’è una sorpresa poco gradita per noi!” Col dito indicavo in alto vicino la porta e la sua espressione raccapricciata non mi fu affatto di conforto. Le dissi: “Per favore, ammazzalo, perché non è il mio forte uccidere scarafaggi!”

Fifina si fece coraggio e con una scarpa si mise a lottare contro quell’esserino davvero spregevole. Proprio quando la scarpa sembrò colpirlo, lo scarafaggio fece un volo imprevedibile dirigendosi verso di me. Mi sfiorò ed io perdendo l’autocontrollo emanai un urlo di terrore. Al mio ne seguì un altro, qualcuno si era svegliato di soprassalto. Un rimorso di coscienza mi assalì per aver spaventato della gente che dormiva, ma di fatto dominava la paura perché lo scarafaggio non voleva morire, anzi adesso l’indesiderato non si vedeva più e ne avevamo perduto le tracce. Sconvolta più che mai, decisi di uscire dalla stanzetta:

“Solo quando lo vedrò morto entrerò qui dentro e potrò dormire” dissi. Fifina, ancora con la scarpa in mano, tentava di scovare il nostro nemico e ad un tratto mi comunicò che si era ficcato giusto sotto al mio letto, ma non riuscivamo a localizzarlo.

Si erano già fatte le tre di notte e la stanchezza e il sonno mi pesavano come un sacco di piombo. Come avrei potuto coricarmi dopo la bella notizia? Me ne stavo zitta e immobile, appoggiata alla porta di quello stretto corridoio buio, senza nemmeno una sedia per potermi riposare. Così, terrorizzata, stanca e insonnolita, ero obbligata a stare inchiodata dietro la porta. Sia per la rabbia di non poter chiedere aiuto a nessuno, sia per aver pagato per una stanza confortevole senza poterne usufruire, scoppiai in pianto, mentre Fifina restava lì, seduta sul suo letto con la scarpa in mano e gli occhi attenti. Ogni tanto mi invogliava ad entrare, ma io non pensavo assolutamente ad addormentarmi in compagnia di uno scarafaggio volante per nulla rassicurante.

Già albeggiava quando entrai in camera, ma decisi di coricarmi nello stesso letto di Fifina, così la situazione mi parve meno drammatica (fortunatamente i letti erano ad una piazza e mezza). Lasciammo la porta aperta e la luce accesa e finalmente ci appisolammo ma di tanto in tanto aprivo gli occhi ispezionando le pareti, il soffitto, e vedendo Fifina sempre paralizzata dalla paura, sempre in posizione supina, con la solita scarpa in mano e gli occhi circospetti. Guardai l’orologio e dissi a Fifina: “Basta, adesso è meglio dormire, dovremo svegliarci alle otto”.

Quando giunsero le otto, il proprietario della casa ci venne a svegliare spingendo con discrezione la porta, ma non si aspettava di trovare noi due in uno stesso letto! La sua espressione quasi imbarazzata, fu davvero comica! Come facevamo però a spiegargli tutto? Egli se ne andò alquanto perplesso. Appena vestite, solo a gesti dovetti raccontargli ciò che era capitato; l’uomo, per nulla convinto e forse perché non gli fu chiara la spiegazione, per tutta la mattinata ci guardò in modo piuttosto inconsueto, chissà perché.

In questa illustrazione “In viaggio con Fifina” ho descritto il racconto di una storia vissuta, in parte raccontata fedelmente, in parte inventata. “AMANTI MALDESTRI”

Nel 1991 ero ancora sposina, insieme a mio marito pensammo di architettare uno scherzo nella scuola dove lui tuttora lavora.

Sfruttammo l’occasione ideale, quella di risultare all’epoca ancora sconosciuta ai suoi colleghi di lavoro.

Era arrivato il giorno in cui saremmo partiti per la Sicilia per il ponte di Pasqua.

Uscimmo di casa insieme e giunti in prossimità della scuola, scesi dall’auto, mentre mio marito si recò sul posto di lavoro.

Erano giorni di vacanza e non si svolgevano le lezioni, la presenza di mio marito sul lavoro era pressoché formale, insieme a quella di pochi dipendenti scolastici.

Alle ore 8, 30, circa mezz’ora dopo che lui fosse entrato, intrattenendosi coi colleghi per il caffè, mi presentai all’ingresso della scuola cercando di entrare e trovai davanti a me un bidello, il quale mi disse:

“ Lei chi è?”

“Non importa, piuttosto vorrei sapere se Saro Torrisi. Lavora qui!”

“Si, lavora qui, ma lei chi è?”

“Non importa chi sia io, devo parlare con lui!”

Avevo ventisei anni, mi ero presentata ben curata, un po’ di rossetto sulle labbra e indossavo una mantella nera alla moda con un cappellino in testa molto carino.

Il mio atteggiamento sicuro ma un po’ sfuggente, sembrava volesse nascondere qualcosa.

Il bidello andò ad avvisare mio marito (nel dubbio) ipotizzando la “visita” della moglie. Ipotesi subito smentita dall’interessato il quale precisò che la moglie sarebbe arrivata molto più tardi e in ogni caso la “visitatrice” all’ingresso non poteva assolutamente essere lei.

Il bidello a quel punto non prese alcuna iniziativa, mentre io senza consenso mi feci strada lungo il corridoio verso il locale in cui si trovava Saro.

Quando mio marito mi vide (recitando benissimo la sua parte) mi disse con espressione meravigliata, infastidita e imbarazzata: “E tu che ci fai qui?”

Risposi: “Perché non mi hai più telefonato?!”

- (lui)“Tu vuoi proprio mettermi in difficoltà! Come ti sei permessa di venirmi a cercare nel posto di lavoro?!”

- “Non sapevo cosa fare! Dai, ti prego, perché ti comporti così, perché non ti sei fatto più vivo!”

- Il bidello nel frattempo ci passa vicino nascondendosi per l’imbarazzo.

- E lui: “Io ti chiamo quando posso, sai che sono sposato e non ho tutto il tempo che vorrei”.

- “Adesso comunque vattene, perché tra poco arriva mia moglie!”

- “No, non posso andarmene così, ti prego abbracciami!”

Tentai di abbracciarlo, ma Saro mimava l’imbarazzo alla perfezione e mi sfuggì.

- “Sei impazzita? Ti ripeto che da un momento all’altro arriva davvero mia moglie!”

Notavo i volti sbigottiti dei presenti, c’era un collega, due donne e l’uomo che mi aveva visto entrare. Questo era diventato bianco ed era a disagio; le due donne commentavano bisbigliando, nello stanzino dove si fa il caffè. Dicevano: “Roba da pazzi! E adesso cosa succede se arriva la moglie e incontra l’amante?” Continuavano: “Ma guarda che tipo! Lui che sembrava l’esempio della serietà! Una persona di sani principi! Non ci posso credere! Proprio da Saro non ce l’aspettavamo! Arrivasse davvero la moglie in questo momento, gli starebbe bene!”

Mio marito, per rendere la storia più credibile, si rivolse ai presenti dicendo: “Diteglielo voi che stamattina arriva mia moglie, per favore, visto che non mi vuol credere!”

Il bidello senza esitare trovò la risposta pronta: “Si è vero, sua moglie ha telefonato poco fa dicendo che tra un po’ arriva!”

Le due donne stavano zitte, esterrefatte. Logicamente il bidello aveva mentito per togliere dall’imbarazzo Saro, forse in virtù di un’istintiva solidarietà tra uomini.

Dopo avermi convinta, Saro mi diede la mano con decisione e mi disse: “Dai, per favore non fare storie, non aggravare la situazione! Vieni che ti accompagno fuori. Ti telefonerò dopo chiariremo in privato”.

Mi incamminai con Saro verso l’uscita della scuola. Poi facemmo dietro front e sorridenti e rilassati, ritornammo fino a giungere vicino ai suoi colleghi e Saro rivolgendosi a loro disse: “Vi presento mia moglie”.

Questi restarono di stucco, gelati e diffidenti, non ci volevano affatto credere a questa improvvisa “seconda versione”!

Passarono un paio di minuti prima che capissero che si era trattato di uno scherzo, scoppiammo tutti a ridere.

Le due simpatiche bidelle ripetevano a Saro: “Tua moglie è tremenda, siete tutti e due tremendi! Siete davvero una bella coppia. Finalmente abbiamo conosciuto tua moglie!”

Saro si assentò per un po’ per recarci in pasticceria di fronte. Portò dei pasticcini, quasi per farci “perdonare”.

Durante il tragitto, in auto ridevamo ripensando allo scherzo fatto a scuola.

L’ UOMO CHE POSSIEDE UNA STELLA

Una sera sulla piazza di Taormina, conobbi un giovane che raccontava di aver letto non so quanti libri. Un numero elevatissimo. Fin qui tutto normale o quasi ma … quando dopo tante chiacchiere fece una confidenza davvero strana, da quel momento ebbi un’altra idea nei suoi confronti.

Mi confidò che era proprietario di una stella! In pratica in America tramite una specifica agenzia, aveva firmato un contratto, registrato da un notaio che aveva redatto l’atto di proprietà di una stella, non ricordo di quale costellazione o galassia ma dal nome ben identificata. Logicamente avrà pure speso un bel gruzzoletto di soldi.

La storia poteva sembrare affascinante, ma veramente assurda!

Gli dissi: “Mi scusi, ma a parte il fatto di mostrare il suo documento che attesta che lei è proprietario della stella, all’atto pratico cosa comporta? Cosa se ne fa di una stella? Continuai: “Lei crede che possa atterrare sulla stella?” Il giovane rispose: “Un domani che il pianeta terra sarà distrutto o reso invivibile io saprò dove andare a vivere, soprattutto grazie ai passi da gigante che farà la tecnologia”. Dissi: “Bene! Mi congratulo con lei. É davvero una persona molto intelligente. Non sarei mai arrivata ad una simile strategia!”

Dissi tra me e me: “Dove siamo arrivati! Questo è proprio fuori di testa! La cosa più incredibile è che in America possano esistere delle agenzie che vendono “fumo” come vendere le stelle, speculando sulla stupidità della gente che si nutre di queste illusioni. L’idiozia non ha limiti”.

Mi venne in mente quel film di Fellini in cui il protagonista avrebbe voluto vendere la fontana di Trevi ad uno straniero sprovveduto!

La storia della stella venduta è proprio una pazzia. Chissà quante altre persone sono state buggerate da queste pseudo- agenzie in America, pensando di avere fatto un affare, pensando che sia stato un affare grandioso e intelligente.

Rifletto ancora: questa è la dimostrazione che l’uomo ha voglia di possedere proprio tutto, non solo il suo mondo ma addirittura gli astri lontanissimi che appartengono soltanto a Dio.

L’essere umano ha proprio voglia di sconfinare i propri limiti e non solo, anche quelli della natura! Veramente penso che la realtà a volte superi la fantasia!

MARGHERITA SENZA PAURA

Avevo 21 anni quando in una festa di amici conobbi Margherita. Mi convinse ad iscrivermi nella palestra che lei frequentava già da tanto tempo. La disciplina che praticavamo era Ju-jitsu: arti marziali (un misto tra karate, Judo e lotta a corpo libero). Margherita era arrivata al traguardo della cintura verde.

Nella palestra che frequentavamo predominavano i maschi e noi femmine rappresentavamo un gruppo decisamente in minoranza, ma non per questo con meno grinta. Avevamo un maestro, di piccola statura, molto bravo.

Ricordo quanta energia spendevamo sul Tatami per i combattimenti a corpo libero! Per questo motivo, anche grazie alla giovane età, ero molto in forma.

Fu lì che approfondii l’ amicizia con Margherita. Nel 1986 era una donna di 39 anni, molto brillante, grintosa, energica e attiva. Non potrò dimenticare la sua agilità, nonostante il suo fisico piuttosto in carne.

Un giorno accadde un episodio davvero particolare. Margherita aveva fatto delle commissioni a Palermo, la città dove vive.

Aveva posteggiato la sua auto nel piazzale ma al ritorno si accorse che il conducente di un furgone, distrattamente, facendo manovra per uscire, aveva danneggiato la sua macchina e incurante era lì in procinto di svignarsela. Margherita, vedendo la mossa furba di quel tipo, si precipita raggiungendolo, un po’ irritata per il danno subìto, gli chiede di farle l’assicurazione per il danno prodotto all’autovettura un attimo prima, per aver rimborsati i danni.

Ma quell’ uomo, con arroganza, le risponde sgarbatamente:

“ Ma quando mai? Si tolga da qui e mi lasci andare, io della sua macchina non so niente!”

A quel punto Margherita non si perse d’animo, con una reazione generalmente poco consueta nelle donne, attraverso il finestrino del furgone completamente aperto, afferrò quel prepotente per il bavero e fissandolo decisamente negli occhi, senza il minimo sintomo di paura gli disse: “Se non scendi da solo dal tuo furgone e non risolvi il problema, ti faccio scendere io e ti gonfio come un palloncino!”

Immaginate la scena davvero imbarazzante per il tipo: L’uomo cambiò subito atteggiamento, da gradasso diventò come un agnellino: mansueto e un po’ impaurito, scese dal furgone, le diede tutti i dati necessari per poter avviare la pratica dell’assicurazione per poter risarcire i danni a Margherita.

Dopo qualche mese, si verificò ancora un episodio spiacevole con finale ancora brillante. Margherita camminava a piedi per una via di Palermo, quando all’improvviso vide passare davanti a sé un ciclomotore con due ragazzi di circa venti anni. Quello di dietro afferrò tentando di scipparle la sua borsa in cuoio, strattonandola con forza, ma Margherita ebbe i riflessi pronti, trattenne con decisione la sua borsetta, facendo sbilanciare il ragazzo che cadde dalla moto. Intanto il suo complice aveva proseguito un poco più avanti con il veicolo, sperando forse di potere scappare con il complice e la refurtiva.

Malo scippatore era esitante, visto il primo approccio, non era tanto convinto di ripetere l’attacco e rimaneva a distanza.

Margherita con la sua borsa in mano, nell’atto di porgergliela guardava il ragazzo e sfidandolo, gli diceva: “ Dai! Vieni! Vuoi la mia borsa? Vienitela a prendere!”

I due ragazzi, scoraggiati da questa difficile preda, scapparono, rinunziando al bottino.

UNA CERIMONIA INDIMENTICABILE

Per quanto stranissima, la storia che sto per raccontare è realmente accaduta.

Tanti anni fa, all’età di circa 19 anni, fui invitata al matrimonio di una mia ex compagna di liceo. Esisteva un buon rapporto non molto stretto ma di reciproca stima e in quel periodo con lei, per non fare il suo vero nome la chiamerò Ornella, si usciva di tanto in tanto insieme ad altri amici. Ornella era un paio di anni più grande di me.

Fui invitata con mia sorella al suo matrimonio, a Palermo, dopo le sue raccomandazioni: “Ti raccomando, non devi mancare al mio matrimonio. Per me è molto importante! Tu sei tra le pochissime amiche invitate, infatti tra gli invitati ci saranno soltanto i nostri parenti.”

Se non ricordo male, forse eravamo in tutto tre amiche. Il totale degli invitati sarà stato di circa 55 persone. Dopo la cerimonia ci recammo nel locale. Era già l’ora del pranzo e arrivammo in sala intorno alle ore 13,00. Ovviamente data l’ora eravamo tutti desiderosi di mangiare e curiosi di conoscere il menù. Dopo una lunga attesa, arrivano i camerieri e ci portano lo spumante. Tutti noi applaudiamo i novelli sposi, mentre aspettavamo qualcosa da mettere sotto i denti. Passava il tempo ma ai tavoli non arrivava nulla.

Ecco i commenti: “Ma come mai tutto questo tempo?” Finalmente dopo circa un’ora arriva la torta. Altri applausi: “ Viva gli sposi! Auguri! Auguri agli sposi!” E intanto pensavamo: “Chissà perché mai si mangia la torta per prima!”

La porzione di torta, senza esagerazione, era una piccola fettina, forse, chissà per una questione di dieta! Ma gli invitati non mi sembravano obesi da doversi contenere! Erano giunte già le ore 15 e la fame era indicibile! Mezz’ora dopo, gli sposi dissero agli invitati: “Ok. Adesso possiamo salutare”.

Non ci si poteva credere, sembrava una situazione da scherzi a parte! Invece era proprio la realtà! Avrei avuto voglia di dire: “Ma come ! E’ questo il pranzo?” Ma preferii trattenermi.

Certamente tutti se ne andarono a casa delusi e con una certo nervosismo.

A me balenò un pensiero: “Non ci posso ancora credere! Ma che razza di invito è stato?” Noi ci siamo premurati a comprarle un bel regalo e alla fine non abbiamo nemmeno mangiato! Nemmeno un piatto di spaghetti! Siamo tornate digiune, tanto da dover mangiare appena arrivate a casa!” Ma è pazzesco. Ornella e Fabio hanno ricevuto i regali da tutti quanti, ci hanno invitato alle loro nozze, ci fanno accomodare in una grande sala, sedere ai tavoli perfettamente apparecchiati e tutto questo proprio all’ora di pranzo per poi lasciarci a pancia vuota? Roba da pazzi? Ma sono proprio fuori di testa?

Riflettendoci su, tiro delle conclusioni: avrebbero fatto una figura meno cattiva se fossero stati chiari, bastava dire: “Niente pranzo, ma solo un brindisi”. In quel modo ci sentivamo presi in giro.

Avrebbero potuto invitarci solo in Chiesa, senza fare questo finto trattenimento, oppure avrebbero dovuto spostare l’orario nel pomeriggio per offrirci la torta, ma con sincerità, dicendo che non ci sarebbe stato il pranzo e si sarebbe solo brindato.

Oppure la soluzione migliore sarebbe stata quella di non invitare proprio nessuno. Forse dietro questa loro macchinazione miserevole, ci sarà stato un altrettanto misero progetto speculativo: quello di raccattare dei regali dando in cambio nulla.

Una cosa è certa: Gli sposi e le rispettive famiglie fecero una magrissima figura! Nel suo genere fu un matrimonio che non dimenticherò mai: il più ridicolo che abbia incontrato in vita mia.

IL VETRAIO

Parecchi anni fa, ad Agrigento, mia nonna e mio nonno ebbero un’esperienza davvero strana, che a raccontarla sembrerebbe una barzelletta. Vissero dei momenti pieni di ansia e di paura.

Un giorno telefonarono (tramite pagine gialle) ad un vetraio, per il semplice fatto che si ruppe un vetro della finestra. L’uomo sembrò abbastanza disponibile e l’indomani si presentò a casa loro con gli attrezzi di lavoro. Mia nonna lo fece entrare gentilmente e gli indicò il vetro rotto da sostituire.

Il vetraio si manifestò in modo veramente fuori dal comune. Innanzitutto ruppe con impeto in mille pezzi il vetro già rotto, col bastone che si fece dare da mia nonna, dopodiché ordinò ai due anziani di stare seduti, immobili. L’uomo intimò mio nonno gridando: “ Lumia! (Il cognome) non ti muovere!”

Rivolgendosi ad entrambi disse: “Fermi, altrimenti vi sbatto questo bastone in testa!”

Continuava a dire frasi sconclusionate e sgridava in continuazione ai due poveri anziani. Roba da pazzi! Cosa stava succedendo? I miei nonni erano terrorizzati e sembravano come presi in ostaggio. Non si capiva quale fosse l’intento dello strano vetraio.

Passarono circa quindici minuti quando mia nonna ebbe il coraggio di alzarsi pian piano e si diresse verso l’uscio della porta. Suonò il campanello dei suoi vicini dello stesso condominio per chiedere aiuto. Disse di essere sotto il dominio di un ubriaco vetraio.

Fortunatamente l’episodio si concluse positivamente, infatti il vicino entrò a casa dei miei nonni, rimproverò l’intruso, evidentemente ero ubriaco fradicio, e lo cacciò in malo modo.

U DUTTURI

Ad Altarello, un paesino della Sicilia nella zona etnea, si trova un piccolo negozio soprannominato: “La bottega del dottore”.

Entrando in questa piccolissima stanza, sembra di trovarsi in un luogo fuori dal tempo, come se questo piccolo mondo fosse rimasto incontaminato dalla cultura consumistica che il tempo della nostra società ha divorato. A chi entra in questa bottega sembra tornare in un epoca passata. L’odore sa di antico, il pavimento molto vecchio con tipiche piastrelle di ceramica, le pareti molto alte con soffitto a volta, con appese antiche stampe sacre, impolverate.

Il venditore è un uomo di età molto avanzata, simpatico, di alta statura, temperamento abbastanza flemmatico, molto rispettoso e galante. Lo hanno sempre chiamato “U dutturi” perché da giovane era in procinto di laurearsi in medicina, ma non ha mai portato a termine gli studi per via di problemi familiari, infatti essendo rimasto celibe, si era preso cura dei genitori molto anziani e malati, tanto da, dopo la loro morte, continuare a portare avanti la loro bottega.

Pur se non è riuscito a coronare il suo sogno di divenire medico, ha sempre nutrito la sua passione cercando di mettere in pratica il suo sapere: si è reso utile agli altri, o meglio, a tutti i suoi clienti, dando spesso dei consigli a chi gli chiede piccole consulenze mediche. In pratica la bottega continua ad essere un centro di ritrovo, un luogo dove chi entra per acquistare i prodotti alimentari non si limita solo a comprare, bensì è portato ad intrattenere un certo tipo di rapporto con “u dutturi” ed anche si intrattiene a sua volta con gli altri clienti, dato che il colto venditore, sia per la sua veneranda età, sia per la sua filosofia di vita, non è mai frettoloso. Di conseguenza, lì non si può avere fretta, per cui si commentano fatti accaduti, si parla di politica, si raccontano storie, ecc.

I prodotti alimentari sono spesso genuini perché “u dutturi” li acquista con la stessa preoccupazione di chi li acquista per sé. Come ho accennato e fatto trapelare, è una persona di sani principi, tra quelli che nella nostra società purtroppo si contano sulla punta delle dita. “U dutturi” non pensa al suo tornaconto, è anche vero che le sue esigenze sono minime dato che non si è mai sposato, per cui non ha la famiglia di cui preoccuparsi, ma è pur vero che cerca di vivere per il bene degli altri, infatti la stessa bottega è diventata come una sua casa. Del resto quando si ritrova tra le sue mura (al piano superiore), forse avverte la solitudine, mentre nella sua bottega non è mai solo, si interessa dei suoi clienti e loro a sua volta loro si interessano di lui.

“U dutturi” ha il convertitore euro, infatti continua a calcolare sempre i prezzi in lire e poi a convertire. In alto, sopra un vecchio armadio si trova un televisore a schermo piatto: unico strumento moderno che spicca e che contrasta nella piccola e antichissima bottega. La funzione di questo mezzo di informazione è quella di intrattenere maggiormente e in modo diverso qualche cliente che magari ha voglia di trascorrere un po’ più di tempo in questa piccola “oasi di pace”.

“U dutturi” aveva subìto diversi tentati furti. Vivendo solo in casa, al piano superiore del negozio, era ormai abituato a dormire con un fucile da caccia regolarmente denunziato, vicino al capezzale. Intuiva che un’eventuale rapina avrebbe potuto subirla ad opera di qualche malvivente suo compaesano, o addirittura da parte di qualche suo cliente che conoscesse bene la disposizione della casa e le abitudini dell’inquilino. Lui probabilmente avrà anche sparso in giro la voce di dormire armato allo scopo di scoraggiare eventuali malintenzionati, ma forse ciò non era bastato, perché da un vecchietto un po’ compromesso dagli acciacchi, si potevano aspettare solo parole e non fatti.

Il momento paventato purtroppo arrivò: una notte, dalla sua camera da letto “u dutturi” avverte rumori, qualche malintenzionato, penetrato dal piano terra, era già dietro la porta e tentava di forzarla. Svegliatosi di soprassalto, si rende conto della gravità della situazione e capisce anche che non ha più il tempo di chiamare il “113”. Diventa lui la sentinella di quell’avamposto e con il fucile spianato, intima a quel malintenzionato: “Vattene via o sparo!” – Tutta la scena si svolge al buio più totale. “U dutturi” mirava a intuito verso la porta minacciata ed esortava per l’ennesima volta il malvivente a desistere e andarsene. Forse quest’ultimo non prese molto sul serio le sue intimazioni, forse pensava nel suo piccolo cervello: “Cosa potrà mai farmi questo povero vecchietto?” E continuava imperterrito a cercare di scardinare quella barriera. A questo punto la minaccia non avvertita dal ladro, diviene veramente pericolosa perché “u dutturi”, non vedendosi preso sul serio, spara nel buio e la fortuna gli è favorevole, anche se forse non era quello che voleva compiere: sulla traiettoria di quella fucilata, dietro la porta, c’era il petto di quell’ostinato ladro che, colpito a morte, resta a terra in una pozza di sangue.

Nel processo, in seguito, “u dutturi” è stato assolto per tutte le attenuanti dei fatti risultate credibili.

RICORDI DI UN’ INSEGNANTE

Non potrò mai dimenticare l’esperienza vissuta il terzo anno di insegnamento nella scuola media. Era il primo anno che insegnavo la mia materia, avevo nove classi. L’entusiasmo era tale che trasmettevo agli alunni la mia gioia nel dare. Mi sentivo come la mamma di tutti perché sono abbastanza protettiva.

Conservavo una bellissima idea sul lavoro di insegnante, forse perché questo lavoro si tramandava nella mia famiglia. Ricordo quando all’età di cinque anni, un giorno, accompagnata da mia madre, mi recai nella scuola elementare dove insegnava mia nonna ad Agrigento. Era l’ultimo anno della sua carriera lavorativa. Entrai in classe, i suoi alunni erano tutti seduti, composti, attenti.

Mia nonna spiegava la lezione e se qualcuno si distraeva, bastava un suo sguardo per richiamarlo all’attenzione. Rimasi colpita positivamente anche perché avevo conosciuto mia nonna nel ruolo di maestra. Lo stesso anno, già frequentavo la prima elementare. La mia maestra si chiamava Clara Masi. Era molto robusta, severa, ma brava. Riusciva a tenere tutte le alunne concentrate e attente. Mi stimava tantissimo e anch’io nutrivo per lei molta stima. Amavo la scuola in quegli anni.

Quando mia madre, dopo diversi anni di insegnamento, vinse il concorso come direttrice didattica, lasciammo Palermo per raggiungere un piccolo paese della Sardegna: Laconi. Lì frequentai la seconda e la terza elementare, proprio nella scuola dove mia madre occupava il posto di direttrice. Erano tempi meravigliosi, quasi come in un sogno. La scuola rifletteva la società in cui si viveva all’epoca.

Mia madre era tanto stimata dagli insegnanti e dai bambini. Non potrò dimenticare la mia classe. Avevo un rapporto molto sereno con tutti i compagni. Non scorderò il mio maestro: Annibale Virgilio. Che splendida persona! Un uomo di mezza età, molto giovanile e soprattutto sui generis. Si faceva volere bene perché molto paziente, sensibile e premuroso. Aveva dei metodi di insegnamento tutti suoi. Ad esempio quando ci interrogava sulle tabelline, formava due file ai lati della cattedra e ci chiedeva: “6 x 8?” 7 x 7? Ecc. Chi rispondeva per primo restava lì, al primo posto, mentre chi rispondeva dopo, si metteva in coda. Ci assegnava un punteggio. Mi divertivo da matti, forse perché ero la più veloce a dare le risposte.

Il maestro, a volte ci faceva uscire, ci portava a fare lunghe passeggiate nel boschetto, situato non lontano dalla scuola. Ci parlava degli alberi, delle piante, della natura. Mi ero molto legata a lui, gli volevo bene, tanto che quando dovemmo lasciare Laconi per tornare a Palermo, dove mia madre ottenne il trasferimento, piansi tanto perché dovevo separarmi dalle amichette, dai miei compagni e dal mio maestro.

Poi frequentai la quarta e la quinta nella bella scuola e sede centrale “Luigi Capuana” di Palermo, dove mia madre prese servizio sempre come direttrice. Anche di quel periodo ho bei ricordi. Avevo un’idea molto poetica dell’insegnante, direi idealista.

Durante gli anni della scuola media, nella mia classe si alternarono diverse professoresse; logicamente c’era quella simpatica o quella per niente simpatica. La prof che sapeva trasmettere agli alunni e quella più chiusa che non aveva la capacità di comunicare un granché. In prima media avevo dieci anni, avendo iniziato con un anno di anticipo, il comportamento della prof di Ed. Artistica fu deludente per me, sia per le scarse capacità professionali, sia perché un giorno usò con me un atteggiamento strano e poco ortodosso: avendo visto un mio disegno che avevo eseguito a casa (un ritratto a figura intera di una mia compagna, copiato dal vero, direttamente a penna).

Molto verosimile, sia per l’espressione del volto, che per le proporzioni rispettate, che dopo averglielo fatto vedere, mi chiese: “Me lo regali?” Le dissi: “No, non posso”. Lei mi rispose: “Se non me lo dai ti boccio!” A quel punto, la presi come una minaccia, ero solo una ragazzina e non sapevo come potermi difendere, a malincuore glielo diedi. Credo che la prof non sarebbe arrivata a tale meschinità se mi fossi opposta, ma per paura presi alla lettera le sue parole! Capii che la prof non fu per niente corretta nei miei confronti, perché mi obbligò a regalarle un’opera a cui tenevo tanto.

Il mio sogno sarebbe stato quello di fare l’artista, anche se l’idea di poter insegnare non mi sarebbe dispiaciuta. Durante il liceo ho avuto alcuni insegnanti abbastanza bravi e anche all’Accademia ho avuto qualche insegnante molto valido. In ogni contesto esiste la persona brillante e quella meno dotata.

Proiettiamoci adesso nel futuro, torniamo al presente. Adesso mi trovo nel ruolo dell’insegnante. Che strana sensazione è stata quella del primo giorno di scuola! E quanti pensieri mi balenavano per la mente del tipo: “Chissà che impressione darò agli alunni! Come mi vedono? Mettendomi nei loro panni e immaginando le loro aspettative, cercherò di risultare perlomeno simpatica, soprattutto perché vorrei fare amare la mia materia e se ci riuscirò, il lavoro sarà più semplice. Vorrei trasmettere a loro non solo la mia materia ma anche i veri valori, l’educazione, le buone maniere. Beh, cercherò di fare la mia parte, farò del mio meglio, però gli alunni si presuppone che già abbiano un’educazione alle spalle! Speriamo!” Pensavo:

“Devo fare molta attenzione, perché se mi mostrassi troppo tenera, loro se ne approfitterebbero e non mi rispetterebbero!”

A parte tutti i miei propositi, ciò che predominava era invece la mia natura dolce e ogni volta che dovevo rimproverare qualcuno o fare la voce grossa, dovevo fare fatica. Riuscivo solo ad essere me stessa e forse, per questo motivo sono riuscita ad accattivare la simpatia di tutti gli alunni. Un episodio davvero comico è che ogni cambio dell’ora un gruppo di ragazzini (maschi e femmine) quasi litigavano per accompagnarmi tutte le volte in aula insegnanti o nell’altra classe per l’ora successiva perché avevano il piacere di portarmi l’occorrente: la borsa, la cartelletta, i registri e siccome non sapevano più cosa portare, qualcuno mi prendeva persino la giacca o il foulard! Ogni volta era un problema perché facevano a gara per prendere le mie cose ed accompagnarmi. Si mobilitavano una decina di persone e alla fine, per evitare litigi, facevo i turni e mi seguivano a volte anche cinque o sei persone. Ero come scortata da un piccolo corteo.

Una volta, una ragazzina di prima mi disse: “Prof, ed io cosa le porto?” Risposi: “Niente, ti ringrazio, vai al tuo posto”. Lei non si arrese e disse: “Prof, la prego, mi faccia portare qualcosa!” Per accontentarla, subito mi venne un’idea, così le dissi: “ Ok. Porta mia mano!”

La scena fu davvero comica quando i suoi occhi sprizzarono di gioia, ci incamminammo tenendoci per mano, mentre gli altri compagni ci seguivano portando il materiale. Al mio avviso era una scena davvero comica, anche perché notavo le espressioni dei miei colleghi che ci guardavano stupefatti, quando capitava di incrociarli nei corridoi. Un giorno un mio collega mi fece un’osservazione. “Sai che non è possibile che gli alunni accompagnano l’insegnante?” Con disinvoltura risposi: “Si lo so, ma vedi se riesci tu a fermarli!” Da quel giorno non provò più a dirmi qualcosa.

Si era instaurato un bel rapporto con i miei alunni, anche se inevitabilmente c’era sempre qualcuno che mi creava problemi a causa della sua maleducazione. Facevo una gran fatica a gestire le classi per via di taluni trascinatori che a volte creavano scompiglio.

Verificai che questo problema riguardasse un po’ tutte le discipline, ma mi accorsi che in particolar modo erano penalizzate le materie ritenute un po’ meno importanti, come Arte e immagine (la mia), religione, musica, ed. fisica. Logicamente sappiamo che non dovrebbe essere cosi! È soltanto un’idea superficiale dei ragazzi.

Tuttavia non potrò mai dimenticare questo primo anno di insegnamento, pieno di grosse soddisfazioni e di ricordi dai risvolti comici. Ad esempio, quando entravo in alcune classi, mi applaudivano! Chissà perché, forse per la simpatia o perché avevano scoperto il mio sito artistico su internet.

Diversi miei alunni si divertivano tanto quando assegnavo un disegno da copiare da uno realizzato da me e soprattutto quando mi mettevo a disegnare alla lavagna. Si meravigliavano della mia mano sicura, precisa, sia nel tracciare linee dritte che curve. Sfidavo me stessa e amavo fare divertire e stupire i ragazzi. Confesso che era un mio debole riuscire a sbalordire, la finalità era anche quella di spronarli a lavorare e impegnarsi sempre di più. Quello era il mio vero intento! Mi divertivo quando vedendomi tracciare cerchi perfetti alla lavagna, qualcuno esclamava: “ Ma prof. lei è per caso figlia di Giotto?”

Ho cercato di essere una prof. spontanea, originale e infatti al momento giusto, soprattutto per rendere la lezione meno monotona, intercalavo con qualche battuta. Rimanevo fedele a quella che è la mia indole. Nello stesso tempo però dovevo porre dei limiti affinché gli alunni non prendessero troppa confidenza.

Quando qualcuno mi chiedeva il permesso per andare in bagno, capivo che non tutti avevano l’effettiva esigenza, guardandolo/a fisso/a negli occhi dicevo: “Puoi andare”, oppure: “No, tu non devi andare in bagno!” Non è urgente, vero?”. Lo facevo per metterli alla prova e così anche questa volta riuscivo a stupire i miei alunni. Loro mi dicevano: “Prof. ma come fa a capire se qualcuno deve andare in bagno o meno?!”

Un’altra situazione comica si verificava all’uscita della scuola, quando mi incrociavano, loro a piedi ed io con la mia auto, se li salutavo, si mettevano ad urlare dalla gioia e se suonavo un colpetto di clacson come segno di importanza che davo loro, questi ridevano all’impazzata dalla contentezza urlando il mio nome e cognome. Vederli in quegli atteggiamenti mi divertiva un mondo!

Gli ultimi giorni di scuola sono stati memorabili, intanto mi sono messa a recitare in alcune classi la scenetta della “ prof cattiva”, logicamente ho spiegato loro che avendo la passione per il teatro (da ragazza ho anche fatto parte di un gruppo teatrale) avrei improvvisato per loro il monologo della prof. cattiva, una scenetta per la quale mi ero ispirata a una mia professoressa dei tempi della scuola media. Ho persino invitato ad assistere alla scena una mia collega e persino una bidella. É stato davvero un “successo” e non potrò mai dimenticare come stessero attenti quei ragazzini. Dentro di me godevo di una gioia segreta, quella di sentirmi realizzata per un attimo più come attrice che come insegnante, ma capivo che non sarebbe stato il caso darlo a intendere agli spettatori.

Ci divertimmo da pazzi. Dato che era uno degli ultimi giorni di scuola, i miei ragazzi mi invitarono con insistenza a intonare alcune mie canzoni. Loro infatti avevano scoperto (non so da quale fonte che in passato mi ero esibita in tv con delle mie canzoni) e siccome durante l’anno mi pregavano di cantare ed io non avevo mai acconsentito, adesso non potevo rifiutare, dato che era una promessa fatta, così cantai un paio di canzoni e li resi felici.

I miei alunni, sapendo che l’anno successivo non avrei lavorato più in quella scuola, non essendo di ruolo, fecero a modo loro come una piccola protesta. Un’intera classe, ad esempio, iniziò ad intonare una specie di coro ritmato: “Olga Serina, resta con noi!” Mi fecero emozionare. Picchiavano le mani sui banchi e ripetevano questa frase per dieci minuti di fila. Dovettero intervenire le bidelle e delle colleghe per ristabilire l’ordine. L’ultimo giorno di scuola, tutti gli alunni mi consegnarono affettuosamente un grande foglio con i propri disegni pieno di frasi e dediche molto emozionanti, era la loro lettera di addio, alcune ragazzine avevano le lacrime agli occhi.

IL LIBRO SPEDITO E RESTITUITO

Un paio di anni fa conobbi una coppia di coniugi, di mezza età, senza figli. Preferisco (per correttezza) cambiare i nomi, li chiamerò Antonella e Claudio. Due liberi professionisti, residenti in un piccolo paese della Sicilia. Lei alta, bionda, molto magra, irascibile, istintiva e passionale, lui, distinto, molto affabile, senza carattere, di quelli che si fanno sottomettere dalla moglie e spesso trattati come un cagnolino bastonato.

Poco tempo fa pubblicai il mio quarto libro “Il miracolo continua” e tramite passaparola e diverse presentazioni, riuscii a vendere un elevato quantitativo di copie. Il libro ebbe successo e inoltre, poiché il ricavato era destinato a due Associazioni missionarie, visto lo scopo benefico, la gente era incentivata ad acquistarlo.

Ricevevo tante richieste per telefono, così preparavo pacchetti e io stessa li spedivo per posta. Logicamente tale era l’entusiasmo che pensai di inviare il libro anche a persone che avevo conosciuto in passato, persone che reputavo fossero un minimo sensibili all’iniziativa. Inserivo il bollettino postale su cui fare il versamento.

Un giorno successe qualcosa di molto sorprendente! Spedii il pacchetto a questa coppia di coniugi, pensando di far loro una piacevole sorpresa, ma purtroppo quando la superbia prende il sopravvento, si distrugge tutto! Ecco cosa accadde:

Dopo circa dieci giorni ricevo sulla mia posta elettronica un messaggio da parte di Claudio con queste testuali parole “Cara Olga, ho ricevuto il tuo libro. Perché l’ hai spedito se non ti è stato richiesto?”

Sinceramente mi sono cadute le braccia poiché mi sembrò poco delicato. Risposi:

“Credevo di non aver fatto nulla di male! E visto (come potrete leggere sul retro copertina) che l’iniziativa non è a scopo di lucro, potete donare una libera offerta, il ricavato sarà devoluto a favore delle opere missionarie. Affettuosi saluti.

L’indomani Claudio mi invia la risposta: “Cara Olga, mi congratulo con te per la tua interessante iniziativa, ma devo dirti che al più presto riceverai il tuo libro perché ho deciso di restituirtelo, non avendo tempo per la lettura”.

Rimasi davvero esterrefatta e da quel momento capii quanto valessero quelle due persone! Percepii quanto fossero meschini, con un reddito equivalente a quattro stipendi di operaio. Compresi pure un altro particolare: “ Le parole di Claudio non erano farina del suo sacco, ma della moglie che gli aveva imposto il copione”. Non a caso, infatti Claudio tempo addietro era venuto alla mia mostra di pittura e aveva persino fatto delle riprese con la telecamera complimentandosi di cuore (almeno in apparenza).

È bastato un piccolo ma significativo gesto per farmi aprire gli occhi e pesare questa coppia di coniugi.

La storia però non poteva concludersi in un modo così assurdo e triste.

Passarono più di quindici giorni, forse venti da quando lessi il messaggio, quando mi giunse la busta col libro rifiutato.

Sono certa che Claudio e Antonella avevano letto il libro, di tempo ne era passato eccome, perché la curiosità immagino sarà stata tanta! Mi accorsi, non a caso, che proprio la copertina mostrava dei solchi, come se qualcuno avesse scritto su un foglio poggiato sopra. Beh, in effetti i due coniugi non hanno avuto nemmeno l’accortezza di trattarlo con riguardo, sarebbe stato loro dovere riconsegnarlo nello stato integro per come era quando lo avevano ricevuto.

Prima di raccontare la parte finale dell’accaduto, vorrei fare una breve premessa. Antonella e Claudio non hanno figli, occupano un’ottima posizione economica, pure se poco interessati all’argomento o con poco tempo da dedicare alla lettura (cosa alquanto insolita per gente che oltre al lavoro non coltiva nessun impegno) avrebbero potuto conservarlo per poter fare un regalino a qualcuno, o semplicemente metterlo da parte! Insomma per risparmiare quei miseri € 20,00 che non avrebbero cambiato la loro situazione economica, hanno fatto una magrissima figura, infatti con questo gesto a dir poco meschino, si sono giocati la reputazione o la stima.

A quel punto decisi di inviargli una risposta. Non doveva essere offensiva (cerco di rimanere su un piano superiore dinanzi a questi squallidi episodi ). Doveva essere però educativa, cioè una lezione alla loro condotta, intrisa di superbia, perché sono quasi certa che il movente principale non è stata la tirchieria, quanto la superbia. É come se Antonella avesse detto: “Ma tu Olga, chi ti credi di essere con questo tuo libro? Io non ho bisogno nemmeno di leggerlo perché non ho nulla da imparare da te!”. In realtà restituendomelo, ha voluto confermare quanto grande fosse la sua altezzosità.

Con semplicità e con estrema incisività decisi di “punire” la loro arroganza, non con rimproveri o lamentele, ma mettendoli di fronte a uno specchio in cui vedere la loro miseria spirituale. Fingendo che le cose fossero andate in maniera normale, iniziava così il massaggio:

“ Carissimo Claudio, ti ringrazio di cuore per non avere mancato alla chiamata che richiede disponibilità e sensibilità, per aver dato consenso alla modesta opera e all’iniziativa promossa, rilanciando il grazie (corale) da parte dei bambini bisognosi dell’India e dell’Africa sostenuti da questo progetto…”

La mail era anche accompagnata da un commovente supporto multimediale che metteva in relazione il tema della carità e lo spirito cristiano.

Penso di aver riservato per loro il trattamento che meritavano.

DAL MIO DIARIO dedicato alle prime frasi pronunziate dai miei figli

Fortunatamente ebbi l’idea di scrivere sull’album da foto (una specie di libro) che è stato regalato all’arrivo del primo figlio, in occasione della sua nascita, le prime frasi più spiritose pronunziate da lui. Successivamente, di volta in volta, con l’arrivo del secondo aggiungevo anche le sue, fino all’ età di otto anni (il minore) e di undici (il maggiore) cercando di riprodurre fedelmente i loro discorsi che mi colpivano maggiormente. Se non avessi trascritto questo “diario” sicuramente non avrei potuto dedicare a Sebastian e a Francesco questo capitolo.

Ciò che ho pubblicato è esattamente la trascrizione delle pagine del diario (dal 1990 al 2006).

All’età di due anni e mezzo Sebastian pronunzia le frasi: “Papà, non insistele!” “È difficile dolmile”. “Non è possibile entlale nella cameletta”. “Non mi intelessa mangiale la licotta con la pasta”. “Papà, non esagelale”.

Una sera mio marito aveva preso il cagnolino giocattolo per cambiare le batterie, spiegando al bambino che non sarebbe stato capace perché ancora piccolo, al che Sebastian disse. “Papà, le battelie le metto io, perché tu sei ancola gande”.

All’ età di due anni, Sebastian, quando usciva con la sua mamma e il suo papà, si precipitava verso gli altri bimbi, soprattutto le bambine per abbracciarle, le stringeva forte e le baciava.

Persino al supermercato, trovandosi sul carrello della spesa, se passava vicino a lui una bimba su un carrello gridava: “Voglio fare le coccole alla bimba!”

A volte capitava però che qualche bimba era maldisposta e si rifiutava di farsi abbracciare, così lui ci rimaneva male e a volte piangeva.

Un anno dopo, all’età di tre anni, un giorno Sebastian disse a mio marito: “Papà, ma come faccio a sapere se una bambina si lascia abbracciare oppure no?”

Mio marito rispose: “È molto semplice, basta guardare la bambina in faccia, se lei ti sorride allora vai! Se invece non lo fa, lascia perdere”.

Così per ogni bambina che incontrava prima chiedeva: “quella ride?”

Se si andava al parco o nei campi, Sebastian raccoglieva un fiorellino per regalarlo a qualche bimba di passaggio. All’età di due anni e mezzo, vedendo la mia pancia in gravidanza, si faceva spesso delle domande ed un giorno disse a suo padre, toccandogli la pancia: “Papà, anche tu aspetti Francesco?” non si capisce se scherzasse, è più probabile che non avesse ancora chiaro il problema dell’attesa di un bambino.

Una volta Sebastian, per scherzo, si mise un palloncino sotto la maglietta creandosi una finta pancia e cominciò a ridere gridando: “Qui dentro c’è Francesco! Anch’io, anch’io aspetto Francesco!”

L’episodio più divertente fu quando l’ottavo mese di gravidanza, Sebastian, all’età di quasi tre anni, saliva sulle gambe della mamma gridando:” Mi voglio buttare nella pancia! Mi voglio buttare e voglio nascere anch’io con Francesco, a Giugno!” Nello stesso tempo tentava di scoprire la mia grossa pancia con insistenza.

Al supermercato Sebastian all’età di due anni si divertiva sul carrello fingendo di leggere il foglietto con l’elenco dei prodotti da acquistare e pronunziava le seguenti parole: “Calne, piselli, patate, veldula, zucchine, gelato, giocattolo, schifezze, polchelie … e si metteva a ridere divertito. Evidentemente aveva uno spiccato senso dell’umorismo.

Sebastian, alla stessa età, osservò un pesciolino rosso in un piccolo acquario, in casa di amici. Indicando il pesciolino disse alla padrona di casa: “Questo pesce io lo mangio flitto”.

Sebastian sempre a soli due anni e mezzo dice:

“Mamma, tu sei carina, caldina ed elegante. Io sono intelligente e stupendo; papà è il principe azzurro”.

A volte chiama la mamma “Olga Sarina”, scherzando, poiché sente chiamare suo padre “Sarino” dalla nonna.

Io a mio figlio, quando ha tre anni: “Sebastian, stanotte vuoi dormire con la mamma o con la nonna?” Lui, senza esitare risponde: “Voglio dolmire con la ragazzina”.

Spesso mio figlio mostrava sentimenti di eccessiva gelosia nei confronti del fratellino da poco nato. Allora a volte lo mettevo alla prova. Gli chiedevo: “Sebastian, che ne pensi di regalare Francesco a Daniela? (una nostra parente). Sai, così la mamma si stanca meno. Cosa ne pensi, lo regaliamo?”

Sebastian: “ No, anche Francesco salà gande!”

In effetti mio figlio è già molto affettuoso e protettivo verso il fratellino appena arrivato. Vorrebbe dargli il latte dal biberon, lo culla quando piange, gli mette il ciuccio in bocca.

La mamma: “ Chi è più bello, Francesco o Sebastian?” - “Francesco e Sebastian. Francesco è bello, è blutto quando fa smolfie”.

Sebastian a tre anni: “Voglio le donne, quelle che si mettono il tlucco”.

Al mare la mamma vuole togliere la canottiera a Sebastian ma lui si oppone e piange.

Mamma: “Perché non ti spogli, ti vergogni?”

- “Sì”

Mamma: “Perché? Tu sei bello, non devi vergognarti! Sei un fustino o un gallinello?!”

- “Un gallinello.”

Sebastian dice alla fidanzata di Alessandro (una bellissima ragazza): “Tatiana. Mi polti in discoteca con te?”

Sebastian gioca con mia cugina. Ad un certo punto le dice: “Adesso ti voglio spalale con la pistola”.

Lei fingendo di essere intimorita, dice: “No, Sebastian, non mi sparare! Altrimenti muoio!”

Lui sicuro:” Non puoi molile, la pistola è finta!”

Sebastian a due anni: “Lilly (molto carina e simpatica) ti amo”.

Sebastian a tre anni e tre mesi dice, poiché la mamma deve allattare e occuparsi di Francesco, nato da pochi mesi, spesso dice: “La mamma è di Francesco, papà è di Sebastian. Quando a volte mi avvicino a mio marito, lui protesta: “Lascia papà, è mio! Non lo toccare!”

La mamma rimprovera Sebastian perché gioca in modo pericoloso, gli dice con tono severo: “Sebastian, guarda che se cadi, non ti posso accompagnare all’ospedale perché non ho la macchina! Se ti rompi la testa, chi ti porta al pronto soccorso?”

Mio figlio. “Mi polta papà con la sua macchina, quando viene dalla scuola; dopo papà mi fa la medicazione”.

Sebastian fa capricci e non vuole mangiare la minestra, la mamma, affinché il figlio si convinca, riempie il cucchiaio di minestra e tentando di imboccarlo dice: “ Sebastian, questo è il camion!”. Lui con aria stupita risponde: “Ma il camion non si mangia!”

Sebastian: “Se voi legalate Fancesco, io piango, mi incasso e ghido!”

Francesco piagnucola per tanto tempo e la mamma si spazientisce perché è stanca e molto indaffarata. Lei gli dice: “Francesco, smettila! Sebastian (tra anni) prende le difese del fratellino dicendo: “Ma Francesco è piccolo per dirgli queste cose!”

La mamma: “Sebastian, cosa ti ha detto suor Soccorro oggi all’asilo?”

Risponde: “Ha detto che sei bello, intelligente e profumato”.

La mamma: “Cosa ti ha detto oggi Martina?”

Seb: “Maltina mi ha dato un bacio piccolo e un bacio gande”.

Sebastian a due anni fa i primi disegnini e già a tre anni conosce tutti i colori.

A tre anni e mezzo dice: “Mamma, quando viene Babbo Natale?”

- Arriverà il 25 Dicembre e ti porterà un regalo, sei contento?”

- Si, ma anch’io glielo voglio portare il regalo a Babbo Natale, Papà mi attacca la barba e divento Babbo Natale, così gli faccio un regalo”. Sebastian ha preso il suo orsacchiotto più bello esprimendo il desiderio di donarlo a Babbo Natale, dicendo: “Io ho tanti giocattoli!”

Sebastian a tre anni e mezzo dice: “Papà è lungo come un campanile lungo”.

Dice alla mamma indicando i capelli del fratellino di sette mesi: “Mamma, Francesco che cosa ha qui?”

- “Sono i capelli”.

Riprende: “No, non sono i capelli, sono i peli!”

Sebastian a quattro anni:

Il freddo è blu.

Il caldo è giallo.

La sete è trasparente.

La puzza è marrone.

La fame è bianca.

Il profumo è rosso.

La febbre è verde.

Sebastian dice alla mamma che finge di stare un po’ male: “Mamma, non posso guarirti io, ti guarirà l’Angelo Custode, ti guarda la gola e poi ti fa stare bene perché lui mangia il pane quotidiano”.

A cinque anni e mezzo: “Papà, a che serve il Natale? Per calmare e per divertirsi?”

Francesco a tre anni e mezzo, già a letto, chiede: “Dov’è Sebastian?

Papà risponde: “Si sta lavando, si spera”.

Francesco: “No si spera, si lava!”

Francesco all’età di sei anni dice sempre che le femmine sono tutte brutte. L’unica donna bellissima è la mamma.

Mi dice. “Soltanto tu sei bella”.

Francesco all’età di sei anni dice: “Mamma, se per esempio si pensa ad una parolaccia per sbaglio e viene Gesù, Lui si arrabbia?”

Francesco a sei anni dice: “Mamma, ora capisco cosa vuol dire essere morto, significa che l’anima esce dal corpo e va in Paradiso. L’anima è più forte del corpo perché il corpo muore, invece l’anima non muore mai”.

Francesco a sei anni osserva una foto dei suoi genitori da giovani e dice: “Conosco i sentimenti di questa foto. Voi due vi siete innamorati perché siete belli e vi amate”.

Ogni mattina Francesco (all’età di otto anni) si reca in Chiesa con la mamma prima di andare a scuola. La mamma gli dice: “Perché non preghi?”

Lui risponde: “Non posso pregare, mi vergogno. Non ci riesco.

La mamma: “Prega la Madonnina e le dille di darti il coraggio di pregare, prega anche mentalmente”.

Mio figlio: “Ma come faccio a pregare se mi vergogno?!”

Sebastian all’età di 11 anni mi dice: “Mamma, in Paradiso vedremo anche le anime degli alieni?”

Francesco all’età di otto anni dice: “Mamma, quando mi sposo la mia donna, vuole obbligarmi a comprare la casa e a pagare tutte le spese?”

- No! Sarete in due a pagarle!”

- Veramente io so che tante donne sono prepotenti! Allora come farò?”

- È semplice, quelle prepotenti dovrai allontanarle, non le dovrai sposare!”

VIRGINIA CITTA’ FELICE

C’era una volta un uomo. Pazzo: sapete perché? Perché faceva tutto quello che gli altri non facevano e pensava tutto quello che gli altri non pensavano. Forse era nato in un’epoca sbagliata o forse era meglio se non fosse nato. Ma questo lo sostenevano gli altri. Adesso vi descrivo il posto in cui egli era nato, ma procediamo con ordine. Era il 2165, la città si chiamava Virginia, era una città meravigliosa, ma le sue meraviglie quest’uomo non le capiva. Le case erano attaccate l’una all’ altra, come una specie di alveare, le strade erano intrecciate e accavallate l’un sull’altra, e gli alberi? Ma che dico, scusate, non c’era spazio per gli alberi. L’importante era produrre sempre di più, avere tanti soldi e spenderli in oggetti vari magari inutili e mangiare senza limiti. Ah, com’era bella Virginia! Esprimeva il massimo della sua produzione; il suo motto era: “Produco per produrre”.

La produzione giustificava i mezzi adottati e lo stile di vita. Gli uomini erano talmente intelligenti da aver reso tutto artificiale, persino il cibo, certo, perché rendendolo artificiale si risparmiava tempo e solo impiegando meno tempo potevano produrre sempre di più. Era proprio comodo vivere secondo questa filosofia. Ma Dio esisteva nei loro cuori? Certo che esisteva, quel Dio si chiamava Benessere: originale come Dio, anzi direi abbastanza concreto, era impensato infatti un Dio più lontano. Persino il saluto era. “Buona produzione”. Non vi ho ancora parlato degli appartamenti! Roba da sogno, tutto era automatico e a portata di mano.

Se si aveva bisogno di un bicchiere d’acqua, bastava pigiare un bottone ed ecco l’acqua, se si doveva andare nel soggiorno, bastava premere un bottone ed ecco il soggiorno (infatti le camere erano girevoli). Insomma la vita era comoda davvero. Sapete come giocavano i bambini? Non occorreva che si scomodassero per andare giù in giardino dato che giardini non esistevano; e anche se avessero avuto il desiderio di giocare a pallone o andare in bicicletta, non avrebbero avuto gli spazi per poterlo fare. Ma fortunatamente le madri TV tenevano i bambini inchiodati fin quando non dolessero loro i sederini. I più attivi giocavano con dei giocattoli tecnologicamente perfetti fino alla noia perché la fantasia del bambino in pratica veniva repressa. Questi giocattoli erano animati e si muovevano solo premendo un bottone.

La cosa più grave era che circa l’educazione dei figli, le mamme ingenuamente pensavano che li educasse l’impeccabile TV, del resto non avevano tempo da perdere coi propri marmocchi; così affidavano i loro bambini a programmi demenziali, deprimenti, noiosi, stupidi o violenti. Non importava se poi nel tempo i poveri figlioli accusavano problemi psichici o divenivano nevrotici. Non esistevano più libri oltre quelli scolastici poiché era impensabile sprecare dell’energia mentale su dei pezzi di carta quando potevano godere di un appagante schermo con sfarzosi colori.

Com’era bello vivere a Virginia! Senza alcuno sforzo per agire e pensare. Tutto facile e a portata di mano. Si camminava a piedi? Macché a piedi! Avrebbero sprecato del tempo! E si sarebbero stancati! Non dimentichiamo che il tempo era oro. Virginia, che città! Meravigliosa davvero, e che uomini perfetti! Precisi! Sembravano tutti con la stessa testa, in quanto prendevano come modello il computer. Non ho ancora finito di vantare Virginia e i suoi abitanti, avevo dimenticato la furbizia! Poiché non esistevano alberi, le pareti dei palazzi erano dipinti in diverse tonalità di verde con tronchi e rami che rendevano l’idea di alberi, curavano l’estetica. In fondo era tutto artificiale, persino il cibo. La salute? Ma siete impazziti! Dove avrebbero avuto il tempo di pensare alla salute? Era da stupidi!

Ciò che importava era arricchirsi e avere una vita sempre più comoda fino alla noia. Le sigarette completavano il loro stato di appagamento. Che godimento era la sigaretta! Inoltre, le sigarette davano un’idea di raffinatezza, di intellettualità, un senso di sollievo, e poi quelle spire di fumo bianco e profumato si amalgamavano col fumo delle raffinerie e dei carburanti delle macchine. Chi entrava in città capiva subito di essere in una città grandiosa perché respirava un’aria diversa, grigia, che colmava i polmoni.

Ritornando all’inizio del racconto, quell’uomo era pazzo, perché non ragionava con la testa della maggioranza, ma solo con la sua. Seguiva poco la TV e trascorreva lunghe serate sui libri. Faceva lunghe camminate, parlava di cose molto strane, parlava di creatività, di fantasia, di originalità, di interiorità, di libertà, di spiritualità, ma ormai i suoi concittadini non ne potevano capire il senso perché erano talmente perfetti da considerarsi delle macchine.

Egli viveva fuori città in una casetta con un giardino e degli alberi veri. Lì l’aria era pura e non c’era smog. Trascorreva del tempo nel suo orticello dove coltivava le sue verdure, ortaggi e legumi. Aveva lottato per salvare il suo piccolo pezzo di terra con la sua casetta. Lo deridevano perché non sapeva vivere come gli altri. Che uomo ridicolo! “ Pensate, dicevano, non sfrutta le comodità che avrebbe in città, infatti è raro che usufruisca della sua auto, e non accumula beni materiali, anzi sostiene che bisogna accumulare beni spirituali”. Ma non sapevano, pensavano, che la verità era tutto ciò che si toccava con mano?

Quest’uomo meditava e quando cercava di parlare di amore del prossimo e di Dio alla gente, non era capito perché le loro menti erano tutte standardizzate.” Povero illuso!” Pensavano. “Chissà cosa ha nella sua testa! É un pazzo sognatore”.

Un giorno andarono a trovarlo e gli dissero: “Noi siamo nella verità perché è indubbio che siamo persone normali, solo tu sei diverso. Il Dio amore di cui parli è pura fantasia, è un’astrazione, invece il vero dio è proprio qui: è il piacere del momento, della vita presente che ci gratifica. Guarda in faccia la realtà. Come faresti a rivoluzionare tutta una cultura?”

Un giorno l’uomo “pazzo” morì, andò in Cielo, vide Dio e fu investito dal Suo amore.

Nel 2765 ebbe la possibilità di vedere Virginia dall’alto. Vide gli abitanti trasformati, avevano gambe e braccia metalliche, tutto il corpo fatto di pezzi metallizzati, persino la testa era in acciaio inossidabile e la voce non era umana. Che cosa sensazionale! Erano diventati robot, ma continuavano a muoversi e a parlare come uomini.

Che perfezione il progresso tecnologico! Un vero dio!

PHIELTOR

“Guarda! Guarda su in cielo! Non credo ai miei occhi!

Ma io non sto sognando! É un’enorme astronave! E’ proprio un ufo!!!”

Mario e Giovanna, attoniti, rimasero di ghiaccio. La navicella atterrò e le luci che emanava quasi abbagliavano. La sua forma era quasi una semicalotta a pianta ellittica allargata sulla quale era incorporata una semisfera di vetro trasparente con radiazioni luminose; in corrispondenza all’enorme navicella in basso, seguiva una fila di piccole luci colorate dove predominava il rosso, il blu e il giallo. Ne uscì un ometto in controluce, si fermò per un minuto, poi si avvicinò verso i due giovani, quasi al rallentatore. Era impressionante, la sua pelle ruvida verde spiccava da lontano, il suo volto privo di naso, almeno apparentemente, mostrava due occhi molto grandi, sporgenti.

“Ma è un uomo, un robot o un animale?”

“ Piano che ti sente!”

“Non preoccuparti, sono un essere superiore all’essere umano, faccio parte della stirpe dei superuomini.”

“Ma come ha fatto a sentirci se è distante da noi? E avete ascoltato la sua voce? Sembra come amplificata.”

Intanto lo strano essere si avvicina sempre più a Mario e Giovanna e i giovani si allontanano impauriti. Le sue mani presentano dita molto lunghe, sproporzionate, i piedi sembrano due pinne.

Ometto – “Non abbiate paura. Siamo qui in pace, per la pace e per insegnarvi tante cose.”

I due giovani, più tranquilli, ma emozionantissimi, con la massima concentrazione, pendevano dalle labbra dello strano essere.

“Comincerò a parlarvi dei nostri poteri che superano i limiti della vostra mente. Ecco perché ci chiamiamo superuomini. Da ciò si deduce che la natura è soggettiva in quanto non esiste una natura per i mortali come tutti noi. Soltanto la natura divina è immutabile.

Giovanna: “Posso farti una domanda?”

Ometto. “Non occorre, già ho letto il tuo pensiero. Vuoi domandarmi se siamo venuti sulla terra per caso o di proposito, se sapevamo della vostra esistenza. Sì, sappiamo tutto, dalla creazione dell’uomo fino ai vostri giorni. É la prima volta che veniamo a conoscervi personalmente.

“Ma come è possibile tutto questo?”

“Noi da Giove vi osserviamo attraverso uno schermo a raggi laser giorno per giorno o meglio quando lo desideriamo. Basta premere un pulsante per vedere tutto ciò che succede sulla terra. Per esempio quando accadde la strage della bomba atomica a Hiroshima, quando si debella un virus di una malattia, quando avviene una scoperta scientifica o di altro genere, automaticamente vengono trasmesse le immagini sullo schermo chiamato phieltor, poiché l’energia che la terra emana per l’intenso dolore o l’intensa gioia, arriva fino al nostro pianeta e attraverso un circuito le cui leggi di natura superano le vostre. Si trasmettono proprio come se riprese da una cinepresa e proiettate su uno schermo.

Mario: “Qual è il meccanismo che consente tutto ciò?” Ometto: “Mi dispiace tanto ma sarebbe inutile spiegarvi cose che per voi sono incomprensibili. La nostra evoluzione e intelligenza è dieci volte superiore alla vostra. Dovete sapere che tuttora il phieltor ci consente di vedere gli episodi accaduti iniziando dalla storia dell’essere umano, come se fosse la bobina registrata di un film. Noi siamo nati 60.000 anni prima di voi e la nostra intelligenza ci ha consentito di scoprire il phieltor dopo tantissime ricerche.

Sapevamo col nostro intuito che esistevano altri esseri nell’universo, ma il phieltor ci ha dato la conferma ed è stato l’evento più grandioso di tutta la storia dei superuomini. É stato bello vedere l’essere umano nella sua evoluzione fisica e spirituale e ci siamo proposti di conoscere da vicino questo essere chiamato uomo e così dopo ventimila anni eccoci qua. Siamo arrivati su questo pianeta in mezzo a voi con la speranza che gradiate la nostra presenza. Il motivo della nostra venuta sul vostro pianeta è principalmente quello di aiutarvi affinché non si distrugga l’umanità come attraverso il phieltor sembra probabile.

Tutto quello che sta accadendo in questo minuto si sta registrando nel phieltor, davanti al quale tutti i superuomini si trovano con le lacrime agli occhi per la gioia. Questo grande evento dell’incontro tra l’uomo e il superuomo rimarrà nella storia nell’universo. Delle particelle nello spazio chiamate lanchels, in contatto con energie che il nostro corpo eterico sprigiona, creano un serfostal, in termini umani, come una specie di nastro indistruttibile che raccoglie una serie di filmati. Ecco perché non si cancella mai tutto ciò che si trasmette, in quanto automaticamente rimane inciso nel serfostal. Il materiale è composto da una sostanza che in terra non esiste.

Mario: “Il phieltor è sonoro?”

Ometto: “No, è come un cinema muto, ma ciò non costituisce un problema.”

Giovanna: “Ma allora come fate a recepire tutta la storia dell’umanità, il nostro pensiero, la volontà e i desideri se non vi giungono parole?”

Lo strano essere con un sorriso benevolo rispose: “Adesso vi spiego, noi comunichiamo senza parole, solo con sguardi e attraverso i movimenti, anche minimi e per contatto di energia attraverso la mano e solo in caso di distanza usiamo la voce, ecco perché è diversa dalla vostra, come se fosse amplificata.

Giovanna: “In quanti siete nell’astronave?”

“ Siamo in cinquanta.”

“ E quanto tempo pensate di restare sulla terra?”

“Non si sa, dipende da tutti voi, in quanto tempo riuscirete ad assimilare il nostro messaggio. Dipende se sarete in grado di accettare il nostro aiuto. Dovrete innanzitutto prestare molta attenzione e mettere buona volontà, dovrete essere sincere con voi stessi e con gli altri, dovrete abbandonare molte cattive abitudini e congetture, ma alla base, rivoluzionare il vostro modo di pensare, spesso falso, nocivo e materialista. Dovrete imparare ad amare voi stessi e gli atri. Noi non conosciamo il futuro, né il nostro, né il vostro. Quando il superuomo ha programmato quello che succederà nel duemila dopo Cristo, nel phieltor si sono viste due versioni, due possibilità, una scena terrificante ed un’altra stupenda. Poiché il futuro non è ancora accaduto, abbiamo dedotto che sarà l’uomo stesso che con le sue azioni determinerà la buona e la cattiva sorte; sono due le possibilità. Siamo qui per aprirvi gli occhi, dato che se ci credete potete fare molto affinché non arriviate alla scena terrificante che abbiamo visto.

Le immagini risultano molto sbiadite, ma è già un miracolo come si siano formate. Questo è il mistero della macchina del tempo. Da noi non esiste odio e violenza e di conseguenza pensieri negativi. Non esiste competizione o invidia. Tutto ha una spiegazione: il superuomo verte sul principio di essere e non di avere, cioè viviamo per essere sempre più e non per avere sempre più”.

Giovanna: “Ma questo è l’insegnamento di Gesù!”

Ometto: “Certamente e se noi siamo felici, è semplicemente perché abbiamo da sempre attuato l’insegnamento di Dio, quindi le Sacre Scritture. L’avere infatti porta all’insoddisfazione, a discordie e guerre, alla ipocrisia. Ciò che si ha è destinato a morire, mentre ciò che è dentro ciascuno di noi, rimarrà in eterno e ci rende più liberi e felici. Il lavoro deve essere costruttivo e non distruttivo. Bisogna lavorare per progredire e per migliorare, ma rispettando la natura. Non è così? Riflettete. Sapete perché è avvenuto uno squilibrio naturale? Sicuramente sì, ma voi non agite.”

Continuando: “Adesso andiamo, tanta gente ha bisogno delle nostre parole.”

L’ometto si avviò lentamente verso la navicella, salì salutando e disse: “Spero che un giorno sceglieremo alcuni di voi per portarvi su Giove e farvi conoscere il phieltor”. In un istante la navicella spiccò il volo e in un baleno sparì.

Forse voi non credete all’incontro dell’uomo col superuomo, non importa. Ciò che conta è che il superuomo e il phieltor esistono nella nostra mente e ancora oggi Mario e Giovanna meditano su quelle sagge parole che cercano di fare attuare.

LA FAVOLA MAGICA

C’era una volta un tempo in cui i narratori avevano un potere: quello di trasformare le favole in realtà, i personaggi creati con la fantasia diventavano reali. I bambini, felici, mentre ascoltavano le storie della favola magica, vivevano delle forti emozioni lasciandosi suggestionare da parole e contenuti. Anche gli adulti restavano incantati dalla straordinaria favola magica poiché ogni personaggio trasmetteva un messaggio lasciando qualcosa di sé. Il potere più grande dei narratori era quello di confondere i lettori e il pubblico ad un punto tale da non comprendere più se la favola fosse solo una favola o una realtà.

Sappiate però che una favola può nascondere delle verità, mentre certe realtà possono sembrare favole. In verità racconto la vita e la natura dell’essere umano. Affermo anticipatamente che questa favola non ha una conclusione perché è la stessa favola che la esclude. Possono esistere tanti finali, o meglio ognuno può terminarla a modo proprio, come meglio crede, anzi sarò più precisa: questa favola magica non potrà mai avere una conclusione proprio perché …. sarete voi a capire.

Il primo personaggio è il batterista. Batterista:

Io sono il batterista e vedo la vita come un ritmo continuo. É tutto un suono, tutto un ritmo. Tum, tum, tum. Quando mi trovo in mezzo al traffico cittadino avverto i rumori e i suoni come se fosse tutto ritmato. Tum, tum, tum. Quando mi trovo in un bosco sento i suoni della natura, il canto degli uccelli, il fruscio delle foglie al vento, il canto di una cicala. Tutto è ritmo. Quando mi trovo nella notte buia sotto le stelle, l’universo possiede i suoi ritmi, quelli dei pianeti, degli spazi che rimbombano, gli echi dei suoni più nascosti. E quando le cellule, le molecole e i globuli del mio sangue circolano all’interno del corpo, anche lì c’è ritmo. Tum, tum, tum.

Il pittore:

Io sono un osservatore. Riesco a vedere ogni cosa, ogni elemento e oggetto sottoforma di linee e di colore. Apprezzo tutto per i colori. I colori sono stupendi, possiedono vibrazioni e sfumature infinite, sempre con gradazioni diverse. Il rosso, il giallo, l’arancio e i suoi derivati sono colori caldi; il blu, il verde, il viola, sono colori freddi. I colori ti illuminano, ti scaldano il cuore, ti fanno riposare, ti fanno svegliare, sognare, ti fanno gioire. Quando cammino per le vie della città apprezzo i colori delle vie, della gente, dei mercati, dei palazzi e nasce in me la voglia di dipingere ciò che i miei occhi vedono e fermerei l’attimo. Tutto per me è forma e colore.

Quando mi trovo davanti ad un tramonto, osservo le nuvole. Amo le infinite forme che sono in continuo movimento e i meravigliosi colori subordinati alla luce del sole. Quando osservo il mare, cerco di raffigurare il diverso colore dell’acqua e delle onde quando questo è mosso. Le onde hanno una suggestione particolare. Anche le chiome degli alberi al tramonto suscitano una bellezza diversa rispetto ad un bosco illuminato in pieno giorno.

Il mio compito è quello di fermare il momento e le immagini che i miei occhi vedono filtrate dalla mia anima, perché il compito dell’artista è quello di comunicare le proprie emozioni, non sempre infatti un pittore si può definire tale. Il pittore che si limita a riprodurre la realtà non è un vero artista, nonostante possa essere un talentato in questo campo. L’ artista ricrea, reinventa, interpreta. L’artista è colui che riesce ad esprimere se stesso e quindi a trasmettere agli altri le proprie emozioni.

Il poeta:

Condivido perfettamente. Quando sono ispirato scrivo poesie. Le più belle poesie scaturiscono dalla mia anima quando vivo momenti di sofferenza o momenti di estrema gioia. A volte scrivo anche in altri momenti, ma posso affermare che le migliori poesie sono scritte quando mi sento ispirato. Molte volte è la natura stessa che mi spinge a esprimere me stesso, un cielo stellato, un tramonto o il silenzio di un bosco, ma a volte è il mio stato d’animo che mi trascina a portare sul foglio i miei pensieri, le mie sensazioni.

Se il lettore, in seguito, riesce ad emozionarsi, vuol dire che allora sono riuscito a trasmettere agli altri le mie emozioni. Solo in questo caso potrei definirmi un artista.

Attore:

È proprio così. Quando recito una parte, un dramma, una commedia o una semplice poesia, devo innanzitutto emozionarmi, immedesimarmi nel personaggio ed è come se vivessi un momento magico. Un bravo attore è un artista e l’artista è colui che riesce a donare, a far vivere emozioni e suggestioni agli altri.

Ballerina:

Condivido. Amo la danza. Più di ogni cosa al mondo. Vedo con occhi di danzatrice. Vedo il mondo in movimento. Tutto è movimento, gli esseri viventi, piante, animali, persone, è tutto in movimento. Anche la terra è in continuo movimento, fiumi, mari. Nell’universo non c’è nulla di statico: astri, pianeti, tutto si muove. Quando noi dormiamo il nostro corpo è in continuo lieve movimento. Quando danzo accompagnata dalla musica, vivo certe emozioni indescrivibili, quando musica e ballo sono in armonia, percepisco emozioni che riesco a trasmettere a chi mi vede e così tali suggestioni rimbalzano da me che danzo a chi mi osserva. Quando ballo, sogno ad occhi aperti e faccio sognare il pubblico.

Il ragioniere:

2 + 2 fa 4. 4 x 4 fa 16. Devo fare alcuni conti arretrati per capire il calcolo di alcune cifre che non farei mai se non facessi i conti di un procedimento molto utile per capire i conti di un procedimento tanto difficile, ma che ti aiuta a rapportare certi calcoli che nessuno immaginerebbe. Sapete? Ho l’abitudine di scrivere tutto, di fare i calcoli per sapere quanto spendo in un mese, in un anno, in dieci anni. A volte penso che sarà un problema per i miei figli e per mia moglie se un domani io venissi a mancare, perché come faranno a portare avanti tutti i conti che necessitano per portare avanti la famiglia?

Il merlo parlante: È giusto essere precisi, ma se si esagera si vive male, si vive con ansia e senza tranquillità.

Il sognatore:

Sono un sognatore, sogno di diventare qualcuno, ma non so far niente; non eccello in nessun campo, non ho molta volontà e non ho grandi talenti. Amo solo sognare che tutto sia migliore. Sogno di avere una bella villa, una fattoria, un elicottero personale e una barca a vela. So che non sarà facile perché non i mezzi per ottenerli ma … sognare di possederli mi fa star meglio.

Il merlo parlante:

Sogna, sogna, ma sei un povero illuso perché non sei capace di conquistarti le piccole cose, figurati le grandi! Cerca di essere coi piedi per terra, anche se nella vita è giusto sognare, perché non si potrebbe vivere senza immaginazione. Ciò però che conta è continuare a sperare, ma cerca di sognare quanto basta.

La casalinga:

Sto sempre a pulire, rassettare, lavare e poi ancora daccapo: pulire, rassettare, spazzare e spolverare. Ah, la polvere, è micidiale! È tremenda! Si deposita pian piano, in silenzio e tu non la vedi agire! Ecco perché è qualcosa da non credere! Quando sta per sporcare, lentamente, leggermente, non si vede e intanto, in modo subdolo, si deposita, si annida.

Mi sento una donna frustrata perché il mio lavoro non si vede, non se ne accorge nessuno, dato che si crede che la pulizia e l’ordine siano una cosa scontata e intanto il mio lavoro è monotono, stancante e ripetitivo!

Il merlo parlante:

Oh, casalinga mia, cerca di assumere un atteggiamento diverso e vedrai che il tuo lavoro ti peserà meno. Innanzitutto non essere schiava della pulizia, né tanto meno della casa, perché sì è importante l’igiene e l’ordine, ma… quando si esagera non va bene affatto, altrimenti perdi la tua tranquillità. Se ti fissi su certe cose di poca importanza diventi maniacale! Ricordalo. Se poi compi il tuo lavoro con gioia e con amore, vedrai come tutto cambia! Sarai edificata e ti sentirai realizzata, anche nella tua apparente banalità il tuo lavoro è molto importante e dignitoso. Qualunque tipo di lavoro si compia, se è fatto con amore, assume la sua importanza.

Ecco la favola magica. È terminata, anche se in realtà questa non è mai terminata perché la favola magica è paragonabile alla vita stessa. Magica perché la vita è un mistero. Mistero dell’infinito, dell’amore e dell’amore divino che sostiene il mondo. Magica perché ognuno di noi ha una storia da raccontare ed è un mondo a sé, ognuno col filtro della propria mente. Magica perché sono i sentimenti dell’essere umano, che rendono preziosa la nostra esistenza.

CHI È PIÙ UMANO L’UOMO O L’ANIMALE?

Buonasera! Siamo qui in questa sala grandiosa del pianeta. Voi cari marziani, ci state ammirando estasiati per la nostra bellezza, mentre noi vi stiamo osservando un po’ schifati per il vostro aspetto fisico piuttosto orripilante. In compenso però apprezziamo la vostra intelligenza. È un giorno memorabile perché un gruppo di terrestri è stato invitato sul vostro pianeta per confrontarci con voi marziani. Per favore, paparazzi, viaaa! Non abbiamo bisogno di voi! Ognuno faccia la sua parte, ognuno svolga il suo ruolo con dignità: il fotografo faccia il fotografo, ma lo faccia con dignità e scrupolosità, senza bisogno di ricatti, ad esempio, senza fotografare qualche divo o famoso personaggio mentre si scaccola per poi chiedergli un’ esorbitante cifra di denaro per non pubblicare la foto oscena.

Ecco perché il mondo sta andando alla rovina! Perché tanti rivestono ruoli che non gli competono. E non c’è di peggio quando usano il posto che occupano per sentirsi superiori o se abusano del loro potere!!! Ecco i marziani invece, a differenza degli esseri umani, loro si sentono uomini, o meglio marziani, hanno una dignità marziana, noi invece abbiamo perso la dignità umana! Provate ad immaginare di incontrare un medico umano, un’insegnante umana, un carabiniere umano, un vigile umano, un avvocato umano, un infermiere umano, un venditore umano, un artista umano, uno scrittore umano, un sacerdote umano, un giudice umano, un architetto umano.

É tutta un’altra cosa! Il nostro pianeta sembrerebbe davvero più bello. Invece, spesso, incontriamo persone che rivestono il proprio ruolo, magari con maggiore o minore competenza e poco umane quando focalizzano direttamente lo scopo: i soldi, la gloria, il potere e soddisfacendo la propria superbia, tirano avanti convinti del proprio valore, senza servire il proprio simile, calpestando la sua dignità. Un vero squallore.

Torniamo a noi. Vi presento un campione che non è il solito campione convenzionale, banale, scontato. É una persona molto affine a voi marziani per il modo di pensare. Si chiama Sole. È proprio un sole che illumina le coscienze oscure. Adesso lo intervisto.

“Sole, per quale squadra tifi?”

“ Tifo per tutte le squadre, altrimenti sarei di parte ed io invece non voglio fare discriminazioni, per me una squadra vale l’altra. Anzi, per essere più preciso, spero sempre che vinca il migliore, come è giusto che sia! Perché, ad esempio dovrebbe vincere una squadra solo perché ha avuto più fortuna? Tifo per la Juve, l’Inter, il Palermo, Busto Arsizio, Canicattì, Umbria, Calabria, Messico, il pianeta terra e il pianeta Marte”.

“Complimenti! Un applauso!!! Questo si che è un campione! Un vero campione di umanità!”

Adesso assisteremo ad una partita di calcio. Via satellitare, si può vedere sia nel pianeta terra che nel pianeta Marte. Si tratta di due squadre molto ambite e in competizione tra loro: le zebre contro le giraffe. Le zebre mostrano quella fierezza che le giraffe non hanno. Le giraffe sono austere, eleganti, ma sanno il fatto loro. Il portiere giraffa para la palla con la testa storcendosi il collo. Eccezionale! Hanno vinto quest’ultime. La Juve è molto triste.

Adesso silenzio! Silenzio assoluto! Si battono altre due squadre di estrema importanza: gli elefanti contro i cavalli. I primi sono pesanti, troppo flemmatici ma in compenso usano la proboscide per passarsi la palla o per parare. I cavalli sono decisamente più atletici, più raffinati; sono formidabili a calciare. Danno di quei calci con una potenza tale che spesso succede che si facciano male o addirittura la palla arriva tra la platea. L’arbitro è un essere umano! Roba da pazzi! Si tratta di un “pachiderma”: un uomo di centosettanta chili. Ma che razza di arbitro hanno messo? Fa pure fatica a muoversi, talmente è il suo peso! Non usa il fischietto ma emette potentissimi rutti.

Quando le due squadre giocano durante un temporale, succede un po’ di caos, perché i suoni si confondono con i tuoni e i calciatori tergiversavano perché non capiscono se si tratta di un segnale dell’arbitro o di un tuono. Come dicevo, spesso capita che i cavalli coi loro calci facciano male alle enormi zampe degli elefanti. Altro che rispetto umano, ma cosa dico! Altro che rispetto animalesco! Non si rispettano nemmeno gli animali tra di loro! Siamo impazziti? Il calcio è una cosa seria e mi sa tanto che si è creato un vero caos tra queste bestie inferocite che sul campo vogliono vincere ad ogni costo. Bestie spietate che vorrebbero comportarsi come esseri umani ma in realtà sempre animali restano. Come può un pallone fare impazzire tante teste calde? L’essere umano ha perso la testa ma l’animale non è da meno.

LA SIGNORA E L’INDOVINA

S: “Buon giorno”.

I: “Buon giorno. Prego, si accomodi. Mi dica tutto, qual è il suo problema.”

S: “Innanzitutto vorrei sapere quanto mi viene a costare il duplice servizio che le sto per chiedere.”

I: “Dica, dica.”

S: “Si tratta della lettura delle carte e della contro fattura. I: Cioè? Che sarebbe a dire contro fattura?”

S: “Ho bisogno di togliere una fattura che ho subito. Tremenda.”

I: “Ah, ho capito.”

S: “Allora mi dica …. Quanto viene a costare?”

I: “Signora dipende dalle sue disgrazie. Più disgrazie ha più le viene a costare. E poi …. dipende anche dal suo stato sociale, mi spiego, se lei è una poveretta ha un costo, se èi di ceto medio, ha un altro costo e se poi è ci ceto alto, ha sicuramente un altro costo. Beh, lei mi capisce.”

S: “Ah, ho capito chiede i soldi che vuole lei!”

I: “Basta, poche chiacchiere, cerchiamo di non perdere troppo tempo, ho altri clienti che mi aspettano. Lei sa che sono considerata l’indovina e la maga più importante di tutta l’Europa, per non dire del mondo.”

S: “Alla faccia della modestia!”

I: “Mi dica, qual è il suo nome?”

S: “Mi scusi, ma che indovina è allora! Già partiamo male!”

I: “Signora, non ha capito niente! Io potrei anche dirglielo e altre cose, ma il punto è che se glielo dico io perdiamo molto più tempo, sa … ho bisogno di concentrazione. Lei mi sta chiedendo non solo la lettura delle carte ma anche la controfattura!”

S: “Ok. Va bene, mi chiamo Matilde.”

I: “Cominciamo a vedere cosa dicono le carte. Mentre le rimescolo intanto mi dica tutto di lei… il suo lavoro, le sue aspirazioni, e tutte le sue scalogne.”

S: “Forse non ci siamo capite, sono le carte che devono parlare!”

I: “Non aspetti un attimo, le carte non parlano, non hanno voce.”

S: “Signora ma fa la finta tonta? Ha capito bene cosa intendo!”

I: “Sa cosa le dico? Non ci perdiamo in fronzoli, Ascolti, prima mi esponga il suo problema più grave: quello della fattura che ha dovuto subire e poi alla fine le faccio le carte. S: Va bene, mi ha convinta. Si tratta di questo: una signora mi ha fatto una fattura perché ha voluto accaparrarsi mio marito”.

I: “Lei come fa a sapere che si tratta davvero di una fattura?”

S: “Ne sono più che sicura. Lo so, lo so, anche perché mio marito era troppo innamorato di me per poter arrivare a tanto. Le racconto dall’inizio. Sono sposata da dieci anni. Il primo anno lui era un Angelo, quante coccole, quanti romanticismi! Quanti fiori che mi ha regalato! Un vero angelo. Meraviglioso! Il secondo anno totale indifferenza. Non mi cercava mai, nemmeno dialogava più con me. Era preso dal suo lavoro e dai suoi passatempi.

Il terzo anno è diventato violento con me! Non può immaginare le botte. I pugni, i calci. Una vera tragedia!!

I: “Farabutto!”

S: “Come si permette? Non offenda mio marito?”

I: “Non volevo offenderlo! È lei che ne parla male! Ma vada avanti”.

S: “Mi ha fatto vedere i sorci verdi!”

I: “Per quanto tempo è andata avanti questa storia?”

S: “Per ben cinque anni.”

I: “E lei come ha fatto resistere?”

S: “Bisogna sopportare e accettare i difetti dell’altro”.

I: “Continui pure.”

S: “Un anno fa ha avuto il coraggio di andarsene e dirmi che amava un’altra donna. Mi ha detto che è bella, brava, e fa la cartomante. Sa? Ho saputo che questa donna è piuttosto brutta, addirittura una poco di buono, una che sa il fatto suo. Non può immaginare tutte le cattiverie che mi diceva!”

I: “E lei adesso non è contenta di stare da sola, tranquilla senza di lui che la picchiava?”

S: “No, signora, Io amo mio marito e l’idea che debba stare con un’altra donna mi fa star male. Ecco perché sono qui, perché le chiedo che sia tolta la fattura che mi è stata fatta da parecchi anni dato che mio marito non poteva trasformarsi in diavolo. Lui infatti era un Angelo!”

I: “Signora, e se suo marito torna con lei ma continua ad essere violento?”

S: “Che sta dicendo! Attenzione! La contro fattura deve essere completa! In pratica desidero che mio marito ritorni da me ma deve essere quell’angelo che era prima! Mi dica lei tutto quello che vuole ed io le darò. Non ho problemi di soldi. L’importante è che riavrò il mio uomo.”

I: “Roba da pazzi!”

S: “Sa, ho saputo che se ne è andato con una baldracca. Se la incontrassi la ucciderei.”

I: “Signora, qui la cifra è molto alta, perché lei non si accontenta di riavere suo marito ma pretende addirittura che torni ad essere quello di prima, in poche parole vuole una trasformazione, anzi, una ritrasformazione, dato che prima era un angelo e poi si è trasformato in diavolo e adesso è un diavolo e dovrebbe ritrasformarsi in Angelo.”

S: “Già”

I: “Le dico subito il costo di questo mio difficile lavoro. Costa 20.000, 00 €.”

S: “Affare fatto! Per amore questo e altro.”

I: “Trrrrrrrrr……trrrrrr…….…………… (si sentono piccoli urli e invocazioni).”

S: “Ok. Adesso mi faccia le carte.”

I: “Scelga una carta, ma aspetti un momento. Non mi ha detto il nome di suo marito. Come si chiama?”

S: “Si chiama Alfredo, scusi, ho sbagliato, si chiama Paolo.”

I: “Alfredo è per caso l’amante vero? Sputi il rospo! Beh, signora non menta!”

S: “No, non ho l’amante!”

I: “Qui le carte dicono che ha l’amante. Confessi! Confessi! Se mi racconta bugie, come vuole che le carte dicano la verità?”

S: “Ok. Va bene Alfredo è il mio amante.”

I: “Che bella pretesa! Vuole il marito e si tiene anche l’amante!”

S: “Ma lei cosa gliele importa. Si faccia gli affari suoi! Anzi, faccio il suo lavoro e non si intrometta nella mia vita privata! Tanto ormai la contro fattura l’ ha fatta.”

I: “Suo marito per caso ha cinquant’anni.”

S: “Sì!”

I: “Ha gli occhi verdi ed è alto un metro e novanta?” S: “Sì!”

I: “É un avvocato?”

S: “Sì! Ma come fa a saperlo?”

I: “Ma allora le carte dicono proprio la verità! Lei è la più brava indovina del mondo! É incredibile! Come fa a conoscere tutti questi particolari?”

S. “So altre cose cara signora!”

I: “Sì, si mi dica! So che Paolo è stufo di lei perché lei dopo due anni di matrimonio lo ha tradito in continuazione. Ha cambiato tanti uomini. Si vergogni! Uno si chiamava Sergio, l’altro si chiamava Roberto, l’altro Giorgio, l’altro Fabrizio e questo si chiama Alessandro!”

S: “Ma come fa a sapere queste cose? Nessuno lo sa, neanche mio marito. Lei è straordinaria! Come fa a sapere tutto?”

I: “Adesso mi dia i soldi che poi le dirò ancora un’altra cosa. Una cosa molto importante!”

S: “No, la prego, prima parli e poi le darò le 20.000, euro”.

I: “No signora, prima mi paghi, non si fida di me?”

S: “Certo che mi fido! Va bene, mi ha convinta, ecco tutti soldi. Le firmo un assegno. Qual è la cosa che mi deve dire?”

L’indovina intanto ha intascato l’assegno.

I: “Paolo non lo avrò mai, non tornerà più da lei!”

S: “Lei è impazzita? E perché non dovrebbe? E poi non ha fatto proprio adesso la contro fattura?”

I: “Mi dispiace, ma Paolo appartiene a me! Paolo è mio!!!”

S: “Paolo appartiene a me!!!”

I: “Paolo è mio e basta!”

S: “Come fa a conoscere la mia vita privata?”

I: “Crede che suo marito Paolo, il mio amante non conosca tutto ciò che lei gli ha fatto patire?”

S: “Ma come! Non sono state le carte a parlare?”

I: “Lei è pazza! Paolo mi ha raccontato tutto di lei. Lui non ha subìto alcuna fattura come lei sostiene e non è vero che la picchiava! Paolo è stato una povera vittima! Poi ha conosciuto me e … logicamente si è innamorato! Lei mi ha raccontato bugie! Menzognera! Si vergogni! E ha avuto pure il coraggio di farsi fare da me una contro fattura. Faccia piuttosto un esame di coscienza!”

S: “Mi restituisca i soldi!”

I: “Esca fuori di qui!”

S: “O i soldi o il marito!”

I: “Crede che suo marito sia un oggetto? Pensa che sia un bambolotto? È lui che non vuole tornare da lei, anzi non tornerà mai più!”

S: “Mi dia i 20.000 euro!”

I: “Ormai i soldi sono miei!”

S: “Se Paolo non ha subìto una fattura, perché allora lei gli ha fatto una contro fattura?”

I: “E lei ci ha creduto davvero? Povera illusa!”

S: “Vuol dire che è stata una messa in scena? Mi ha ingannata?”

I: “Certo, cosa credeva?”

S: “Io la denunzio!”

I: “E lei, piuttosto, mi dica: non si vergogna di avere ingannato per tanti anni suo marito? Si crede onesta?”

S: “Non si intrometta nella mia vita privata! Prima si è impossessata di mio marito e adesso pure dei miei soldi: 20.000 euro! Farabutta!”

I: “Farabutta lei! Perché se lei denunzia me io denunzierò lei e spiffererò ai quattro venti come ha trattato suo marito e di tutti gli amanti che ha avuto!”



CANZONE IRONICA

A MEGGHIU I TUTTI SUGNU IU

Me soru è un bellu spicchiu

Me matri ci bbutta u picchiu

Me patri è ucchiù lagnusu

Si scanta puri d’un tignu su!

Me ziu è un gran bistiuni

in mani havi u palluni.

Me zia si senti sperta

a tutti fa stari all’ erta.

Me nanna a tutti scanna

me nanna a tutti scanna.

Insumma a megghiu u tutti sugnu iu.

Insumma a megghiu i tutti sugnu iu.

U me zitu è un farfalluni

cu ttuttu c’havi u panzoni!

So frati havi un difettu: havi la faccia d’un muffulettu.

Insomma a megghiu o tutti sugnu iu.

Insumma a meghiu i tutti sugnu iu

e nun parru mai di nuddu.

Insumma a megg hiu i tutti sugnu iu

e nun parru mai di nuddu!

N’haiu finutu! Vautri ca m’ascutati, siti cchiu bbeddi i l’autri!

Cessu! Chi ssiti sperti!

Insumma a megghiu i tutti sugnu iu.

Insumma a megghiu u tutti sugnu iu e nun parlu mai di nuddu!

TRADUZIONE

Mia sorella è un tipo strano, mia madre porta iella, mio padre è il più indolente, si terrorizza pure con un geco. Mio zio è molto possente, pensa solo a giocare a calcio, mia zia si sente scaltra, mette tutti in ansia, mia nonna ce l’ ha con tutti!

Insomma la migliore di tutti sono io.

Il mio fidanzato è un farfallone, malgrado abbia il pancione. Suo fratello ha un difetto: ha la faccia come uno sfilatino.

Insomma la migliore di tutti sono io.

Insomma la migliore di tutti sono io e non parlo mai male di nessuno!

Non ho finito! Voi che mi ascoltate, siete peggiori di tutti questi!

Cesso! Come siete furbi!

Insomma la migliore di tutti sono io.

La migliore di tutti sono io e non parlo mai male di nessuno!

Questa è una mia canzone umoristica composta all’età di 25 anni.

LA REALTÀ SOGNATA

Mi trovo in classe ed insegno Ed. Artistica. Con mia sorpresa noto che a pochi metri da me c’è un carabiniere. Penso: “Come mai? Cosa ci sta a fare un pubblico ufficiale a scuola?”

Poi comprendo che non fa altro che adocchiare gli alunni e se qualcuno comincia a dar fastidio ad un compagno, lo ammonisce. In poche parole è lì per mantenere la disciplina. I ragazzi hanno soggezione del carabiniere. Con soddisfazione riesco a svolgere le mie ore di lezione tranquillamente. È fantastico! Finalmente posso esercitare il mio ruolo con tutta serenità e soprattutto posso trasmettere il mio “sapere” agli alunni.

Ricordo invece quando (in un altro tempo) lavoravo con pochissime soddisfazioni per il semplice fatto che ero costretta io a fare le veci del “carabiniere”, infatti perdevo in classe diverso tempo e d energia per richiamare i ragazzi all’ordine o addirittura che creavano zizzanie o scompiglio. Sprecavo tanta energia durante le mie ore di lezione e pur se amavo tanto la mia materia non avevo grosse gratificazioni a causa dell’apatia o l’indisciplina di tanti ragazzi.

Adesso tutto è cambiato! Il carabiniere ha un ruolo per me molto importante. Io devo fare l’insegnante e basta. Ognuno deve svolgere il ruolo che gli compete. Ora mi trovo in un altro luogo, in una classe di una scuola diversa.

La situazione non è la stessa. Sto spiegando la lezione di Storia dell’Arte. Mi sento felice, perché non c’è il carabiniere che deve sorvegliare o ammonire gli alunni, per cui avverto l’atmosfera molto più serena. Gli alunni infatti sono più rilassati.

I ragazzi sono attenti, bravi, curiosi di imparare, di sapere. Sono tutti educati, sereni, l’atmosfera è piena di armonia. Mi fanno domande per capire maggiormente. La lezione diventa interessante. Dopo un po’ assegno loro un disegno da fare. Si mettono a lavorare con molto entusiasmo. Sono felice perché mi sento gratificata. Riesco a fare amare la mia materia.

Mi trovo in un grande edificio, molto antico. Assomiglia tantissimo alle antiche Ville Romane. La sua bellezza e il suo sfarzo ricordano i famosi mosaici di Piazza Armerina, vicino Enna.

Ricordo che, tornando indietro nel tempo, quando da ragazza (vivendo in Sicilia) andai a visitare questo sito archeologico, essendo affascinata dall’arte, rimasi incantata e provai ad immaginare come potesse essere la vita in quell’epoca e in quel luogo in cui gli artisti avevano espresso in modo così sublime le loro abilità artistiche. Dissi tra me e me: “Sarebbe stato meraviglioso vivere in questo luogo!”

Ecco perché adesso mi trovo proprio qui, forse sarà lo stesso posto che avevo visto, logicamente però ribaltando il tempo, quello che avevo visitato (i resti dei mosaici dell’antiva Villa Romana di Piazza Armerina) durante un’escursione turistica, adesso lo ritrovavo non come resti archeologici, bensì come era originariamente: una bellissima Villa Romana, piena di sfarzosi mosaici e affreschi. Un vero incanto!

Con mia sorpresa, entrando in una grandissima sala, ho scoperto qualcosa di indescrivibile e insperato: tutti i miei disegni e tutti i quadri che avevo realizzato nell’arco della mia esistenza del mondo precedente, quello imperfetto. Mamma mia! Pazzesco! Cominciando dai disegni che facevo a soli cinque anni, e poi vedere l’evoluzione della perfezione che ho raggiunto man mano con l’età. Quanti disegni, non ricordavo nemmeno di averli! Quanti quadri, con varie tecniche! Sono tutti esposti ed io sono commossa ed emozionata perché non li avevo più visti chissà da quanto tempo! Mi trovo subito dopo in un’altra grande sala e vedo altri miei dipinti e poi in un’altra ancora e ne vedo altri. Per farla breve, i miei disegni e quadri occupano almeno una ventina di sale. Piango dalla gioia, anche perché avverto che si è realizzato un desiderio che non avrei mai immaginato! E poi … che emozione vedere il contrasto di diversi stili tra epoche differenti!

Dopo, in compagnia di un essere alato, mi avvio verso una stanza tutta decorata a mano con bellissimi colori che variano dalle tinte calde a quelle fredde. Vedo tutti i miei ricordi affettivi a cui tenevo tanto. Dopo un po’ l’Angelo mi fa cenno di guardare da un’altra parte e con sorpresa, vedo tanti album da foto. Li apro, li sfoglio e … con sorpresa vedo tutte le mie foto, a partire da quelle della mia nascita, insieme a quelle della mia famiglia, fino a quelle della famiglia che avevo in seguito. Guardo tutte le foto dove sto insieme a i miei amici. Che bei ricordi! Vedo inoltre le mie diapositive proiettate su uno schermo. Riguardano i momenti più belli della mia vita e tutti i miei viaggi.

Dopo aver trascorso questi bellissimi momenti, usciamo dalla Villa Romana.

Adesso l’Angelo mi parla: “Olga, vorresti realizzare dei quadri che non hai mai potuto fare durante la vita per mancanza di tempo?”

- “Sì, certo! Avevo in mente di dipingere diversi quadri stupendi.

- “Guarda questi soggetti. Li riconosci?

- “Sì, sono proprio questi.”

- “Fai pure. Ecco il materiale che necessita.”

All’istante mi trovo con la tavolozza, colori, tele e pennelli, comincio a dipingere. Noto che sono ancora più esperta di prima e soprattutto di una velocità impressionante. Che felicità!

Dipingo e ancora dipingo. Non ho idea del tempo trascorso. Ho realizzato tutti quadri che desideravo produrre. Mi accorgo che adesso ciò che desidero si realizza in un baleno.

Cammino attraverso un viale alberato.

Incontro Leonardo Da Vinci, Michelangelo, Raffaello e posso ammirare le loro opere pittoriche (tante già conosciute in passato attraverso i musei). Incontro pittori di varie epoche e persino Salvador Dalì che tanto apprezzavo. Che tipo particolare! Un tipo eccentrico, originale al massimo, egocentrico ma simpatico. Quante domande gli ho fatto! E quanti complimenti! È nata una bella amicizia con questo grande artista! Che gioia immensa! Molte cose mi accomunavano a lui, anche se la sua pittura rispetto alla mia era sicuramente più creativa ed io non potevo competere con lui! Lui era stato un grande maestro! Ci accomunava però la Fede in Dio e l’immenso amore per il coniuge.

Cammino, mi trovo in un grande edificio architettonico antichissimo, sembra un tempio greco. Incontro dei filosofi. L’Angelo mi indica una persona con la barba e mi dice:

“Olga, sai chi è lui? È un filosofo, il tuo preferito.”

Rispondo: “Platone!?” L’Angelo mi presenta a lui e subito nasce una profonda amicizia.

Che gioia immensa! Dobbiamo dare onore e gloria a Dio per i suoi doni.

Mi ritrovo adesso in altri luoghi completamente diversi e incontro grandi musicisti, attori, personaggi, grandi artisti, soprattutto con una grande umiltà. Quante belle amicizie! Mi dedico a lunghissime passeggiate e incontro alcuni Santi! Il massimo di ciò che avrei potuto desiderare! Che emozione grande conoscere San Francesco d’Assisi, Padre Pio, il prof. Giuseppe Moscati, Santa Teresa D’Avila, Chiara Lubich, Papa Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta! Parlo con loro e la conversazione si fa molto interessante. Una gioia immensa!

Adesso mi trovo davanti ad un’ampia distesa di mare, color azzurro verdastro che poi diventa azzurro violaceo. Osservo il cielo che presenta una gamma coloristica spettacolare. Mi avvio, contemplo la bellezza del paesaggio e dopo un po’ mi immergo nell’acqua molto lentamente per percepire gli attimi. Nuoto, come non facevo da tempo. È meraviglioso, anche perché non mi stanco affatto, malgrado l’impegno, non ho neanche il fiatone. Dopo un po’ sto a galla e osservo sopra di me le nuvole. Sono stupende. Presentano infinite forme e con la tua fantasia le puoi associare a tante figure.

Esco dall’acqua e torno a riva. Decido di esplorare altri luoghi.

Cammino, cammino ancora e mi ritrovo in un altro luogo marittimo, completamente diverso. Il profumo di mare è intenso. Vedo alture, rocce stagliate, mentre la luce del tramonto muta il paesaggio.

Decido di immergermi e dopo un po’ mi ritrovo in un paesaggio sottomarino. È incredibile. Io che non sono mai andata sotto acqua, nuoto e mi muovo con una sicurezza impressionante. Scopro un mondo nuovo, pieno di pesci o di svariate forme di infiniti colori. Ci sono alghe, coralli, conchiglie, un mondo vegetale sottomarino mai visto! É spettacolare!

Ad un certo punto, non riesco a quantificare il tempo che passa, proprio perché lì il tempo non esiste. Cammino, cammino ancora senza stancarmi mai. Sono da sola, ma so che oltre la montagna mi aspettano tantissime persone. Intanto mi ritrovo in un luogo: si tratta di un’ampia collina che osservo in lontananza: un dolce degradare di colline verdeggianti, sembrano le pianure toscane. La vegetazione lussureggiante fa pensare alla Primavera. Contemplo e penso a Dio che è sempre nei miei pensieri.

Decido di percorrere sentieri, distese verdi, ma non a piedi, bensì volando. Mi accorgo che possiedo due grandi ali che rendono tutto più semplice, più facile, dato che riesco a gustare le bellezze del creato da tanti punti di vista. Mi ritrovo in un territorio che assomiglia alla Sicilia, la mia terra di origine che non ho mai dimenticato. Poi il paesaggio si trasforma, perché avrò varcato altre terre lontane, dalle bellezze mai viste. Ora sono boschi, giungle, savane, con animali meravigliosi. C’è un particolare però: sono tutti innocui, persino i leoni o le tigri. Attraverso montagne, cascate, vallate, golfi, mari, fiumi, laghi. I miei occhi restano sempre più incantati e la mia anima è appagata. Sono felice. Non avverto stanchezza. Scopro una cosa formidabile: non avverto un minimo dolore, infatti il dolore non esiste. Percepisco solo gioia e un senso di pace profonda. La notte non arriva mai. C’è solo luce. Dopo il tramonto c’è l’aurora e il mio corpo non ha bisogno di dormire. In questo mondo non esiste il sonno e nemmeno la fame. É stupendo. Scopro infatti che il mio organismo non ha bisogno di nutrirsi. É incorruttibile!

Ad un certo punto mi ritrovo in una immensa distesa di prato e incontro qualcuno, come se mi stesse aspettando. Mi accoglie con gioia. É un altro giovane, bello, con due ali dorate e variopinte mi dice: “Ti stavo aspettando! Hai visto Olga! Come è meraviglioso?! Qui non c’è paura, solitudine, ansia, angoscia, competizione, gelosia, invidia. Non esistono pensieri negativi. Qui è tutto puro e trasparente come quest’acqua cristallina”.

Nel frattempo mi indica un torrente, proprio vicino a noi, da cui scorreva l’acqua. I nostri pensieri infatti sono stati purificati, prima di arrivare in questo luogo.

Solo quelle persone che non erano riuscite a purificare la loro mente a causa di eccessive negatività insite in loro, non possono accedere in questo luogo, poiché per giungervi l’anima doveva essere talmente leggera, da permettere al proprio corpo di volare ed innalzarsi fino ad arrivare al traguardo.

Chi non ha superato la grande prova però, purtroppo è precipitato in un’altra dimensione che si trova giù, molto giù. Praticamente è agli antipodi di questa, dove c’è assenza di amore e di conseguenza esiste una sofferenza maggiore rispetto a quella che già si è conosciuta. É una sofferenza atroce, ma non voglio occuparmi di ciò, per non uscire fuori tema.

Tanti non ce la fanno a superare queste prove e sono quelli che sono talmente superbi e pieni di sé, che vengono schiacciati da questo tremendo sentimento. Tutti hanno speranza, fino alla fine di poter trasformare i loro negativi pensieri, ma chi non riesce a sconfiggere il più grosso nemico: la superbia, il cuore non sarà mai purificato, per cui persino la Misericordia Divina non potrà concedere la grazia al peccatore.

L’Angelo mi guarda e mi invita a seguirlo: “Vieni con me, ti porto in un posto dove tutti ti stanno aspettando!”. La mia felicità accresce sempre di più, perché percepisco che da questo momento in poi devo condividere la mia gioia con gli atri, con chi ho amato.

Sta per succedere qualcosa di veramente speciale! Oltre la montagna, io e l’Angelo ci incamminiamo fino ad arrivare in un’ ampia distesa di verde fiorita. Con mia sorpresa vedo tante persone che mi vengono incontro. Mi abbracciano dicendo: “Finalmente sei qui con noi!” Sono persone care, amici carissimi che non vedevo da tempo remoto.

Mi sento felice più che mai. Parlo con loro, ci scambiamo idee, impressioni e mi accorgo che tanti sono dei volti familiari, altre sono persone incontrate soltanto una o due volte, altre mai viste.

Qui non si lavora dato che non bisogna costruire nulla. È tutto perfetto, non esiste polvere o sporcizia. É tutto puro, come puri sono i sentimenti umani! Il corpo non dove riposare, né nutrirsi, non si ammala e non muore! Il tempo non esiste: c’è soltanto l’attimo presente.

Qui si coltivano le arti, soprattutto per chi è stato un artista, può continuare a gustare la bellezza e le gioie dell’anima attraverso l’arte più sublime. La musica, il canto, il ballo, il teatro, la pittura, rappresentano per me la felicità perché adesso ho a disposizione tutto il tempo che voglio. É una scoperta sensazionale.

Adesso posso esprimere tutta me stessa attraverso l’arte nelle sue varie sfaccettature. Il materiale per realizzare le opere pittoriche non deve essere procurato, il pensiero stesso lo crea.

La felicità consiste nell’amare Dio, gli altri e nel godere delle bellezze artistiche e naturali. La bellezza dell’anima procura una gioia e una felicità incontenibile.

Si coltiva anche lo sport. Logicamente non a scopo agonistico. Tutti condividono le gioie degli altri e per questo motivo esiste la vera gioia.

Si può viaggiare con le proprie ali, si può fare da soli o in compagnia. In un attimo ci si trova da un emisfero all’altro. Si gioca con gli Angeli, nascondersi tra le nuvole, fare i tuffi in mare, nuotare, correre. Non esiste rivalità ma solo condivisione e per questo motivo si vive un amore intenso. Il giorno è eterno. Si alternano aurore e tramonti. Esistono solo sentimenti positivi: ottimismo, gioia e felicità eterna.

Si scoprono paesaggi sempre diversi, colori e luci sorprendenti, musiche mai sentite, canti melodiosi, intonati con voci angeliche.

Spesso mi trovo in compagnia di Gesù, della Madonna e dei Santi. Non posso spiegare l’amore di Dio che mi investe fino all’ultima particella del mio spirito. Il mio corpo è bello, giovane, leggero come una piuma.

Ricordo quando all’età di 5 o 6 anni, mi sentivo leggera, (quasi come una piuma) e non potrò mai dimenticare le velocissime corse, i salti e le arrampicate, sembravo un gatto. Ebbene, la sensazione ora è pressoché simile, anzi ora mi sento ancora più leggera.

Non esiste dolore fisico, mentale o spirituale. Non esiste cattiveria, menzogna, ansia, noia solitudine, guerre, problemi da risolvere, lotte per la sopravvivenza. Non esiste vecchiaia, malattia e morte.

Esiste solo gioia, pace, sincerità, felicità, amore eterno e quindi bellezza fisica e interiore. Esiste l’arte pura, la vera arte che appaga l’anima sprigionando bellezza, armonia, elevazione spirituale. Si percepisce Dio in senso totale.

Adesso rimane soltanto uno scopo: aiutare gli altri fratelli ancora in viaggio affinché possano giungere in questa dimora.

Ogni volta che arriva qualcuno è una grande festa. Sempre così. Adesso il termine “sempre” ha un senso. É reale, perché questa vita è per sempre, per l’eternità.



NOTE BIOGRAFICHE

Poiché Olga Serina ha affrontato l’argomento umoristico, sfrutto l’occasione per comunicare ai lettori che tramite youtube o attraverso google si trovano pubblicati, oltre ai video che riguardano le sue mostre di pittura e le presentazioni dei suoi libri, alcune storie narrate in questo volume tradotte in video.

Innanzitutto ritengo opportuno fare una premessa: Olga sin da giovanissima, tra le sue passioni artistiche, amava tanto il teatro, quindi recitare. All’età di diciotto anni, fino ai venti, fece parte di un gruppo teatrale. Debuttò (ottenendo consensi) al teatro Europa di Palermo con “Capitan Seniu” di Nino Martoglio, (regia di Teresa Lunetta) a Palermo. Nonostante fosse autodidatta (non frequentò alcuna scuola di teatro) nutriva il sogno di intraprendere la via dell’arte drammatica.

Presto però decise di abbandonare questa passione, poiché impegnava troppo tempo. Capì che forse non era quella la sua via. Sempre in giovane età con rammarico aveva dovuto abbandonare la coltivazione di un altro talento. I genitori si preoccupavano che non dedicasse abbastanza tempo allo studio scolastico. Così studiò pianoforte solo per un anno e mezzo all’età di nove anni, malgrado fosse molto portata per la musica.

Nel 1983 compose il testo e la musica delle sue prime canzoni e fino al 1986 Olga si è dedicò alla musica e al canto. Fu invitata come ospite in diverse trasmissioni televisive presso TV locali di Palermo, debuttando in diretta come cantautrice. Partecipò ad alcuni Festival e spettacoli musicali riscuotendo un considerevole successo. In seguito dovette rinunziare alla musica, al canto (oltre che al ballo) e anche al teatro, poiché nella vita purtroppo non si può abbracciare tutto contemporaneamente, ma bisogna fare delle rinunzie per seguire delle scelte; infatti Olga ha preferito la pittura, dando anche priorità alla famiglia che ha costruito.

Nei ritagli di tempo l’autrice scrive. Per lei è una grande soddisfazione. La vita è imprevedibile e a volte ci si trova a coltivare le cose che non erano state messe in conto.

Chi volesse approfondire per conoscere maggiormente le sue attività in campo artistico, basta digitare il suo nome e cognome su google o youtube. I video pubblicati sulla rete internet consistono in una serie di improvvisazioni di scenette teatrali (senza pretese) recitate in modo estemporaneo e sono stati filmati con mezzi di fortuna.

In tanti casi Olga ha creato dei personaggi di pura fantasia, altri basandosi su soggetti reali, non fermandosi all’imitazione, ma cercando di renderne al meglio l’aspetto comico.

Per visionare questi brevi video basta digitare il suo nome e cognome seguito dal titolo del filmato.

Ecco il titolo coi vari personaggi:

“La prof. Cattiva”, “La prof. di filosofia,” “Gilda”, “La pettegola”, “ La scroccona”, “Litigio tra coinquiline”, “La signora e la cartomante”, “Disguido a telefono”, “La bambina”, “ Il burattino umanizzato e imprevedibile”, “Il capitano”, “A ruota libera”, “Milly e Paolo”, “La scimmia”, “Penelope” (parte drammatica, registrata nel 1989; il copione è di un autore di cui non si ricorda il nome), “Battista” (il testo non è suo).

È pubblicato inoltre un brevissimo video che riguarda una delle sue prime canzoni: “Squilla il telefono”. Inoltre ci sono un paio di video con i momenti più significativi durante l’esecuzione dell’opera pittorica: “Dio Padre”, che è stata donata e destinata per una missione, da collocare in una chiesa di un villaggio del Madagascar.

Olga Serina consegue il diploma del Liceo Artistico (1982) e il quinto anno integrativo (1983) a Palermo. Nel 1983 comincia la sua attività artistica (estiva e saltuaria) come ritrattista e caricaturista estemporanea, debutta alla Fiera del Mediterraneo di Palermo.

Nel 1985 lavora a Taormina, nel periodo estivo. Ritorna a lavorare in tante altre occasioni nella piazza di Taormina realizzando ritratti ai turisti.

Nel 1986 allestisce la sua prima mostra di pittura presso il centro culturale “Il Cielo e le Terra”, a Palermo. Consegue la laurea in Accademia di Belle Arti - Scenografia (1987) a Palermo.

Nel 1989 pubblica il suo primo libro “Grande terrazza”, (Ila Palma – Tea Nova) adottato come libro di narrativa nella Scuole Medie di Agrigento. La presentazione è stata scritta dal critico d’arte prof. Francesco Carbone e dal professore Salvatore Di Marco.

Nel 1990 consegue l’abilitazione all’insegnamento di Ed. Artistica a Bergamo. Nel 1993 allestisce una mostra personale di pittura organizzata dal Comune di Palma di Montechiaro, nella Biblioteca Civica “Giovanni Falcone”. Nel 1994 inaugura una mostra di pittura con tema l’arte sacra, presso la Chiesa di Villa Cortese. Nel 1994 partecipa ad una mostra collettiva presso il Centro Culturale “Rosetum” di Milano.

Nel 1996 organizza una personale presso il Circolo Concordia a Villa Cortese, un’altra a Villa Pomini, a Castellanza.

Dal 1990 al 1994 lavora saltuariamente come ritrattista – profilista per alcune agenzie di Spettacolo (insieme al marito, Saro Torrisi, anche lui artista). Ha lavorato a Milano, a Rimini, a Pescara, in occasione del passaggio in serie A della squadra calcistica, ritraendo calciatori e invitati al convegno.

Ha eseguito diversi ritratti di personaggi famosi. Oltre a quello di Papa Giovanni Paolo II, uno dei più importanti è stato quello dedicato all’ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Avendogliene fatto omaggio, ha ricevuto una lettera di ringraziamento.

Nel 1996 viene invitata come ospite a Telemontecarlo nella trasmissione “Strettamente personale”, presentata da Marco Balestri (insieme al marito Saro Torrisi) per disegnare un ritratto identikit in dieci minuti.

Nel 2001 pubblica il volume: “Sulle ali dell’arte”, itinerario creativo tra arte e spiritualità.

Hanno scritto di lei: l’Assessore alla Cultura Franco Azimonti, Gaspare Miraglia, lo psicologo Mario Grimoldi. Il ricavato delle copie è stato totalmente devoluto a varie Associazioni Missionarie. L’opera è stata presentata varie volte in diversi luoghi: Villa Cortese, Castellanza, Rescaldina, presso il Palazzo degli Scolopi a Palma di Montechiaro e presso l’Orfanotrofio della Confraternita “Boccone del Povero”. Nell’occasione ha collaborato alla presentazione dell’opera don Antonio Serina e la presentazione è stata a cura della dott. ssa Rossana D’Orsi. Olga ha ricevuto riconoscimenti e ringraziamenti per il suo libro da parte dell’Arcivescovo F. Gioia (presso la segreteria della Santa Sede), da Chiara Lubich, dal Cardinale Carlo Maria Martini, da Frate Indovino, dalla segreteria del Santo Padre, Giovanni Paolo II.

Nel 2002 viene invitata ad esporre le sue opere pittoriche presso il Palazzo Ducale di Palma di Montechiaro, località in cui la pittrice riscuote una certa notorietà. Ha realizzato diversi ritratti su commissione di Prelati. Il primo ritratto di un sacerdote è stato realizzato per don Antonio Serina (zio dell’autrice). Un’opera a figura intera dedicata all’Arciprete Portella, un altro dipinto sempre a figura intera (tecnica a olio) è stato commissionato dallo stesso zio che ne ha fatto dono all’Arcivescovo Carmelo Ferraro. L’opera è stata collocata presso la Curia Arcivescovile di Agrigento.

Nel 2003 Olga collabora per alcune riviste cattoliche. Una delle più conosciute è “Il Segno del soprannaturale”. Nel 2004 viene pubblicato il suo terzo libro (Edizioni Segno) “Dio nel cuore” – Intuizioni e manifestazioni divine. Monsignor Carlo Galli, di Legnano, ha dedicato al volume una presentazione. Hanno scritto una prefazione, inoltre, lo scrittore Gaspare Miraglia e la prof. Grazia Urso. Il ricavato delle copie è stato devoluto a favore di alcune Associazioni Missionarie.

Dal 2004 in poi Olga Serina tiene dei corsi di disegno e pittura a Villa Cortese.

Dal 2006 al 2011, ogni anno, Olga espone con i suoi allievi presso la Sala Consiliare dello stesso Comune.

Dal 2007 insegna nella Scuola Media.

A Dicembre del 2010 pubblica il suo quarto libro: “Il miracolo continua”. L’Arcivescovo Emerito di Calcutta Henry D’Souza e fra Modestino, hanno scritto una dedica all’opera. Lo scrittore Gaspare Miraglia scrive per questo volume una presentazione. Lo stesso fa la fondatrice dell’Associazione Onlus Missione Calcutta, Helene Ehret.

L’opera viene presentata il 30 Gennaio in Sala Consiliare del Comune di Villa Cortese dal dott. Occhipinti e Angelo Sormani. Nell’occasione è invitata la fondatrice di “Missione Calcutta” che oltre a partecipare alla presentazione dell’opera, promuove la propria iniziativa umanitaria impegnata principalmente nelle adozioni a distanza. Gran parte del ricavato delle copie è stato devoluto a Missione Calcutta e alla Missione pro Madagascar.

L’autrice, nella veste di pittrice, ha diverse pubblicazioni che parlano di lei. Uno dei più importanti libri d’arte in cui si trova una pubblicazione dedicata a lei è “L’Elite – Arte italiana 1995.

OLGA SERINA

Olga ha realizzato inoltre alcuni DVD e CD:

DVD “Rassegna artistica”. Si tratta di una raccolta delle più significative opere pittoriche della stessa autrice, oltre alle sue poesie (musicato).

DVD – Presentazione del libro “Il miracolo continua” in occasione dell’incontro con la fondatrice dell’Associazione Onlus Missione Calcutta. Si vede inoltre il filmato dei bambini dell’ India adottati a distanza e la spiegazione dell’operato di Missione Calcutta.

DVD – Intervista ad Angelina Rogore (di Olga Serina). La signora Angelina è una delle anime straordinarie di cui si parla nel suo libro.

DVD – Recite di Olga Serina. L’autrice come accennato ama cimentarsi nell’arte della recitazione.

CD audio mp3 - Libro: “Il miracolo continua” registrato con la voce della stessa autrice.

CD audio mp3 – Preghiere della serva di Dio Luisa Piccarreta, voce di Olga Serina.

CD audio mp3 – Straordinaria e toccante testimonianza di Gloria Polo (ormai conosciuta in tutto il mondo) (lettura di Olga Serina).

Ringrazio lo scrittore e commediografo Gaspare Miraglia, nonché amico di vecchia data, per il suo prezioso e valido contributo.

L’autrice



Questo libro è stato stampato nel mese di Novembre 2011.

Copertina, illustrazioni e disegni a cura dell’ autrice. www.olgaserina.it mail@olgaserina.it
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