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GLI APPARENTI
Gli Apparenti OLGA SERINA
GLI APPARENTI
“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”
Luigi Pirandello
Tutto passa in questa vita.
“Soltanto l’amore resta
e la verità emerge.
Dio tutto vede
anche nel profondo della tua anima.
Confida solo in Lui
perché non ti deluderà mai.”
Olga Serina
PREMESSA
L’idea di scrivere un libro può nascere dall’ispirazione di un momento. Tutte le volte che mi arriva il pensiero di creare un’opera, la trama esiste già nella mia mente, che sia frutto della fantasia o di esperienze vissute.
Oltre all’esigenza di esprimermi attraverso la scrittura, come tutte le altre forme di creatività, mi sento gratificata durante lo svolgimento e il compimento dell’opera stessa.
La mia finalità, non si limita a intrattenere il lettore, ma quella di far riflettere, per abituarsi ad osservare le persone e i fatti oltre l’aspetto esteriore.
L’argomento che ho affrontato in quest’ultima opera è sempre molto attuale. Riguarda un’introspezione psicologica dei personaggi.
Il libro si compone in due parti e in sette capitoli, ognuno dei quali riguarda una singola storia. La prima parte racchiude la più importante, abbastanza complessa e si suddivide in 27 brevissimi paragrafi. La seconda parte riguarda altri sei racconti.
Le storie, nonostante siano inventate, potrebbero rispecchiare benissimo fatti reali e sono accomunati da un filo conduttore: il dualismo, che caratterizza gli individui tra il loro modo di essere e il loro modo di sembrare.
Ci sarà chi in queste storie potrà intravedere persone che conosce, o persone che si potrebbero identificare nelle storie descritte. D’altra parte la psicologia e i comportamenti umani sono sempre identici e ricorrenti.
Purtroppo nella società umana c’è un gran numero di “apparenti”. Ma chi sono con esattezza gli apparenti?
GLI APPARENTI
Dotati di una presunta scaltrezza, in realtà, sottovalutano molto gli altri, anche quelli diversi da loro, pensando che siano a loro volta, falsi e bugiardi come loro.
Gli “apparenti” sono dei facsimile di persone per bene, spesso si mimetizzano con quelle autentiche e se non vengono messi alla prova, non è per niente facile distinguere gli uni dagli altri.
Come i sepolcri imbiancati del Vangelo, sono individui che vivono solo per fare bella figura e vogliono apparire per ciò che non sono, essendo molto abili a nascondere il proprio vero volto e la pochezza che li caratterizza.
Li possiamo incontrare in ogni ambiente: dalla parentela ai nostri colleghi di lavoro, alla cerchia di amicizie, ai dirigenti, ai religiosi, o ai politici.
Vivono all’insegna della falsificazione, per raggiungere i loro scopi. Basta però che incontrino la minima difficoltà e diventano riconoscibili per quello che realmente sono, diversa da quella maschera che si erano costruiti, fino a farla sembrare reale, al punto da non riuscire più a separarsene, identificandosi con essa. Gli apparenti sono come i fiori finti.
Tutti sappiamo cosa possa significare l’ipocrisia, la doppiezza umana, la falsità, ma finché questi comportamenti ci sono estranei in alcun modo, cioè non fanno parte della nostra esperienza di frequentazione, sembrano dei fenomeni improbabili o inesistenti, ma non appena ci si trova per forza maggiore coinvolti, non si tratta soltanto di una esperienza che registriamo, ma di un modo diverso con cui guarderemo l’umanità da quel momento in avanti.
La differenza tra gli apparenti e una persona coerente, è che la seconda si espone rischiando sempre di suo, quindi le sue scelte e le azioni sono sue e se ne assume sempre la responsabilità e le conseguenze. Invece chi è apparente, conquista la sua reputazione attraverso la suggestione che gli altri ricevono da ciò che lui sembra, ma questo sembrare non costa a loro nessuna responsabilità o impegno. Chi è apparente, al di sopra di tutto difende il proprio vantaggio e qualora scegliesse di schierarsi, cerca sempre di salire sul carro del vincitore.
Chi si preoccupa soltanto di apparire, può prometterti qualsiasi cosa, pur di sembrare brillante, sapendo più delle volte che non manterrà mai la sua promessa.
Gli apparenti mimano una falsa bontà, ma nei fatti sono usurpatori della bontà altrui. Propagandano un’immagine di sé che non esiste, sono benpensanti, a volte bigotti e scelgono sistematicamente il loro opportunismo.
Come se la vita fosse una recitazione, la falsità per gli apparenti è una via breve per ottenere vantaggi col minore sforzo, perché essere persone autentiche comporta sicuramente maggiore impegno e fatica.
Gli apparenti, potendosi sdoppiare, o all’occasione moltiplicare, vantano un privilegio: quello di poter avere due o più vite in una stessa esistenza.
In tutti i campi esistono dei falsi spacciati per veri. Però la categoria nella quale questo fenomeno è il più diffuso, è proprio il genere umano.
Dal punto di vista degli apparenti, gli individui valgono per i titoli e non per i meriti. Di conseguenza per loro non è importante essere, ma apparire.
Dal punto di vista etico e spirituale, la doppiezza è sinonimo di perdizione, perché chi riveste diversi ruoli per poter ingannare, manifesta perfidia e falsità.
Gli apparenti recitano alla perfezione i loro ruoli con astuzia e inganno. Sono maestri della mistificazione.
In molti casi, queste persone, nella vita sociale, appaiono fortemente legati ai valori della loro religione, di cui tante volte sono assidui praticanti.
Gli apparenti in molti casi sono dei mediocri, non spiccano in particolari talenti o ingegno, anche quando si improvvisano furbi, arrivano sempre ad un limitato livello, ma possono cavarsela in quanto a cattiveria.
Ciò che contraddistingue gli apparenti, spesso è la convinzione, l’aria di sicurezza e di superiorità che sanno darsi. Si atteggiano a saggi e quelli più narcisisti sottovalutano gli altri. Pretendono rispetto dagli altri, ma il vero rispetto non lo considerarono un loro dovere.
La persona ipocrita si può paragonare a chi spaccia monete false. Alla prima impressione, appare generosa e disponibile, dato che distribuisce banconote di taglio grosso, che non gli costano nulla, ma l’assenza di valore si scopre al momento in cui si prova a scambiarle.
Spesso una persona per bene commette l’errore di ottimizzare la sua opinione nei confronti degli altri individui, immaginandoli simili a sé. Quando invece si accorge che queste non sono poi così pulite e trasparenti, la sensazione salta all’occhio come una macchia scura su un foglio bianco.
Una persona per bene, per via dei buoni sentimenti che nutre, molte volte non riesce a vedere i lati negativi della persona che ha davanti e si deve arrivare ad una rottura per giungere a un’osservazione acuta e obiettiva e quindi distaccata dal sentimento, in cui si ha un’immagine reale della persona, prima idealizzata e quindi giudicata superficialmente.
Gli apparenti spesso si atteggiano a saggi, disposti a dare consigli, ma nei fatti fanno sì che siano sempre gli altri a fare, a rischiare, a mettersi in gioco, perché quelli che sono apparenti, devono restare sempre indenni, estranei alle vicende, per potersi sentire e apparire sempre puliti e candidi, ma sono solo dei vigliacchi.
In vista del loro obiettivo primario, cioè di apparire quello che non sono, rinunciano completamente alla propria dignità, non dandole alcun valore o significato. Nei confronti delle persone a cui portano rispetto, perché sono ad essi sottomessi, loro riconoscono il diritto ad avere una dignità, ma qualora si rapportano con una persona che ritengono subalterna a loro, tentano di estirpare a questa persona quella dignità che secondo loro è un bene superfluo, un lusso.
Esistono gli apparenti nell’ambito della parentela, sempre pronti a mostrarsi presenti, premurosi e partecipi, ma che finiscono per confondere l’immedesimazione con l’intromissione, che non collaborano ma criticano quelli che agiscono. Anche loro hanno un vantaggio speciale, quello di non sbagliare mai, dato che non si mettono mai all’opera, così si illudono di non correre il rischio di essere criticati.
Finché hanno la maschera e riescono a nascondere bene la loro natura, gli apparenti possono ferirci, ingannarci, deluderci. Ma quando riusciamo a strappare loro quella finta identità, non serve neanche la fatica di allontanarli, perché saranno loro ad evitarci per la vergogna e quando noi avremmo fatto un bilancio tra quello che abbiamo perso e ciò che abbiamo acquistato, comprenderemo che perdere una persona apparente è sempre un guadagno.
PARTE PRIMA
Cap. 1
LE INTRUSIONI BARBARICHE
Paragrafo 1
LA FAMIGLIA DI CHIARA
Chiara ha sempre apprezzato il lusso e l’eleganza, pur vivendo in modo trasandato, trascurando spesso l’igiene dell’ambiente domestico. Insegnava matematica e scienze alle scuole medie in un piccolo paese vicino Catanzaro, dove abitava.
In casa sua tiene tutto accatastato, senza alcun criterio di ordine. Il disordine è forse il risultato della sua proiezione mentale.
Ha due figli: Paola e Rita. Suo marito che ha maggiore senso pratico, spesso ha dei diverbi con Chiara perché lei vive nel modo dei sogni, completamente estraniata dalla realtà e incapace di affrontare qualsiasi tipo di problema. Infatti questo è il grosso limite di Chiara. Spesso incapace di prendersi delle responsabilità, istintiva, andando avanti negli anni, non dà valore ai soldi, tanto da farli sperperare alla figlia malata psichiatrica, Rita, l’unica persona a cui vuole bene. Nello stesso tempo cerca di fare economia risparmiando sulle cose essenziali, ad esempio non ricorrendo alla donna delle pulizie, tanto lei non fa troppo caso al disordine e alla scarsa igiene.
Paragrafo 2
L’INCOMUNICABILITA’
Bisogna tornare indietro nel tempo, quando all’età della maturità, Paola approfondì un’ amicizia con una collega universitaria: Lina. Era una bellissima ragazza, dai modi eleganti, loquace, allegra, intelligente.
Paola, essendo una persona che si affezionava subito agli amici, invitava spesso Lina Lo Brutto a casa sua e quando l’amicizia si era già consolidata, sua madre accettò volentieri che la famiglia di Lina frequentasse casa sua, anche se dopo qualche tempo si accorse che la madre di questa ragazza non era un personaggio molto convincente.
Questa donna, senza nemmeno avvisare, a tutte le ore si presentava all’improvviso a casa di Paola, col pretesto di scambiare quattro chiacchiere con Chiara e prima di congedarsi, sfacciatamente, lamentando miseria, chiedeva se potesse avere in dono qualcosa da mangiare. In realtà la famiglia di Lina non stava così male da lesinare il cibo, infatti suo padre era un impiegato del Comune, ma la donna aveva questa mania di arraffare sempre qualcosa.
Chiara, per via della simpatia che nutriva verso Lina, tollerava la madre, non avendo così il coraggio di mantenere le distanze, nonostante la considerasse invadente e culturalmente inadeguata. In sua assenza Chiara la derideva alle spalle, anche se bonariamente.
Un giorno Paola venne a conoscenza di un fenomeno molto grave che riguardava la famiglia Lo Brutto: il fratello di Lina era implicato in un giro di prostituzione e che continuava ad entrare e uscire dal carcere e pare che la madre lo proteggesse pure. Non a caso, questo figlio, senza svolgere apparentemente nessuna attività lavorativa, si permetteva abiti firmati e macchine lussuose.
Da quel momento Paola, preoccupata, informò del fatto la madre, ma lei non se ne curò, continuando a ricevere la signora Lo Brutto a casa sua, come se nulla fosse, dato che Chiara stravedeva per Lina.
Lina, col tempo, entrando più in confidenza e accortasi della disponibilità della famiglia, cercò di sfruttare sempre di più la situazione, iniziando a chiedere in prestito la seconda macchina del padre di Paola e Rita. Sta di fatto che un po’ alla volta, questa macchina stava diventando la sua macchina, perché la usava sempre lei. Arrivò anche a fare un piccolo incidente, senza nemmeno preoccuparsi di riparare il danno e fu così che il padre di Paola si indispose, decidendo di non offrirle più quest’opportunità, fermando la macchina.
Lina si infuriò, si recò a casa di Paola per fare una scenata a suo padre, come se le fosse stata negato un mezzo di sua proprietà, senza mostrare riconoscenza per tutte le occasioni in cui era stata favorita.
Chiara e il marito andavano a lavorare. Le figlie non abitavano più in famiglia e la nonna che viveva in casa con loro, restava da sola per tutta la mattinata. Fu in quel periodo che la signora Lo Brutto andò a trovare la nonna, con la scusa di farle una visita, ma poi iniziò a parlare dei suoi ipotetici problemi economici, con un atteggiamento lagnoso e vittimistico e così l’indifesa vecchietta, impietosita, si lasciò intenerire e le staccò un assegno di svariate migliaia di euro. Certo a quell’età, una vecchietta di novantadue anni, non avrebbe dovuto amministrare i suoi soldi, però è capitato.
Quando Chiara e suo marito ne furono a conoscenza, si indignarono, ma non sporsero denuncia. Il fatto passò quasi inosservato. Dopo questo colpo gobbo, la signora Lo Brutto, temendo qualche conseguenza, non si fece mai più vedere in quella casa.
Nel frattempo non c’era più comunicazione tra Lina e le figlie, dato che vivevano già lontano.
Un giorno Paola ricevette una lettera da Lina, dove giustificava il comportamento suo e di sua madre, usando un atteggiamento vittimistico, senza alcuna autocritica, ma con una certa dose di arroganza.
Paola, amareggiata e delusa, prese consapevolezza di quanto fosse stata falsa Lina, avendo sfruttato la sua sincera amicizia per poter raggiungere i suoi scopi e anche sua madre, che aveva approfittato della buona fede della nonnina, insinuandosi in quella casa come un serpente.
Paola capì che per tanti anni aveva voluto bene ad una persona che non meritava un minimo di stima e che aveva soltanto idealizzato. Si era sentita ingannata e tradita, provando una bruttissima sensazione.
In verità Lina si era manifestata un’apparente e anche sua madre, che tra l’altro parlava sempre di Dio e di carità cristiana.
L’istinto di Paola fu di rispondere alla lettera impropria e inaspettata di Lina, che mostrava arroganza e nessuna autocritica, ma per non rischiare di diventare offensiva, non lo fece. Preferì quindi il silenzio.
Dentro di lei però restava una sorta di delusione, per non aveva avuto la possibilità di esprimere a Lina il suo pensiero in merito al suo comportamento e a quello della sua famiglia. Desiderava incontrarla un giorno per poter avere almeno la soddisfazione di dire ciò che pensava, ma sperava di farlo in un altro modo, per darle un forte segnale, una lezione per la vita impartita in modo elegante e un giorno ci riuscì.
Passarono diversi anni e Paola finalmente incontrò Lina, lei la salutò, come se nulla fosse: “Ciao Paola!”
Paola per una volta e solo per dimostrare a Lina cosa si prova, trovandosi di fronte a un’amica che ti ha voltato la faccia, si improvvisa recitando il ruolo di apparente.
Imperterrita, rispose: “Chi sei?”
“ Sono Lina! Come, non ti ricordi di me?”
“No, scusami, non riesco a ricordarmi. Dove ci siamo conosciute?
“Come è possibile? Abbiamo tantissimi ricordi vissuti insieme!”
“ No, davvero, non mi ricordo affatto!”
Lina, molto a disagio, non si rese conto perché Paola si comportasse in quel modo così incomprensibile, per lei così accecata dalla superbia e dalla presunzione. Così si congedò tranquillamente, anche se molto imbarazzata.
Paola la salutò educatamente, malgrado avesse dovuto fare violenza a se stessa, per entrare in un personaggio che non faceva parte della sua stessa natura.
Chiara non comprese mai e non giustificò il motivo per cui sua figlia si fosse comportata in quel modo nei confronti di Lina, per cui accusò Paola di cattiveria in quanto a suo avviso, il suo gesto erra stato esagerato e glielo rinfacciò per tanti anni. Chiara maschera di perdono e di carità cristiana la sua codardia, mente quando si sente offesa nell’orgoglio, lei non perdona nessuno e dimentica pure di essere cristiana, riuscendo a diventare vendicativa.
Paola aveva commesso il misfatto di aver fatto finta di non aver riconosciuto Lina, ma lo aveva fatto solo per farla riflettere sul suo comportamento per aver abusato dell’amicizia e della fiducia.
Da questo comportamento Chiara manifestava sin dalla giovinezza una caratterialità controversa che rasenta lo squilibrio mentale.
Lei faceva passare per virtù soprattutto i suoi difetti non ammettendo i suoi errori, ma dichiarandoli spesso scelte volontarie.
Gli anni passano e alla morte del marito, Chiara avrà rimorsi di coscienza, per non averlo assistito in fin di vita, dopo aver ricevuto la telefonata dall’ ospedale, poiché avendo appreso la notizia del suo peggioramento di salute, lei preferì restare in casa, perché non aveva voglia di scomodarsi alle due di notte per assisterlo durante la sua agonia. Insomma, gli errori madornali che lei aveva commesso nella sua vita, erano davvero innumerevoli.
Paola si sposa, se ne va a vivere in un paese vicino e Chiara resta a vivere con Rita e si prende cura di lei, anche se solo apparentemente, perché in realtà Chiara non è in grado di badare neanche a sé stessa. Dinanzi ad un piccolo problema lei si perde, si confonde fino a sfuggire dalla stessa realtà. Dopo la pensione, si dedicò alla scultura. Quello era il suo mondo, la sua grande passione.
Purtroppo dopo la morte del marito, la situazione familiare andò alla deriva. Chiara non soffrì più di tanto, essendo una persona fredda e che non si affezionava a nessuno. Lei non solo non riusciva a curare la figlia malata che si opponeva alle cure prescritte dai medici, ma addirittura si faceva comandare da quest’ultima, si relazionava con lei come se fosse perfettamente sana. In pratica Chiara era diventata una persona pericolosa perché in balia della figlia malata di mente e sua complice, anche nelle scelte più sbagliate.
É come se una persona zoppa si facesse guidare da una persona cieca, dato che Rita, benché malata ma ancora energica, riuscì a prendere il dominio sulla madre. Chiara si sottometteva a lei, facendosi trattare come una pezza da piedi, mentre a sua volta sapeva essere molto critica e diffidente verso Paola, l’unica persona che cercava di mettere un po’ di ordine in questa famiglia, che si preoccupava sia per la madre che per la sorella.
Rita ha la mania degli acquisti compulsivi e compra spesso oggetti di valore di ogni genere che neanche le servono, utilizzando per lo più i soldi della madre. La sua mania consisteva nel possedere tanti oggetti per accatastarli nel box, per mancanza di spazio. Per entrambe il rapporto coi soldi era molto distaccato, sembrava che non dessero ad essi alcun valore, ma nello stesso tempo Chiara si lamentava perché non le bastavano mai. Era la contraddizione in persona.
A Chiara la realtà e i problemi da affrontare la fanno inorridire. Va in crisi tutte le volte che l’altra figlia, Paola, tenta di portarla dinanzi alla realtà. Vuole vivere solo di fantasia, come l’artista che lei sogna di essere.
Cerca di esaudire tutti i capricci di Rita, quasi per compensare la sfortuna della sua malattia, cercando di restituirle felicità, mentre in realtà la danneggia perché non l’abitua a rendersi utile in casa.
La cosa più grave era che non riusciva a garantirle le cure. Pensava che le terapie fossero inutili, per cui non contraddiceva mai la figlia tutte le volte che lei preferiva tralasciarle. Andando avanti in queste scelte scellerate, la salute di Rita peggiorò vistosamente.
Paragrafo 3
UNA FIGLIA SBAGLIATA
Chiara concepiva come affetti familiari quelli della famiglia di origine: la madre e le sue tre sorelle, mentre della sua nuova famiglia considera affetti importanti, le sue figlie, ma a una sola condizione, solo nel caso in cui loro restano vicino a lei. Di queste due figlie, una si sposa e va a vivere a Roma dove lavora, anche l’altra si era già trasferita da tempo a Firenze, ma dopo alcuni anni, il suo stato di salute la costringe a tornare a vivere in famiglia, ma a Chiara non importa quale si la motivazione. Per lei questa figlia malata tornata in famiglia, è la figlia affettuosa, l’altra è la figlia sbagliata.
Paola non soddisfaceva per tanti motivi le aspettative della madre, da un punto di vista caratteriale era decisa e diretta, mentre lei era sempre sfuggente e mutevole. Chiara non si era mai affezionata all’uomo che aveva sposato e vedeva come strano l’affetto di sua figlia per il proprio marito e inoltre era come se si sentisse da lei tradita, considerando questo nuovo affetto inopportuno, sopraggiunto per distogliere Paola dall’affetto verso di lei.
Chiara non sopportava tutto ciò che si discostava dal proprio modo di essere, quindi ogni differenza del carattere che riscontrava in Paola: modi di vedere le cose, gusti, modi di ragionare. Secondo lei, una figlia, per essere da lei accettata, sarebbe dovuta essere la fotocopia della madre e Paola probabilmente non lo era. Avevano soltanto una cosa in comune: la passione per la scultura.
Paragrafo 4
UNA MADRE POSSESSIVA
Chiara amava vivere nel passato e faceva pesare moltissimo questa sua mania in tutte le situazioni che affrontava.
Malgrado l’avanzare degli anni e i cambiamenti che la vita aveva apportato nella sua famiglia, Chiara coltivava un sogno ad occhi aperti in cui si vedeva sempre giovane, con due figlie bambine sempre legate a lei. Era questa la sua immagine ideale di madre che accudisce due figlie che non si staccano mai da lei. Ma si sa che col tempo tutto cambia.
La figlia minore era già andata via di casa per lavoro e la maggiore da lì a poco si sarebbe sposata per andare a vivere a Roma. Quello per Chiara fu un momento assai critico, perché era come se le fosse crollato il mondo sotto i piedi. Non passò molto tempo e le condizioni di salute di Rita si aggravarono non permettendole di vivere da sola, né di lavorare. Di conseguenza tornò a vivere in famiglia. Rita è affetta da una grave patologia mentale che Chiara più delle volte mette in dubbio o prende poco in considerazione. Per lei conta di più avere una figlia vicino a sé, da accudire e da curare come se fosse la sua bambina.
Invece di preoccuparsi della regolarità della cura, critica i medici che non sono capaci di guarirla e trasmette nella figlia lo stesso senso di sfiducia in chi la cura, ma anche nella terapia che dovrebbe invece seguire con puntualità, ma ciò purtroppo non accade perché subito dopo la morte del padre, per loro inizia un continuo peregrinare senza sosta, come un modo di vivere per sfuggire dai problemi e molte volte Rita, con la complicità della madre, sfuggiva alla scadenza mensile della cura, mettendosi in viaggio.
Chiara, vivendo insieme a Rita e diventandone complice e succube, aveva realizzato con lei un legame simbiotico come se fossero quasi la stessa persona. Rita che era rientrata in famiglia non per scelta ma per vicissitudini non volute, per la madre era la figlia affettuosa che le stava vicino, era lei la figlia prediletta, al contrario dell’altra sorella, che ormai aveva formato la sua famiglia. Nella mente della madre era chiaro questo concetto: Rita era la figlia prediletta, invece Paola la figlia ingrata.
Chiara rimase sempre distaccata e fredda nei confronti di Paola, anche quando lei iniziò a occuparsi di entrambe, vista l’età avanzata della madre e il peggioramento clinico di Rita.
Ogni intervento veniva giudicato con diffidenza, ogni aiuto come intrusione, ogni reazione di Chiara dimostrava che ormai questa figlia era diventata per lei un’estranea, non un’estranea qualunque, ma una di cui non fidarsi.
Quando Rita era stata soccorsa dopo la frattura del femore, nell’Ospedale era stata assistita dalla figlia Paola, ma questa assistenza premurosa, lei l’aveva considerata come fosse superflua.
Paragrafo 5
CALOGERO “IL PRINCIPINO”
Valentina è una donna molto bella, fa la modella e all’età di 27 anni incontra Rino. Si sposano e nasce Calogero. A causa dell’infertilità della moglie, non riuscivano ad avere figli. Dopo tanti tentativi di esami clinici e accertamenti vari, un giorno un ginecologo, suggerì a Rino una possibile soluzione. Avrebbe potuto avere un bambino col sistema dell’utero in affitto. Chiaramente questa pratica sarebbe stata attuata all’estero perché in Italia era vietata e inoltre bisognava trovare una donna consenziente a prestarsi. I coniugi sul momento non sapevano a chi rivolgersi e fu lo stesso medico, nonché amico di famiglia a dare loro l’idea: l’utero in affitto poteva essere quello della loro cameriera. Quando arrivarono a casa, ne parlarono con la ragazza ecuadoregna e lei inizialmente era titubante e paurosa, ma quando le spiegarono che non ci sarebbe stato di nessun contatto fisico e inoltre sarebbe stata profumatamente ricompensata, lei accettò.
Le condizioni erano comunque che oltre a questa prestazione, la cameriera sarebbe stata licenziata con un’ottima liquidazione per evitare che lei si affezionasse alla sua creatura.
Nacque uno splendido bimbo, Calogero. Crescendo trascorre giornate intere a casa della zia Chiara, vivendo nello stesso condominio. I coniugi, entrambi commercialisti, essendo oberati di lavoro, hanno poco tempo per occuparsi del figlio.
Come per compensare il tempo che i genitori non avevamo potuto dedicare al pargoletto, Calogero era stato abituato ad avere tutto e subito, sempre assecondato e accontentato ad ogni suo capriccio, tanto che per i genitori, viziarlo era quasi un obbligo, un motivo di vanto, tale che lo soprannominarono: “Il principino”. Calogero cresceva bello, ma freddo e presuntuoso.
Quando diventò grande e provava a fidanzarsi, le sue relazioni duravano sempre poco, perché emergeva questo suo egocentrismo che si manifestava come una forma di immaturità.
Gli anni passarono velocemente e “il principino” ormai adulto, diventa un modello da invidiare: è affascinante, con una posizione economica abbastanza agiata.
Calogero si laureò in Legge ed ebbe la fortuna di realizzarsi presto nel suo lavoro come avvocato. Aveva ereditato tutto dai genitori, diverse ville, auto sportive, ma soprattutto l’avidità nei confronti dei soldi: il denaro sarebbe stato il traguardo più importante nella sua vita. Lui poteva frequentare soltanto persone “alla pari”.
Un loro cugino di secondo grado si fidanzò con una cassiera del supermercato, suscitando nella sua famiglia indignazione e critiche, in quanto si scandalizzarono e giudicarono questa persona con aria di sufficienza. Sta di fatto che quello che sposò questa donna ebbe una vita felice con lei, perché malgrado la sua professione umile, era una bravissima persona con tantissime qualità.
Paragrafo 6
OLTRE L’APPARENZA
Passarono gli anni sempre più velocemente e Chiara divenne molto anziana. Le condizioni di salute mentale della figlia peggiorarono. I suoi cognati, genitori di Calogero, che avevano sempre regolato tutte le loro relazioni umane in virtù del tornaconto, essendo amici di un medico di cui Chiara si fidava, lo esortarono a convincere Paola a inoltrare un’istanza di interdizione nei confronti di Rita. Così informarono Calogero “Il principino” che chiese il consenso alla cugina, Paola, da alcuni anni trasferita a Roma, affinché avviasse la pratica legale ed essere designato allo stesso tempo il loro tutore. Paola sperava invece di fare trasferire nella città in cui viveva, sua madre e sua sorella, per potersene prendere cura.
In quel periodo zio Claudio di tanto in tanto si lamentava con Paola raccontando le scenate di Rita nei luoghi pubblici del paese di appartenenza, nelle occasioni in cui stava particolarmente male, per via dei quali lui provava pena e vergogna. Nello stesso tempo i parenti si mostravano preoccupati. Sapendo che Paola, unica stretta familiare, viveva lontano, l’incarico di amministratore di sostegno sarebbe potuto capitare a Calogero, essendo professionalmente abilitato, nonché facente parte della parentela. Con questo incarico si sarebbe aggiudicato un compenso come previsto dalla Legge. Ma quando Calogero vide che Paola si oppose all’interdizione della sorella, stranamente interruppe le relazioni.
Paola, senza volere, aveva deluso le sue aspettative. Calogero, che in vita sua era stato sempre accontentato, raccolse quel diniego come insopportabile.
Non ci fu nessun tipo di scontro diretto tra Calogero e la famiglia di Paola, tranne la freddezza. Da quel momento il cugino prese le distanze dalla famiglia della zia Chiara, come se avesse subito un torto imperdonabile e restando fedele al suo distacco, si eclissò completamente, interrompendo ogni relazione.
Paragrafo 7
CHIARA E RITA
In tutte le occasioni, quando Paola aveva potuto, aveva cercato sempre di essere presente e rendersi utile, specialmente da quando sua madre è rimasta vedova, con questa figlia malata da accudire.
Fin da quando si è manifestata la malattia di Rita, la sorella ha vissuto l'evento con dispiacere e preoccupazione, dal momento che lei, affidata alle cure da parte della madre, non assumeva sempre le cure con puntualità. Durante la loro permanenza in provincia di Catanzaro, spesso nel paese si verificavano situazioni critiche nonché imbarazzanti, quando Rita stava male, ormai fuori dall’effetto delle cure, perdeva il controllo delle sue azioni.
In molti casi quando Rita stava male, Chiara non riusciva a telefonare al CPS locale per farla curare, perché la figlia la obbligava a rinchiudersi in casa con lei e a non aprire ai medici. In alcuni casi si è reso necessario l'intervento dei vigili del fuoco per forzare la porta di casa.
In base a quanto raccomandato fin dall'esordio della malattia, Rita avrebbe potuto conservare uno stato di salute molto accettabile, a condizioni che fosse stata sempre curata regolarmente, ma ciò purtroppo non si verificò mai. Nell’ultimo periodo era stata consigliata l'assegnazione di un Amministratore di sostegno per Rita da parte del CPS di Catanzaro.
Chiara disponeva di un reddito medio - alto da potersi permettere un tenore di vita confortevole e con la possibilità anche di accantonare anche qualcosa per le eventuali necessità. Lei ha un rapporto strano con i soldi. Delle volte si lamenta che non bastino mai ed è come se lei non si rendesse conto della facilità con cui i soldi vadano via.
In altre occasioni, quando per caso lei si facesse notare che non è poi così brava ad amministrare le risorse finanziare, subito si difende dicendo che lei ha un rapporto distaccato con i soldi, per cui non gliene frega niente se vanno, se vengono. In questa versione lei dice l’esatta verità del suo rapporto col denaro talmente irresponsabile: vacanze prenotate e pagate in anticipo e in seguito non godute. Grandi lavori di giardinaggio pagati anche questi in corso d’opera, ma non finiti, quindi pagati due volte, biglietti aerei comprati in anticipo e non utilizzati, disponibilità di soldi illimitata per gli acquisti compulsivi di Rita, che comprava di tutto, specialmente ciò che non serviva.
Di tutte queste sue leggerezze, Chiara non avrebbe mai informato i suoi parenti, perché non avrebbe fatto una bella figura. A lei interessava apparire per quello che non era.
Se la figlia Paola, ad un certo punto, si preoccupava di questo suo rapporto così irresponsabile che la madre aveva coi soldi, non era certo l’eredità che si aspettava un giorno di ricevere, dato che economicamente aveva una posizione abbastanza sicura. Si preoccupava piuttosto con questa dissolutezza, che la madre avrebbe dissipato ogni risparmio e dopo, in caso di necessità, sarebbe stato un problema.
In seguito a un piccolo incidente domestico, in cui Chiara si è fratturato un femore, avendo avuto bisogno di cure assidue, in seguito all’interessamento di Paola, per un breve periodo, è stata ospitata presso una Casa di Riposo.
IL TRASFERIMENTO
Dopo un po’ di tempo Chiara e Rita decisero di trasferirsi a Roma, vicino a Paola, che essendo una persona responsabile, si impegnò a persuaderle per fare questa scelta. La madre riceveva tutte le cure di cui aveva bisogno. Malgrado il suo livello di autonomia fosse diminuito, la sua presunzione e il suo egocentrismo le facevano credere che questo benessere guadagnato fosse tutto merito suo, addirittura, piuttosto che esserle riconoscente, vede sua figlia Paola quasi come un’estranea, un’ intrusa che interferisce con la propria vita. Chiara non apprezza l’affetto da Paola, mentre verso Rita continua ad avere un attaccamento morboso.
Da quando Chiara vive vicino a Paola, interpreta le sue premure quasi come una persecuzione. Per quanto riguarda le visite mediche necessarie, Paola trovava sempre opposizione da parte di sua madre, perché le riteneva inutili e credeva che fosse la figlia a decidere per lei, invece era il suo medico di base a prescriverle. In diverse occasioni Chiara si rifiutava di farsi le cure prescritte. E in seguito, per spirito di contraddizione e per il gusto di contrariare la figlia, la accusava di non averla sottoposta ad altri tipi di indagini cliniche, benché mai prescritte da alcun medico, cosicché trovava il motivo per rinfacciare a Paola che non si prendesse cura di lei.
La figlia si rendeva conto che per qualsiasi iniziativa avrebbe sempre avuto opposizione. Ad un certo punto, qualche medico le consigliò di farla rinchiudere in una struttura per anziani, di modo che non avrebbe più potuto tralasciare le cure per lei necessarie.
Ovviamente questa scelta, pur se necessaria, fu da Paola sempre scartata, conoscendo benissimo sua madre.
Chiara teme che il rilascio delle diagnosi sul proprio stato di salute, non servano ad ottenere l’accertamento di invalidità, ma facciano parte di un progetto diabolico della figlia per arrivare alla sua interdizione. Ha iniziato a mettere in dubbio l’attendibilità delle diagnosi rilasciate sul suo conto e pensa che siano il risultato di un accordo segreto tra la figlia e i dottori.
Da quel momento i parenti non parlavano più di interdizione, poiché ormai il problema non li riguardava più, nel momento in cui madre e figlia vivevano ormai lontane. Sapevano che adesso toccava a Paola occuparsi di entrambe. Finalmente si sentirono sollevati e soprattutto perché la loro reputazione non sarebbe più stata minacciata. Del resto, i parenti vivevano esclusivamente per l’opinione sociale.
Chiara, come molti anziani, vive nel suo passato e proietta nel presente le sue immagini, quelle dei ricordi, delle esperienze vissute, ma senza tener conto dei cambiamenti successivi.
Lei si sente spiritualmente giovane, ma per il semplice fatto che giovane non lo è nei fatti, certi suoi desideri possiamo considerarli sogni.
Si vanta e si paragona spesso a una sovrana, ma lei non è in grado neanche di badare a sé stessa. Chiara è diventata ridicola e patetica. Che brutta la vecchiaia quando si perde la testa! Occorre una pazienza infinita e soprattutto bisogna cercare di non farsi travolgere dal turbine della loro negatività. Non a caso tanti anziani si ritrovano da soli. Ovviamente esistono anche dei casi in cui gente molto anziana continua ad essere amabile e se non arrivano malattie che compromettono la propria mente, continuano a conservare quelle caratteristiche positive che le rendevano persone amorevoli e brillanti. Queste sono sempre in compagnia, perché tutto è relativo nella misura in cui si riesce a dare.
Paola soffriva in silenzio per tutte le umiliazioni che doveva subire e nonostante tutto pregava per entrambe.
Paragrafo 8
CONNIVENZA E QUIETO VIVERE
Già da lunghi anni, tutta la parentela era a conoscenza delle carenze di Chiara, che per debolezza di carattere, era corresponsabile della discontinua cura della figlia. Se nel tempo Rita si era aggravata, la responsabilità era stata della madre.
Chiara già da allora sarebbe dovuta intervenire in un modo più incisivo attraverso i servizi psicosociali, ma forse la paura di vedere allontanata la figlia da sé, aveva messo in secondo piano la necessità di farla curare in modo adeguato e dato che lei era portata a giustificare sempre ogni suo errore, diceva che tanto curarla era comunque inutile.
Dopo tanti anni, quando le condizioni di salute di Rita si aggravarono, gli specialisti consigliarono a Paola di avviare un ricorso per la tutela della sorella.
Paragrafo 9
IL CROLLO DELLA MASCHERA
Come ho accennato, i parenti adesso si sentono al sicuro, ma nonostante ciò, tutte le volte che Rita sta male e telefona, disturbando tutti indiscriminatamente, anche di notte, per pronunciare frasi sconclusionate, a quel punto loro si sentivano importunati nella loro serenità.
Di tanto in tanto lo zio Raffaele, con aria di comando, telefonava a Paola dicendole di fare ricoverare sua sorella attraverso un TSO (come se lei avesse avuto questo potere) forse non sapendo che i provvedimenti di ricovero li decidono soltanto i medici. Ma lui si atteggia a supervisore, come se fosse tutore di sua nipote. Dal canto suo Paola, sopporta a malapena questa invadenza da parte dello zio, che con fare assillante le complica ulteriormente il compito di dover provvedere ai problemi della sorella malata.
Paola non avrebbe potuto permettere in passato di affidare la madre e la sorella in mano a degli estranei, dandole cioè in pasto ai lupi, i quali non si sarebbero preoccupati realmente del loro bene, ma solo del proprio tornaconto. Per questo motivo lei aveva fatto di tutto per farle trasferire a Roma. Purtroppo anziché esserle grate, entrambe non si fidano di Paola e quasi nutrono astio nei suoi riguardi. La madre continua a diffidarla, mentre si fida di tutti coloro che non la contraddicono mai: i parenti, sempre pronti a darle ragione, anche di fronte alle assurdità più evidenti.
Alla fine Paola ha acconsentito, dopo parecchi anni e dopo tante pressioni (da parte degli specialisti) ad avviare la pratica legale per la tutela della sorella, anche se ciò non ha nulla a che vedere con quella drastica “soluzione” che le era stata proposta anni prima a Catanzaro: l’interdizione per entrambe, mamma e sorella, soluzione drastica dalla quale non sarebbero più uscite. In realtà Paola le aveva salvate da una situazione che sarebbe si rivelata irreversibile.
Quando successivamente madre e figlia si trasferirono a Roma, ormai i parenti non dovevano più preoccuparsi di loro, mimavano un finto interessamento, mostrandosi affettuosi e pieni di riguardi, specialmente tutte le volte che Chiara piangeva per telefono dicendo che sua figlia Paola la trattava male perché avrebbe voluto comandare su di lei.
Questa volta lo zio Raffaele, cognato di Chiara, conosciuto albergatore, con la scusa di essere molto affezionato alla nipote Paola, mentre invece la voleva tenere in pugno. Era assillante e davvero lei non reggeva più alla sua invadenza. Le telefonava spesso, le mandava messaggi, si voleva intromettere in tutte le occasioni in cui lei avesse avuto a che fare con la famiglia di origine. Era come se lui accampasse il diritto di regia…
Lo zio Raffaele, un giorno, le aveva chiesto un favore: lasciargli le chiavi della casa estiva, tramite, la sua vicina, poiché in prossimità delle vacanze natalizie, avendo programmato un viaggio a Roma per trascorrere una settimana dalla figlia e sapendo che sua nipote in quel periodo di vacanza sarebbe stata fuori sede, avrebbe voluto forse spiare dentro la sua casa, in sua assenza, semplicemente per poter vedere i nuovi mobili cha Paola aveva acquistato. Lei rimase sbigottita da tale pretesa ed evidentemente non acconsentì alla sua strana proposta, dato che non ne vedeva la necessità, tanto più che ci sarebbero state tante altre occasioni, considerando che lo zio Raffaele, essendo rimasto da poco vedovo, andava a Roma con più assiduità per andare da sua figlia.
Lo zio voleva fare i conti in tasca, intrufolandosi negli affari della famiglia di Paola e lei essendo forse eccessivamente rispettosa, non riusciva a farlo stare al suo posto e se qualche volta osava fargli capire pur con le buone maniere che lui stava esagerando a causa della sua ingerenza, lui si offendeva.
Lo zio a un certo punto, iniziò a criticare la nipote nella sua famiglia e presso tutta la parentela, inventando che era stata offensiva nei suoi confronti e che trattava male sua madre anziana. Paola ebbe l’impressione vi vivere in un vero e proprio manicomio.
Infine, quando Paola dovette svelare la verità a sua madre, in merito alle intenzioni che i parenti avevano avuto nei suoi confronti e di quelli di Rita, lì per lì Chiara si indignò e le rispose: “Tu sei pazza, come tutti i parenti che mi volevano fare interdire! Siete tutti pazzi.”
Dopo alcuni giorni, Chiara, come se avesse già rimosso tutto, era in contatto telefonico con suo cognato Raffaele e sua figlia Irene, come se nulla fosse. In pratica, Chiara non aveva mai avuto una propria fermezza di carattere, dal momento che da parte degli estranei si faceva trattare come uno zerbino, sin dall’età della giovinezza, non riusciva a distinguere una persona sincera da una persona falsa, una buona da una cattiva. Per lei gli individui erano tutti uguali, non aveva il dono del discernimento e nemmeno un minimo di intuito.
Se Chiara però aveva perduto la propria dignità, i parenti che si erano presi gioco di lei e della sua famiglia, probabilmente la dignità, loro probabilmente non l’avranno mai avuta.
Paragrafo 10
SI AVVICINA IL GIORNO DELL’UDIENZA
Il giorno dell’Udienza si avvicinava. Come se non bastasse la continua invadenza da parte dello zio Raffaele, in occasione della faccenda che riguardava la nomina dell’amministrazione di sostegno, proprio lui che in passato aveva proposto a Paola di farsi nominare lei stessa Amministratore di sostegno sia di sua sorella che di sua madre. Adesso lui se ne lavava le mani. Del resto si è comportato come hanno fatto quasi tutti gli altri parenti. In pratica questi “parventi” si comportarono come Ponzio Pilato, non perché non ritenessero opportuna l’iniziativa legale promossa da Paola, ma semplicemente perché non volevano esporsi, non volevano fare a modo loro brutta figura nei confronti di Chiara stessa. Non solo, adesso cercavano di far risultare “colpevole” Paola, come se fosse lei l’artefice di questa iniziativa e la promotrice di questo ricorso per fini di convenienza. Sapevano invece che se ne parlava da almeno dieci anni e non solo, loro erano stati i primi promotori che insieme al CPS di Catanzaro avevano fatto pressione su Paola, ma all’insaputa della madre.
Paola era l’unica persona responsabile in tutta la parentela e adesso sarebbe risultata il capro espiatorio di tutte le sofferenze che madre e figlia pativano per la loro triste situazione. In un certo senso, la madre e la figlia non avevano colpa, dato che la mente di entrambe, per ragioni diverse, era ormai compromessa, quindi non erano più capaci di discernimento. Ma come mai i parenti erano caduti così in basso?
Proprio loro si erano indignati, dal momento che avevano ricevuto la comunicazione da parte dell’Avvocato, solo per essere stati messi a conoscenza della procedura legale. Si sono sentiti ingiustamente coinvolti, come se interpellarli fosse stata una decisione di Paola. Evidentemente non conoscevano la Legge, dato che la comunicazione è una prassi.
Paola fino a quel momento aveva idealizzato questi parenti, che in quel momento per lei abbastanza complicato, se ne lavavano le mani, lasciandola da sola.
Paragrafo 11
IRENE
Irene, l’unica figlia dello zio Raffaele, che viveva già a Roma, era la cugina più vicina a Paola e sia lei che il marito la stimavano tantissimo e date le manifestazioni di affetto che si scambiavano a vicenda, avevano riposto in lei totale fiducia, quindi davano per scontato che questa avesse capito la gravità del problema in merito alla questione della procedura avviata.
Irene era al corrente della situazione familiare disastrata della cugina. Paola per eccessiva delicatezza e per amor di pace, non la mise mai al corrente dello strano comportamento di suo padre: invadente e ossessivo.
Quando Irene invece ricevette la comunicazione da parte dell’avvocato, dove veniva informata della procedura in corso, lei (come tutti gli altri parenti) avrebbe dovuto dare al legale una risposta di consenso o di contrarietà, ma ciò avrebbe costretto anche lei a prendere una posizione chiara, cioè schierata a favore dell’iniziativa della cugina o dell’idea della zia, desiderosa di essere lei la persona preposta. La raccomandata la mise in crisi perché la obbligava a dover manifestare da che parte stare. Dinanzi a questa piccola difficoltà, Irene uscì allo scoperto rivelando la sua vera natura, recitando la parte della vittima, perché anche lei si sentì coinvolta ingiustamente. Telefonò a Paola e disse con tono concitato: “Cosa hai fatto? Perché mi hai fatto mandare questa raccomandata dall’avvocato? Mi hai veramente deluso! Io che vi invitavo a cena! Io che vi consideravo i migliori cugini, mi sono sentita da voi tradita, perché io non ci volevo entrare in questa tua faccenda familiare! Da voi non me l’aspettavo!”
A Paola caddero le braccia, provò un senso di disgusto, era sconcertata, perché non si sarebbe mai aspettata una reazione simile da parte di quella cugina, proprio colei di cui si fidava ciecamente, quindi capì che Irene non aveva un forte carattere e soprattutto senso critico, capì che lei badava solo alla sua tranquillità e non guardava né al bene della zia anziana, né al bene della figlia malata. A lei non importava che Rita fosse gestita dalla sorella, o da qualcun altro. A lei importava solo mantenere una buona reputazione nei confronti della zia, nonostante l’evidenza dei fatti.
In effetti si denota che Irene aveva avuto inculcata dai genitori un’ educazione di estrazione cattolica, nonché perbenista, in cui il concetto di onorare il padre e la madre diventa assoluto e immutabile, a prescindere dalle situazioni che cambiano o dal decadimento psichico dei genitori, quando non possono più essere in grado di accudire, ma che hanno bisogno di essere accuditi e per cui non sono più in grado di scegliere. Di conseguenza, secondo Irene, il suo parere sarebbe stato subordinato al consenso della zia anziana. Per questo motivo andò lei in crisi e infine addirittura si prodigò per perorare la causa della zia. Fu una totale delusione per Paola e suo marito. Non avrebbero mai immaginato che si sarebbe comportata in modo così irresponsabile. Non sapeva forse che suo padre tempo addietro aveva consigliato addirittura di interdire entrambe le donne? E lei come faceva a scandalizzarsi dinanzi alla decisione di Paola? E quale colpa aveva lei se la procedura avviata richiedeva le comunicazione ai parenti?
Chiara era convinta che sua figlia avesse corrotto medici e avvocati per farla risultare inabile, per essere lei nominata dal Giudice Amministratore di sostegno. Tempo addietro diversi specialisti le avevano riscontrato delle difficoltà al livello cognitivo, che in fondo è abbastanza normale per una donna di quell’età, anzi, probabilmente sua madre ne era già affetta da tempo senza rendersene conto. Ma Chiara che non capiva il vero significato del termine, continuava a vantare la sua cultura e intelligenza che a suo avviso avrebbero smentito la diagnosi che le era stata attribuita.
Aveva una certa mania di onnipotenza, nel momento in cui si sentiva autorizzata a bacchettare e ammaestrare tutti: medici e avvocati, che in quest’ occasione si sarebbero lasciati plagiare dalla figlia, perché raggiungere i suoi scopi, ma lei stessa non sapeva spiegare quali. Chiara si sentiva vittima di un complotto, per cui aveva allertato parenti e conoscenti che erano nei suoi contatti telefonici. Putti pensavano ormai che Chiara fosse realmente vittima di questa figlia spietata e avida.
La forte tensione tra Chiara e Paola determinò una frattura delle relazioni coi parenti: sia quelli che volevano essere neutrali, sia quelli che si erano schierati dalla parte della madre.
Adesso però, in vista dell’agognata Udienza, ognuno indiscriminatamente sarebbe finalmente uscito allo scoperto. I parenti avrebbero dovuto esprimere una volta per tutte il loro parere, senza possibilità di escogitare ulteriori trabocchetti. Quella sarebbe stata la prova del fuoco.
Paragrafo 12
VANITA’, SUPERBIA E OSTINAZIONE
Orietta, una cugina di Paola, sessantenne, single, viveva a Catanzaro. Era caratterizzata dalla stessa indole e dalla stessa psicologia della zia Chiara. Non a caso impersonava le sue stesse manie: la voglia di apparire, la voglia di sembrare più di quello che era, l’ossessione per l’immagine e per il giudizio sociale, quindi per l’apparenza. Lei e la zia avevano una forte affinità del carattere, da sembrare quasi madre e figlia. Questa nipote, come la zia Chiara, era molto egocentrica.
Il sogno di Orietta era di stringere amicizia con le grandi star di Hollywood, per poi ottenere fama al livello internazionale, ma viveva solo di illusioni, anche perché non è che poi avesse questo grande talento!
Alcuni anni prima, Orietta si indignò per una motivazione assurda e a prima vista incomprensibile e lo spunto fu la foto della zia Chiara convalescente, dopo la frattura del femore, immagine pubblicata sul social dalla figlia Paola, per rassicurare amici e parenti sullo stato di salute della madre, dato che ormai viveva lontana da loro. Orietta si infuriò contro la cugina, rinfacciandole di aver oltraggiato la madre, creando con quella foto un danno alla sua immagine.
Paola si stupì e rimase amareggiata per la manifestata ingerenza da parte della presuntuosa cugina, che non solo aveva interpretato male un’azione così innocua, ma anche per la sua inopportuna invadenza, come se lei avesse maggiore sensibilità rispetto a Paola. Questa cugina così facendo, non fece altro che confermare la propria indole superba.
Ogni aiuto o iniziativa della figlia Paola per agevolarla o venirle incontro, Chiara lo considerava un’umiliazione, un’usurpazione della sua supremazia, o tutt’al più la messa in dubbio delle sue capacità.
Il suo orgoglio le fa pensare che ammettere di avere bisogno degli altri, significhi umiliarsi. Accettare l’aiuto è una forma di degradazione. Lei vuole avere sempre il ruolo principale e ogni iniziativa nel suo interesse da parte della figlia, la considera un’ingerenza, qualora non è concepito, pensato e programmato da lei, lo considera una forma di prevaricazione. Non dà alcun valore ad ogni buona intenzione e la interpreta come prepotenza.
Chiara ad un certo punto arrivò a dire apertamente a Paola che non la riconosceva più come figlia. Ecco le testuali parole: “La mia famiglia non siete tu e tuo marito, la mia famiglia sono le mie sorelle”. Era arrivata persino a odiarla, avendo frainteso le sue buoni intenzioni per una forma di cattiveria e di squilibrio mentale.
Nel frattempo Chiara non si dava pace all’idea che lei non potesse essere dichiarata idonea per essere all’altezza della situazione e allora si rivolse a diversi avvocati, accompagnata dalla badante e dal tassista di turno per cercare da loro conferme e che le assicurassero di garantire per lei.
Sta di fatto che dopo aver consultato diversi legali, Chiara tornava a casa amareggiata e molto nervosa, perché nessuno ovviamente l’avrebbe potuta assecondare. Diceva con tono agitato: “Ma io non capisco! Gli avvocati mi sembrano tutti stupidi! Mi sembra che nessuno riesca a capirmi, eppure parlo correttamente in italiano!”
Era diventata maestra della menzogna, dettata dai suoi complessi di inferiorità e soprattutto dalle strane manie di persecuzione.
Intanto le sue sorelle e le nipoti continuavano ad assecondarla per telefono, ignari del suo peggioramento psichico, dato che non la vedevano da parecchio tempo.
Arrivato il momento dell’incontro con l’avvocato, pochi giorni prima dell’Udienza, il legale fece leggere a Paola le risposte ricevute da quei pochi parenti che ebbero il coraggio di esporsi. Tanti infatti, preoccupandosi di coprirsi le spalle, non si vollero compromettere, scegliendo quindi la via più facile: quella della codardia. In confronto però a coloro che avevano adempiuto al loro dovere, rilasciando false affermazioni che riabilitavano e decantavano l’efficienza di Chiara, tutto sommato, questi, che non hanno inviato risposta, hanno creato un danno sicuramente meno grave.
Orietta, come gli altri parenti che ebbero il coraggio di esporsi, attraverso la sua dichiarazione, si preoccupò in primo luogo di mettere in evidenza il suo curriculum professionale, per conferire autorevolezza e credibilità alle sue dichiarazioni.
In un secondo tempo, quasi minimizzò la gravità della patologia della cugina, esaltando capacità e pregi della zia. Inventò una bugia, affermando che era sempre in assidua comunicazione telefonica con essa, senza dire invece da quanto tempo ormai non la vedeva più, non avendone osservato l’ulteriore decadimento. Orietta in verità era anche lei all’oscuro dei cambiamenti avvenuti: il peggioramento dello stato di salute di Rita e della lucidità mentale della zia novantenne.
Nella risposta inviata all’avvocato, senza tener conto della reale incapacità della zia, Orietta dichiarò che nessuno meglio della zia avrebbe potuto sostenere un compito di tale responsabilità e lei aveva tutte le carte in regole per poterlo svolgere. Col suo contributo, diede il colpo di grazia decisivo al ricorso che sarebbe dovuto essere a beneficio della cugina malata. Ignorando così le esigenze di quest’ultima, sembrava che dovesse accontentare i capricci e la presunzione della vecchia zia, dimostratasi da sempre non all’altezza della situazione difficile che affrontava ogni giorno.
Paola era lasciata da sola in questa battaglia che doveva affrontare, solo per poter tutelare la sorella malata e la madre anziana, che ormai dava segni di squilibrio.
Paragrafo 13
L’APPARENZA COME AMBIZIONE
Chi è narcisista ha un orgoglio e una convinzione di sé così esagerata, che nessuno si potrebbe azzardare a fargli notare neanche il più evidente errore, perché la loro reazione sarebbe sempre violenta e scomposta.
Ci sono persone che dispongono di un discreto bagaglio culturale e che posseggono qualche talento e sono capaci di esprimerlo ad un livello anche decente, ma ciò che è di gran lunga maggiore in loro, è la convinzione e l’ambizione, coltivate ad un livello molto più alto delle loro stesse capacità. Essi sognano il successo, ma essendo puntualmente narcisisti ed egocentrici, hanno bisogno di trovare “la colpa” del loro insuccesso in qualcuno o in qualcosa al di fuori di loro. Si sentono gli eterni incompresi e inoltre sono terrorizzati dal confronto, dalla consapevolezza che prima o poi sopraggiunge qualcuno più i gamba di loro, o nel momento in cui si accorgono che di artisti assai più bravi ne esistono a migliaia. Ma così convinti come sono e adulatori di sé stessi, pur essendo nella realtà di mediocre livello, si sentono dei giganti incompresi.
Coltivano un perenne sentimento di invidia, di mal sopportazione nei confronti di chiunque sviluppi o eserciti un talento simile a loro e ogni piccolo traguardo o successo raggiunto da questi altri, lo considerano come un furto a danno del loro ambito successo.
Chiara aveva queste stesse ambizioni e ad una certa età iniziava quasi a vedere come un rimpianto di non essere stata annoverata tra i grandi della storia dell’arte.
Ma se i suoi punti di riferimento erano i grandi, nella realtà si riduceva a confrontarsi con le abilità della figlia Paola e se nella sua carriera artistica, non aveva mai pareggiato il livello di nessuno dei grandi, adesso si era ridotta a competere e a confrontarsi sempre col talento artistico della figlia. Così capitava che tutte le volte in cui descriveva il proprio talento, lo faceva prendendo a paragone le capacità della figlia, cercando sempre di dare a intendere che nelle sue produzioni c’era un qualcosa di speciale.
Ogni volta che Chiara si trovava di fronte a qualche nuova conoscenza, non si presentava come persona, ma come artista e distribuiva il depliant con le sue opere, puntualizzando: “Come può notare, non è solo mia figlia un’artista!”
La cosa buffa era che lei questa sua prassi, la metteva in atto con tutti, anche con quanti non conoscevano per niente la figlia.
Tra le altre cose, Chiara, avendo problemi di relazione con Paola, di cui mal sopportava il talento e non potendo certo sminuirne la bravura, riuscì comunque ad affossarne l’immagine da un punto di vista morale, mettendosi a raccontare in giro, presso amici e parenti, inenarrabili malefatte subite da parte sua, fino a riuscire ad abbassare ed avvilire la statura morale di questa figlia, a cui adesso venivano attribuite colpe e cattiverie prima mai registrate. In quel modo Chiara aveva ottenuto la sua parte di successo. Non potendo emergere rispetto alla figlia da un punto di vista artistico, aveva trovato una scorciatoia sleale per prevalere su di lei, attraverso l’arma miserabile della maldicenza.
Tra Chiara e la nipote Orietta, esisteva un feeling particolare e c’era anche una spiegazione a questa loro intesa. Si somigliavano nel carattere come due gocce d’acqua. Stesse velleità, stessa voglia di apparire più di quello che si è. Stesso narcisismo, stesso egocentrismo. Loro si intendevano a meraviglia, erano talmente simili, che non sarebbero mai andate in contrasto, perché anche dialogando in due, era come se ognuna parlasse con sé stessa.
Anche Orietta inseguiva, giusto per non smentirsi, la notorietà ed insisteva organizzando mostre e rappresentazioni, partecipando a concorsi che non vinceva, ma la sua velleità e la voglia di apparire, erano il suo vero curriculum. Anche lei, eternamente insoddisfatta e incompresa. Insofferente e invidiosa, pur se avesse scoperto che la sua vicina di casa, avesse avuto il suo stesso talento o prodotto cose simili alle sue.
Paragrafo 14
IL BENE SENZA MERITI
Paola, prima che ci fosse la badante ad assisterla, di tanto in tanto si occupava delle pulizie di casa, ma la madre, oltre a non essere riconoscente, diceva che il suo lavoro era inutile. Praticamente tutto ciò che di buono faceva Paola, Chiara lo considerava sprecato e inopportuno, perché lei era la figlia sbagliata.
Per un lungo periodo Paola le praticava regolarmente delle punture prescritte per la cura dell’osteoporosi, ma ad un certo punto, decise che non le servivano più e non ci fu più nessuna possibilità di convincerla che fossero indispensabili. Lei era così anche per le cure della figlia malata, correggere i medici cercando di voler decidere lei modalità e dosaggi delle cure.
Da quando Paola, la figlia sbagliata, si era addossata il compito di pensare a tutte le necessità della madre, era diventata il bersaglio di tutte le critiche e di tutte le lamentele di Chiara che riversava su di lei tutte le sue insoddisfazioni, facendola diventare l’origine di ogni male e addebitandole colpe inesistenti, come se ogni minima azione di Paola fosse originata da un complotto contro di lei e mai per il suo bene. Tra le sue convinzioni, la più clamorosa era quella che diversi specialisti che l’avevano visitata, avessero rilasciato una diagnosi determinata non dal suo stato clinico, ma da una richiesta di Paola.
Le faceva pagare a prezzo rincarato anche le minime cose che non gradiva. Chiara, con questa sua continua opposizione alla ragionevolezza, era contraria al buon senso. Lei giudicava sua figlia come cattiva e spietata, solo perché era guidata dal buon senso, che lei si rifiutava di usare come opportunismo.
Chiara aveva una strana concezione dell’economia: amava essere larga per le cose futili, mentre economizzava su quelle necessarie. Dopo la morte del marito, che provvedeva puntualmente alle riparazioni della casa di montagna, secondo il pensiero di Chiara, era inutile spendere soldi per le manutenzioni, ma così facendo, la casa sarebbe andata incontro a deperimento e a una crescita esponenziale dei costi successivi. Inoltre Paola era seriamente preoccupata per il modo irresponsabile della madre nel gestire i propri averi. L’età della madre andava avanti e le sue necessità sarebbero facilmente aumentate, per cui riuscire a disporre di un fondo, a cui potere attingere di fronte ad una necessità urgente, sarebbe stato molto importante. Fu così che Paola pensò di accantonare un gruzzolo da salvaguardare e da poter usare per le evenienze imprevedibili.
Per quanto Chiara fosse al corrente e le fossero stati comunicati gli estratti della banca, lei non era contenta di questa iniziativa, sensata su tutti i punti di vista, ma sbagliata per lei, perché era un’idea della figlia sbagliata. Nel frattempo aveva seminato in giro la notizia che lei la derubasse e quindi che fosse una poco di buono.
Tutto quello che a Chiara arrivava da parte di Paola, era come scontato, banale e automatico, il più delle volte passibile di critiche, ma mai di riconoscenza, perché la figlia che si stava mobilitando, era quella che l’aveva abbandonata, sposandosi, per cui ormai era come se non avesse alcun merito.
Chiara trascorreva tante ore leggendo ma spesso si annoiava, aveva nostalgia della sua terra e le mancava la possibilità di esercitare la sua passione: la scultura.
Fu così che in occasione del Natale, Paola pensò di regalarle un blocco di argilla e delle spatole per lavorarla. Per la prima volta, lei sembrò entusiasta del regalo, infatti si mise subito al lavoro. Aveva già in mente una mostra e quando le opere raggiunsero un numero cospicuo, Paola si occupò di trovare chi cuocesse le opere.
Chiara era molto ambiziosa e con le sue opere sognava di poter avere un pubblico tutto per sé, ma quando capì che in quel luogo lei non aveva nessun contatto a cui mandare l’invito, si rassegnò accettando l’idea di esporre insieme alla figlia che aveva tante conoscenze.
Tutto quello che Paola faceva per sua madre, da quest’ultima veniva sempre oscurato, ignorato, o considerato inopportuno.
La sua mente ormai si rifiutava di considerare che adesso era Paola ad aiutarla e non era più sola e abbandonata con la figlia malata. Lei si ostinava a vivere nel passato e anche quando Paola le era vicina, preoccupandosi delle sue cure e delle sue necessità, era come se tutto diventasse un bene senza meriti, perché nel suo pensiero questa figlia in passato l’aveva tradita, abbandonandola, per seguire la propria famiglia che aveva formato e anche abitando vicino a lei, si prodigava e si rendeva utile, Chiara andava ripetendo che la figlia che si occupava veramente di lei, era Rita, che a causa della malattia, nella migliore delle condizioni stava a letto e se si alzava non spostava neanche una sedia. Ma per Chiara era questa la figlia preferita, quella che ormai non si staccava più da lei, come un francobollo dalla sua lettera, solo perché era malata e bisognosa di assistenza, ma per sua madre questa vicinanza non derivava da una tragedia, ma dall’affetto.
Durante il periodo di lockdown, Chiara per paura di contrarre il virus del covid 19, decise di sospendere il servizio delle due badanti, non faceva entrare nessuno in casa, dato che non solo lei, ma anche Rita, erano terrorizzate di ammalarsi. Di conseguenza, la casa tornò nell’abbandono più totale.
Nonostante tutta l’ingratitudine e le maldicenze che Paola aveva ricevuto da sua madre, continuava a occuparsene, soprattutto in quel periodo di emergenza, non essendoci nessuno che le facesse la spesa e comprasse i farmaci. Questa situazione andò avanti per alcuni mesi, fin quando Paola dovette convincere sua madre a far rientrare in servizio le due badanti e grazie a quest’idea, la sua casa era di nuovo pulita e curata come prima.
Quando la badante, Aalina, tornò a lavorare da Chiara, indossando la mascherina, Chiara pensava che la usasse per proteggersi da lei e si arrabbiava. Successivamente tornò a lavorare anche l’altra badante, che si occupava della spesa. Ovviamente ogni iniziativa la prendeva sempre Paola, ma sua madre non dava valore a nulla. Dava tutto per scontato e tendeva sempre a minimizzare e addirittura sospettava che tutto fosse architettato per interessi o secondi fini.
Paragrafo 15
SIMBIOSI
Chiara ha la continua paura che le venga usurpata o non le venga riconosciuta la propria sovranità che lei tiene a esibire e dimostrare attraverso affermazioni che testimoniano la sua efficienza mentale.
Lei si ostina ad affermare la sua idoneità nel comprendere ed affrontare qualsiasi tipo di problema, per cui nessuno potrebbe azzardarsi a spiegarle qualcosa, perché lei si sente in grado di capire tutto da sola.
Rita, con cui convive da tantissimi anni, costituisce per lei un legame simbiotico, da farla diventare una sua appendice, una parte di sé. Ne incarna e ne riproduce desideri, paure e fobie. Dalla figlia ha imparato la paura e la sfiducia nei confronti dei medici. Considera a tal punto Rita una parte di sé, che persino quando le prepara da mangiare, non fa caso neanche che la figlia ha tutti i denti e le dà quello che prepara per sé, ormai ridotta senza denti.
Quando Rita sta molto male, Chiara rimane inerme ed è come se perdesse la sua energia e poi nelle fasi in cui la figlia si riprende, anche lei guadagna benessere.
Una volta, nel giorno precedente in cui avrebbero dovuto somministrarle la cura mensile, Rita era terrorizzata e la madre per accontentarla scappò insieme a lei in un’altra sede. In pratica Chiara, per egoismo, fin dall’esordio della malattia della figlia, non si è mai preoccupata delle reali esigenze di cura per un disturbo mentale così severo, ma ha preferito avere la figlia accanto, mettendo all’ultimo posto la necessità delle terapie di cui avrebbe avuto bisogno e andando avanti nel tempo, assecondando le fobie della figlia e ignorando le raccomandazioni dei medici, fatalisticamente ha lasciato che la situazione clinica della figlia degenerasse, fino a farla diventare sempre meno sensibile nella risposta alle cure. Per chiara la necessità di ripetere le cure significava inefficacia delle cure e così nutriva diffidenza verso questa ripetizione della terapia, invece necessaria. Ogni volta che arrivava la scadenza, la sua frase ricorrente era: “Tanto i medici non sono bravi a guarirla”.
Tutti i parenti avevano sempre saputo questa triste realtà, ma non si erano mai permessi di intromettersi, a eccezione dei casi in cui Rita arrivava ad arrecare loro disturbo.
Adesso Rita è diventata quasi come un’ebete e riesce a godere di quel po’ di salute quando capita, di dieci giorni al mese di relativo benessere, malgrado adesso le cure vengano somministrate regolarmente e a domicilio.
Paragrafo 16
MAESTRA DELLA CALUNNIA
Chiara non è capace di gestirsi, ma è capace di calunniare sua figlia Paola e tutte le persone che si lasciano suggestionare da lei con la sua bella parlantina e che le danno ragione, in effetti non saranno mai disponibili a darle una mano.
In verità, chi si era presa cura di Chiara e della figlia malata, soprattutto durante i quattro anni della loro permanenza a Roma? Soltanto Paola, considerando che la badante non era munita di patente di guida e Rita stava tutto il giorno buttata a letto e se si alzava, era solo per mangiare e stare davanti alla TV. Chiara camminava a malapena e non era più in grado di fare due passi a piedi, quindi era automatico che entrambe gravassero su di lei, sul marito e sulle due nipoti. Chiara non era mai stata premurosa con le uniche nipoti che aveva, mai una parola affettuosa, mai un regalo. Non sembrava nemmeno la nonna, eppure era sempre brava a lamentarsi anche di loro, ragazze dolcissime e disponibili come i genitori, ma che secondo la nonna bizzarra, si sentiva trascurata anche da loro, perché ciò che facevano per lei non era mai abbastanza.
Ma Chiara si poneva delle domande? Tutte le volte che le nipoti andavano a trovarla, lei si lamentava sempre inveendo contro sua figlia Paola. Era davvero senza scrupoli.
Sta di fatto che Chiara, non si capisce cosa le frullasse per la testa, per telefono raccontava a tutti i parenti della Calabria e alle sue amiche che non vedeva da anni, che era sempre efficiente e sbrigava tutto lei, non solo raccontava queste bugie, ma continuava a screditare la figlia. Da un canto diceva di sentirsi da lei assillata, lamentandosi di lei come se volesse comandare e decidere per lei e per Rita. Da un altro canto, diceva di sentirsi trascurata perché non l’andava mai a trovare.
Questa sua pessima convinzione non rimaneva soltanto un punto di vista personale, ma si impegnava con ogni mezzo a farlo diventare il punto di vista di tutti i suoi contatti telefonici di parenti e amici.
Questo astio da parte di Chiara nei confronti della figlia, si era accentuato per via delle critiche motivate che da Paola erano state mosse, ma che non accettava assolutamente e per reazione lei si vendicava sfogando tutta la sua cattiveria, screditandola. Chiara avrebbe sopportato qualsiasi cosa, ma ad eccezione delle critiche, perché il suo orgoglio e il suo narcisismo erano smodati.
La verità era invece che Paola cercava di fare il possibile per venire incontro alla madre anziana e alla sorella, non essendo più autonome, ma nello stesso tempo, sentendosi sempre aggredita e umiliata, cercava di non starvi troppo a contatto, anche perché tutte le volte che andava a trovarle, la sorella, in preda ai deliri, dovuti alla grave malattia, le urlava contro e a volte la cacciava da casa sua. Eppure, tutto questo Chiara lo nascondeva.
Come un malato per assurdo attribuisce tutte le sue sofferenze al medico curante, Chiara aveva identificato nella figlia che si preoccupava per lei, prendendosene cura, il capro espiatorio di ogni suo problema, dal primo all’ultimo.
Per questo motivo Paola iniziò a distaccarsi emotivamente, per non doverne pagare le conseguenze.
Paragrafo 17
MISSIVE SATANICHE
Chiara detestava e rifiutava ogni sorta di critica, ogni riflessione o considerazione che mettesse in discussione il suo vissuto e le sue scelte. Lei non avrebbe mai accettato che qualcuno la ponesse di fronte ad uno specchio in cui guardarsi, perché non avrebbe mia dubitato della sua perfezione, dell’esattezza di tutte le sue scelte, persino nei casi in cui avesse commesso degli errori evidenti, col suo enorme orgoglio, avrebbe sostenuto di averli compiuti per scelta e non per errore.
La figlia Paola notava che col tempo, era sempre più difficile avere un dialogo con la madre, anche una semplice discussione attraverso cui puntualizzare taluni atteggiamenti o comportamenti scorretti, magari al semplice scopo che non si ripetessero. Ma siccome Chiara, con la sua enorme convinzione di sé, non avrebbe mai permesso a nessuno di essere messa in discussione, non appena si iniziava un discorso, lei si alterava e alzava la voce, impedendo all’interlocutore di poter parlare.
Fu così un giorno che Paola trovò comodo il sistema di comunicare il suo pensiero a sua madre attraverso la scrittura. Si trattava di argomenti strettamente personali e tali sarebbero dovuti rimanere, perché riguardavano situazioni assai private, in merito a questioni familiari. Nelle poche volte in cui Chiara si degnò di rispondere, non affrontò mai il problema posto in discussione, ma sfogò la sua ira traviandone il senso e aggredendo energicamente, con insinuazioni offensive.
Questo scambio di messaggi, che avrebbero dovuto avere un raggio di diffusione strettamente privato, fu trasformato da Chiara in lettere sataniche ricevute da parte della figlia. Propagò a parenti e amici la notizia dell’esistenza di questo corpo del reato, attraverso cui veniva descritta ed esasperata la cattiveria di Paola attraverso le sue cattivissime lettere. Ma del contenuto di tali messaggi, non fu mai fatta menzione a nessuno, perché il loro contenuto avrebbe al massimo messo in luce il ritratto fedele di Chiara, quello attraverso cui d’altronde già molti la conoscevano, ma ovviamente per motivi diplomatici e di apparenza, non si permettevano mai di farlo notare all’interessata. Chiara comunque era riuscita nel suo intento perverso, recitando per l’ennesima volta il ruolo della vittima e aizzando i suoi seguaci per compiere un vero e proprio linciaggio morale nei confronti di questa figlia sbagliata.
Paragrafo 18
UNDICESIMO COMANDAMENTO
Nella cultura meridionale l’appropriazione indebita della privacy altrui, viene a volte fraintesa per una forma di affettuosità, ma esistono anche le eccezioni, s’intende.
L’undicesimo comandamento sarebbe: “Farsi i fatti propri”.
Purtroppo sono poche le persone che mettono in atto questa regola, che sarebbe indispensabile per vivere meglio e per creare la pace. Infatti chi si intriga nelle faccende altrui, prima o poi è inevitabile che crei divisioni e conflitti.
I parenti che hanno capito il grosso problema di Paola e che hanno collaborato seguendo la logica e non l’emotività, a differenza degli altri parenti, non si erano mai permessi di interferire nei fatti della famiglia di Chiara e quando venivano informati delle incomprensioni tra madre e figlia, riuscivano a mantenere una posizione di distacco equidistante.
Quelli che si sono intromessi a sproposito, hanno solo rafforzato il conflitto, dando l’illusione a Chiara di essere nella parte del giusto e di avere in loro dei sostenitori, mentre la loro collaborazione si sarebbe limitata a qualche telefonata, ma le tensioni che si sarebbero inasprite ulteriormente, avrebbero ancora di più compromesso la relazione tra madre e figlia.
Paragrafo 19
NON AVRAI ALTRO AMMINISTRATORE AL DI FUORI DI ME
Esiste un parallelo tra il personaggio di Chiara e la storia di Cenerentola. Chiara si può paragonare alla matrigna che si relaziona con le figlie in modo differente. In pratica la matrigna odia Cenerentola, perché in una certa misura è il suo modello ideale di riferimento, che lei non può raggiungere e di cui non sopporta la competizione. Da qui nasce il meccanismo dell’invidia che nutre verso di lei, che cerca continuamente di avvilire, degradare e umiliare, ricorrendo anche alla diffamazione. La matrigna pretende la sua disponibilità incondizionata, purché essa non prenda alcuna iniziativa, altrimenti ci metterebbe un attimo a sentire usurpato il suo ruolo.
Chiara di fronte ad una proposta di aiuto degli altri, diffida sempre, insinuando che la disponibilità altrui tenda solo a sottolineare la sua incapacità ed essendo molto orgogliosa, considera ogni intervento in suo aiuto, umiliante e perciò fastidioso, così facendo, però non fa altro che sputare continuamente sul piatto dove mangia.
Chiara vuole essere sempre l’autrice della richiesta di aiuto, ma nessuno si deve permettere di anticiparla.
Per quanto riguardava la nomina dell’amministratore di sostegno per la figlia malata, pensava che nessun altro sarebbe stato in gamba così come lo era sempre stata lei: accontentando sempre Rita e scappando dai medici tutte le volte che lei non avesse avuto voglia di curarsi; chiudendo fuori dalla porta di casa i medici, qualora si fossero fatti insistenti e Rita non si fosse sentita di riceverli; provando sempre a correggerli, per poi considerarli incapaci; permettere alla figlia di non dichiarare la sua malattia e i farmaci assunti, per poter guidare l’auto alla stregua di una persona perfettamente sana.
In pratica a Chiara, anche se in un modo strano e discutibile, stava a cuore la felicità della figlia, per cui lei pensava di raggiungere tale obiettivo, soddisfacendo ogni sua esigenza momentanea, senza badare a nulla, senza preoccuparsi delle conseguenze, senza cioè capire se quello che le stava propinando fosse un bene o un male.
Certe volte le diceva Paola: “Che motivo avrei io e quali vantaggi ricaverei nell’ assumermi questo incarico, se non ci guadagnerei nulla, ma soltanto preoccupazioni?”
Chiara, non riuscendo a dare una giustificazione plausibile, ma che fosse allo stesso tempo negativa, rispondeva:
“In questo modo ti potrai vantare con tutti, dato che vuoi primeggiare ed essere la prima donna...”
Ancora una volta, quando qualcuno deve accusare un’altra persona, ma non trova motivi per colpevolizzarla, le attribuisce i propri difetti.
Chiara ancora non era al corrente della rinuncia di Paola. Subito provò un grande sospiro di sollievo, poiché voleva fortemente che potesse essere nominata lei e nessun’altra persona al di fuori di lei.
Paola infatti decise di abbandonare l’incarico ancora prima dell’Udienza, la sua mossa inaspettata nei confronti della madre e della badante, in seguito ebbe lo stesso effetto di quando al tiro della fune, l’avversario molla la presa, facendolo rovinare improvvisamente a terra, perché tutta quella forza, quell’energia spesa, per demolire quest’ipotetico avversario, non sarebbero serviti più a nulla.
Da quel momento Paola si sentì finalmente come liberata da un peso e si rese conto che l’opera di aiuto che si accingeva a intraprendere, si sarebbe presto trasformata per lei in un inferno, con la complicazione che avrebbe creato la madre, la sorella e tutto il coro di parenti che le sostenevano, soprattutto in virtù delle false voci diffuse da Chiara, tutti credevano addirittura che Paola da questo incarico ne avrebbe tratto profitto.
Quando Chiara seppe che Paola avrebbe rinunciato all’incarico, rimase sorpresa, perché non lo avrebbe mai immaginato. Inizialmente credette che Paola stesse fingendo. Anche questa volta Chiara continuava a considerarla bugiarda e malfidente, malfidente come d’altronde lo era stato lei nel diffondere notizie false e accuse ingiuste sulla sua persona. Persino i parenti consideravano ormai Paola come una persona bugiarda, avida e inaffidabile, malgrado la conoscessero da una vita e l’avessero sempre apprezzata e stimata, per lo meno nell’apparenza… Stranamente, da un momento all’altro, nella loro convinzione, era come se questa loro nipote avesse stravolto la propria natura.
Ma loro inspiegabilmente non si ponevano nessuna domanda, non erano sfiorati dal più piccolo dubbio e non avevano la pur minima curiosità di capire più a fondo la realtà dei fatti. Davano soltanto retta a questa anziana mistificatrice, bravissima a recitare la parte della vittima. Paola, purtroppo, da un momento all’altro era diventata nel loro immaginario una figura snaturata, quasi diabolica e per loro, tutto questo appariva normalissimo.
Paragrafo 20
TUTELARE LA FIGLIA O ACCONTENTARE LA MADRE?
Non appena fu diffusa la comunicazione ai parenti del ricorso avviato per la tutela di Rita, buona parte di quelli interpellati si astennero per paura di esserne coinvolti dalla vicenda. Solo qualcuno si espresse favorevolmente alla candidatura di Paola, ma alla seconda comunicazione da parte del legale, quando ad essere interpellati furono le tre sorelle e le nipoti di Chiara, si verificò un capovolgimento della situazione, perché quasi all’ unanimità, in coro elogiarono doti e capacità di Chiara, indicandola come la persona più adatta alla mansione preposta.
Chiara aveva chiamato a raccolta i suoi parenti intimi, esprimendo il suo desiderio di continuare ad essere lei la diretta responsabile della figlia. Conoscendo la storia, si sapeva invece che già dai tempi più lontani, la madre non aveva mai avuto abbastanza determinazione nel far rispettare alla figlia l’osservanza delle cure prescritte. Infatti questa discontinuità, approssimazione e quindi insufficienza di cure, aveva presto trasformato questa figlia in un bagaglio che lei portava sempre con sé, che non abbandonava mai, ma che in alcun modo non sapeva gestire.
Gli ultimi risvolti prima dell’Udienza, che era stata istruita appositamente a beneficio di Rita, sembrava avere preso un’altra direzione e stravolto la sua finalità, in quanto un coro di pareri sceglieva ancora Chiara, ma non perché fosse all’altezza, soltanto per accontentare quell’ipotetico diritto che si riconosce a ogni madre, quello di tenersi una figlia amata vicino a tutti i costi, di esserne lei garante e tutrice pur se carente di capacità, anche per via dell’età avanzata e quindi tutta questa architettura legale sembrava che non fosse stata istituita a tutela della figlia malata, ma per accontentare sua madre.
Nella loro pochezza di comprendonio e di sospettosità, Chiara, Rita e i parenti a seguito, immaginavano che amministrare i soldi di una persona tutelata, significasse impossessarsene, mentre si sa che l’amministratore non ha padronanza di alcunché, ma è solo delegato da un giudice tutelare, perché possa gestire con oculatezza le risorse dell’assistito, dovendo rendere conto di ogni spesa e di ogni movimento sempre al Giudice e sempre nell’interesse della persona amministrata. Inoltre è preposto alla sorveglianza della somministrazione puntuale delle cure, comunicando al CPS responsabile l’esito delle somministrazioni. Il tutore è incaricato di sorvegliare ogni casuale malessere della persona assistita e avvisare tempestivamente il CPS o il 118.
In altri termini l’amministratore, oltre ai compiti amministrativi, per i quali non può agire in autonomia, deve anche occuparsi della sorveglianza clinica dell’assistito.
In questo contesto tornava a riproporsi quella verità sempre valida contenuta nel romanzo del Gattopardo: “… Le cose cambiano ma per fare in modo che restino come prima…”
Paragrafo 21
UNA GUERRA INUTILE
Chiara vive di suggestioni, emozioni e pregiudizi, cioè di apparenze. Se un malintenzionato si presentasse a lei in un modo garbato, elegante, lei gli accorderebbe la massima fiducia e anche dopo aver subito una fregatura, non lamenterebbe alcun danno.
Al contrario, se una persona con buone intenzioni non rientrasse nei suoi canoni estetici, anche se le desse il cuore e l’anima, per lei sarebbe una poco di buono, perché a suo avviso è l’apparenza quello che conta, dato che lei puntualmente sacrifica volentieri l’etica per l’estetica.
Chiara giustifica ogni sua scelta in cui manca di carattere, tramite l’espressione evangelica: “Bisogna perdonare. Bisogna porgere l’altra guancia”.
In questo modo trasforma spesso quella che è una sua debolezza del carattere in un merito. Quelle volte che invece ad essere ferito è il proprio orgoglio, allora lei non perdona per niente ed è anche capace di farla pagare cara!
Chiara aveva i parenti diretti che la sostenevano, avendo lei usato l’arte del vittimismo, ma anche nascondendo tutte le sue grosse lacune. Da quel momento, considerando Chiara abile, questi parenti compiacenti divennero suoi complici e corresponsabili. Rita sarebbe stata ancora affidata alla stessa persona inadatta, incapace di raziocinio e di polso e che agisce in base all’emozione del momento.
I parenti, oltre alle cattiverie e alla diffamazione che diffondeva Chiara e a cui loro davano credito, avevano in antipatia Paola per via del suo modo diretto di dire le cose in faccia, senza peli sulla lingua e senza mezzi termini, ma loro che badavano più all’apparenza e alla facciata, la consideravano una persona “scomoda”, per cui ogni occasione sarebbe stata buona per scagliare fulmini e saette contro di lei.
Chiara, nonostante le maldicenze e la denigrazione che aveva diffuso sul conto di sua figlia, continuava ancora a lamentarsi con tutti, dicendo di sentirsi trascurata da Paola, allo stesso modo di come farebbe l’assassino, dopo aver compiuto il misfatto, per apparire estraneo ai fatti, nel mimare stupore qualora la sua vittima non si fa più viva…
La cosa pazzesca era che Chiara, per farsi spazio rispetto alla candidatura di sua figlia, aveva organizzato contro di lei una vera e propria guerra diffamatoria, per distruggerne l’immagine, a vantaggio della propria reputazione, ma si trattava di una vittoria provvisoria, che avrebbe preannunciato una guerra persa.
Se nel contesto suddetto, i parenti mal informati da Chiara fossero stati intellettualmente onesti, avrebbero dovuto formulare le proprie opinioni attingendo da più fonti, per rendersi conto della realtà dei fatti, invece si sono accodati ad una guerra in corso, per fare a loro volta una loro guerra personale contro Paola.
I parenti che hanno risposto all’avvocato, confermando l’idoneità di Chiara, in realtà sono andati contro l’interesse dell’assistita, perché hanno accontentato il capriccio della madre, ma non hanno dato importanza alle esigenze della figlia malata da assistere, che sarebbe dovuto essere il vero obiettivo del problema e invece sembrava essere diventato l’oggetto del contendere.
Chiara non si rendeva neanche conto che i danni prodotti da quella guerra, non sarebbero stati più riparabili, neanche in futuro.
Questi parenti col paraocchi, avevano rilasciato delle deposizioni su richiesta dell’interessata, sostenendo con convinzione che Chiara fosse la persona più adatta.
Le sorelle e le nipoti di Chiara, non si sono limitate a dichiararsi soltanto favorevoli alla sua nomina, ma hanno esagerato e inveito contro Paola, denigrandone l’immagine e la condotta, forse pensando solo di aiutare Chiara, ma praticamente hanno accentuato una frattura già in atto nel difficile rapporto tra madre e figlia e siccome in futuro la persona più debole e bisognosa d’aiuto sarebbe stata Chiara, stupidamente, il danno maggiore lo hanno provocato a lei.
“Non dire: “Io non ho peccati: non ho ucciso, non ho rubato”, perché si uccide anche con la bocca e si ruba anche con gli occhi”.
Questi parenti, a furia di convincere Chiara della sua abilità, autonomia e autosufficienza, l’avevano pompata così tanto da convincerla che fosse veramente in grado di cavarsela facendo a meno di Paola, senza quell’unico punto di riferimento, quel centro di gravità attorno al quale avrebbe potuto gravitare per avere una sicurezza.
Adesso Chiara, che con tutte le forze reclamava il suo diritto di autonomia e autodeterminazione, assaporava la libertà nel non sentirsi gestita da nessuno, ma proprio in quel momento, si accorgeva di essere rimasta completamente sola.
Il desiderio di una persona che ambisce a guadagnare la propria autonomia da giovane, ha certamente un senso, ma se chi pretende di fare la stessa cosa è un anziano, o è matto o è incosciente.
A quel punto Chiara meritava ciò che aveva desiderato, cioè l’isolamento e la solitudine, per arrivare a rendersi conto dell’immane danno compiuto nell’avere rovinato la sua relazione con la figlia.
Purtroppo in questa assurda competizione, a conti fatti, chi ci stava rimettendo era soltanto la figlia malata.
Paragrafo 22
L’ “AMMUTINAMENTO” DELLA BADANTE
Aalina, la badante di origine moldava, era una bella donna, bionda, di carnagione chiara, aveva il fidanzato al suo paese, che di tanto in tanto andava a trovare. Era stata Paola a ingaggiarla, dal momento che era una sua conoscente.
Fin dal primo momento che era stata scelta da Paola per assistere la madre e la sorella, si era sempre mostrata fidata, capace, paziente e sensibile. Si era guadagnata subito la stima sia da parte delle due assistite che da Paola, con la quale comunicava spesso le tante difficoltà e veniva aiutata nell’assistere Chiara e Rita.
Aalina di tanto in tanto aveva dei veri e propri sfoghi e confessava a Paola la sua esasperazione per via della stranezza di Chiara, che le rendeva il compito difficile. Veniva a lamentarsi tutte le volte in cui sembrava di essere al limite della sopportazione, ma poi tornava a rendersi sempre disponibile e accettava di buon grado tutte le difficoltà che doveva superare ogni giorno.
Appena ricevuta la comunicazione dell’udienza per l’assegnazione dell’amministratore di sostegno per Rita, Chiara, istruita dalle sue sorelle, aveva architettato un piano ed era quello di ottenere per sé e con tutti i mezzi l’aggiudicazione dell’incarico da parte del Giudice tutelare.
Chiara era veramente disposta a tutto, pur di escludere Paola dal gioco. La guerra che era disposta a combattere, sarebbe stata senza esclusione di colpi, quelli bassi compresi. Se Paola si fosse solo permessa di accettare l’incarico dal Giudice, lei avrebbe immediatamente lasciato esplodere il colpo che teneva pronto in canna. Le sue sorelle l’avevano istruita bene su come doversi muovere, il colpo segreto sarebbe stato una querela contro la figlia, con la motivazione di “appropriazione indebita”.
Chiara sapeva benissimo che quei soldi accantonati da Paola erano sempre lì, su un conto speciale, sempre visibili, lei aveva visto gli estratti conto, ma poco dopo fingeva di dimenticarsene. Lei si rendeva conto che questo poteva rappresentare un punto fragile per Paola, la buccia di banana su cui farla scivolare e pure se in seguito questa avesse potuto chiarire tutto e dimostrare la propria rettitudine, in quella seduta, avrebbe perso i requisiti richiesti, per sospettata non idoneità morale.
Chiara credeva, secondo la sua immaginazione, che l’Udienza si sarebbe svolta nella stessa modalità di un processo, in cui lei si sarebbe dovuta confrontare con la figlia in una sorta di valutazione da parte del Giudice, che a suo avviso avrebbe scelto in merito ai requisiti morali di una delle due persone a confronto. Chiara si riservava tante accuse contro la figlia, calunnie e invettive da scagliare per demolirne l’ immagine e la credibilità. Lei per altro non si accontentava soltanto di questo spiegamento di forze, a suo avviso sarebbe servita anche la sua supertestimone, la ex badante, ormai entrata nelle sue grazie, perché Aalina, avendo capito che Chiara non amava mai essere contraddetta, neanche di fronte alle situazioni contraddittorie più evidenti e quindi l’assecondava incondizionatamente, per questo motivo lei sarebbe stata nominata sua fedelissima testimone.
D’altronde lei era pagata per questo servizio “acritico”, ma per l’anziana donna, così come capita a tante persone della sua età, questa cosa corrispondeva al massimo rispetto, per cui Aalina veniva considerata allo stesso livello, anzi più affidabile di come avrebbe ritenuto una persona familiare. In occasione dell’Udienza si sarebbe prestata per una deposizione sotto giuramento contro Paola. Chiara, per dimostrare la sua autonomia, aveva anche convertito la sua badante in collaboratrice domestica.
Con la sua campagna diffamatoria, Chiara si era impegnata già da tempo a convincere le sue sorelle, una nipote altolocata e un’altra nipote a lei affezionatissima. Sarebbero state loro, i suoi parenti apparentemente fedelissimi, che avrebbero risposto alla raccomandata del legale, decantando le sue abilità e la sua efficienza.
Anche Aalina, dal canto suo, fu molto utile per via dei suoi preziosi consigli. Il distacco da Paola avrebbe avuto infatti anche un’ altra funzione, cioè quella di addebitare alla stessa figlia la responsabilità di una fantomatica persecuzione nei suoi confronti per estorcerle dichiarazioni testimoniali a favore della propria iniziativa tutelare.
Ovviamente era una macchinazione messa in atto quasi per intero dall’anziana donna e dalla sua accudente, uno spiegamento di forze e di tattiche per una guerra che non si sarebbe neanche consumata, per la quale quella seduta non sarebbe stata la sede adatta, visto che un’Udienza non è la sede di un processo e la deposizione sotto giuramento di Aalina, sarebbe stata soltanto l’ultima carta da giocare, nel caso che Chiara avesse sporto denuncia contro la figlia.
Per sdebitarsi di questo favore speciale da parte di Aalina, Chiara le regalò 1.000,00 euro.
Tra i dieci comandamenti ce n’è uno che dice: “Non dire falsa testimonianza” (specialmente se non ti danno qualcosa in cambio).
Paragrafo 23
PRESUNZIONE O INTELLIGENZA?
Chiara, avendo una discreta cultura, confondeva il suo sapere con l’intelligenza, ma l’intelligenza è una capacità dinamica che permette di comprendere e risolvere i problemi che si presentano nel modo più idoneo. Lei oltre a non saper affrontare i problemi e non saperli risolvere, a causa della sua presunzione, spesso ne creava altri, distruggendo l’opera di chi si stava prodigando per aiutarla.
La badante, che si era fatta bene i calcoli: approfittando del momento di crisi tra la madre e la figlia, capì che quello sarebbe stato un momento propizio per lei e farsi riconoscere una mansione in più, dovendo svolgere da quel momento in poi anche gli impegni che prima toccavano a Paola. A lungo andare questo aggravio di mansioni avrebbe potuto farla sentire autorizzata a chiedere un aumento.
Chiara ha delle manie, vede sé stessa sempre giovane e considera la vecchiaia come qualcosa di oltraggioso che si collega alla stupidità e al rimbambimento. Qualsiasi gesto di premura che le viene manifestato, lei lo intende come un‘umiliazione e si inalbera. Chiara rivela inoltre una mania di onniscienza. Persino per le nozioni per le quali non è ferrata o competente, non si azzarda mai ad accettare delucidazioni, perché considera anche questo una forma di sottomissione o di umiliazione.
Tutti gli scontri che si erano verificati nel tempo tra Paola e sua madre, erano scaturiti per via di questo fraintendimento, attraverso cui Chiara trasformava in umiliazione ogni forma di aiuto, a cui dava il significato di una messa in dubbio delle sue capacità mentali sulle quali lei fondava il proprio orgoglio e la propria convinzione di sé.
In questa guerra familiare causata dal carattere difficile di Chiara, si erano creati gli schieramenti e c’era un grande gruppo che patteggiava per lei, ma la loro partecipazione alla guerra non sarebbe stata certo per darle un aiuto, ma per dare sfogo ad un loro accanimento, semplicemente per poter inveire contro Paola, che per difendersi aveva deciso di prendere le distanze da questi (apparenti) parenti, per evitare scontri diretti.
Paragrafo 24
RIFLESSIONI
Non a caso si dice: “Nessuno è profeta in terra propria” Infatti di solito è difficile che si possa emergere nel proprio piccolo ambiente, che sia la famiglia o il paese. La persona che ha delle qualità, molte volte o viene oscurata o sminuita, perché non emerga.
Paola non avrebbe potuto aspettarsi nulla di buono da sua madre, perché lei anche da giovane non era mai stata una persona molto responsabile e con l’età evidentemente aveva perso quasi del tutto il senno.
Paola, che era unica persona responsabile di quella famiglia, era vista dalla sorella (con diagnosi) e dalla madre, come una persona cattiva e avida. “Agli occhi del matto la saggezza è cattiveria”.
Se Paola fosse stata menefreghista e con uno scarso senso di responsabilità, avrebbe lasciato madre e sorella in balia di sé stesse, allo sbaraglio, in Meridione e invece fece di tutto per farle trasferire a Roma, vicino a lei e per occuparsi di loro, ma malgrado questo sforzo, l’impegno intrapreso passò quasi inosservato. Se non si fosse voluta occupare di loro, Paola avrebbe affrontato sicuramente meno problemi, sprecato meno energia e soprattutto avrebbe potuto dedicare più tempo per sé e per la propria famiglia, con meno preoccupazioni, ma per Chiara, questa dedizione ricevuta dalla figlia era solo inopportuna, addirittura inutile. D’altra parte, si sa che le critiche sarebbero arrivate comunque, qualora non avesse compiuto questo sforzo, i parenti l’avrebbero comunque giudicata male lo stesso.
L’importante era che Paola avesse agito secondo la propria coscienza, avendo ritenuto opportuna quella scelta.
La cosa più grave che in seguito sconcertò Paola, non era aver ricevuto odio in cambio delle sue premure, chiaramente soffriva tanto per questo, ma era sconcertata soprattutto per come i parenti si fossero lasciati plagiare dal quel suo vittimismo e dalle maldicenze, di cui l’interessata tra l’altro è anche venuta a conoscenza. L’idea propagata era che Paola non si fosse mai presa cura di madre e sorella e addirittura che dietro questo suo apparente interessamento, si nascondessero secondi fini.
Anche questo faceva parte del dispiegamento di forze che Chiara aveva messo in atto per demolire l’immagine della figlia e per fare emergere quella propria in sede di Udienza.
Paragrafo 25
L’UDIENZA
Arrivato il giorno dell’udienza, Paola non si presentò all’incontro col Giudice, proprio per voler dimostrare a sua madre che da quel momento avrebbe voluto mantenere le distanze da questa faccenda, che l’aveva soltanto fatta soffrire. In effetti da quando decise di rinunciare a questa responsabilità, si sentì sollevata.
Fu presente solo il suo avvocato per comunicare al Giudice la sua rinuncia. Si presentarono oltre a questo legale, Chiara, Rita, sofferente e tremante e l’avvocato che avrebbe dovuto sostenere l’ipotetica efficienza dell’anziana donna affinché venisse nominata amministratore di sostegno della figlia.
Fecero di tutto per accontentare Chiara, affinché fosse nominata. In teoria non sarebbe stato facile, data l’avanzata età della donna, ma Chiara si mostrò determinata nel voler assumere l’incarico.
Ovviamente l’avvocato dell’anziana donna si sarebbe proposto di svolgere lui stesso il ruolo di consulente. Se dopo la valutazione accurata dei requisiti, il Giudice avesse acconsentito, Chiara sarebbe risultata amministratore, anche se al posto suo, per i compiti amministrativi, si sarebbe occupato l’avvocato. Il Giudice comunque puntualizzò che eventualmente si sarebbe trattato di un periodo in prova, per sei mesi. Il Giudice comunicò che successivamente avrebbe valutato il caso con una commissione esterna, vista l’età avanzata di Chiara. Un fatto era certo: Rita aveva bisogno assolutamente di essere affiancata ad un amministratore di sostegno. L’incarico quindi fu momentaneamente sospeso.
Il giudice non chiese all’avvocato di leggere le risposte dei parenti che decantavano l’idoneità di Chiara. Non furono mostrati neanche i referti medici attestanti il decadimento psicofisico di Chiara.
Il parere dei parenti non era servito nei fatti per sostenere Chiara, ma era bastato per smascherare la loro perfidia, miopia, ottusità, perché in seguito avrebbe aperto ancora nuove distanze tra madre e figlia.
Il Giudice sicuramente non avrebbe dato a Chiara neanche una possibilità se l’avvocato di Paola avesse mostrato i suoi esiti clinici, che attestavano il deficit cognitivo dell’anziana donna, conclamato da diversi specialisti.
Paola si sente umiliata nella sua dignità. La sua proposta di candidarsi come amministratore di sostegno della sorella, non sarebbe stato per lei un vantaggio di alcun genere, ma solo un modo di tutelare la propria famiglia di origine, evitando la nomina di un amministratore esterno, visti tanti casi di amministratori senza scrupoli, che in modo disonesto dilapidano le risorse dell’assistito. Ma questa offerta di aiuto di Paola era stata interpretata invece come interessata, per cui farsi da parte sarebbe stata per lei la scelta più elegante.
A quel punto non avrebbe avuto più senso tenere custodita e tutelata quella cifra appartenente alla madre, visto che con questa iniziativa previgente si era già guadagnata il titolo di ladra, quindi decide di accreditare l’intera somma sul conto personale di Chiara, per non dover subire ancora accuse, critiche e minacce di denunce.
Ma evidentemente neanche questa regolarizzazione poté bastare a placare l’astio di Chiara e la sua voglia di trovare sempre motivi di lamentela e voglia di attaccare briga con la figlia. Malgrado sapesse che la cifra non poteva essere che quella restituita, mentre già una parte era servita alle spese di ristrutturazione della casa in montagna. Lei continuava a insistere, accusando Paola di trattenere ancora i suoi soldi, ma era chiaro che era solo un modo per provocarla e avvilirla come era ormai abituata a fare.
Paragrafo 26
DOPO L’UDIENZA
La badante e Chiara litigano perché non si era resa necessaria la deposizione. Lei aveva già ricevuto il suo compenso, per cui si oppone alla restituzione della somma ricevuta e così ebbero un battibecco, perché non sarebbero stati quelli i patti.
Aalina, con decisione disse: “Adesso i soldi sono miei, perché tutte le bugie che ho dovuto raccontare in giro, dicendo che non sono la sua badante, ma la collaboratrice, per far risultare che lei è ancora efficiente! Ho dovuto pure rompere i rapporti con sua figlia, facendo risultare che Paola mi perseguitasse perché mi avrebbe voluto plagiare, mentre non era vero, ma era solo una tattica! Io tutte queste cose le considero come lavoro e quindi adesso non posso restituire i soldi perché me li sono guadagnati! Ero anche pronta a rilasciare una testimonianza su richiesta e se ciò non è avvenuto, non è stata per colpa mia!”
La badante, un tempo, aveva sempre raccontato tutto a Paola, persino lo stress che doveva subire nel doversi relazionare con Chiara, a causa delle sue stranezze. Lei stessa sosteneva che la convivenza tra Chiara e Rita era nociva per entrambe, dato che la madre accontentava Rita in tutto, anche nelle scelte più sbagliate. Anche Aalina aveva notato che Chiara non era all’altezza del ruolo da svolgere.
Rita, malgrado la sua diagnosi dalla gravità rilevante, era decisa e anche incentivata dalla madre, a non avere il riconoscimento di invalidità che le avrebbe dato diritto ad una pensione. Temeva che ne sarebbe conseguito il ritiro della patente.
In tutti questi anni l’ammontare della pensione che avrebbe percepito, si sarebbe aggirata intorno ai 200.000,00 euro e oltre. Con questi soldi avrebbe magri potuto acquistare un appartamento molto comodo, a differenza di quello piccolo del quale lei e la madre si lamentavano sempre. Inoltre l’accertamento di invalidità non avrebbe rappresentato con certezza la revoca della patente di guida, ma al massimo delle revisioni più frequenti.
Tra l’altro Rita, col tacito assenso della madre, aveva guidato l’auto nell’illegalità, avendo tenuto nascosta l’assunzione degli psicofarmaci, dichiarandosi quindi perfettamente sana.
Paragrafo 27
LA RESA DEI CONTI
Le sorelle di Chiara, forse senza saperlo, avrebbero accontentato un desiderio nascosto e implicito di Chiara, quello in base al quale il destino dei figli debba essere subordinato al destino dei genitori e questo purtroppo ne era un esempio negativo. Chiara in realtà, nonostante non riconoscesse i suoi errori, era sempre portata ad autoelogiarsi anche quando il modo di occuparsi della figlia era sbagliato.
I parenti, molto probabilmente, immaginavano che l’incarico di amministratore di sostegno fosse qualcosa di simile all’amministratore di condominio, proprio perché la loro ignoranza, stupidità e malignità erano molto più grandi della loro conoscenza. Non capivano invece che l’amministratore di sostegno non lavora in proprio e non gestisce i soldi dell’amministrato come se fossero propri, ma minutamente deve dar conto al giudice tutelare con giustificazioni e ricevute di tutte le spese e i movimenti, affinché risulti che vengano sempre tutelati gli interessi dell’amministrato, quindi il resoconto di questa amministrazione, è sempre sotto diretto controllo di un Giudice.
Le sorelle e le nipoti di Chiara, senza prendere atto dei fatti realmente accaduti, ma solo fidandosi sulla parola di una vecchia bisbetica e mistificatrice, avevano costruito un dossier di sospetti e di malafede nei riguardi di Paola, dipingendola nella loro mente come una poco di buono.
Passarono alcuni anni e in seguito ad una malattia, Chiara passò a miglior vita.
Tutti quei parenti che in apparenza si erano mostrati così affezionati e affettuosi a distanza, con varie giustificazioni, non si presentarono neanche per l’estremo saluto.
Paola, nonostante si fosse sentita come alleggerita da un grosso macigno, essendo molto sensibile, soffrì tanto per la perdita, nonostante era come se l’avesse già persa da viva. Del resto, sarebbe stato impensabile che una persona dall’indole presuntuosa e accentratrice quale era Chiara, potesse essere in grado di fare un esame di coscienza per riuscire a vedere sua figlia per ciò che realmente era e non per quello che aveva costruito nella sua mente. Chiara, infatti, nel suo immaginario, aveva visto Paola come una persona diabolica e per questo sua figlia non si dava pace, dato che la madre se ne era andata via portando con sé un brutto ricordo della figlia, determinato in gran parte dall’incomunicabilità.
Adesso, in modo più chiaro, Paola capiva che il trasferimento della madre e della sorella era stato una scelta più che necessaria, pur se molto sofferta, a causa delle tante intromissioni dis
truttive.
Finalmente per Rita si prospettava un’assistenza medica garantita e con la vicinanza della sorella e delle nipoti, mentre al tempo in cui viveva con la madre in Meridione, sarebbe finita in qualche ricovero senza l’affetto di nessuno.
Soltanto così Rita avrebbe finalmente avuto l’importanza che meritava, non sarebbe stata più la propaggine passiva di una madre accentratrice e possessiva.
Paragrafo 28
CONCLUSIONE
Paola, essendo di indole bonaria, proiettava il suo spirito negli altri, ma quando si accorse della falsità di tanti, fino ad arrivare alle intromissioni barbariche, provò tanta amarezza e delusione.
Probabilmente Paola in passato aveva amato una madre che nella sostanza forse non aveva mai conosciuto a fondo. Una personalità molto complessa, che sapeva presentarsi bene, ma troppo concentrata su sé stessa e che con gli anni si manifestava sempre più piena di sé e intrattabile.
Solo quando Paola, fu in grado di vederla in modo più distaccato, riuscì a giudicarla in modo obiettivo e critico: aveva scoperto il suo vero volto: una persona fredda, egocentrica, che non si legava mai a nessuno, che era riuscita ad affezionarsi soltanto ai suoi legami affettivi primari, nei quali rispecchiava sé stessa, o che l’avessero gratificata nell’estetica e nell’apparenza.
Chiara era vista dalle sue tre sorelle e dalle due nipoti come una persona normale, ma solo perché intrattenevano con lei un rapporto superficiale e apparente, fatto di parole, che non comportava nessun impegno reale. Se questi si fossero trovati a relazionarsi da vicino con lei, in modo un po’ più stretto, dovendo accudire a tante sue esigenze e necessità, avrebbero incontrato gli stessi problemi che aveva incontrato sua figlia, ma loro sapevano benissimo che non sarebbe mai toccato a loro tale compito: le davano un tipo di aiuto che non costava nulla, assecondando a parole le sue aspettative anche improprie, tanto, ciò non avrebbe comportato per loro alcun tipo di sforzo, impegno o responsabilità.
Il loro, in verità, era un aiuto apparente.
PARTE SECONDA
Capitolo 2
I PARVENTI
In un piccolo paese dell’entroterra calabro vive una coppia di coniugi con una figlia, Marina. Lei è molto affezionata ai suoi parenti. Purtroppo dovrà ricredersi quando diventerà adolescente, per tutto quello che dovrà subire e per tale motivo, imparerà ad essere molto critica.
Marina frequenta ragazzi di tutti i tipi, delle brave persone: studenti e universitari. Ogni tanto nella sua comitiva si aggregano oltre ai “figli di papà”, anche dei ragazzi che già lavorano, come operai o muratori. Marina, non essendo imbevuta dall’ assurda mentalità dei suoi parenti, non bada certo all’apparenza, o al ceto sociale, ma alle qualità di una persona, ai veri valori umani. Crede ai sentimenti veri, come all’amicizia e al rispetto umano, eppure agli occhi dei suoi parenti (a parte i suoi genitori che sicuramente sono un po’ più evoluti) è vista come una persona bizzarra, fuori dalla norma) Addirittura, senza volerlo, suscita la loro indignazione perché pretendono che debba frequentare soltanto ragazzi alla “sua pari”, per “pari” intendono dello stesso livello sociale, infatti ogni tanto Marina deve subire i rimproveri e le prediche da parte dei suoi zii se per caso la incontrano vicino a qualche ragazzo a loro avviso “indegno”.
Un giorno Marina, all’età di 18 anni, confida a sua zia che un suo amico, laureato in medicina e figlio di medici già affermati, le ha fatto una proposta di fidanzamento, ma lei non ha accettato, perché non interessata. Questa zia si indispone accusandola di avere sbagliato, avendo rifiutato quell’occasione d’oro, perché a suo avviso, se in futuro avesse scelto quel buon partito, si sarebbe sistemata per tutta la vita. Marina rimane esterrefatta e piuttosto amareggiata, vedendo quanta miseria ci sia nella mentalità di quella zia. Evidentemente, da parte sua il matrimonio era considerato come un affare e non basato su dei sentimenti sinceri.
La zia sparge la voce nella parentela che Marina è ingenua e stupida, mentre lei deve sopportare le prediche insulse di questi parenti impertinenti, facendo eco a questa zia attaccabrighe, che tra l’altro tali parenti si autoproclamano dei perfetti cristiani e si vantano della loro irreprensibilità. Nello stesso tempo i suoi genitori non considerano affatto il problema e non hanno il coraggio di prendere sul serio l’imbarazzo della figlia ingiustamente mortificata. Marina diventa sempre più insofferente alle loro ramanzine improprie, ma per non arrivare allo scontro, sopporta.
Questa nipote era considerata tra i parenti come la pecora nera, perché non frequentava molto la chiesa, mentre loro erano molto assidui. Non facevano altro che vantarsi della loro impeccabilità religiosa, mentre criticavano lei che non era come loro, insinuando persino che lei non fosse cattolica, solo perché si era permessa di leggere alcuni libri che riguardavano le religioni orientali.
Marina invece essendo una persona curiosa, si era documentata per poter ampliare la sua cultura.
Lei è molto stimata e apprezzata da persone estranee ed amici per la sua lealtà e per le sue qualità, ma sembra che anche questo sia diventato un motivo in più per essere bersagliata dalla parentela. Ha tanti amici, mentre questi parenti non approfondiscono mai relazioni con gli estranei, avendo soltanto conoscenze basate sull’utilitarismo. Rispecchiano una mentalità fondata sull’etichetta e sull’apparenza.
Se Marina si lamenta, i suoi genitori cercano di minimizzare, esortandola a lasciare correre. Insomma lei deve continuare a sopportare, per non dispiacere la propria famiglia, che anch’essa considera importante l’opinione sociale, infatti a loro avviso una rottura coi parenti, rappresenterebbe una specie di disonore.
Marina li tollera, sforzandosi di pensare che il loro modo di agire sia determinato da un limite mentale, anche se poco alla volta è scaduta anche la stima nei loro confronti. Deve sopportarli, facendo finta di niente. Per fortuna, dopo un po’ di anni, andò a vivere lontano e fu anche l’occasione per liberarsi della loro invadenza.
CAPITOLO 3
LA SEPARAZIONE DAL FIGLIO
I coniugi Emanuele e Maria sembravano una coppia tranquilla. Il figlio Roberto aveva tre anni quando il padre un giorno arrivando a casa, trovò sua moglie al letto col suo amante. Rimase di ghiaccio e nonostante ciò, lui avrebbe anche perdonato la moglie se lei avesse fatto di tutto per ricostruire il rapporto con lui, invece Maria continuava ad andare avanti con quella relazione.
Emanuele decise di separarsi da lei, ma commise un grave errore: andò via di casa ma senza denunciare il tradimento della moglie, per cui agli occhi della Legge lui passò dalla parte del torto. Di conseguenza, Emanuele era tenuto a pagare i viveri alla moglie, mentre il figlio restò con la madre. Il bambino cresceva e trascorreva il fine settimana dal padre, il quale soffriva, non solo per il divorzio ormai ottenuto, ma soprattutto perché il bambino era rimasto a vivere con la madre, che era stata la vera causa della separazione.
Intanto Maria, come se non bastasse tutto il male che gli aveva procurato, cercava di plagiare il figlio, facendogli credere che suo padre fosse una persona cattiva e bugiarda e che avrebbe raccontato calunnie sul suo conto, negando la sua infedeltà. Il motivo di questo accanimento era per il semplice fatto che lei non aveva accettato la separazione, pretendendo di vivere ancora con suo marito. Emanuele di conseguenza era odiato da Maria, proprio lui che era una persona mite, onesta e giusta, un bravo lavoratore e inoltre possedeva tutte le qualità umane.
Tra l’altro Maria non ebbe nemmeno il buon senso di cercare di salvare il rapporto tra padre e figlio, non solo, riuscì persino a indurlo a testimoniare il falso: avrebbe dovuto inventare che il padre un giorno lo avesse picchiato, ottimo pretesto per farlo risultare violento, per farlo isolare da lui. Quanta perfidia in quella donna!
Roberto probabilmente non era un bambino sufficientemente sveglio ed essendo facilmente condizionabile, si fece convincere dall’astuzia della madre, fino al punto di credere che il padre fosse l’artefice della separazione, a suo avviso immotivata e quindi pensava che la madre fosse la vittima.
Maria andò fino in fondo, tanto da avviare un procedimento penale nei confronti di Emanuele. Aveva aperto una procedura legale ed era stata programmata la Sentenza. Se lui avesse perso la Causa, non solo avrebbe dovuto sborsare ancora tanti altri soldi, ma avrebbe perso addirittura l’unico affetto che gli rimaneva: il figlio, perché lo avrebbero allontanato da lui per sempre.
Emanuele intanto continuava a vivere di stenti e in modo per niente tranquillo, perché quell’arpia era stata capace di toglierli quel po’ di serenità che gli era rimasta e nel frattempo lo aveva diffamato pure tra i parenti, dipingendolo come se fosse una persona ingiusta e violenta. Ma queste persone che ne sapevano? Come avrebbero potuto giudicare senza conoscere i fatti?
Perse anche il lavoro, perché la ditta dove lavorava era fallita.
Tuttavia, cercava di non disperarsi e di reagire. Si rifugiò nello sport e non riusciva nemmeno a pagare l’affitto. Viveva in solitudine, era demoralizzato, non aveva più nemmeno l’affetto del suo unico figlio, non solo, Roberto era diventato persino il suo nemico, essendo ormai ostile nei suoi confronti. Emanuele aveva toccato l’inferno.
Si trovava a vivere nell’angoscia più profonda, senza meritarsela, mentre Maria, una persona apparentemente integra, in realtà era l’incarnazione della perfidia e della falsità, ma paradossalme
nte aveva la meglio.
Mi chiedo a volte come simili individui possano dormire tranquilli la notte senza avere rimorsi di coscienza. Come possono esistere esseri umani che si divertono a creare tanta sofferenza, molto spesso sulle persone più buone?
Maria aspettava con ansia il giorno della Sentenza per poter esternare tutto il suo odio e distruggere il suo ex marito. Finalità: spogliarlo al livello economico e mettergli contro il figlio, questa volta in maniera definitiva, facendo risultare che lui fosse veramente una persona poco di buono. Lei era stata capace di architettare la sua meschina e ingiusta vendetta, combattendo una guerra proprio contro l’unica persona che l’aveva davvero amata, nonostante lei ne fosse indegna.
In attesa del giorno della Sentenza, Emanuele sperava di poter dimostrare la sua innocenza ed era fiducioso confidando nella Provvidenza divina, affinché la Verità potesse trionfare su quella valanga di fango che non lo aveva risparmiato e che lo attanagliava sempre con più forza e virulenza.
Ma il giorno prestabilito non arrivò mai, perché Emanuele morì all’improvviso, proprio nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, stroncato da un infarto, forse di crepacuore. Si separò per sempre dal figlio, dato che adesso non sarebbe stato il Giudice a stabilire la separazione, ma a volerlo fu la sorte avversa.
Probabilmente Emanuele era troppo buono per continuare a vivere in questa vita così piena di cattiveria.
Non si sa come reagirono i suoi familiari, gli artefici del male. Probabilmente, non avendo un’anima, si sentirono liberati, chissà… Questo è relativo al grado del proprio livello spirituale e della cattiveria che li rende ciechi e ottusi.
Di storie simili ne esistano parecchie, purtroppo. Non sempre sono le donne a dover subire ingiustizie e violenze. Come in questa situazione drammatica, anche gli uomini possono essere vittime delle mogli, anche se molte volte non si tratta di violenze fisiche, ma anche le sofferenze psichiche possono essere altrettanto pesanti.
Mi auguro che chi ha sofferto durante la propria esistenza, specialmente a causa delle ingiustizie dovute alla cattiveria altrui, possa essere ripagato nell’altra vita, nella dimensione spirituale e sia ricompensato dall’Amore di Dio.
Nello stesso tempo mi auguro che gli artefici del male debbano rendere conto alla Giustizia divina di ogni loro gesto compiuto e debbano quindi saldare il conto in proporzione a quanto dolore hanno provocato.
Capitolo 4
ANGELI NELL’OMBRA
Quando era ragazza, Claudia, viveva ad Enna con i genitori e due fratelli. Come tutte le buone figlie della tradizione di un tempo, era stata educata dalla madre ad aiutare in famiglia. Aveva frequentato la scuola fino al diploma, ma faceva fatica a trovare un lavoro. In casa aveva sempre da fare. Non solo i genitori, ma persino i suoi fratelli contavano su di lei.
Claudia era laboriosa e tutto sommato non le dispiaceva rendersi utile agli altri, anche se il suo sogno non sarebbe stato quello di rimanere in casa, ma di trovare il suo amore e di mettere su famiglia. Gli anni passarono e le si presentarono anche diverse occasioni, ma mai quella giusta.
I fratelli che lavoravano come commercianti, entrambi si sposarono. Lei purtroppo era rimasta quella di sempre, a vivere con i genitori sempre più anziani, adesso da accudire. La mamma è diventata molto anziana e i due fratelli quando venivano a farle visita, si fermavano a pranzo. Claudia con pazienza, preparava per tutti: genitori, fratelli e le quattro nipoti. Mai nessuno che si prodigasse a darle una mano, mai un pensiero gentile per lei. Se ne stavano stravaccate sul divano. Era l’unica femmina di tre figli, ma nella realtà era solo la donna di servizio.
Un giorno Simona, la mamma anziana, morì, dopo essere stata accudita con tanto amore da Claudia, fino agli ultimi giorni della sua vita. Simona era stata l’unica persona della sua famiglia che le aveva dato gratificazioni, essendo una donna dolcissima, dalla pazienza infinita, amorevole e con tante altre qualità umane. Non si lamentava mai, nonostante le sue sofferenze fisiche dovute alla malattia, ma era sempre riconoscente, in particolare alla figlia che si prendeva cura di lei.
Dopo un po’ di tempo, il padre molto anziano, decise di vendere una parte dell’eredità, ma il ricavato fu suddiviso in due parti, toccato ai fratelli.
Ogni volta che questi andavano a mangiare nella famiglia di origine, non si preoccupavano di portare niente, né al padre, né alla sorella. Erano bravi soltanto a ricevere regali dal padre, senza un minimo riconoscenza.
Un giorno era il compleanno del padre e insieme alle rispettive mogli con le proprie figlie, si presentarono da lui a mani vuote. Claudia, come sempre, aveva preparato un buon pranzo. Il padre, in modo spontaneo disse: “Non mi avete portato neanche un pensiero?”
Uno dei figli si permise di rispondergli con queste parole:
“Non vedi che sei vecchio e tra qualche giorno muori? Quale regalo ti aspetti?”
Di fronte a tanta crudeltà mentale, Claudia ci restò molto male. Più passava il tempo, più i suoi fratelli diventavano irrispettosi. Tra l’altro, con tutti i soldi che guadagnavano, non avevano mai avuto il buon senso di prendere l’iniziativa assumendo una badante per servire il padre molto anziano, perché per risparmiare il denaro, continuavano a sacrificare la povera sorella, considerata una sguattera senza fine. Lei inoltre era anche senza reddito.
Di tanto in tanto Claudia andava in escandescenza, per la stanchezza e per la disperazione. La giudicavano male, perché all’apparenza tante volte si mostrava intrattabile e la criticavano, ma alla fine era sempre colei che si occupava del padre infermo e di tutte le esigenze della casa. Claudia, che a volte sembrava un po’ aspra, in fondo era troppo buona e altruista, mentre tutti in famiglia se ne approfittavano. Lei non si poteva permettere nemmeno una passeggiata o un invito a cena da amici. Ormai si era isolata da tutti, non avendo tempo per sé stessa, dovendo accudire il padre.
Anche Claudia adesso cominciava a diventare anziana e accusava i primi acciacchi, i dolori e le sofferenze dell’età. Però lei non mollava. Ogni tanto si lamentava dei fratelli e delle rispettive mogli, tutti così spietati, ma non arrivava a scontrarsi con questi familiari indegni, per non dispiacere il padre, ancora lucido mentalmente.
Tirava avanti fino a quando la salute glielo avrebbe permesso, perché lei aveva una coscienza e anche un cuore, mentre i suoi fratelli che avevano caricato sulle sue spalle questa croce, la ripagavano con l’indifferenza e l’ingratitudine.
Claudia, in società appariva una persona schiva e asociale, mentre in famiglia era l’unico angelo che si sacrificava per gli altri.
Invece i due fratelli che in società erano ritenuti rispettabili e sensibili, in realtà con la propria sorella e con i propri genitori, si erano sempre comportati da parassiti ingrati e senza scrupoli.
Chi è animato soltanto dai soldi, non si fa scrupoli, quindi anche se una persona si comporta bene fin quando non si presenta l’occasione in cui attratta dai soldi, manifesta la sua natura meno nobile.
La passionalità, senza ragione, conduce verso strade sbagliate e non sempre dopo il ravvedimento è possibile recuperare ciò che si è perso.
Capitolo 5
LA VERITA’ EMERGE ALLA FINE
Gaetano, un affermato scrittore, viene a conoscenza di due storie parallele incredibili che riguardano due sacerdoti. Il confidente preferisce mantenere l’anonimato sull’identità delle persone interessate.
Sta di fatto che lo scrittore ne trae ispirazione per scrivere un nuovo romanzo. Dopo un anno pubblicò il libro, che risultò molto interessante.
I protagonisti erano: don Mario e don Luca. Don Mario era un vero e proprio donnaiolo e quando doveva celebrare le nozze, se la sposina era bella, l’omelia si protraeva molto più a lungo del normale, non togliendole mai gli occhi di dosso per tutto il tempo, se invece era piuttosto brutta, abbreviava il rito, liquidando in fretta sposi e invitati.
Tante volte ebbe relazioni con donne anche sposate. Don Luca invece al posto delle donne, amava i soldi: era un truffaldino. Spiccava per la sua loquacità ed era un ottimo oratore, ma nello stesso tempo anche un plagiatore. Ingannava i fedeli facendo credere che le loro cospicue offerte fossero destinate per la povera gente dei paesi africani o per la Chiesa, ma il termine chiesa era troppo generico per lui! Pretendeva che i fedeli avessero dovuto scrivere il proprio nome sulla busta delle offerte, in modo che don Luca potesse attuare un trattamento differenziato in base alla generosità del benefattore. Insomma, metteva i soldi al centro di tutto.
In realtà, il denaro ricevuto serviva per arricchire le sue tasche. Non si stancava mai di chiedere soldi. Riuscì a racimolare così tanto denaro, che acquistò persino un piccolo castello, dove poi andò a vivere, in tutta tranquillità. Don Luca ospitava di tanto il suo caro amico, don Mario, per dargli l’opportunità di portarsi a letto le donne di turno. Era continuamente a caccia di nuove relazioni. Questi due amici sacerdoti, entrambi corrotti, si scambiavano favori a vicenda. Uno pensava a fare nuovi incontri con donne di facili costumi, mentre l’altro, assetato di soldi, cercava di ingannare i suoi parrocchiani, soprattutto gli anziani, i quali gli lasciavano le loro eredità. Una donna anziana, ammaliata dalle sue sapienti parole, gli consegnava persino quasi tutta la sua pensione ogni mese.
Il romanzo fu intitolato: “Oltre le apparenze” ed ebbe un grande successo.
Gaetano era in ottimi rapporti con alcuni sacerdoti del suo paese, si frequentavano di tanto in tanto e questi erano a conoscenza della sua notorietà, avevano letto alcuni suoi libri, ma in questa occasione Gaetano preferì non invitarli alla presentazione del nuovo romanzo, semplicemente per una questione di delicatezza, dato che i protagonisti facevano parte della classe sacerdotale e riguardava per l’esattezza taluni rappresentanti non certo esemplari. Evidentemente lo scrittore non conosceva l’identità dei protagonisti da cui si ispirava, ma per non rischiare di poter offendere la suscettibilità dei suoi amici ecclesiali, che lui stimava tanto, preferì non invitarli all’evento culturale.
Passò poco tempo e Gaetano aveva notato nell’atteggiamento dei suoi amici sacerdoti un cambiamento radicale, una freddezza assoluta nei suoi confronti. Non sapeva darsi una spiegazione. Pensava: “Cosa avrò fatto di male a queste due persone?” Cosa è successo? Non riesco a capire!!! Si saranno offesi perché non li ho inviati alla presentazione del mio libro?”
Non si dava pace di questo inspiegabile cambiamento.
Solo dopo si rese conto di quale fosse stata la vera motivazione, dopo essere stato informato sull’ ’identità dei sacerdoti di cui aveva parlato nel suo libro, infatti il suo amico, alcuni anni prima aveva parlato di questi personaggi (poco esemplari) mantenendo l’anonimato. Lo fece per una questione di delicatezza, sapendo che lui essendo amico delle persone interessate, ci sarebbe rimasto male, o probabilmente avrebbe dubitato delle sue rivelazioni. Con stupore, adesso Gaetano scoprì la cruda verità: i protagonisti del suo romanzo erano proprio i suoi due amici sacerdoti! Non si sarebbe mai immaginato che proprio loro potessero avere una doppia vita. Da quel momento, Gaetano, sorpreso e amareggiato, riuscì a collegare, capendo il motivo del loro allontanamento: evidentemente si sentirono offesi in seguito alla lettura del suo scomodo libro.
Nonostante tutto, lo scrittore, alla fine rimase soddisfatto per il successo ottenuto, ma anche perché aveva avuto modo di aprire gli occhi, rendendosi conto del tipo di persone con cui aveva avuto a che fare: due sacerdoti insospettabili, indegni, ma anche stupidi per essersi smascherati attraverso l’indignazione dimostrata nei suoi confronti. Senza farci caso, avevano lasciato cadere giù la maschera, lasciando scoprire la loro vera natura.
Un giorno ricevette una strana telefonata. Era la sorella di uno dei due sacerdoti in questione: “Lei è il noto scrittore ….? “
“Sì, mi dica”.
“Ho letto il suo romanzo: Oltre le apparenze”.
Gaetano pensò che la signora volesse complimentarsi con lui, invece no. Non esitò ad aggredirlo verbalmente con queste parole:
“Non si vergogna di ciò che ha scritto? Ma che razza di romanzo è il suo? È blasfemo! Dov’ è la sua creatività? Troppo facile scrivere un libro quando già la trama esiste! Non pensa?”
Gaetano, preso alla sprovvista, rispose: “Certo che è inventato! E lei che ne sa? Che cosa vuole da me?”
“Vorrebbe farmi credere che il contenuto sia inventato?”
“E anche se non lo fosse, a lei cosa gliene importa? Vuole farmi l’inquisizione? Come si permette di importunarmi? Vorrebbe censurare un mio libro?”
“Come si permette lei! Ha toccato la categoria dei sacerdoti! Ma lo sa che sono tutti santi, per
ché rappresentano Cristo?”
“Mi scusi, ma io ho raccontato soltanto la storia di due specifici sacerdoti, di due poveretti, che tra l’altro nemmeno conosco! Nel mio romanzo non ho affermato che i sacerdoti siano tutti indegni o dei debosciati, come quelli che ho descritto! Perché lei si sta accalorando così tanto?”
“Come si permette di dire debosciato a mio fratello?”
Gaetano rimase esterrefatto: “Ma si rende conto di ciò che sta affermando? Cosa c’entra adesso suo fratello?”
“Perché lei ha messo in cattiva luce mio fratello e un suo caro amico!”
“Ma dice sul serio? Questo lo sta affermando lei! Cosa c’entra suo fratello e il suo amico in tutta questa faccenda? Io non ho fatto i loro nomi!”
“Ma allora come ha fatto a descrivere alla perfezione le loro storie?”
Lui rispose: “Ma io che ne so di quello che ha fatto suo fratello e il suo amico? Sarà forse una coincidenza! Che ne so io!!!”
“Non mi dica che non era conoscenza! Altrimenti come ha fatto a raccontare tutto per filo e per segno?”
“Mi scusi, lei crede che suo fratello e il suo amico siano delle brave persone?”
“Certo che lo sono!!!”
“E allora anche se io avessi parlato della loro vita, cosa c’ è di male? Semmai dovrebbero sentirsi onorati se uno scrittore parlasse di loro, presumendo che abbiano la coscienza pulita! E comunque adesso basta!!! Le sta dando i numeri! Io le assicuro che il romanzo l’ho inventato! Se poi lei pensa che i miei personaggi rispecchino le caratteristiche o la vita di suo fratello e del suo amico, a me non interessa, il problema non è mio!” Gaetano, molto irritato, riattaccò.
Se questi individui discutibili, non sono degni di stima, ma si riconoscono nei personaggi descritti, almeno avessero il buon senso di non autodenunciarsi con l’aperta protesta! Se avessero un po’ di astuzia, dovrebbero far finta di niente.
Viceversa, se uno scrittore pubblica un libro ispirandosi ad una bellissima persona riportando tutte le sue belle qualità o nobili azioni, sicuramente al protagonista potrà fare soltanto piacere. Morale: ognuno raccoglie ciò che semina e se non ha nulla di cui vergognarsi, non dovrebbe avere assolutamente alcun timore del giudizio degli altri.
CAPITOLO 6
IL REGNO DELL’INVIDIA
Paragrafo 1
Lidia prende servizio in una Scuola Media, lei è una docente di musica. Aveva un approccio molto diretto e perciò era stimata dagli alunni, ma nello stesso tempo era vista molto male da alcune colleghe, che invidiavano e disprezzavano quelle qualità comunicative che a loro mancavano.
Prima di intraprendere la carriera scolastica, Lidia aveva raggiunto tanti traguardi in campo musicale, ottenuto premi e inciso dischi. Sulla rete esistevano molti suoi video e anche per questo motivo, i suoi alunni l’apprezzavano molto.
Era il periodo natalizio e attraverso la filodiffusione, in tutte le aule e nei corridoi si diffondeva della musica. Il vicepreside che gestiva la diffusione dei brani, le chiede a Lidia: ”Tu che sei nel campo, non avresti dei dischi da prestarmi da mandare in questi giorni? Perché non si fanno nuovi acquisti di dischi e ci ritroviamo a mandare sempre le stesse musiche”.
Lidia, spontaneamente, risponde: “Ti posso prestare i miei dischi, quelli di mia produzione”.
“Interessante! Portali che li facciamo ascoltare agli alunni!”
Il giorno successivo nella scuola si sentivano musiche mai udite prima e tanti colleghi e alunni ne erano entusiasti. Mentre gran parte del personale aveva reagito positivamente a quest’iniziativa, qualcuno iniziò ad insospettirsi e si recò dal vicepreside per sapere l’origine di queste musiche e lui candidamente rispose:
“Sono incisioni della nuova insegnante di musica. É lei l’autrice. É una brava musicista”.
La docente, con tono fiscale, replica: “Ma prima che fosse diffusa la musica, l’iniziativa è stata approvata dal Collegio dei Docenti?”
“No, perché non credo ce ne sia la necessità. Ma qual è il problema?”
“Intanto tolga immediatamente questa musica e poi qualora ci sarà l’approvazione, si vedrà”.
Il vicepreside rimane perplesso, ma vedendo con chi avrebbe avuto a che fare, non replica e l’accontenta”.
L’insegnante di musica viene informata dal vicepreside e così come richiesto, si reca dalla dirigente e con tutta calma, le chiede questa concessione, pensando che per lo meno a lei facesse piacere.
La dirigente non la fa nemmeno parlare e subito incalza: “Prof Bianchi, per caso crede che questa scuola sia un palcoscenico?”
“Non capisco!”
“Sarò più esplicita: crede che sia un teatro dove lei possa esibirsi come vuole e quando vuole?
“Signora dirigente mi creda, non riesco a capire cosa intende! Cosa ho fatto di male?”
“Lei Fa ascoltare le sue musiche personali ai ragazzi e mi dice cosa ha fatto di male?”
“Mi scusi, ma gli alunni possono essere solo contenti! Non crede?”
“E qui che si sbaglia! Se lei non fosse l’autrice di questi brani, il problema non si porrebbe affatto!”
“Si spieghi meglio, per favore, signora preside! Ancora non riesco a capire!”
“Lei non lo sa che in questo modo ha un rientro di pubblicità per i pezzi che sono suoi? E se qualche genitore mi facesse una querela, cara professoressa, dopo come la mettiamo? Anzi, lo vuole un consiglio? Lei qui è sprecata. Perché non fa la musicista e lascia il lavoro nella scuola? Perché non segue la sua carriera artistica e lascia il posto di insegnante a qualcun altro?”
Lidia preferì non rispondere e tagliò corto, perché capì che con la dirigente non avrebbe potuto discutere, per cui le rispose:
“Stia tranquilla, la mia musica non sarà più propagata a scuola”.
La preside rincara la dose: “Tengo a ricordarle che non sarà lei a decidere, perché sono io che le do ordini. Anzi le dico pure che se lei l’anno prossimo vorrà trasferirsi di sede, ne sarei molto lieta”.
Lidia si congedò molto angustiata. Capì di che pasta era fatta quella dirigente, che in apparenza sembrava una persona per bene e professionale, ma evidentemente era stata soltanto una sua impressione.
Ovviamente Lidia non pensava minimamente di trasferirsi in un’altra scuola, non solo perché si trovava molto bene coi suoi alunni, ma anche perché le restavano solo pochi anni prima di completare la sua carriera.
L’anno successivo, la dirigente si trasferì in un’altra sede. Tantissimi docenti erano felici, perché lei aveva dato tanto filo da torcere a quasi tutto il personale, dato che agiva in modo dispotico, istintivo e passionale.
All’ inizio dell’anno scolastico arrivò un nuovo preside: Riccardo, da una provincia vicina. Piuttosto giovane e di bell’aspetto. Ha l’aria rassicurante di una brava persona, seria e soprattutto con tanta voglia di migliorare l’ambiente scolastico da un punto di vista umano.
Quando conosce Lidia, la prende in simpatia e dopo una lunga conversazione, le confida che si è appena separato e che in questa nuova città si sente solo perché non conosce nessuno, inoltre è molto triste perché ha dovuto lasciare i genitori anziani. Le dà l’impressione di voler instaurare con lei e con la sua famiglia un sincero rapporto di amicizia. Le chiede anche se lei può aiutarlo a trovare casa. Lei, grazie a tante sue conoscenze, dopo alcuni giorni trova un appartamento per lui, proprio vicino la scuola dove lavora. Il dirigente percepisce subito la disponibilità e la carica umana di Lidia e apparentemente anch’egli si mostra amichevole.
Presto si instaurò un rapporto di stima tra il dirigente e l’insegnante di musica, avendo accettato un invito a casa sua, prese subito in simpatia il marito di Lidia e da quel momento, sembravano che si fossero conosciuti da sempre. Spesso lo invitavano a casa loro a cena, gli presentarono altri amici, lo portarono in giro il fine settimana. Insomma sia Lidia che suo marito non lo vedevano quasi più come il dirigente, ma come una persona alla mano, un amico di vecchia data.
Il dirigente è cattolico praticante. Agli occhi della gente comune, sicuramento questo sarebbe stato un pregio e una garanzia di onestà.
Dopo un po’ di tempo, venuto a conoscenza delle qualità di Lidia, la invita a dare un contributo artistico alla scuola in occasione della ricorrenza del Natale, proponendole di suonare con l’arpa alcuni brani di musica sacra.
Lidia accetta con entusiasmo e successivamente fa trasportare il suo strumento a scuola, in Aula Magna. Qualche giorno prima dell’esibizione, il Dirigente fa sapere alla docente che bisogna superare un piccolo scoglio: ottenere il parere favorevole da parte del Consiglio d’Istituto.
Arrivato il giorno della votazione della delibera, il Dirigente fa sapere all’insegnante musicista che il piccolo concerto era stato deliberato, benché con delle limitazioni. Avrebbe potuto eseguire non più di due brani, non avrebbe potuto usare l’amplificazione, non avrebbe potuto diffondere la notizia dell’evento, né in qualche modo pubblicizzarlo, né tanto meno informare gli alunni. In breve, doveva essere un concerto in sordina e all’insaputa di tutti.
Lidia rimase molto perplessa e non si rese conto del motivo di tante limitazioni, ma per non entrare in contrasto col dirigente, accettò ugualmente, perché ormai, dopo i preparativi, non poteva più tirarsi indietro.
Arrivato il giorno dell’esibizione, soltanto pochi, capitati casualmente, poterono ascoltare quei due brani, rimanendo esterrefatti per la bravura di Lidia. Nella scuola si sentiva un po’ sommessa questa musica che si diffondeva, ma nessuno sapeva di cosa si trattasse, perché a nessuno era arrivata la comunicazione. Qualcuno andò a chiedere in dirigenza da dove provenisse quel suono. Il preside rispose: “Non saprei. Prima ho visto un nostro collaboratore scolastico andare in sala audiovisivi e forse stanno vedendo qualche programma”.
Ad un certo punto arriva in Aula Magna un bidello un po’ distratto con un carrello e le sue attrezzature delle pulizie. Non si rende neanche conto di interrompere l’esibizione e anziché andarsene in silenzio, si mette a parlare: “Oh, mi scusi, professoressa! Non sapevo che oggi ci fossero le prove! Poi torno più tardi per pulire”.
L’insegnante era nervosa e soltanto dopo si rese conto di essere stata presa in giro dal dirigente, perché in realtà l’esibizione non era stata approvata per niente, ma il dirigente, pur di apparire brillante, le aveva raccontato una frottola, per cui era quello il motivo di tutte quelle limitazioni: il piccolo concerto in effetti non era mai stato approvato.
Il timore che la docente ne avrebbe potuto trarre profitto pubblicitario, era solo una scusa, mentre il vero motivo derivava ancora una volta dal desiderio meschino, di alcune colleghe invidiose, di oscurare e affossare l’immagine della collega, per paura che una sua bella figura, potesse togliere lustro alla loro opaca e sbiadita immagine, incapace di brillare di luce propria. Da parte dei colleghi maschi, invece, non esisteva nessun senso di invidia o di competizione, anzi si mostravano piuttosto compiaciuti.
Questo gruppo di colleghe invidiava in modo manifesto questa professoressa, nonché artista professionista già affermata, che evidentemente non era alla ricerca di affermazione, in quanto già conosciuta e abbastanza nota persino al livello nazionale.
Lei aveva alle spalle innumerevoli concerti.
Il dirigente trattava questa insegnante con un certo riguardo e lei ebbe il piacere di regalargli alcuni CD da lei prodotti. Il preside avendo intuito la sua disponibilità e generosità, le chiese inoltre il favore di trascrivere sul pentagramma un brano musicale che suo figlio aveva composto al pianoforte e aveva bisogno anche della trascrizione delle partiture, raccomandandole di non dire niente in giro.
Quando venne a sapere che l’insegnante possedeva una casa di vacanza in montagna, dato che lui era l’amante del “tutto gratis” chiese di poter essere invitato nella stagione estiva. Quando Riccardo andava in giro per vacanza, andava sempre a caccia di occasioni a costo zero o con spese irrisorie, per cui con la scusa delle fede religiosa, frequentava solo parrocchie, convitti e conventi, come se fosse un umile viandante senza un euro in tasca, infatti accumulava tutte le sue ricchezze in banca. In realtà il dirigente approfittava della disponibilità di Lidia e le solite colleghe, sempre pronte a malignare, credevano che per via di questo rapporto confidenziale col capo d’istituto, lei godesse di privilegi particolari, anche perché spesso, se si trovava a passare dal suo ufficio, si fermava a parlare con lui e a volte insieme andavano a prendere un caffè.
Nella realtà, questa sorta di confidenza non dava luogo a nessun tipo di privilegio per la docente e presto si tramutò per lei in un evidente svantaggio, perché il dirigente di carattere debole, senza spina dorsale, come un mollusco invertebrato, cercava soltanto situazioni di protezione e di vantaggio per sé stesso, ma senza mai rischiare o esporsi. Attraverso la confidenza e quella specie di amicizia che aveva instaurato con Lidia, non faceva altro che farle sopportare tutte le prevaricazioni che le colleghe invidiose imponevano e che lui non riusciva a contrastare.
Lidia non aveva ancora aperto gli occhi e credeva che il dirigente fosse una persona corretta, ma cominciava ad avere delle perplessità nei suoi riguardi. Dopo la deludente esperienza del concerto fallito, il preside promise a Lidia che alla fine dell’anno scolastico, avrebbe organizzato uno spettacolo con l’esibizione degli alunni. Lidia accettò la proposta con entusiasmo e così preparò i ragazzi per lo spettacolo. Pochi giorni prima della fine dell’anno scolastico però il dirigente comunicò a Lidia che purtroppo gli alunni non avrebbero potuto esibirsi, perché il Collegio d’Istituto non aveva approvato ancora una volta l’iniziativa. L’insegnante fu davvero amareggiata e iniziava già a sospettare della lealtà del preside, che prima prometteva e subito dopo smentiva. Senza dubbio la vera motivazione di questo continuo boicottaggio che lei subiva, dipendeva dalla mancanza di determinazione del dirigente.
Intanto Lidia era sempre più apprezzata e ben voluta dai ragazzi e questo era un motivo in più per suscitare l’ira e l’odio da parte delle solite colleghe acide e invidiose che, guarda caso, avevano un certo potere in quella scuola, nota perché vi regnava l’invidia e questo basso sentimento aveva preso ormai il sopravvento da tanti anni, per cui il regno dell’invidia dominava e controllava ogni iniziativa.
Paragrafo 2
Quando la sua ennesima iniziativa venne bocciata, Lidia non si scoraggiò e dato che aveva già informato gli alunni che avrebbero dovuto esibirsi a scuola, essendo piena di iniziative, pensò di postare in rete il video da lei stessa realizzato. L’insegnante non riprese il volto degli alunni, ma soltanto le mani che suonavano e i nomi in sovra impressione.
Prima di pubblicare il filmato, chiese il consenso ai genitori, facendoli aderire attraverso una liberatoria. Questi aderirono volentieri all’iniziativa. Il video ebbe successo e Lidia ottenne tanti consensi da loro e da tante altre persone. Gli alunni furono entusiasti, anche perché la loro professoressa li aveva fatti sentire importanti e ci furono molti visitatori e tante approvazioni.
Ma le solite colleghe acide, si infuriarono e iniziarono subito a complottare tra loro, perché questo nuovo video saltò all’occhio. A loro dava fastidio e che avrebbe ancora una volta messo in luce il talento di quella insegnante che invece avrebbero voluto nascondere.
Ma adesso il contesto era ben diverso, benché fossero sempre i ragazzi dell’insegnante di musica a esibirsi, l’ambiente non era più quello scolastico, ma lo spazio web, quello di una pagina privata dell’insegnante, per cui il potere deliberante del Consiglio d’Istituto non avrebbe avuto più nessuna efficacia.
A quel punto quelle perfide colleghe provarono a servirsi del rapporto amichevole del dirigente con l’insegnante di musica, così lui, in nome di quell’amicizia sempre meno credibile, le telefonò, senza spiegare il motivo, prima esortandola, poi con decisione, comunque il senso della sua volontà era quello: “Questo sito non s’ha da fare!” Ma Lidia avvertì questa sua iniziativa come una prevaricazione, per cui non si lasciò intimorire. Si sentiva sicura perché in quell’ambito privato la competenza del suo dirigente non avrebbe avuto nessun potere.
Questo gruppo dominante di colleghe invidiose, era stato capace di condizionare il dirigente, forse ricattandolo, affinché lui accontentasse i loro capricci: oscurare a tutti i costi Lidia, che riscuoteva simpatia e ammirazione. Nello stesso tempo lui con sfacciataggine mimava una finta amicizia con l’insegnante di musica, al solo scopo di estorcerle qualche favore. Evidentemente ormai la misura era colma e con questa richiesta si oltrepassava ogni legittimità, era un abuso, perché si permetteva di interferire in un ambito privato.
Quando il nuovo dirigente era appena giunto in questo plesso scolastico, alcuni lo consideravano addirittura un angelo liberatore, contavano su di lui come su un giustiziere. Lui personalmente, quando arrivò, ovviamente non conosceva bene l’ambiente e credette che fosse una specie di paradiso abitato solo da angeli. Poi, pian piano, col tempo si accorse che molti di quelli che lui credeva angeli puri, erano purtroppo angeli decaduti, contaminati dall’invidia e dalla perfidia. Riccardo, forse ingenuamente, provò a convertire questi spiriti corrotti, ma alla fine fu lui a piegarsi al loro potere e da angelo di luce che sembrava, anche lui diventò un angelo decaduto.
In quell’ambiente tutti dovevano agire in conformità alle disposizioni occulte che spudoratamente sovrastavano.
Il dirigente scolastico era un simbolo, in quanto rappresentava una pedina che doveva sottostare al potere sovrano, pur fingendo di avere lui il potere in mano.
Riccardo aveva un ruolo importante: cercare con tutti i mezzi di sostenere quella diabolica mentalità.
Se un docente suscitava invidia, era già spacciato e preso di mira.
In quel preciso momento Lidia si accorse di aver riposto speranze e fiducia su una persona che avrebbe dovuto amministrare con correttezza diritti e doveri dei propri dipendenti, mentre invece si rivelava debole, incapace e sempre pronto a sottostare al dictat di un gruppo di arpie, che in quel regno dell’invidia decidevano il bello e il cattivo tempo.
Quando lui parlava in giro della sua professionalità, si vantava e mentiva spudoratamente, affermando che sul lavoro si mostrava sempre inflessibile con i suoi collaboratori o subalterni.
Nei fatti, contava invece quanto l’eunuco di corte, assoggettato e sottomesso ai comandi delle ancelle perfide e velenose.
All’inizio, il dirigente si mostrò indignato e provò a contrastare, se pur debolmente, il fenomeno dell’invidia, ma quando si accorse di non esserne capace, iniziò a far passare per sue le scelte che gli venivano imposte dal regno dell’invidia. A lui piaceva apparire per quello che non era: un dirigente col pugno forte che sapeva sempre imporre la propria volontà. Così, per far credere che era sempre lui a decidere, spacciava per sue tutte le iniziative, comprese le carognate che gli veniva imposto di fare.
Nella società questo dirigente era pieno di amici e apparentemente sembrava che si dedicasse a tutti, a chiacchiere e a parole sicuramente, ma nei fatti aspettava sempre l’occasione per chiedere favori a questo a quell’altro. Non a caso, tutte le volte che si era presentato a cena da Lidia, non aveva mai portato neanche un pensiero, forse perché oltre tutto, sarà stato anche spilorcio. Uno che sa sfruttare benissimo a proprio vantaggio tutte le opportunità, ottenendo il massimo vantaggio col minimo sforzo, insomma, un vero professionista dell’amicizia.
In quell’Istituto purtroppo esisteva una terribile tradizione, dato che anche gli altri dirigenti del passato avevano acconsentito alle regole che appartenevano al Regno dell’invidia.
L’anno successivo, i genitori degli alunni proposero all’insegnante di musica di organizzare uno spettacolo a scuola, a fine anno, dato che diversi ragazzi avevano scoperto il proprio talento musicale.
Lidia, lì per lì, accettò l’idea, ma si rendeva conto che conoscendo l’ambiente di lavoro, ancora una volta non glielo avrebbero permesso, in quanto avevano sempre boicottato ogni sua iniziativa.
Stanca di dover subire, Lidia un giorno presa di coraggio, si recò dal vicepreside. Gli disse con tutta tranquillità: “Siccome i genitori mi hanno chiesto di poter organizzare uno spettacolo di fine anno a scuola, in cui i miei alunni si possano esibire con il canto e con la tastiera e so a priori che le solite colleghe cercheranno di impedirmelo, ti prego di riferire sia a tali docenti che al dirigente, che se lo spettacolo non andrà in porto, informerò alcuni miei amici giornalisti a diffondere la notizia, dove racconterò tutto ciò che ho dovuto subire in questa scuola. Non solo, mi servirò anche del web. Credo che la scuola non ci farebbe una bella figura”.
Il vicepreside, accogliendo l’idea compiaciuto, le rispose:
“Stai tranquilla. Sarà fatto, anzi, hai avuto una brillante idea! Devi sapere farti rispettare!”
Il vicepreside riferì e i destinatari non si aspettavano una mossa simile, perché fino a quel punto forse avevano sottovalutato la docente da loro presa di mira.
Alla fine dell’anno scolastico, Lidia riuscì a organizzare lo spettacolo, per la gioia degli alunni ed ebbe successo.
Da quel giorno la docente musicista fu rispettata da tutti, persino dai suoi nemici e dal dirigente, anche se adesso il loro rispetto era basato solo sul timore. Adesso lei era temuta. Continuavano a odiarla segretamente, ma per opportunismo non osavano più emarginarla. Finalmente lei, avendo scoperto il loro punto debole, era riuscita a riscattarsi e soprattutto a tenere a bada le persone arroganti.
Paragrafo 3
Il dirigente non si dava per vinto, aveva voglia di consumare una vendetta nei confronti di Lidia, perché non aveva potuto sopportare che non si fosse piegata alla sua richiesta che non erano di sua iniziativa, ma che arrivava dalle arpie malefiche e che rappresentavano le regole del regno dell’invida.
Pochi giorni prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, Lidia ricevette una email da parte del dirigente, dove si comunicava che le veniva assegnata una mansione dequalificante e molto scomoda.
Lidia, pur se indignata, rimase tranquilla e si rivolse immediatamente ad un sindacalista, il quale dovette intervenire tempestivamente per far tornare il dirigente sui suoi passi.
Questo comportamento da parte del dirigente, fu utile per far capire a Lidia quanta cattiveria si nascondesse dietro quella persona apparentemente docile, quindi con chi avesse avuto a che fare fino a quel momento.
La cosa più sconvolgente era che tra l’altro, Riccardo era stato sempre accolto con molto riguardo a casa di Lidia, come fosse un amico di vecchia data, presso di loro si era guadagnato una sincera amicizia. Si mostrava mite e gentile e non perdeva l’occasione per sfoggiare il suo fervente spirito cristiano, ma in questo momento, accecato dall’orgoglio, lasciava emergere la sua pochezza, la sua vigliaccheria, emulando Giuda Iscariota, che per un misero vantaggio, aveva tradito chi lo considerava e lo stimava come amico, ma forse era proprio quella pochezza la sua vera natura.
Ogni persona di fronte ad una difficoltà, lascia cadere la maschera e mostra realmente chi è.
Anche dopo il tradimento dell’amicizia, per quanto il suo comportamento fosse stato deplorevole e meschino, recitava la parte dell’offeso.
Per Lidia la più grande soddisfazione doveva ancora arrivare. Fu quando il sindaco della città in cui lavorava, le propose di organizzare un concerto dove lei avrebbe dovuto esibirsi con l’ arpa. Lidia non se lo fece ripetere due volte, anche perché in quel contesto sarebbero stati presenti tantissimi suoi alunni con le rispettive famiglie che la stimavano.
Il concerto era programmato verso la fine dell’anno scolastico, presso la Biblioteca Comunale e il sindaco pensò di comunicare nelle varie scuole della città la programmazione dell’evento culturale.
Così arrivò il giorno del concerto e quando le docenti invidiose accompagnarono le classi allo spettacolo, avevano la faccia tirata e apparivano nervose, mentre Lidia era serena e gioiosa.
CONCLUSIONE
Le persone benevoli non conoscono l’invidia. Le persone malevoli invidiano fino ad odiare. L’invidia fa il processo alle intenzioni, è maligna, è falsa, è spietata, è sleale, è meschina, sminuisce i meriti degli altri nel tentativo vano di fare accrescere i propri.
Le persone per bene cercano amici con cui condividere buoni sentimenti, invece le persone aride, frustrate, spesso invidiose, cercano nemici contro cui sfogare la loro acidità e farle diventare capro espiatorio della loro insoddisfazione.
La cosa più sconvolgente è che i cosiddetti apparenti si infuriano puntualmente quando vengono scoperti e quindi quando le loro prede si difendono alle loro prevaricazioni. É come se dessero per scontato di avere il diritto di calpestare la dignità altrui, perché la loro smisurata superbia li fa sentire autorizzati a farlo. Hanno insita l’indole del “dittatore”, che deve dominare gli altri e nessuno può ribellarsi.
Quello che si può evincere da questi personaggi, è che sono accomunati dalla stessa psicologia perversa, quando si trovano davanti ad una persona buona, credono che sia anche indifesa e debole, che non sia capace di difendersi, per cui provano a piegarla o a prevaricarla. Invece non è una regola che tutti i buoni siano deboli di carattere. Di solito chi è buono lo è perché sceglie di esserlo, e comunque non è disposto ad essere sottomesso o maltrattato, perché se vuole, è in grado di difendersi.
Il rispetto tra persone per bene è inteso come lealtà e non tiene conto se l’altro sia temibile oppure no.
Le persone sleali e false considerano la bontà altrui come opportunità per avere dei vantaggi, mentre di fronte alle persone che temono, cercano di avere un formale rispetto, per evitare di subire conseguenze indesiderate.
CAPITOLO SETTIMO
L’ARISTOGURU
Ogni riferimento a persone e luoghi è puramente casuale, nonostante mi sia attenuta a fatti di cronaca molto ricorrenti.
Tutti i falsi mistici cercano di far credere di essere fedeli al Dio della propria religione di appartenenza per il quale dichiarano di vivere. Fingono di venerarlo, ma solo nell’apparenza.
In verità, i falsi mistici adorano l’unico Dio che li accomuna: il dio denaro. Per questo dio, hanno venduto l’anima al diavolo. Sono molto bravi a fingere di sdegnarlo o di ignorarlo, ma in realtà questo falso idolo (il dio denaro) è l’unico scopo della loro vita.
I falsi guru sono dei professionisti dell’inganno e stanno in cima alla scala degli apparenti. Loro presentano tutte quelle caratteristiche negative che accomunano i personaggi citati, con la differenza che questi hanno responsabilità ancora più gravi per l’entità delle loro azioni. Speculano sulla sofferenza e sulla buona fede altrui e sono avidi di denaro.
Tali individui sono sostenuti da tutti gli adepti (con tante idee confuse e soprattutto poco ferrati in campo religioso) che ripongono in loro una tale fiducia da fidarsi ciecamente. L’unica grande capacità che i falsi guru posseggono è di riuscire a plagiare la mente altrui attraverso la loro loquacità e capacità di suggestionare, l’unica forza che li caratterizza. Possono far leva solo sulle persone facili da manipolare, o psichicamente deboli, le quali fraintendono le Sacre Scritture, prendono alla lettera il termine Fede e lo utilizzano nel modo più improprio. Si fanno guidare da questi individui come se fossero le proprie stampelle, mentre in verità sono degli impostori che vivono nel lusso.
Leopoldo è un maestro di yoga, che un bel momento decide di coronare un grande sogno, all’insegna della falsità: creare un piccolo regno attorno a sé, per ottenere potere e successo ed evidentemente ricchezza economica. Scoprendo i suoi carismi e soprattutto avendo una grande cultura orientale, pensò di improvvisarsi guru, ma dato che un guru non si autoproclama, pensò bene di cercare qualcuno dalla stessa lunghezza d’onda, che potesse essere suo complice per fargli una pubblicità strepitosa e ci riuscì: trovò persone senza scrupoli che dovevano sostenerlo, quindi stare al suo gioco, recitando la parte: sarebbero dovuti essere i suoi complici per poter lavorare sulla mente delle persone, affinché credessero di trovarsi davanti ad una persona illuminata, un guru che aveva raggiunto l’illuminazione. Aveva inculcato ai suoi allievi (con la complicità di un altro furbacchione senza scrupoli) che insegnava anche lui yoga, di essere la reincarnazione di un famoso mistico indiano, morto nel 1955, dato che gran parte degli allievi, diventati ormai adepti, credevano alla teoria della reincarnazione.
Ormai si era sparsa la voce in quella grande scuola di yoga, che assomigliava sempre di più ad una setta, perché dopo la lezione, alcuni maestri, erano pagati e ingaggiati dal guru Leopoldo, per plagiare tutti gli allievi, attraverso ragionamenti e considerazioni, filtrava l’idea che il loro guru fosse la reincarnazione di un famoso guru indiano, quindi tutti loro erano privilegiati per poterci stare a contatto e farsi guidare da lui. Sempre in virtù della filosofia orientale, il guru era considerato una presenza divina sulla Terra.
Leopoldo era un benestante, ma i suoi introiti non derivavano tanto dal contributo delle quote dei suoi seguaci, lui si era arrogato il titolo di guaritore e in questa veste esercitava la sua attività ricevendo un flusso incessante di gente presso la sua tenuta, che su appuntamento andava trovarlo. Da mistico che si rispetta, lui non chiedeva nessuna parcella, ma non disdegnava le libere offerte, buste e bustarelle contenenti banconote che la sua compagna, con soddisfazione, incamerava.
Un giorno Sabrina, una ragazza che frequentava questa scuola di yoga (non sapendo che dietro si nascondesse una setta) tramite un caro amico che lavorava come investigatore privato, fu a conoscenza di importanti informazioni che riguardavano il sedicente guru. Scoprì innanzitutto la sua vera data di nascita: 1950, era nato quindi alcuni anni prima che morisse il noto mistico indiano. Adesso si spiegava il motivo per cui l’impostore mentiva sempre sulla propria data di nascita, dichiarando di essere più giovane, proprio per far credere che lui realmente fosse sia reincarnazione del guru indiano.
Inoltre Sabrina venne a conoscenza di tante denunce sporte contro di lui. Ma Leopoldo, con tutti i soldi che aveva, non ci faceva nemmeno caso, dato che riusciva a girare persino la Legge stessa. Tra l’altro la sua colpa era anche relativa, nel momento in cui sono gli altri (i pecoroni ignoranti) che credevano in lui, sostenendolo e dandogli tanta importanza, per cui tutto sommato, i suoi sostenitori meritavano tutto questo: essere presi in giro da truffaldini come lui.
Sabrina confidò ad un’altra frequentatrice della scuola di yoga le compromettenti notizie apprese da un investigatore privato, in base alle quali il soggetto in causa era solo un millantatore. Lei, incredula e indignata, si sentì persino offesa e non seppe mantenere il segreto. Lo spifferò infatti presso la scuola di yoga per accusare Sabrina di tradimento e diffidarla.
Dopo alcuni giorni, Sabrina ricevette delle minacce da parte della maestra di yoga, il braccio destro di Leopoldo. Ricevette persino una lettera dall’avvocato di Leopoldo, avvertendola di essere passibile di querela per diffamazione, soltanto perché lei si era permessa di confidare ad una persona di non credere all’autenticità del sedicente guru e di conseguenza alla sua onniscienza riconosciuta dai suoi seguaci.
Sabrina, evidentemente, non frequentò più quella scuola di yoga, dall’apparenza prestigiosa e soprattutto capì quanto potesse essere falso l’essere umano e come potesse arrivare così in basso. In verità per Leopoldo e per tutti i suoi seguaci, il livello spirituale era molto basso, nonostante praticassero yoga, che è senza dubbio un’importante disciplina, sia per il corpo che per lo spirito.
Sabrina si rese conto che non possono esistere tecniche meditative, preghiere o religioni che possano aiutare l’essere umano ad evolversi spiritualmente, dato che il proprio livello spirituale dipende dall’indole e dalla sensibilità di ciascuno di noi, quindi dalle nostre azioni e dai nostri sentimenti. La preghiera o le tecniche meditative hanno la loro importanza, ma soltanto se l’individuo si predispone con purezza di cuore, cercando Dio con sincerità.
Ecco un altro esempio di apparenti che ho voluto descrivere.
Purtroppo sono pochi coloro che cercano Dio, dato che la maggioranza di persone cerca soltanto il proprio profitto, tanti sono spinti dall’avidità e dall’ egoismo, credendo che ognuno basti a sé stesso, inconsapevoli della nostra miseria e del fatto che noi siamo un nulla, che siamo solo pellegrini di passaggio in questa vita, destinati a ricongiungerci con Dio, perché la vera vita è l’Eternità.
Una persona della sua specie, alla stregua di tutti gli altri falsi veggenti e impostori, che sono tantissimi nel Mondo, che si approfittano dell’ingenuità altrui, sono come dei ladri ladro che sanno di non dover mai scontare la pena. Un ladro autentico, perlomeno ha più dignità, perché sa di rischiare in ogni momento e di dover pagare per quello che fa, mentre un millantatore e approfittatore, speculando sulla religione e spacciandosi per un mistico, commette senza dubbio colpe maggiori, approfittando della buona fede altrui. É come un ladro che ruba impunemente.
CONSIDERAZIONI FINALI
Gli apparenti devono tutelare l’ipocrisia che reputano sacra, mentre i loro nemici (le persone sincere) amano smascherare l’ipocrisia.
Per questo motivo nascono i dissidi.
In pratica l’ipocrisia, per le persone false è da tutelare, perché è un bene prezioso, è il loro ossigeno, mentre per le persone leali, l’ipocrisia è soltanto da biasimare.
La loro stessa natura stolta li autorizza ad agire sempre allo stesso modo, per cui è naturale che una persona dall’intelligenza onesta non potrà mai collimare con una persona la cui intelligenza disonesta.
Soltanto le persone vere sono quelle che valgono. Tutte le altre le considero mezze persone, coloro i quali credono che la vita sia un continuo festino, dove cerchi di fare bella figura e ti dimostri amico quando tutto fila liscio, hai tutto da prendere e non hai nulla da rischiare. Quando invece devi sacrificare qualcosa, anche una sola briciola, ti dilegui subito, dimostrando quanto poco te ne importi di tutte quelle persone che hai buggerato, nei confronti di coloro che hai illuso, fingendoti amico.
Le persone false tentano di oscurare la verità, ma alla fine la verità viene sempre a galla.
Nel momento in cui qualcuno porta alla luce le malefatte degli apparenti, sarà da loro odiato e perseguitato, perché chi vive per l’apparenza, ha bisogno di mostrare sempre la propria maschera attraverso cui apparire perfetti e impeccabili.
Tutti gli apparenti hanno un punto debole in comune: hanno paura di essere denudati da chi prima o poi li smaschera, mostrando a tutti la loro vera natura.
Si sentono morire come cocciole a cui è stato strappato il guscio.
Le persone autentiche hanno qualcosa di importante da tutelare ed è la loro dignità, la cosa che più di tutto conta, il bene più prezioso da difendere. Gli apparenti hanno sacrificato in partenza la loro dignità, in funzione dell’opportunismo e siccome badano sempre all’esteriorità, si potrebbe pensare per lo meno che a loro interessi qualche volta salvare la faccia, ma nel loro caso la faccia, stranamente, coincide con una parte poco nobile del corpo.
FAI DEL BENE
Esistono persone che ti sono grate per il bene ricevuto.
Esistono persone che non comprendono il bene ricevuto.
Esistono persone che tramutano in male il bene ricevuto.
Continua a fare del bene, anche se non avrai gratificazioni,
perché la tua anima sarà appagata.
Molte volte, la più grande ricompensa è l’ingratitudine.
Guai però se ti prodigherai per quelli che hanno il male dentro,
perché ti calunnieranno e ti si rivolteranno contro!
“Chi tace e piega la testa, muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta, muore una volta sola.”
Giovanni Falcone
“Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”
Mahatma Gandhi”.
Illustrazioni grafiche dell’autrice
Olga Serina è nata a Palermo il 22 - 03 – 1965.
Vive in provincia di Milano. Docente di Arte e Immagine e pittrice-ritrattista, è autrice delle seguenti opere, dagli svariati argomenti:
1 - GRANDE TERRAZZA (Racconti di esperienze di viaggio).
2 - SULLE ALI DELL’ARTE (Considerazioni e riflessioni del rapporto tra arte e spiritualità).
3 - DIO NEL CUORE (Riflessioni sul tema spirituale).
4 - IL MIRACOLO CONTINUA (Riflessioni sui segni del soprannaturale).
5 - LA REALTA’ CHE SUPERA LA FANTASIA (Racconti umoristici, reali e fantastici).
6 - SOS SCUOLA (Ricognizione di testimonianze raccolte tra persone operanti nell’ambito scolastico).
7 - IL MATRIMONIO DEL CACTUS (Racconti umoristici).
8 - USI E ABUSI DEL POTERE (Storie di mobbing nella Scuola).
9 - QUANDO I NANI SI CREDONO GIGANTI (Racconti tra fantasia e realtà).
10 - PENSIERI PER VOLARE (Meditazioni di uno spirito libero).
11 – Il TRAMONTO DELLA RAGIONE (Romanzo)
12 – PAGINE DELLA MIA VITA - I MIEI RITRATTI (Autobiografia)
13 – PRATICARTE (in formato digitale)
14 – GLI APPARENTI (racconti)
INDICE
Premessa
Gli apparenti
PARTE PRIMA
Capitolo 1 – Le intrusioni barbariche
La famiglia di Chiara
L’ incomunicabilità
Una madre possessiva
Calogero “Il principino”
Oltre l’apparenza
Chiara e Rita
Connivenza e quieto vivere
Il crollo della maschera
Si avvicina il giorno dell’Udienza
Irene
Vanità, superbia e ostinazione
L’apparenza come ambizione
Il bene senza meriti
Simbiosi
Maestra della calunnia
Missive sataniche
Undicesimo comandamento
Non avrai altro amministratore al di fuori di me
Tutelare la figlia o accontentare la madre?
Una guerra inutile
L’ammutinamento della badante
Presunzione o intelligenza?
Riflessioni
L’udienza
Dopo l’Udienza
La resa dei conti
Conclusione
PARTE SECONDA
Capitolo 2 – I parventi
Capitolo 3 - La separazione dal figlio
Capitolo 4 – Angeli nell’ombra
Capitolo 5 – La verità emerge
Capitolo 6 – Il regno dell’invidia
Capitolo 7 – L’aristoguru
Considerazioni finali
Note biografiche
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