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RIVELAZIONI DI UN'ANIMA
Rivelazioni di un'anima
OLGA SERINA

RIVELAZIONI DI UN’ANIMA


ROMANZO





COME LA LUCE DÀ VITA AI COLORI, DIO ILLUMINA LA NOSTRA ANIMA.

LA MORTE È COME SPROFONDARE IN UN SONNO PROFONDO, TI ADDENTRI IN UN SOGNO MERAVIGLIOSO E CI RIMANI PER SEMPRE.

La vita è un viaggio nel tempo verso l’ignoto.

Trascinati dalla macchina del tempo che ci trasforma e ci travolge, tutti noi ci dirigiamo verso l’ultima meta, ma cerchiamo di non pensarci perché spesso la temiamo.

QUANDO SI GIUNGE AL TRAGUARDO DELLA DIMENSIONE DELLO SPIRITO, SI SCOPRONO I COLORI DELLA PROPRIA ANIMA.

L’autrice

      PREFAZIONE

La prima parte dell’opera riguarda la storia di una donna, Gaia, pittrice di fama internazionale. Dopo la sua morte (in età avanzata) la sua esistenza continua in un’altra dimensione e racconta il suo vissuto con atteggiamento distaccato.

Ho deciso di scrivere in prima persona, come se fossi io stessa la protagonista, cercando di rendere il contenuto più avvincente.

Dall’al di là Gaia rivede come in un film tutte le esperienze più significative della sua vita, rivivendo gioie e dolori. Inevitabilmente è portata a fare un resoconto del suo operato, una sorta di analisi delle sue azioni passate. Descrive ciò che vede, mentre crollano i veli dell’illusione e tutto le appare in una luce diversa, guardando con gli occhi dello spirito. Finalmente Dio le sarà rivelato in tutta la sua interezza.

Solo dopo aver varcato la soglia di questa vita, ogni cosa le è stata rivelata, consentendole di trovare risposta alle sue domande. Incontra e riabbraccia tutte le persone care che aveva custodito nel cuore e finalmente l’Amore di Dio la ripaga da tutte le sofferenze passate. Perdona tutti coloro che durante la sua esistenza l’avevano fatta soffrire.

Dopo la sua dipartita, Gaia lascia un grande vuoto nelle persone che l’hanno amata. Per lei il dolore più grande è stata la separazione dal marito e dai figli. Ma arriverà il giorno in cui la sua famiglia si ricongiungerà con lei in Cielo e per sempre. Molti credono che adesso Gaia non esista più, perché, secondo il pensiero dei non credenti, dopo la morte tutto si annienta, ma non è così. Ha lasciato la sua energia attraverso una miriade incalcolabile di opere pittoriche in giro per il mondo e soprattutto un ricordo indelebile in chi l’ha conosciuta e amata. Gaia esiste ancora, così come tutti coloro che l’hanno preceduta nel mondo dello spirito.

Tutti parlano di Dio, ma nessuno è in grado di spiegarlo, è impossibile. Tuttavia resterà sempre un mistero. Soltanto dopo la morte fisica, l’anima purificata e meritevole sarà finalmente appagata. Tante anime hanno amato Dio, senza neanche conoscerlo, ma si verifica solo se riescono ad amare l’umanità in modo incondizionato. Molti si sono fatti uccidere per Lui. Tanti stolti invece hanno combattuto e ucciso in Suo nome, strumentalizzandolo per raggiungere i propri scopi.

Una molteplicità di individui ha rinnegato Dio. Tutti però alla fine dei loro giorni si troveranno inevitabilmente davanti al Suo cospetto, atei, credenti e falsi credenti. Dio sarà il fine ultimo della nostra esistenza. Non terrà conto di chi ha creduto o meno in Lui, ma guarderà le azioni, sonderà il cuore di ogni essere umano, che sarà giudicato in base all’amore che è stato capace di donare. Spesso i miei libri traggono ispirazione dalla realtà, arricchiti dalla mia fantasia e da un pizzico di creatività.

La seconda parte riguarda diverse mie riflessioni.

Ogni riferimento a luoghi, persone o situazioni è puramente casuale.

PARTE PRIMA

LA VITA DI GAIA  

GAIA

La mia vita terrena è arrivata al capolinea e adesso mi trovo dall’altra parte della mia esistenza, trasformata in pura essenza.

Descriverò i veli dell’illusione che mi hanno accompagnano durante le mie esperienze sulla Terra e i lati oscuri delle persone che ho amato. Durante l’esistenza fisica, con l’età della maturità, alcuni di quei veli sono già stati rimossi.

Gli esseri umani vivono sulla terra non in una realtà oggettiva, ma nella percezione che hanno della realtà. Alla fine, soltanto le anime che hanno amato, lottato per la verità e che hanno avuto sete di giustizia potranno giungere in questa ultima dimora, dove si è avvolti dalla luce di Dio. Voglio mettere a nudo i miei sentimenti più nascosti e finalmente qui tutto è stato rivelato. Prima di sentirmi infante, fanciulla, adolescente, adulta, sposa, madre e nonna, sono un’anima. Da bambina ero inconsapevole della vita e del suo scopo, ma, per intuizione, ero già cosciente di essere puro spirito.

Prima di giungere in questa nuova dimensione, dove pervade la beatitudine, ho rivissuto la mia vita passata come in una bobina di un film e attraverso queste pagine cercherò di descrivere in succinto gli eventi e i fatti più significativi.

UN MATRIMONIO COMBINATO

I miei genitori si conobbero in virtù dell’incontro combinato da parte delle rispettive famiglie che si frequentavano: speravano che i propri figli potessero diventare compagni di vita nella promessa del matrimonio. All’epoca non erano rare le unioni combinate. Entrambe le famiglie erano considerate composte da persone per bene, rispettabili, anche per il ruolo che occupavano in società. Siamo negli anni '50, vivevano in un piccolo paese del versante ionico della Puglia. I nonni materni avevano due figlie e i nonni paterni cinque maschi. Entrambi erano diplomati e impiegati statali. Per quei tempi era una vera fortuna.

Il loro desiderio fu coronato, in quanto i miei genitori, dopo il fatidico incontro, si fidanzarono e successivamente si sposarono. Mio padre era biondo con gli occhi verdi. Sembrava un attore per la sua spiccata bellezza. Mia madre era carina, anche se per l’aspetto fisico non poteva competere con lui, ma in compenso emergeva dal punto di vista intellettivo. Comunque, le mie considerazioni sono irrilevanti, considerando che in una coppia ciò che conta è ben altro: i due caratteri si dovrebbero incontrare, quindi è fondamentale che si vada d’accordo, insomma basta che ci sia l’amore.

Presto nacque Davide e, dopo quattro anni, Gaia, la sottoscritta.

I MIEI PRIMI ANNI

Sono nata nel 1960 a Bari, dato che i miei, appena sposati, vi si trasferirono per motivi di lavoro. Avevano entrambi un ruolo da dirigente, mio padre nell’INPS e mia madre nella Regione Puglia. La loro condizione economica era quindi abbastanza agiata.

Mi sentivo in paradiso, avvolta dall’amore dei miei genitori e del mio affettuoso fratello. Ricordo alla perfezione il periodo della mia prima fanciullezza, persino il giorno della mia nascita. Immagino che tanti non mi crederanno, ma non importa. Ricordo quando mia madre mi cambiava il pannolino, memorabili le poppate aggrappata al suo seno, l’odore e il tepore del seno caldo. Indimenticabile anche la ninna nanna che mi cantava tenendomi in braccio, prima di adagiarmi nel lettino. Ricordo i primi bagnetti nel lavandino e poi nella vasca da bagno, mi divertivo un mondo quando giocavo facendomi scivolare dalla parte inclinata, come fosse uno scivolo. Era inevitabile bagnare tutto il pavimento, ma mia madre era paziente e non si lamentava.

Lei era il mio rifugio, era un pezzo del mio cuore, della mia anima e non si può spiegare l’amore immenso che avvertivo da parte sua e che io le restituivo. L’amore è come una magia. Anche mio padre era per me una persona meravigliosa. Mi sentivo amata, coccolata e loro erano il mio principe e la mia principessa. Io e mio fratello giocavamo sempre e ci divertivamo all’impazzata. Davide era dolcissimo, amabile ed eravamo molto affiatati, nonostante la diversità di carattere. Avrei dato l’anima per tutti loro, li amavo più della mia stessa vita.

Non dimenticherò le mie preghiere rivolte a Dio, all’età di cinque anni: “Ti supplico, Dio, non fare morire la mamma e papà e nemmeno mio fratello! Semmai, fai morire prima me. Tanto io non ho paura della morte, perché sono sicura di andare in Paradiso”. Era la mia preghiera ricorrente. Ovviamente in seguito imparai tutte le altre preghiere, durante il corso del catechismo in preparazione alla futura Prima Comunione.

Ero talmente felice che una mattina, appena svegliata, dal mio lettino vidi due angeli alati che libravano nell’aria sotto il soffitto della camera da letto. Non ricordo la mia età precisa, forse intorno a due anni, dato che fino a quattro dormivo nella stessa camera dei miei. Non ebbi affatto paura di quella visione e posso affermare, senza ombra di dubbio, che tutto ciò era reale, anzi, credevo che fosse una cosa normalissima, dato che a quell’età non si è ancora consapevoli della realtà contingente e soprattutto non si è condizionati dai giudizi o pregiudizi che ci vengono inculcati man mano che si cresce. Non a caso, il fanciullo è considerato un essere puro e quindi non mi stupisco se alcuni bambini possano avere delle visioni paradisiache. Dopo quella visione, pensavo che tutti, bambini e adulti, potessero vedere gli esseri celestiali, ma mi sbagliavo.

Dal momento in cui vidi gli Angeli festosi sulla mia testa, la mia fede in automatico si alimentò e sono grata a Dio per questo immenso dono. Da piccola quindi credevo ad una realtà parallela, quella spirituale, non perché lo avessi imparato attraverso i libri o gli insegnamenti religiosi, ma perché ne avevo fatto esperienza. Si susseguirono tantissimi viaggi astrali fino a visitare persino il Paradiso, che mi apparve allora come un barlume di questo luogo dove adesso si trova la mia anima.

LA MIA INFANZIA

I miei genitori avevano un passatempo settimanale. Il sabato sera, dopo cena, si riunivano con una coppia di amici per giocare a carte, a poker. Venivano questi da noi o noi andavamo a casa loro, ma dato che non potevano lasciare da soli in casa due bambini, data la tenera età, ci portavano appresso. Ricordo che frequentavo l’asilo. Noi giocavamo con la loro figlia, una bellissima bambina a cui mi affezionai tanto.

Quel periodo di svago con gli amici di famiglia durò per diversi anni. All’età di sei anni, conoscevo molto bene il gioco del poker, dato che a furia di guardare i miei giocare per ore intere, col passar del tempo, diventai esperta. Spesso, infatti, mi sedevo accanto a mio padre o a mia madre al tavolo, per seguire la procedura del gioco, con la curiosità di osservare i loro volti intenti a tirare le carte giuste e, se qualcuno bleffava (fa parte delle regole), il gioco diventava più interessante. Giocavano con le fiche, che alla fine venivano scambiate in soldi. Quando si superava una cert'ora, io e mio fratello ci addormentavamo sul divano.

Ricordo che mi infastidivo un po’ quando mia madre mi svegliava intorno all’una di notte dicendomi: “Sveglia! Dobbiamo andare a casa!”

Non dimenticherò quando una sera, ero già grandicella, durante una partita a carte mi permisi, ingenuamente, di consigliare a mia madre la carta da cambiare, non l’avessi mai fatto! L’avversario mi rimproverò: “Silenzio, non si parla!” In effetti, durante quelle ore di gioco erano tutti molto seri, non volava nemmeno una mosca, c’era solo il fumo delle sigarette che ci sovrastava. L’aria era irrespirabile, non si apriva nemmeno la finestra e io e mio fratello dovevamo sorbirci tutto il fumo dei giocatori.

Soltanto dopo tanto tempo, con l’età della maturità, mi resi conto che il fumo passivo faceva male alla salute, ma i miei genitori prendevano tutto alla leggera. Mi è rimasto impresso un altro episodio non tanto piacevole. Avevamo fatto una gita sulla neve ed ero tornata a casa tutta inzuppata d’acqua, perché mia madre non aveva pensato di vestirmi in modo adeguato. Sarebbero bastati dei doposcì e qualcosa di impermeabile, ma lei, essendo piuttosto facilona, non ci pensò affatto. Non dimenticherò il mio pianto per il forte fastidio e il freddo pungente che provavo. Il giorno dopo mi beccai la febbre e un brutto raffreddore. Ero ancora troppo piccola, avevo quattro anni, per capire che mia madre era superficiale e agiva con estrema leggerezza.

UNA NUOVA AMICIZIA DI FAMIGLIA

Avevo un anno quando mio padre conobbe una donna di 35 anni, Raffaella. Era un’infermiera che lavorava in una clinica privata. La conoscenza avvenne proprio nel reparto dove lei esercitava, dato che lo aveva curato dopo un normale intervento chirurgico di appendicite. Era stata così premurosa, che lui ne rimase colpito e, prima di essere dimesso, le chiese il numero di telefono. Tra i due si instaurò così un rapporto di amicizia. Mio padre le consigliò di fare un concorso per impiegarsi all’INPS, dato che il suo lavoro le imponeva turni di notte e, avendo una bambina a cui accudire, per lei erano grossi sacrifici.

Raffaella era rimasta vedova molto presto, durante la gravidanza. Era ancora piacente, direi anzi che era una bellissima donna e non passava per niente inosservata. Accettò il consiglio di mio padre, allo scopo di migliorare la sua situazione lavorativa ed economica e presto, grazie al suo aiuto, diventò una sua dipendente. Questa amicizia, così casuale, per lei fu come la manna piovuta dal cielo.

Tutti i giorni mio padre le dava un passaggio in macchina fino all’ufficio, sia all’andata che al ritorno, dato che abitava nel nostro quartiere. Fu inevitabile il consolidamento di questa amicizia e Raffaella entrò subito nelle grazie della mia famiglia, anche perché si faceva volere bene. Era affabile, allegra, attiva e soprattutto molto affettuosa con mia madre, con me e con mio fratello. Come avremmo potuto non legarci a lei e a sua figlia? Diventammo amici persino con i suoi simpaticissimi genitori, molto giovanili.

Mio padre disse a me e a Davide: “Chiamatela zia Raffaella”. Per noi fu semplicissimo e ci abituammo. La vedevamo come una stretta parente. Spesso durante la settimana, tranne il sabato sera che era riservato al poker, andavamo a farle visita, ci scambiavamo inviti a cena e trascorrevamo lunghe serate insieme. Questa frequenza così assidua durò per lunghi anni. Raffaella era diventata l’amica del cuore di mia madre, mentre sua figlia, Sandra, era la mia migliore amica. In breve, la nostra famiglia era come se si fosse allargata.

I fratelli di mio padre erano gelosi, perché notavano che eravamo molto legati a Raffaella e alla sua famiglia. Ricordo le scampagnate primaverili o autunnali, eravamo sempre insieme, io con i miei, Raffaella, Sandra e persino i suoi genitori, che vivevano nello stesso condomino ed erano molto affiatati. Per Sandra erano i nonni ideali, si erano affezionati anche a noi. Successivamente la mia famiglia instaurò un rapporto di amicizia anche col fratello di Raffaella e la sua famiglia. Era come se tutta la sua parentela fosse riconoscente a mio padre per ciò che aveva fatto per lei, poiché la sua condizione economica era cambiata in meglio, oltre alla serenità che aveva raggiunto.

Suo fratello e sua cognata avevano quattro figli, persone allegre. Di tanto in tanto si organizzavano delle rimpatriate anche con loro. Per noi bambini era un vero divertimento giocare insieme nel grande giardino della loro proprietà. Ci riunivamo per le scampagnate estive, per non dire del periodo di Natale, quando tutti si partecipava alla tombolata. Mio padre arrivava a casa loro con una bella guantiera di dolci tipici pugliesi e i bambini, per l’entusiasmo, gridavano: Evviva! I dolci!

I miei genitori non amavano tanto viaggiare, ma una volta mio padre decise di organizzare una vacanza a Firenze, forse perché con noi si era prenotata la zia Raffaella, sua figlia e i suoi genitori e per mio padre si prospettava un piacevole svago.

LE PRIME SOFFERENZE

Già da ragazzina avevo scoperto il punto debole di mia madre: non si doveva assolutamente contraddire o contestare il suo anomalo comportamento, altrimenti andava in crisi, diventando aggressiva e isterica. Una volta ebbe una reazione così esagerata, da sembrare un’ossessa. Ne rimasi scossa.

Ricordo persino la causa scatenante. Avevo circa undici anni e le chiesi cento lire. Lei mi disse che non le aveva, ma, pensando che mi volesse negare quella moneta, fui insistente: “Dai, ti prego, mi servono cento lire!”

Se avesse avuto un po’ di tatto, avrebbe potuto dirmi: “Ti assicuro che più tardi te le darò quando arriverà papà”. Oppure, se avesse avuto i nervi saldi, avrebbe potuto ignorarmi. Invece perse l’autocontrollo. Prese un coltello di acciaio, di quelli pesanti, e con tutta la sua forza lo piegò e lo spezzò in due. La sua espressione era irriconoscibile. Si mise a urlare come un’ossessa e si lasciò cadere per terra urlando:

“Non ce le ho cento lire!!! Non ce le ho cento lire!!! Non ce l’ho cento lire!” Ero terrorizzata e le dissi: “Calmati! Calmati! Non fa niente! Non le voglio!” Non gliele avessi mai chieste!

Intanto mia madre si dimenava, vedevo il suo volto da rosso paonazzo diventare verde e il suo collo gonfiarsi, prendere le sembianze di un grosso serpente. Mi sentivo in un incubo e scoppiai a piangere, mentre pregavo con tutta la mia forza:

“Dio, aiutala! Ti prego aiutala!”

Mi sembrava di vivere in un film dell'orrore: mia madre, in preda a quella crisi, si stava trasformando proprio in un serpente. Dopo parecchi secondi, che sembravano eterni, ritornò in sé e il suo corpo ridiventò normale.

Quei momenti interminabili parvero eterni, era come se fosse stata posseduta dal demonio e, dopo un po’, come se fosse stata liberata da un esorcista. Da quel momento fui consapevole della potenza della preghiera, nonostante fosse una preghiera muta, ma con una forza spirituale inimmaginabile che non pensavo di avere.

Mia madre si tranquillizzò e non si rese nemmeno conto di ciò che aveva vissuto. Il coltello spezzato lo gettò tra i rifiuti, come se nulla fosse, ma non lo fece vedere a nessuno. Se io fossi stata adulta, credo che avrei portato i due pezzi ad un sacerdote per raccontargli lo strano fenomeno. Una cosa è certa: nessuno mai avrebbe la forza fisica per spezzare in due un coltello di acciaio. Mia madre in realtà era stata invasa da una forza sovrumana, ma sicuramente poco rassicurante. Resta dunque un mistero quella terrificante esperienza che sembrava appartenere ad un film horror.

Non raccontai a nessuno quello strano episodio così impressionante, apparentemente surreale. Avevo toccato l’inferno per la paura. Non lo raccontai nemmeno a mio padre e a mio fratello, perché probabilmente non mi avrebbero creduto, magari mi avrebbero preso pure per visionaria. Eppure, la prova ci sarebbe stata: il coltello spezzato in due. Da quel momento, è come se un velo fosse caduto dai miei occhi e mia madre non mi parve più perfetta come la immaginavo. Per paura che si ripetessero questi episodi, cercavo di non contraddirla mai.

Grazie alla mia mitezza e soprattutto per amor di pace, riuscivo ad avere un buon rapporto con lei, nonostante in cuor mio ne soffrissi, provando una certa compassione nei suoi confronti. Lei si mostrava affettuosa, ma in realtà ero io che la coprivo di coccole, ero molto espansiva e lei mi ricambiava l’affetto. Nello stesso tempo dovevo far finta di non vedere i guai che di tanto in tanto combinava, sia perché aveva la testa tra le nuvole, sia per mancanza di spirito organizzativo. Spesso faceva bruciare il cibo che cucinava, a causa della sua distrazione. Mio padre ormai si era rassegnato e non ci faceva nemmeno caso. Grazie al cielo, lui colmava le grosse lacune di lei.

Dopo alcuni anni, feci due sogni molto brutti che mi turbarono profondamente, ai quali non seppi dare una spiegazione. Sognai mia madre alta come un gigante dall’aspetto cattivo, che mi guardava minacciosa e mi voleva schiaffeggiare. Un’altra volta, invece, la sognai che era brutta, molto bassa, come una nanetta, molto cattiva, simile ad una strega; anche questa volta mi guardava minacciosa e io le mollavo un grande ceffone. Mi svegliai terrorizzata. Non riuscivo a capire, perché io amavo mia madre più della mia stessa vita e pregavo sempre per lei. Avevo paura che si ammalasse e morisse. Temevo di restare orfana.

LITIGI TRA I MIEI GENITORI

Ero ancora bambina e ricordo che, trovandoci a casa di Raffaella, ci fu una discussione che si tramutò in un vero e proprio litigio, tra mio padre, Raffaella e sua madre, che si trovava lì. Tutto successe per un motivo davvero banale, direi assurdo, e ne rimasi davvero sconvolta.

In pratica, mio padre si sentiva offeso da Raffaella perché si era accorto che un collega la corteggiava in ufficio e lui ne era infastidito perché, a suo avviso, lei avrebbe dovuto trattarlo con più distacco. A quel punto sua madre prese le difese della figlia, ma lui, non sopportando di essere contraddetto, alzò il tono della voce e allora l’anziana donna si infuriò pronunciando queste parole:

“Si può sapere cosa vuoi tu da mia figlia? A te che te ne frega? Mia figlia non ti appartiene, quindi perché ti arrabbi e ti senti offeso?”

Mia madre intanto assisteva alla violenta discussione senza proferir parola. Io, Sandra e mio fratello restammo sbalorditi. Ero terrorizzata. Raffaella interveniva per difendersi dicendo che non c’era niente di male se un suo collega la corteggiava, ma mio padre non voleva sentire giustificazioni, insinuando che lei fosse compiacente alle avance del collega. Era palese che il movente fosse la gelosia e mi chiedevo: “La gelosia non dovrebbe essere fuori luogo?” Infatti in quel contesto mi sentivo spiazzata e rimasi sconvolta, perché non riuscivo a capire come mai mio padre potesse sentirsi coinvolto emotivamente se Raffaella per lui era soltanto un’amica.

Quell’episodio mi lasciò l’amaro in bocca e da quel giorno iniziai a sospettare di lui. La fiducia nei suoi confronti stava scemando e per me sarebbe stato atroce il non fidarsi più del proprio genitore, anche perché scoprivo cose che mi lasciavano perplessa. Era come se dai miei occhi fosse crollato un velo. Volevo tanto bene a Raffaella, anche mia madre e mio fratello le erano affezionati. Preferii quindi rimuovere quel pensiero, ma nello stesso tempo ero assillata dalla paura di conoscere un giorno la verità. Soltanto successivamente, in età adolescenziale, cominciai a sospettare che tra mio padre e Raffaella potesse esistere un legame che andava oltre la pura amicizia. In fondo ne soffrivo, perché sapevo che era una cosa sbagliata.

Lo capii da tanti indizi. Lui era sempre molto pensieroso, ci portava spesso a casa di Raffaella, non uscivamo mai da soli come dovrebbe fare una famiglia normale. Tutte le volte che si andava a mangiare al ristorante o a fare una gita, Raffaella e sua figlia non potevano mancare.

Una sera ci trovavamo in macchina per accompagnarla a posteggiare la sua auto nel garage di casa sua. Mio padre scese dall’auto per andarle incontro, ma mi impedì di scendere insieme a lui, dicendomi:

“Aspetta in macchina alcuni minuti“. Replicai: “No, scendo con te”. Ma lui me lo impedì. Non si rese conto di quanto la sua reazione mi facesse insospettire. Perché lo avrebbe fatto? Semplice. Si vede che doveva avere con lei delle effusioni amorose o semplicemente l'avrebbe baciata come fanno due innamorati, quindi la mia presenza sarebbe stata inopportuna. Ci rimasi malissimo, anche perché non ero stupida e non si può nascondere un fatto così evidente ad una ragazzina di 12 anni, a quell’età si capisce tutto. Eppure, per amor di pace, non dissi nulla a mia madre, soffrendo in silenzio.

Un giorno, quando mia madre non era in casa, mio padre mi disse: “Gaia, vai a comprare le arance”. Era solo una scusa per poter telefonare alla sua amante senza che io potessi ascoltare. Non l'aveva mai fatto, dato che la spesa la faceva sempre lui. Lo accontentai, ma ci rimasi molto male. Infatti, subito dopo, mio padre uscì di casa per poi rientrare molto tardi.

Non dimenticherò tutte le sue nottate, a volte si ritirava anche al mattino. I primi anni della mia infanzia dovevo assistere alle scenate che mia madre gli faceva ed io stavo davvero male. Soffrivo tantissimo perché si era rotto quell’incantesimo che vivevo quando era molto piccola e incosciente: avevo idealizzato i miei genitori e ora scoprivo i loro grossi difetti. Avevo conosciuto la sofferenza morale.

Mio padre continuava a rincasare di primo mattino e si giustificava con mia madre dicendo che si recava a casa di un amico per incontrare altri compagni di gioco. Lui in verità era l’amante della sua migliore amica e non credo proprio che facesse nottate solo per giocare a carte con gli amici, questa era solo una copertura. Non potrò dimenticare quando una volta, era notte inoltrata, mia madre agitatissima telefonò ad uno dei suoi amici per accertarsi che suo marito fosse a casa sua. L'amico rispose che non c’era e se n'era già andato da un pezzo. Quando infine rientrò, dopo alcune ore, dovetti assistere ad un’altra scenata tra lui e mia madre.

Eppure, l’affetto che ci legava in virtù di quell’amicizia, che sembrava innocua, era più forte dei sospetti. In teoria, Raffaella doveva essere considerata la nostra rivale, soprattutto agli occhi di mia madre. Non ho mai capito, nemmeno da adulta, se fosse a conoscenza della relazione extraconiugale del marito o se fosse così stupida da non capire, ma la cosa più grave era che la sua amante era proprio la sua migliore amica. Probabilmente si comportava come lo struzzo che mette la testa sottoterra perché non vuole vedere la realtà.

Man mano che crescevo, questo sospetto aumentava sempre di più, ma cercavo di dire a me stessa che non era possibile. La verità, comunque, la conobbi da mio zio, dopo tantissimo tempo, alcuni anni dopo la morte di mio padre. Ci rimasi male, ma nello stesso tempo mio zio non aveva fatto altro che confermare ciò che avevo sospettato per tutta la vita. Insieme agli altri fratelli, da sempre era a conoscenza della relazione extraconiugale di mio padre e taceva. In verità i due erano stati amanti da sempre.

Arrivò il giorno in cui mia madre si rassegnò al tipo di vita che conduceva suo marito, forse perché era stanca di dover combattere senza alcun risultato, concedendogli quindi tutta la libertà. Finalmente a casa si ristabilì la pace, ma a quale prezzo! Non capivo il motivo per cui continuassero a vivere insieme. Avevano una dignità?

Sta di fatto che non litigarono più, o raramente, erano diventati quasi come due estranei, come se fossero separati in casa, pur dormendo nello stesso letto. Probabilmente il loro non fu mai un vero amore, forse ci fu solo l’innamoramento iniziale, ma in realtà non era mai esistito quel feeling, quella complicità che di solito occorre in una coppia. Ognuno viveva come per sé stesso, tranne che quando si trattava di affrontare i problemi familiari. La loro relazione si basava soltanto sull’opportunismo reciproco. Mia madre, ad esempio, non era una brava casalinga, non aveva per nulla uno spirito organizzativo, qualità che invece mio padre aveva.

Credo che il fatto di non avere il coraggio di separarsi, fu anche per la paura del giudizio sociale. Allora mio padre preferì scegliere la doppia vita, anche perché gli stava molto bene il cospicuo stipendio della moglie che, debole di carattere, gli dava tutti i soldi che lui le chiedeva. Ma, a parte questa sua debolezza caratteriale, perché non fu capace di conquistare suo marito? Lui non poteva essere giustificato per la sua infedeltà, ma lei si rivelò una persona fredda e distaccata, anche con i figli. Lo capii in età adulta, quando pian piano la vita mi portò ad abbassare il velo dell’illusione: avevo idealizzato i miei genitori, soprattutto lei, e questo mi aveva trascinato nell'inganno.

IL RAPPORTO COL DENARO

Mio padre si lamentava sempre che i soldi non bastavano mai, quando invece quasi nuotavano nell’oro. Ma che fine facevano quindi quei soldi che si volatilizzavano? Li perdeva col gioco d’azzardo, o li dava alla sua amante? Rimase un mistero. Sta di fatto che mia madre si lamentava sempre di lui che sperperava il denaro, ma lei non era certamente un modello da imitare, dato che era ancora più irresponsabile del marito, in quanto aveva il vizio di giocare in borsa. Lo venni a sapere dopo sposata, da mio padre. Mi confidò che la moglie, negli anni, aveva sperperato un capitale. Provai una tristezza infinita e una delusione indicibile. Si spiegava il motivo per cui non furono capaci di mettere da parte dei risparmi, essendo abituati a scialacquare senza dare valore al denaro. Lo trovavo immorale, ma non osavo criticarli, per non essere aggredita.

Se fossero state persone responsabili, avrebbero potuto risparmiare per le esigenze future della famiglia, come fanno tutte le persone benestanti e come fecero tutti i fratelli di mio padre, nonostante la loro condizione economica fosse meno agiata. Tutti i parenti comprarono un appartamento a ciascuno dei loro figli e non si facevano mancare nulla.

Mia madre, inoltre, ogni sabato giocava la schedina e mi diceva: “Se vinco, ti prometto che compreremo una villetta chic in montagna”. Viveva di sogni; se avesse avuto la testa sulle spalle, avrebbe potuto comprarne tre di ville! Spese non so quanti milioni di lire per il mio corredo, che in realtà non mi interessava, sapendo che non sarebbe servito a nulla, perché non lo avrei nemmeno usato.

Ogni tanto ingaggiava qualche donna per le pulizie di casa e sistematicamente si faceva fregare gioielli e soldi che lasciava in giro. Per lei era normale.

Nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza, mi dedicò poco tempo, non solo per via del lavoro, ma perché era troppo concentrata in sé stessa. Nel suo lavoro delegava qualche suo dipendente a svolgere le mansioni che le competevano, ma che era incapace di assolvere. Lei stessa aveva affermato in diverse occasioni di non sentirsi all’altezza del ruolo importante che rivestiva. Se non era adatta a gestire la propria famiglia, figuriamoci comandare sui suoi dipendenti! Aveva bisogno sempre di essere guidata dagli altri. Era una vera schiappa, ma il più delle volte si vantava di essere superlativa e all’altezza di ogni situazione.

CROLLANO I VELI DELL’ILLUSIONE

Col tempo, l’amicizia con Raffaella e la sua famiglia si allentò, anche se mia madre non perse mai i contatti con lei, fino all’età della vecchiaia.

Il giorno in cui morì Paolo, il fratello di Raffaella, per me e mio padre fu un grande dolore. Piangevamo singhiozzando, mentre mia madre non versò nemmeno una lacrima. Anche quando morirono altre persone care lei rimase sempre indifferente e ciò mi colpì. Mio padre, a parte la sua condotta sleale nei confronti della moglie, devo riconoscere che aveva un cuore grande, si legava agli altri e si immedesimava nelle sofferenze altrui. Aiutava tante persone e non si tirava mai indietro. Era generoso, compassionevole, a differenza di lei che invece cercava solo gratificazione. Era come se fosse questa la finalità della sua esistenza. Voleva solo apparire e viveva per il giudizio sociale, senza darlo a vedere, ma simulando una finta umiltà d’animo.

A parte tutto, io non mi sento in grado di giudicare i miei, ora che sono un’anima priva del corpo fisico. Posso però affermare che, essendo molto sensibile, ho sofferto molto in quel periodo della mia fanciullezza, quando assistevo ai loro litigi o quando di notte non riuscivo a dormire perché aspettavo che mio padre rincasasse. Stavo in ansia per lui e tacitamente piangevo e pregavo, sotto le coperte. Piangevo perché stavo in apprensione e perché trovavo ingiusto quel suo comportamento immorale.

RICORDI

In quinta elementare la maestra assegnò questo tema in classe: “Qual è il lavoro che vorresti esercitare da grande?” Scrissi che volevo diventare una pittrice famosa, per due motivi: il primo perché amavo la pittura, dato che mio nonno era stato un bravo pittore e probabilmente avevo ereditato i suoi geni; il secondo era che con tutti i soldi che avrei guadagnato avrei salvato il mondo, perché avrei comprato il cibo a tutte le persone che morivano di fame.

Mi innervosiva l’idea che i miei non avessero mai dato valore ai soldi, sprecandoli in modo inutile e io avrei voluto riscattare la loro dissolutezza. Non avevo solo la speranza di diventare una brava pittrice, lo davo per scontato. Già da allora sapevo quello che volevo e puntavo a realizzarlo. Da bambina mi affezionavo molto alle persone e anche agli animali.

Un giorno ci regalarono una gattina soriana, Stellina. Era stupenda, io e mio fratello ci affezionammo a lei, come se facesse parte del nucleo familiare. Anche i miei genitori si erano legati, almeno sembrava, ma agirono con molta leggerezza perché commisero un grande errore. Dopo tanti anni di convivenza e di coccole, un giorno decisero di abbandonarla per strada, in una periferia di Bari, soltanto perché di notte, periodicamente, quando andava in calore, infastidiva i vicini di casa con il suo intenso miagolare.

Ero adolescente quando mi procurarono questo grande dolore e mi chiedo come mai non ebbero il buon senso per capire che avrebbero potuto sterilizzarla. Ma li perdonai. Non è finita! Dopo circa un anno abbiamo incontrato Stellina nei paraggi del nostro appartamento, ci guardava con molta diffidenza, come per rimproverarci, ed era terrorizzata, tanto da non avvicinarsi a noi. Provai un dolore indescrivibile, perché mi immedesimai in lei, come se ci dicesse: “Mi avete tradito! Come potrei fidarmi ancora di voi?”

Dopo alcuni anni, ci regalarono un’altra gatta, Batuffola. Abitavamo al piano terra. Un giorno scappò di casa e dopo alcuni giorni ritornò, incinta. Partorì sei cuccioli e mia madre era confusa perché non poteva tenerli tutti. Una sera vidi che i gattini non c’erano più, allora preoccupata le dissi: “Mamma. Dove sono i cuccioli?” Lei, con tutta tranquillità, mi rispose: “Non preoccuparti, Gaia, ho dato l’incarico a Paolo (un amico di famiglia) di gettarli da una rupe, dato che lui vive in montagna, perché meglio morire che essere schiacciati da una macchina!”

Mi arrabbiai molto e gridai: “Ma cosa hai fatto? Li hai uccisi! Sei cinica e insensibile! Ti rendi conto della gravità del tuo gesto? Tu così ami gli animali?” Lei non fece una piega, mi impressionò per la sua impassibilità. Da quel momento la conobbi più a fondo, provando un dolore in cuore. Come riusciva a non avere rimorsi di coscienza? Io al suo posto avrei regalato i gattini! Avrei fatto di tutto per cercare qualcuno disposto ad accogliere quei cuccioli così dolci e indifesi.

Ma le perdonai anche questo madornale errore e solo in età adulta acquisii la consapevolezza del cinismo di mia madre. Eppure la amavo. I miei genitori erano la mia vita. Pregavo Dio di custodirli per sempre.

Mia madre in verità era una donna fredda, priva di sentimenti, ma riusciva a spacciarsi per una persona sensibile e amorevole. Si legava agli animali ma solo egoisticamente. È come se uno amasse i propri figli ma non avesse pietà per gli altri bambini. Una persona capace di amare dovrebbe essere compassionevole non solo verso tutti gli esseri umani, ma con tutti gli esseri viventi.

Ciò che mi fece soffrire, oltre al fallimento di coppia tra i miei genitori e allo spreco scellerato di soldi, fu di avere avuto una madre assente. Non mi dedicò molto tempo, era sempre presa dal lavoro e dal suo mondo. Era un’accentratrice. Il suo distacco lo avvertì maggiormente dopo aver formato la mia famiglia. Non ho mai avuto delle gratificazioni da lei. Cercava sempre di sminuirmi, criticando ogni mia iniziativa. Non mostrava gioia e non mi incentivava a dipingere. In compenso ero la figlia prediletta di mio padre e lui era orgoglioso di me.

La vidi piangere solo per la morte della sua unica sorella. Aveva settantanove anni quando ci lasciò, era obesa e sofferente. Amavo mia zia e fu un grande dolore per tutti noi.

LA FIGLIA ADOTTIVA E LA VERITÀ NASCOSTA

Da giovane, mia zia e il marito avevano adottato una bambina, dato che non potevano avere figli. Dal loro punto di vista, sarebbe stato uno scandalo dire la verità alla figlia adottiva. Antonella, la bimba, arrivò in quella casa all’età di un mese, era stata abbandonata da una ragazza madre molto giovane che non poteva mantenerla. Tutti immaginavano che la bambina, una volta cresciuta, verso i quattro – cinque anni, avrebbe conosciuto la sua storia dai genitori adottivi, ma essendo queste persone molto insicure, con complessi di inferiorità, pensarono di tenerle nascosto questo segreto, che per loro era un tabù, commettendo l’errore più grande della loro vita.

Il vero scandalo fu quello di aver cresciuto la figlia nella menzogna. Antonella conobbe la verità solo all’età di cinquant’anni, dopo la loro morte, ne rimase sconvolta e provò amarezza nei confronti delle persone che aveva amato e di cui si era fidata ciecamente. Adottare un bambino è un nobile atto d’amore, ma Antonella aveva nutrito un certo rancore nei loro confronti dopo la loro dipartita, perché si era sentita tradita.

LA MORTE DI MIO FRATELLO

Lo strazio più atroce fu la morte di mio fratello. Aveva quindici anni quando morì così all’improvviso. Fu per noi un terremoto e il lutto ci lasciò un segno indelebile. Davide era un ragazzo splendido, un carattere mite, altruista. Era per me la persona più cara. Esisteva tra di noi una complicità incredibile. Eravamo molto affini. Direi che era un angelo in terra. Avevo 11 anni quando morì, a causa di un incidente stradale. Si trovava in auto con mio padre quando una macchina che correva ad alta velocità, li travolse in un istante tagliando la strada. L’impatto fu così violento che Davide restò in coma per un mese e poi il suo cuore cessò di battere. Mio padre si salvò per miracolo.

Da quel giorno mi sentii crollare il mondo addosso e decisi di aggrapparmi alla fede. Quando era in ospedale tra la vita e la morte, pregavo tutti i giorni, sperando che si svegliasse, ma Dio non ascoltò le mie preghiere. Quante domande mi ponevo! Eppure, non provai né rabbia né delusione nei confronti di Dio, perché la parte razionale o il mio inconscio mi diceva che Lui è buono e misericordioso, quindi doveva pur esistere una ragione per questa tragedia, solo che noi non la conoscevamo. Che ne sappiamo noi? Tuttavia, vivevo come se mi trovassi in una sorta di inferno, per il dolore che la mia anima provava a causa di quella scomparsa.

Non posso spiegare ciò che provai, anche perché, ripeto, il legame affettivo era troppo forte, come se avessi perso un figlio. Non avevo più voglia di vivere. Facevo tutto meccanicamente e avevo perso la mia vitalità. I miei genitori rimasero scioccati, mio padre entrò in depressione per circa un anno, poi pian piano si riprese, ma anche lui non era più quello di prima. Mia madre era la più forte perché ebbe una capacità di reazione impressionante.

Io mi sentivo la persona più colpita. Tutto ciò che facevo mi sembrava inutile, mi mancava la presenza di Davide, il suo sorriso, la sua allegria, il suo affetto, non c’era più il mio unico fratello, io ero morta insieme a lui, ma nessuno forse se ne accorgeva. Avevo ripreso ad essere quella ragazzina vivace e allegra, ma la mia anima era profondamente ferita. Continuavo a frequentare la scuola, a giocare con le mie amiche, ma lo facevo solo con la forza di volontà.

Le mie preghiere erano dedicate non solo a mio fratello, perché immaginavo che lui si trovasse in Paradiso, ma soprattutto ai miei genitori, dei quali intuivo la grande sofferenza. Chiedevo a Dio di restituirmi la voglia di vivere, anche perché avevo in animo di realizzare tante cose.

Da quel giorno ho capito cosa significhi soffrire per la separazione di una persona cara, soprattutto se esiste un feeling speciale. Davide era sangue del mio sangue, ma soprattutto una persona meravigliosa, la cui anima era sulla mia stessa lunghezza d’onda. Grazie al cielo, con gli anni incontrai persone meravigliose, amicizie autentiche che contribuirono a farmi crescere spiritualmente.

Doveva essere cambiato il mio punto di vista e non la volontà di Dio, poiché la Sua non coincide con la nostra. A parte tutto, credo che le nostre preghiere siano sempre molto importanti, anche se spesso le nostre aspettative vanno deluse. Può darsi che le preghiere siano utili per la salvezza delle anime o per la nostra stessa. Se chiediamo la guarigione di qualcuno e questa si verifica, pensiamo che siano state le nostre preghiere, quindi che dipenda dalla volontà di Dio, ma resta pur sempre un mistero che quando non vengono esaudite, a volte si perda la fede, oppure si creda che non fosse nella volontà di Dio. Non voglio entrare nel merito perché si tratta di un mistero, ma una cosa ci dovrebbe far riflettere: nella preghiera del “Padre nostro” esiste una frase molto bella e sicuramente molto difficile da accettare, “Sia fatta la tua volontà”.

In età adulta ho capito quindi che la cosa più importante è di cercare di vivere secondo la Sua volontà come insegna anche la filosofia del Divin Volere della Beata Luisa Piccarreta. Ma chi è in grado di vivere secondo la volontà di Dio? A parte tutte le considerazioni in merito alla fede e alle nostre preghiere (per chi ci crede) devo constatare che il dolore determinato dalla separazione di mio fratello mi lasciò un vuoto incolmabile per tutta la vita, anche se pian piano ho riacquistato la voglia di vivere, cercando di compensare quella mancanza con le soddisfazioni e gratificazioni che ho raggiunto, sia nell’amore che nel lavoro. La mia vita è stata ricca di riconoscimenti e ho raggiunto il successo nel campo della pittura.

La mia fede non si è mai affievolita, anzi, forse si è rafforzata, perché il dolore ci fa maturare, anche se ho potuto notare che purtroppo ci sono tante persone che con la sofferenza si abbruttiscono anziché diventare più sensibili. Mia madre è stata un esempio negativo. Lei, infatti, non solo si era chiusa in sé stessa, ma era diventata più arida nei suoi sentimenti. Io pensavo e speravo che potesse riversare il suo amore nell’unica figlia che le era rimasta, invece, nonostante il mio affetto e la fiducia che riponevo in lei, si distaccava sempre più da me, quasi fossi io la colpevole della morte di Davide.

A volte mi diceva: “Tu sei una ragazza felice, non ti manca nulla, invece io non ho più mio figlio”. Mi lasciava spiazzata e nemmeno le rispondevo. Come farle capire che anch’io soffrivo maledettamente per quel vuoto che Davide ci aveva lasciato? Che ne sapeva lei di quante preghiere e lacrime avevo versato per suo figlio? Il suo comportamento mi preoccupava tantissimo. Tuttavia, continuavo ad amarla, ma la stima nei suoi riguardi continuava a scemare.

VOGLIA DI VIVERE

Dopo aver conseguito il diploma e la laurea in Architettura, decisi di intraprendere la strada della pittura. La mia ambizione, infatti, non era di lavorare come architetto, pur se gratificante, ma di vivere di arte, che mi appagava totalmente e sprigionava al massimo la mia creatività. Sentivo che prima o poi la pittura dovesse diventare il mio lavoro, anche se ero impegnata di tanto in tanto come architetto.

La camera di mio fratello diventò il mio laboratorio artistico. Producevo tantissimo. Uscivo soltanto il sabato e la domenica con gli amici, trascorrendo in media sette ore al giorno a dipingere per il resto della settimana.

All’età di 18 anni riuscivo a mantenermi e tutti i miei viaggi li ho finanziati con i soldi che guadagnavo col mio lavoro: producevo tanto e vendevo i miei quadri. Mi sentivo realizzata, pur essendo ancora giovanissima.

La mia strada era il surrealismo e pian piano mi perfezionai sempre di più. L’arte era per me un rifugio, dopo il vuoto che il mio cuore non riusciva a colmare, ma col tempo ebbi tanta consolazione e anche l’aiuto di Dio. I miei quadri erano molto apprezzati e di tanto in tanto li regalavo, rendendo felici i miei amici, ma detestavo chi voleva approfittarsi della mia generosità.

All’età di 24 anni conobbi una critica d’arte abbastanza nota, Loredana. Un giorno la invitai a casa per farle vedere le mie opere. Ne rimase affascinata e mi consigliò di intraprendere seriamente questa strada, quindi la prima cosa che mi suggerì fu di non regalare più le mie opere, tranne per qualche occasione eccezionale, poiché solo vendendole le avrei valorizzate e così, quando mi fossi affermata, avrei potuto venderle ad una cifra più alta. Mi esortò a fare un salto di qualità, così che la pittura sarebbe diventata il mio sostentamento.

Incontrai gente di tutti i tipi, anche tanti benestanti, ma tirchi, oppure persone ignoranti che non riuscivano a dare un valore ad un’opera d’arte, pensando che un quadro si potesse realizzare in un attimo, con la bacchetta magica. Non dimenticherò quando una volta la mia parrucchiera ebbe il coraggio di dirmi: “Gaia, facciamo un baratto? Io ti regalo un taglio e tu mi regali un quadro a olio”. Pensavo che scherzasse, invece diceva sul serio. Le persone meravigliose però che incontrai nell’arco della mia vita mi rimasero per sempre nel cuore.

IL SUCCESSO

Loredana dedicò alle mie opere degli articoli su riviste d’arte importanti e organizzò anche delle mostre di pittura dove esposi tanti quadri. Le mie opere andarono a ruba, di ogni mostra non restava un solo quadro. Uscirono diversi articoli sui giornali che parlavano delle mie opere. Dopo alcuni anni, organizzò una mia personale a Londra. Il successo fu strepitoso.

Con gli anni diventavo sempre più brava fino ad ottenere un eccezionale riconoscimento di pubblico. Mio padre era fiero di me, mia madre indifferente.

Il successo mi era come piovuto dal cielo. Speravo semplicemente di vivere di pittura e ci riuscii. Per me era come un miracolo, perché non credevo di meritarmi tanto, pur non sottovalutando le mie capacità. A mio avviso non erano importanti i giornali che parlavano di me, ma la vendita continua delle mie produzioni, perché il vero successo si vede dai risultati concreti. Chiunque può avere delle pubblicazioni su libri d’arte importanti, ma questo non vuol dire niente, dato che con i soldi si può comprare tutto, anche il fumo, cioè l’illusione di essere qualcuno solo perché si riesce comparire in pubblicità. Nel mio caso invece il successo consisteva non solo nel nome che avevo, quindi nella notorietà raggiunta, ma nel fatto di produrre e vendere tantissimo. I miei quadri erano ormai abbastanza quotati, proprio per la continua richiesta.

Avevo guadagnato tantissimi soldi che mi permisero di acquistare un vero e proprio studio in centro città. Il mio nome divenne importante: Gaia Schillaci. Fui invitata a partecipare a mostre prestigiose in Italia e all’estero.

IL MATRIMONIO

All’età di 32 anni conobbi Vittorio, un bravissimo cantautore. I miei parenti, ma non i miei genitori, lo snobbavano perché non aveva un lavoro sicuro, mentre loro, essendo tutti impiegati statali, credevano che gli altri dovessero essere a loro uniformati per poter entrare nelle loro grazie. Ovviamente non mi curavo del giudizio di queste persone.

Vittorio per mantenersi lavorava in un ristorante come aiutante cuoco, ma la sua ambizione era quella di vivere della sua passione e del suo talento artistico. Dopo un po’ ci sposammo perché capimmo che eravamo fatti l’uno per l’altra.

I miei suoceri erano persone splendide e fui accolta nella sua famiglia come se fossero i miei genitori. La loro semplicità e umiltà d’animo erano disarmanti. Erano persone con tante qualità e soprattutto dotate di uno spiccato senso pratico, parsimoniose, sincere, affabili, altruiste. Tutte quelle caratteristiche che mancavano a mia madre e alla mia parentela. I miei suoceri erano agli antipodi. Erano di origini modeste ma che sapevano attribuire valore ai soldi, proprio perché li guadagnavano con la fatica. Per questo motivo li consideravo senza dubbio persone mature e responsabili. Pur se avevano studiato solo fino alle elementari e appartenevano ad una differente estrazione sociale, li ritenevo individui più intelligenti, rispetto a tante persone colte e benestanti che magari hanno solo la presunzione di essere migliori. Li apprezzavo di più rispetto alla mia famiglia, poiché erano genuini, senza velleità e infingimenti. A loro non interessava il giudizio sociale, ma soltanto quello di Dio. Uno dei tanti valori che possedevano era la fedeltà coniugale. Erano molto affiatati fino all’età della vecchiaia. Due esempi di persone da imitare e mio marito aveva ereditato da loro gli stessi principi. Mi sentivo fortunata di appartenere a quella famiglia.

Percepivo tutta la loro benevolenza e devo confessare che mi sentivo profondamente legata a entrambi. Quando arrivò il giorno della loro morte piansi disperatamente e ne soffrii moltissimo. Avevo pregato Dio con tutta l’anima per la loro guarigione, durante il periodo della malattia, ma era arrivato anche per loro il momento di lasciarci.

Mio marito organizzava le mostre per me. Ebbe la fortuna di affermarsi come cantautore e così anche lui coronò il suo grande sogno. Entrambi ci sentivamo realizzati nel lavoro e nell’amore. Amavo tantissimo le sue canzoni. Era un grande poeta, nonostante la sua grande modestia di artista. La nostra vita era ricca di emozioni. Ci sentivamo due persone fortunate.

Dopo due anni, nacquero i nostri splendidi figli, Simone e Giovanni: due gemelli che allietarono la nostra esistenza, anche se le preoccupazioni non mancarono. Anche loro intrapresero la via della musica: uno suonava il violino e l’altro l’arpa.

Dopo un lungo periodo ci trasferimmo in una casa più grande, una spaziosa villetta. Era la tipica casa degli artisti, tra quadri e strumenti musicali si respirava un’atmosfera magica e piena di amore. La nostra era una famiglia unita. Col tempo le mie opere salirono di quotazione e iniziavo a nutrire un grande sogno: realizzare un ospedale e una scuola in Madagascar, tramite una carissima amica suora che aveva contatti diretti con un sacerdote missionario italiano che viveva in un villaggio di quella nazione.

Dopo alcuni anni mio marito aveva già lasciato il suo impiego, perché il tempo non gli bastava e finalmente poteva permettersi di vivere di sola musica. Tutti e quattro eravamo appagati dalla nostra arte. Eravamo attorniati da splendide persone che ci volevano bene. Io lo seguivo spesso nei suoi concerti.

CONFIDENZE

Ricordo quando mia madre, che aveva superato i sessant’anni, mi confidò che non c’era mai stato quell’amore tra lei e suo marito. Le chiesi: “Perché lo hai sposato?” Lei candidamente mi rispose: “Perché avevo paura di rimanere nubile, avevo già 35 anni e tutte le mie amiche si erano sposate. Tuo padre mi piaceva fisicamente”. Non le risposi ma capii quanto fosse superficiale e irresponsabile. In quel periodo lei si lamentava sempre di mio padre con atteggiamento vittimistico, finché un giorno le dissi: “Anziché fare la vittima, perché non vi separate?” Mi rispose: “Perché è sempre una compagnia. E poi a me non piace guidare, per cui mi faccio accompagnare da lui quando devo andare da qualche parte”.

A quel punto preferii stare zitta, capendo che tra noi non ci poteva essere una vera e propria comunicazione.

Mio padre morì a sessantatré anni in un incidente stradale. Io soffrii tantissimo. Anche tutti i suoi amici ne furono addolorati. Raffaella, la sua amante, era afflitta. L’unica che non mostrò dolore fu mia madre, o meglio, pianse per lui, ma presto lo dimenticò. Nonostante i suoi grossi errori, lui era affettuosissimo con tutti ed era una persona molto buona d’animo.

In passato avevo pensato che forse i miei sarebbero stati più felici se si fossero separati, invece preferirono vivere all’insegna dell’ipocrisia e per opportunismo economico. Poi mi davo la risposta: noi chi siamo per poter giudicare? Si vede che le esigenze di ciascuno dipendono dal suo livello spirituale. Del resto, io sono nata grazie alla loro unione, giusta o sbagliata che fosse. Ciò che conta quindi è che questa coppia abbia portato i frutti, poiché i miei genitori hanno dato la vita a me e a Davide. Grazie a loro sono nati anche i miei figli.

Quando mio padre volò in cielo, se ne era andato un pezzo del mio cuore, provai un vuoto per diversi anni, perché mi mancò la sua vicinanza, il suo affetto, le sue telefonate e tutte le sue premure. Per quanto grande fosse il mio dolore, quello che avevo provato per mio fratello era stato ancora più grande, anche perché Davide aveva solo 15 anni quando ci aveva lasciato. Mio padre non ebbe la fortuna di conoscere i suoi nipoti, se ne andò troppo presto.

INASPETTATA DELUSIONE

Gli anni passavano e mia madre era ormai abbastanza anziana e viveva in solitudine. Di tanto in tanto frequentava l’unica amica che le era rimasta, Raffaella, l’ex amante di suo marito. Sua nipote Antonella, mia coetanea, figlia adottiva della sorella, l’unica parente diretta, era in ottimi rapporti con noi. La stimavo tantissimo. Ci frequentavamo.

Un giorno ricevo da Antonella una lettera inaspettata, rimasi scioccata per il contenuto. All’inizio non mi raccapezzavo perché non riuscivo a darmi una spiegazione di quel suo inconsulto comportamento, mi domandavo perché mi avesse inviato quella lettera sconvolgente e piena di odio nei miei confronti: diceva che mancavo di rispetto a mia madre, creandole solo problemi, e che ero una persona bugiarda, pericolosa. Mi definì “un mostro di cattiveria”.

Rimasi esterrefatta. Pensavo che mia cugina fosse impazzita. Solo dopo collegai e capii il motivo di quel suo radicale e inspiegabile cambiamento nei miei confronti, dato che non c'era mai stato un battibecco, una discussione o incomprensione. Ci frequentavamo spesso, ci scambiavamo regali e le volevo un bene dell’anima. Cercai di telefonarle, per cercare di capire cosa fosse successo e per chiederle il perché di quella strana lettera, ma era irreperibile. Evidentemente aveva deciso di allontanarsi per sempre da me. Me ne feci una ragione, ma ovviamente mi cadde dal cuore.

Antonella la consideravo come una sorella e riponevo in lei una grande stima, ma si vede che il sentimento non era reciproco. L’avevo idealizzata per un’intera vita, fino al momento in cui dai miei occhi crollò il velo dell’illusione e mi permise di vederla per quello che era realmente. Quella persona alla quale avevo voluto bene e nella quale riponevo tutta la mia fiducia, in realtà non era mai esistita. Esisteva solo nell’idea che mi ero fatta di lei, proiettando me stessa in lei. Qualcuno che arriva a odiarti dal più profondo, senza una minima ragione, non è normale. Qualcosa non quadra.

Ne misi al corrente mia madre mostrandole quella lettera assurda, che ovviamente non mi apparteneva. Lo feci per informarla dei sentimenti di mia cugina, ma soprattutto per conoscere il suo parere. Lesse quell’imprevedibile lettera e non fece una piega, non si indignò affatto del contenuto, anzi notavo in lei una certa soddisfazione. Rispose: “Si vede che Antonella avrà avuto le sue motivazioni!”. A questo punto era tutto palese: mia madre era la responsabile dello strano comportamento di mia cugina, a cui era molto legata. Non esistevano altre spiegazioni.

Era stata capace di lavorarsi la nipote con l’arte della mistificazione per raggiungere il suo scopo. Solo successivamente venni a sapere che le aveva raccontato falsità sul mio conto. Mi aveva calunniata tra i parenti e i conoscenti. Parecchie persone, infatti, mi avevano messo già in guardia e persino lei stessa, ingenuamente, mi confessò di avermi fatto una brutta pubblicità, dicendo in giro che la trattavo male e che la volevo collocare in una casa di riposo. Atroce!!! La cosa sconvolgente fu che lei non mostrò segni di pentimento, anzi era persino orgogliosa di avere agito in quel modo, perché a suo avviso era stata una rivalsa, fondata su un suo pregiudizio, dato che si basava su un pensiero malato.

Per quale motivo avrei potuto pensare a una cosa simile? Tra l’altro non ce ne sarebbe stata affatto la necessità, dato che mia madre viveva nella sua bella casa ed era ancora autonoma. Che vantaggio ne avrei potuto avere io? Sarei stata una matta o una persona spietata se avessi avuto l’iniziativa di farla vivere in una casa-famiglia senza che ci fossero i presupposti. Mi chiedevo se fosse consapevole di mentire, o ci credeva veramente?

Facevo fatica a crederla così diabolica, quindi pensai che manifestasse segni di squilibrio psichico, in preda a manie di persecuzione. Una cosa però era certa: Antonella era stata plagiata da lei.

Ricordo quando un giorno, prima di andare in chiesa, mia madre mi disse: “Perché non vai a confessare tutti i tuoi peccati al sacerdote?” Rimasi scioccata, anche se ora mi ero abituata alle sue vessazioni. In quel momento mi sembrò di avere a che fare con una persona posseduta e invocai Dio mentalmente: “Dovrebbe essere esorcizzata? Dio, ti supplico, liberala dal male che ha dentro di sè!” Come un lampo, mi tornò in mente quello strano e terrificante episodio della sua crisi isterica che l'aveva trasformata in un serpente, vissuto anni addietro durante la mia fanciullezza. In verità tutti i requisiti che mia madre si era cucita addosso appartenevano solo all’apparenza: finta modestia, finta riservatezza, finta umiltà e falsa lealtà. Così appariva a tutti coloro che la conoscevano superficialmente.

IL FUOCO DELLA DISCORDIA

Se Dio non ascoltò le mie preghiere, significa che non dipendeva dalla Sua volontà, che c'erano delle motivazioni che noi non conosciamo. L’importante era che io continuavo a pregare per mia madre e anche per mia cugina, entrambe mi avevano pugnalato e delusa. Del resto, anche Gesù fu tradito e ha perdonato Giuda. Non sono in grado di stabilire se Antonella se ne fosse pentita, perché si può uccidere anche con le parole e lei aveva manifestato i suoi bassi sentimenti attraverso una diabolica lettera. Se è vero che quella missiva non mi scalfì più di tanto, mi addolorai per l’intenzione con cui l'aveva scritta, per la consapevolezza dei suoi sporchi sentimenti verso di me, proprio io che l’avevo amata e di cui mi ero fidata ciecamente.

Ecco la sofferenza più grande: avere scoperto che nella vita possiamo essere traditi dalle persone più care. Mia madre ne era un esempio emblematico. Grazie al cielo, riuscii a perdonare in fretta anche mia cugina, ma per me lei non esisteva più come persona, infatti non ebbe più il coraggio di farsi sentire. Sapevo perdonare, ma non dimenticavo assolutamente il male subito. Nelle mie preghiere chiedevo a Dio di illuminare tutte quelle persone stolte e intrise di superbia, affinché prendessero consapevolezza dei loro errori. Sono i loro cattivi pensieri, pregiudizi, o l’opinione sbagliata nei confronti di qualcuno, che le spinge ad agire in modo distruttivo. Questi individui si sentono giustificati perché danno per scontato che la persona che odiano sia una persona malvagia. Credo che ci siano due possibilità: o hanno manie di persecuzione vedendo il male dove non c’è, o proiettano sugli altri la propria cattiveria.

La mia esistenza era molto intensa, ero impegnata con la mia famiglia e soprattutto col mio lavoro perché, se era finito il tempo delle mostre, avevo ancora moltissime richieste di lavoro. Nonostante la mia notorietà, il successo mi lasciava del tutto indifferente. Per me le priorità della vita erano altre: gli affetti, l’amore, la famiglia, l’amicizia e cercare di conservare la salute e la serenità. La gloria per me non era importante, anche perché avevo conosciuto la sofferenza con la perdita di mio fratello, di mio padre, dei miei nonni, di tanti parenti e amici che avevo amato.

E adesso si aggiungeva pure il dolore per avere scoperto la vera natura di mia madre. Non esisteva più da tanto tempo quella mamma calorosa che avevo avuto nell’età della mia prima infanzia, restava di lei soltanto un bellissimo ricordo. Non provavo astio nei suoi confronti, sapevo che grazie a lei io ero nata, quindi continuavo a pregare Dio per il suo bene e soprattutto perché la perdonasse. Una cosa era certa: lei aveva perso tutta la mia stima. Mia madre era viva ma era come se fosse morta. Davide invece era più vivo che mai, mi sentivo in comunione col suo spirito e anche mio padre era rimasto per sempre nel mio cuore.

A volte mi chiedevo come avrebbe sofferto mio fratello se fosse stato vivo nel vedere nostra madre comportarsi in quel modo così miserevole! I miei nonni materni invece erano stati delle persone meravigliose e avevo uno splendido ricordo di loro. Di tanto in tanto continuavo a incontrare mia madre, ero presente quando lei aveva bisogno di me, ma in verità non le interessava il mio affetto, dato che mi guardava sempre con astio e ostilità.

Avevo capito che nella vita non è il successo e la ricchezza economica a rendere felice un essere umano. In fondo, a me non mancava nulla, avevo tutto, soprattutto l’amore di mio marito e dei miei figli, che mi dicevano spesso, anche da adulti: “Mamma, sei un dono di Dio. Sei più importante della nostra stessa vita. Come potremmo vivere senza di te?” Mio marito era una persona splendida e leale. La nostra unione era salda perché esisteva una stima reciproca e soprattutto eravamo accomunati dagli stessi valori morali. Esisteva una fiducia totale e io avrei dato la vita per lui, ovviamente anche per i miei figli. Erano le persone più preziose delle quali avrei voluto occuparmi.

Continuavo a produrre opere pittoriche nel mio grande e luminoso studio e di tanto in tanto dovevo interrompere il lavoro per intrattenermi con il pubblico. I visitatori e potenziali clienti mi chiedevano informazioni e anche il significato dei quadri, dato che la pittura surreale non è sempre comprensibile agli occhi della maggioranza.

Mia madre era come quelle persone che quando si indica loro di guardare la luna, guardano e si concentrano sul dito di chi la indica. Mi accusò di slealtà, mentre lei si auto elogiava mettendosi l’aureola in testa, sfoggiando tutti quei requisiti che non aveva mai avuto. Mi sentii come pugnalata e capii subito che ormai aveva perso il senno per le sue manie di persecuzione.

Un giorno, esasperata dopo che lei con tono di sfida mi aveva detto: “Ti prego di farmi tu l’esame di coscienza! Elencami i miei errori!” ebbi il coraggio di risponderle: “Sappi che l’esame di coscienza è un’operazione che ognuno può fare per se stesso e non per gli altri, per cui io non potrei sostituirmi a te, però posso notare benissimo i risultati del tuo agire, o meglio le conseguenze. Tu sei proprio questo: leggerezza, faciloneria, volubilità e tante istintività, ma come vedi, queste virtù non producono mai buoni frutti. Dovrai rivolgerti piuttosto alla Misericordia Divina, se cercherai la salvezza della tua anima. Dovrai essere in grado di farti l'esame di coscienza da sola”.

Lei non recepì nulla, come se parlassi al muro. Aveva sviluppato una forma di diffidenza maniacale nei miei confronti e in questi ultimi periodi aveva travisato ogni mio proposito di aiuto in complotto. Si sentiva assillata, umiliata, presa in giro, raggirata e anche truffata e guarda caso l’artefice di tutte queste angherie ero sempre io. Di volta in volta, magari dopo aver fatto luce su qualche sua bislacca convinzione, subito dopo se ne usciva con un’altra ancora più colorita della precedente. Non faceva altro che proiettare su di me le sue paure, attribuendomi la responsabilità o l’intenzione di compiere il misfatto che lei paventava.

La gente, dall’esterno, fa in fretta a dare consigli e a farsi maestra con il suo falso perbenismo e moralità, perché solo chi ha una spiccata sensibilità avrà la forza di tacere, semmai di pregare in silenzio per una situazione dolorosa. Solo chi vive certe esperienze sulla propria pelle, potrà capire il dolore che si prova dinanzi ad una simile situazione e quindi si asterrà da ogni giudizio inutile.

Nell’ultimo periodo della sua vita, avevo dovuto subire da mia madre violenze psicologiche, mi scriveva lettere, vedeva in me il capro espiatorio su cui scaricare le sue nevrosi. Io continuavo a pregare per lei e, quando passò a miglior vita, non smisi di rivolgermi a Dio per la sua anima.

IL PARROCO E IL GIARDINIERE

Durante una mia mostra di pittura conobbi padre Attilio. Mi colpì la sua sensibilità. Acquistò un’opera pittorica con tanto entusiasmo. Era uno scrittore molto apprezzato e un giorno si presentò in studio mentre dipingevo e mi donò un suo libro. Di tanto in tanto lo vedevo arrivare per ammirare le mie opere. Notavo in lui una grande sensibilità d’animo, quasi femminile. Un giorno lo presentai a mio marito e subito si instaurò un rapporto di amicizia. Lo invitammo ad un suo concerto e rimase affascinato dalle sue canzoni.

Padre Attilio era stimato e ben voluto da tutti. Era riservato e schivo. Ci confidò che da giovane era corteggiato dalle donne ma lui non era interessato a nessuna, aveva capito che il matrimonio non era fatto per lui e successivamente aveva seguito la via del sacerdozio. Aveva superato i settant'anni e viveva in una bella villa che aveva avuto in eredità. Mi disse di aver bisogno di un giardiniere che si occupasse del grande orto, dato che lui non aveva il tempo di curarlo e tanto meno le forze che gli venivano a mancare. Mi chiese quindi se io conoscessi qualcuno che potesse lavorare per lui. Mi venne in mente Alì, un uomo di 35 anni, originario del Kenya, adottato da una coppia di italiani all’età di due anni, rimasto orfano a soli vent’anni. Aveva grossi problemi economici, per cui mi avrebbe fatto piacere poterlo aiutare. Lo avevo conosciuto anni addietro tramite una coppia di amici. Alì era un intellettuale, amava la lettura ed era appassionato di arti figurative. Inoltre si dilettava a dipingere. Purtroppo, non aveva trovato ancora un lavoro. Così lo misi in contatto con padre Attilio e presto concordarono un appuntamento per conoscersi.

Un giorno Alì mi venne a trovare in studio con un vassoio di dolci per ringraziarmi di ciò che avevo fatto per lui. Era così gioioso e riconoscente che quasi mi commosse. Si confidò con me raccontandomi come si erano svolti i fatti.

Quando si era presentato a padre Attilio, questi era rimasto fulminato dal suo sguardo e soprattutto dalla sua bellezza fisica, mentre il giovane fu attratto dall'affabilità e dall’eleganza del sacerdote. Non gli sembrava vero di aver trovato una sistemazione e soprattutto di lavorare per una persona tanto stimata, uno scrittore. La villa e la veduta erano un vero incanto. Il giovane era pagato anche abbastanza bene, perché il letterato sacerdote non badava a spese. Insomma, si era instaurato subito un rapporto di amicizia.

Dopo alcuni mesi, un giorno padre Attilio gli aveva detto: “Chiamami Attilio”, aggiungendo queste testuali parole: “Da quando ti ho conosciuto la mia vita è cambiata. Non ho più smesso di pensare a te. Perché non vivi a casa mia? Ti darò tutto quello che vuoi. Non ti mancherà nulla”. Alì non se l'era fatto ripetere due volte. Gli sembrava di vivere in un sogno, perché aveva riscontrato un grande feeling intellettivo, e gli aveva risposto: “Sono uscito da una storia d’amore che mi ha fatto tanto soffrire. Il mio fidanzato mi ha lasciato da poco tempo e non riuscivo a darmi pace. Solo da quando tu sei entrato nella mia vita, il mio dolore si è dissolto”. Era mantenuto da lui, oltre che essere stipendiato.

Passarono gli anni. La gente mormorava, anche se tanti pensavano che Alì fosse diventato per padre Attilio come un figlio, una specie di perpetua al maschile, che si prendesse cura di lui. Del resto, entrambi non manifestavano un atteggiamento femminile, per cui la loro vera sessualità era celata molto bene. Nessuno avrebbe mai immaginato che fossero amanti, proprio perché mimavano un’apparente virilità. Non era un caso se Alì in passato non avesse mai avuto una donna. Faceva credere in società di avere gusti difficili e che preferiva restare single. Soltanto i suoi genitori prima di morire furono a conoscenza della sua omosessualità, ma se ne fecero una ragione.

Ogni tanto Attilio ed Alì litigavano, ma poi si davano alla passione amorosa. Gli anni passavano in fretta e padre Attilio era ormai molto anziano. Decise di fare testamento e di nominarlo erede della sua bella abitazione e di una cospicua somma di denaro, in modo che i suoi parenti non avessero pretese. Quando arrivò il giorno della sua morte, fu un dolore grande per Alì. Lui rimase nella bella villa e poté vivere di rendita. Dopo alcuni anni, incontrò un uomo di cui si innamorò e si costruì una nuova vita.

LO STREGONE E LA POZIONE MAGICA

Avevo un amico chef, Carlo, amante della cultura, una persona eclettica dai mille interessi. Nonostante i suoi novant’anni si manteneva in forma. Era un appassionato d’arte. La sua casa sembrava un museo; collezionava non solo opere d’arte, avendo girato il Mondo per motivi di lavoro, aveva tantissimi oggetti caratteristici dei luoghi che aveva visitato. Da giovane era stato un campione in diverse discipline sportive. Aveva lavorato per diversi anni come grafico pubblicitario, vantava tantissimi contatti sociali ed era pieno di amici. Purtroppo, era rimasto vedovo da tanti anni e non aveva figli.

Aveva anche pubblicato un libro di poesie. Era una persona molto sensibile e generosa. Di tanto in tanto ci invitava a pranzo preparandoci pietanze particolarissime. Gli avevo parlato di mia madre che viveva da sola e mi disse che avrebbe avuto piacere di conoscerla. Io avevo qualche perplessità sapendo quale fosse la natura difficile e complicata di mia madre, per cui lo avevo avvertito che probabilmente avrebbe incontrato qualche difficoltà. Lui, contando sulla propria esperienza, mi rassicurò dicendo che per lui sarebbe risultato facile entrare in confidenza. Evidentemente non immaginava con chi avrebbe avuto a che fare. Già progettava che in futuro, ogni volta che avesse preparato per sé le lasagne, ne avrebbe portato un po’ a lei, essendo vicini di casa.

Perciò, dopo un po’ di tempo, chiesi a mia madre se le facesse piacere conoscere questo nostro amico. Lei mi sembrò perplessa, sospettosa, come sempre, ma vedendo il mio entusiasmo, acconsentì e così presi un appuntamento con Carlo per il giorno successivo. Lo avrei accompagnato personalmente, ma il caso volle che quella sera io avessi degli imprevisti e quindi diedi l’incarico a mio figlio.

Carlo aveva preparato per lei la sua specialità: un frullato di frutta, mandorle, noci, nocciole e spezie varie. Diverse volte lo aveva fatto per noi. Il giorno stabilito per l’incontro, non appena lei aprì la porta, lui si presentò: “Sono Carlo, sua figlia le avrà parlato di me”.

Mia madre, con tono inquisitorio, gli disse: “Ma lei chi è? Mi aspettavo un’altra persona. Lei secondo me non potrebbe mai essere l’intenditore d'arte e la persona colta che stavo aspettando!”

Carlo, imbarazzato e sorpreso, cercò di far finta di nulla e disse:

“Se permette, vorrei farle assaggiare questa bevanda preparata apposta per lei. Vedrà che la gradirà”.

“Chi glielo ha ordinato? Perché si è presentato con questo intruglio? Che cosa ci ha messo dentro? Forse qualche medicina? Sicuramente a me non piace! Ma che modo è di presentarsi? E inoltre deve sapere che non mi interessa affatto conoscere i vecchietti! Io sto bene con i giovani!”

Carlo rimase spiazzato e non ebbe nemmeno la prontezza di rispondere. Anche mio figlio rimase come bloccato da una scena così inaspettata, Avrebbe forse dovuto rassicurare la nonna, ma scoprendola in questa veste così arcigna e risoluta, non fiatò. Allora, molto a disagio e infastidito, Carlo la salutò e se ne andò con la sua bevanda in mano, che aveva preparato con dedizione.

Mia madre non ebbe neanche la delicatezza di farlo accomodare e scambiare quattro chiacchiere, era solo prevenuta e diffidente, malgrado le avessi anticipato quella visita. Era la prima volta che Carlo veniva trattato in quel modo. Rimase quasi scioccato per quei modi scortesi.

Durante il tragitto di ritorno, mio figlio cercò di scusarsi per lo strano comportamento della nonna. Dopo un po’ il ragazzo rincasò, era amareggiato e mi raccontò l’accaduto. Mi caddero le braccia, perché da quel momento capii che mia madre era peggiorata e aveva superato ogni limite. Mi precipitai a telefonare a Carlo e gli chiesi scusa e mi sentii mortificata per il trattamento ingiusto che aveva subito, ma lui fu comprensivo rendendosi conto di essersi imbattuto in una persona davvero bizzarra, con qualche segno di squilibrio.

Come se non fosse bastato, la stessa sera mia madre mi telefonò. Mi sarei aspettata come minimo le sue scuse, non certo verso di me, ma nei confronti del mio amico, invece, lamentandosi ancora con tono risentito, mi disse:

“Che cosa hai fatto? Chi mi hai mandato? Un vecchietto rimbambito e pure sordo, che arriva con un misterioso intruglio? Chi sarebbe questo qua? Un dottore? Un mago? Uno stregone? Si può sapere cosa aveva messo in quella specie di pozione magica? Mi avevi detto che mi volevi far conoscere un intellettuale! E invece mi ritrovo davanti un vecchietto sordo! Chiunque venga a visitare una signora per la prima volta, almeno si sarebbe dovuto presentare con un mazzo di fiori! Mah!!! Non riesco proprio a capire!”

Io cercavo di smorzare le sue prevenzioni, ma lei mi interrompeva, era come parlare al muro.

La mattina seguente telefonò a mio figlio con tono sarcastico e gli disse: “Devi dire a tua madre che io sono un’esteta e quindi non mi sarei mai aspettata una visita da un vecchietto. A me piacciono i giovani, il canto di un usignolo o il bel sorriso di un bambino. La sua presenza invece ha offeso la mia sensibilità. E poi, cosa c’era in quel misterioso intruglio?”

LA MORTE DI MIA MADRE

Mia madre morì a ottantacinque anni, stroncata da un infarto. Mi addolorai soprattutto perché lei non ebbe nemmeno il tempo di ravvedersi e quindi se ne andò assieme alle sue fissazioni che le avevano procurato probabilmente sofferenza, anche se non lo dava a vedere. Era palese invece quanto dolore mi avesse procurato.

Credo che la sofferenza scaturisca per due motivi: a causa dell’aridità del cuore, quindi per causa propria, o perché si ha un cuore ferito non essendo corrisposto nei sentimenti. Infatti, gli ultimi anni della sua vita li trascorse in solitudine, senza il mio affetto, poiché lei stessa lo aveva rifiutato. Mi trattava come un’estranea.

In teoria tutti i genitori dovrebbero accettare e voler bene ai propri figli allo stesso grado, ma nella realtà a volte questo non si verifica. In particolar modo se ci troviamo di fronte ad un genitore narcisista che vede giusto, bello e buono solo ciò che rispecchia sé stesso.

Per vari motivi non esisteva un rapporto armonioso tra i miei. Esisteva tra l’altro una grande divergenza di idee e di modi di vedere le cose. Pur avendo delle affinità con mia madre, mi riconoscevo molto di più nel carattere di mio padre, che a sua volta mi ricambiava di ammirazione per ogni mio successo. Probabilmente per via di questo legame tra me a mio padre, che era poco stimato dalla moglie, anch’io per riflesso ricevevo questo disamore.

I miei figli di tanto in tanto l’andavano a trovare ma lei era sempre distaccata come se non fossero i suoi nipoti. Mai una premura per loro, mai un regalo o un invito a pranzo. L’unica persona che frequentava era Antonella, sua nipote. Proprio la stessa cugina che mi aveva pugnalato e mia madre se ne era rallegrata.

Ecco i veli dell’illusione che mi erano crollati. Una volta tolti scoprii la bassezza dei sentimenti umani, la delusione e l’amarezza per aver subito odio proprio dalle persone di cui mi fidavo ciecamente. Sta di fatto che Antonella non si presentò nemmeno al funerale di mia madre, probabilmente perché non ebbe il coraggio di incontrami, di guardarmi in faccia, o perché in fondo non aveva mai voluto bene alla zia. Non saprei e non voglio giudicare nessuno.

Solo Dio è in grado di conoscere i nostri sentimenti più nascosti.

Antonella non mi mandò nemmeno un telegramma per le condoglianze, ma rimasi del tutto indifferente. Ormai non avevamo più nulla da dirci.

La chiesa era gremita. C’erano quasi tutti i parenti paterni e soprattutto i miei amici, i conoscenti e i clienti più affezionati. Mia madre nell’ultima fase della sua vita non frequentava nessuno.

Mi sembrò di vivere un brutto sogno. La separazione da un genitore è dolorosa, ma ancor di più quando questo ti ha procurato tali sofferenze e non ti lascia un buon ricordo. Deve essere atroce fallire nel ruolo di genitore. Ma lei ne era stata consapevole?

In realtà ero stata tradita dalla persona che ho amato di più al mondo durante la prima fase della mia esistenza. Ho vissuto per lunghi anni in una sorta di Purgatorio, perché solo chi può aver fatto tale esperienza potrà capire ciò che si prova.

Fortunatamente mio marito e i miei figli erano riusciti a compensare il mio vuoto, diventando per me una cosa sola, per cui la seconda fase della mia vita è stata arricchita dal loro amore. Quindi, nella disgrazia di non avere avuto una vera madre, mi sentivo una donna fortunata perché avevo trovato l’uomo ideale della mia vita, che mi rimase fedele per sempre, e i miei gemelli che mi diedero grandi soddisfazioni. Avrei dato la vita per loro e invocavo spesso Dio affinché io per prima lasciassi le spoglie mortali, per paura di dover patire il calvario se qualcuno di loro fosse venuto a mancare prima di me. Avevo già sofferto abbastanza per il mio amato fratellino e l’idea di poter soffrire ancora mi angosciava.

SI REALIZZA IL GRANDE SOGNO

Il successo non mi fece mai montare la testa. I soldi non erano così importanti per me, così come la gloria mi interessava poco, perché sapevo che un giorno tutto questo sarebbe finito, quando avrei lasciato le mie spoglie mortali. A differenza dei miei genitori, che non avevano dato valore al denaro, io ero stata capace di utilizzarlo abbastanza bene. Comprai una villetta in montagna, dove andavamo a trascorrere i fine settimana. Successivamente acquistai un appartamento a testa per i miei figli e, prima di diventare nonna, feci costruire un ospedale e una scuola in Madagascar. Era questo il mio sogno più grande, rendermi utile ai più bisognosi.

Arrivò il giorno dell’inaugurazione delle due strutture, così io e la mia famiglia ci recammo in un villaggio in Madagascar, dove ci accolsero le suore di un orfanotrofio. Ci ospitarono per un mese durante l'estate e in quel periodo ci rendemmo utili attraverso la nostra animazione artistica per rallegrare gli abitanti. Io davo lezioni di pittura ai ragazzini interessati e mio marito teneva dei corsi di musica. Non dimenticherò mai la gioia di vivere dei malgasci e la loro gratitudine per avere ricevuto da me quei doni così importanti: una grande scuola e un ospedale. Decisi inoltre di donare alcuni quadri che furono collocati nelle due nuove strutture.

Mi sentivo appagata, realizzata, perché avevo reso felice quella gente, persone semplici, povere, ma che ci avevano ripagato con il loro affetto e con un sorriso disarmante. Mi colpì la loro sincerità e la grande fede in Dio. Se gli abitanti della terra fossero tutti come loro, il nostro pianeta sarebbe un paradiso.

COMUNITÀ PER I BARBONI

Non ero ancora completamente soddisfatta, perché rimaneva un ultimo sogno da realizzare: creare una comunità per i barboni, una grande struttura per accogliere i diseredati, coloro che vivevano per strada o che avevano perso la casa. Sognavo di poter rendere felici le persone più sfortunate. L’idea di sapere che non avevano un riparo mi rattristava infinitamente. Mi facevano una tenerezza infinita.

Io stessa realizzai il progetto del grande edificio e lo presentai al mio Comune. Dopo un paio di anni, fu costruito. La struttura poteva ospitare 50 persone e così nacque la comunità, a favore di tutti coloro che erano ai margini della società, vittime di situazioni drammatiche. Ciascuno di questi aveva una storia molto triste da raccontare.

Tanti di loro, quelli più in forma ed efficienti, lavoravano all’interno della comunità stessa, prendendosi cura delle persone sofferenti e anziane. Inoltre, cercai alcuni volontari che si occupassero di questi, provvedendo al cibo e agli indumenti. In questo modo gli stessi volontari continuarono ad impegnarsi all’interno della Casa di accoglienza.

Feci di tutto per coinvolgere il Comune affinché la Comunità potesse ricevere un contributo economico per poter fronteggiare le spese vive, ma potei fare affidamento soprattutto sulle persone di buona volontà che raccoglievano i fondi necessari. In breve, riuscii a coinvolgere diverse persone generose, nonostante non disponessero di un elevato reddito. Spesso chi ha molti soldi tende ad essere egoista e non pensa ad aiutare i poveri. Sono pochissimi i benestanti altruisti.

Ovviamente adesso gli ospiti della Casa avevano perso il connotato di barboni, perché esistevano le condizioni igieniche idonee, avevano ritrovato la propria autostima e non vivevano più in mezzo alla strada. Si sentivano utili e motivati e avevano sconfitto anche la solitudine, dato che erano sempre in compagnia. Tra di loro non mancavano gli individui che presentavano problemi di relazione e tendevano a restare sempre isolati, a causa di problemi psichici, magari dovuti a dei traumi; se non altro, non pativano più il freddo e avevano sempre un pasto caldo assicurato. Tutti avevano anche l’assistenza medica. Anche il personale era formato da volontari, per lo più gente specializzata, in pensione. Erano degli angeli piovuti dal cielo. Ovviamente tra tanti ospiti c’erano alcuni non autosufficienti, che avevano bisogno di un'assistenza continua. La cosa più bella della Comunità era che si aiutavano tra loro. Era una piccola oasi di pace, paragonabile ad una casa di riposo ma gestita da volontari. Regnava uno spirito più umano e caritatevole.

Io ero felice. Avevo donato la struttura e non avrei mai permesso che qualcuno potesse trarne vantaggio economico. L’idea concretizzata della comunità doveva essere copiata in altri luoghi. Ecco Il mio sogno nascosto: sarebbe dovuta diventare un esempio da imitare, affinché potessero essere aiutate su vasta scala tutte le persone senza tetto nelle varie città e nazioni del mondo. Ovviamente non sarebbe stato facile, occorreva una rivoluzione del pensiero, dato che la mentalità comune è basata solo sul profitto e la psicologia umana purtroppo è dominata da bassi sentimenti, che producono un sistema sociale basato sullo sfruttamento dei popoli. Il mio sogno quindi sarebbe rimasto un’utopia, ma non mi interessava. L’importante era che questo grande desiderio, nel mio piccolo, fosse diventato realtà.

Speravo che un giorno potessero nascere altre Comunità per tutti coloro che non avevano più un tetto a causa della miseria che li aveva travolti, a causa dei governi che diventavano sempre più tiranni nei confronti delle popolazioni e come conseguenza della guerra economica che aveva già avuto inizio da un pezzo e col tempo aveva creato un divario sempre più abissale tra ricchezza e povertà. Nonostante il successo ottenuto nella mia vita terrena, ho cercato di mantenere sempre la mia semplicità d’animo, perché intuivo che la cosa più importante non era la notorietà o la ricchezza economica. Il vero successo è la realizzazione nell’amore incondizionato, che si estende dalla famiglia attraverso le relazioni sociali, è essere in sintonia con la volontà di Dio, vivere in armonia con la natura e con tutti gli esseri viventi. La cosa fondamentale è essere in pace con sé stessi e di conseguenza con gli altri.

LA GIOIA DI DIVENTARE NONNA

Avevo sempre pregato e sperato che i miei figli si realizzassero nella sfera sentimentale e che trovassero una donna seria, onesta e matura con cui condividere la propria vita, dato che la convivenza è diventata una condizione sempre più difficile al giorno d'oggi. Grazie al cielo, entrambi trovarono l’anima gemella. Mio figlio Giovanni ebbe la fortuna di incontrare una donna adatta a lui, con i suoi stessi valori, e la sposò. Ero felice per questa sua scelta. Lei si legò alla nostra famiglia. Apprezzavo le sue qualità. Esisteva tra di noi un profondo legame affettivo, la stessa intesa che c’era stata tra me e mia suocera. Mi sentivo una persona fortunata perché quando regna l’amore anche nella famiglia allargata, non manca nulla. La pace in famiglia è essenziale per poter vivere serenamente, è il massimo che si possa desiderare.

Dopo alcuni anni, nacque Adriana. Diventare nonna per me fu una gioia immensa. La vidi crescere e trascorrevo del tempo con lei. Eravamo molto affini. Le insegnai a dipingere, perché mostrava una predisposizione per la pittura, e anche lei decise di intraprendere questa strada, era orgogliosa di possedere la stessa dote artistica della nonna. Si diplomò all’Istituto d’Arte e si iscrisse al Conservatorio, dato che era portata anche per la musica. In seguito, avrebbe scelto quale lavoro intraprendere tra la pittura e la musica.

Nell’ultimo decennio della mia vita, ormai non si vendevano più quadri. Tutto era cambiato, ma io continuavo a dipingere per amore e accumulai così tante opere che desideravo donarle a un museo.

GLI ULTIMI MIEI GIORNI

Avevo ottant’anni quando si chiuse il sipario della mia vita terrena. Lasciai il mio corpo fisico senza sofferenza perché me ne andai durante il sonno, come avevo sempre desiderato. Dio mi concesse questa grande grazia. Nello stesso tempo però fu un grande dolore per la mia famiglia. Si chiudeva un capitolo della mia storia e se ne apriva un altro.

Avrei voluto realizzare tante altre cose, soprattutto rendermi ancora utile per la mia famiglia e per i miei tre nipoti, ma adesso mi trovavo in un altro mondo, quello parallelo, invisibile, e ciò che mi rattristava maggiormente era che gli altri non mi potevano vedere, credendo che fossi morta. In realtà ero più viva di prima, perché ero morta alla vita della materia ma ero nata alla vita dello spirito. In verità sono due facce della stessa medaglia. Adesso potevo soltanto pregare più da vicino Dio per loro.

CONCLUSIONE

La prima persona che incontrai in Paradiso fu mio fratello. Ci abbracciamo forte e la felicità era incontenibile. Poi incontrai mio padre e mi rallegrai immensamente. Dopo vidi i miei nonni, tanti miei amici e alcuni parenti. Ero felice.

Non incontrai mia madre. Chissà dove si trovava. Speravo che la sua anima si fosse salvata! Nella vita terrena l'avevo già perdonata, anche se non avevo avuto modo di manifestarglielo perché non ci fu mai l’occasione, perché lei non si predispose mai al perdono, probabilmente essendo inconsapevole delle sue azioni, per cui non esistevano i presupposti per essere perdonata. L’importante comunque era che in cuor mio l'avessi già fatto.

In pratica è come se per lunghi anni io avessi scontato le pene del Purgatorio sulla Terra, avendo subito quelle inutili sofferenze morali, ma dato che non avevo commesso nulla di male, sentivo l’esigenza di dare un senso al dolore, quindi speravo che potesse servire per il bene delle anime del Purgatorio e, perché no, per la salvezza della sua anima.

Avevo voglia di abbracciare tutte quelle persone che avevano agito male, perché vi assicuro che, una volta arrivati in Paradiso, si guarda con gli occhi dello spirito, quindi si è ancora più compassionevoli verso le altre anime.

Chiesi a Dio: “Dov’è mia madre?”

“Si trova in Purgatorio. Non si è ancora purificata per essere degna di giungere in Paradiso. Ne avrà ancora per tanto tempo, ma arriverà il giorno in cui vi incontrerete e ti chiederà perdono e allora sì che vi riabbraccerete. Questo succederà quando si renderà conto del male che ha commesso e quindi del suo pentimento”.

Dio mi concesse una grazia: riuscì a farmi vedere nel Purgatorio tutte quelle persone che nell’arco della mia vita mi avevano fatto del male e che, a causa della loro smisurata superbia, non mi avevano chiesto mai perdono. Queste si umiliarono davanti a me e a tutti coloro a cui avevano procurato sofferenza, dato che, una volta illuminate dallo Spirito Santo, le loro anime furono denudate, messe a dura prova, e crollarono i veli dell’illusione che le avevano rese cieche, inducendole a peccare, per cui provarono la stessa sofferenza morale che avevano inflitto agli altri e finalmente poterono purificarsi per accingersi gradualmente verso la dimora più alta, il Paradiso. Ovviamente ognuno aveva i suoi tempi, anche se non tutte le anime si salvarono perché alcune precipitarono nell’abisso infernale per la gravità del male commesso ai danni dell’Umanità e perché non bastò nemmeno la grazia dello Spirito Santo ad illuminarle, avendo servito il demonio.

L’ARTE IN PARADISO

Ebbi la gioia di rivedere tutte le opere pittoriche che avevo prodotto nell’arco della mia vita. Si trovavano tutte appese in una specie di palazzo fantastico tutto d’oro. Che gioia infinita! Soddisfai poi la curiosità di ammirare tutte le produzioni artistiche dei grandi pittori del passato, anche di quelli minori, coloro i quali non sono entrati nella storia dell’arte. In Paradiso è conservato tutto ciò che di bello hanno prodotto gli uomini, perché ovviamente esiste un metro di misura diverso.

La fama o la notorietà, infatti, nella vita terrena non è subordinata alla vera bravura o talento: spesso le persone non vengono premiate in base ai meriti reali, ma a falsi parametri. I veri meriti li riconosce solo Dio e quindi gli uomini saranno premiati solo in Paradiso.

Ho incontrato anche tutti i musicisti e gli artisti che mi stavano a cuore. Chiunque poteva sentire la musica dei grandi.

LETTERA APERTA

Cari lettori, vi prego di meditare su ciò che sto per scrivere dal luogo in cui mi trovo, il Paradiso.

Cercate di vivere secondo l’amore, perché soltanto amando si riesce a dare un senso alla vita e soprattutto alla sofferenza, perché l’amore non solo vi riempie il cuore e vi ripaga di tutto e delle vostre fatiche, ma vi solleva dalla paura e dal dolore. L’amore è il movente che fa muovere il Mondo, dove attualmente vi trovate. Le esperienze terrene che state sperimentando dipendono dal vostro grado di elevazione spirituale, ognuno con la propria consapevolezza. Tanti purtroppo sono inconsapevoli di tutto ciò. Questa è la verità.

Anch’io ho sperimentato il Mondo, ponendomi tante domande, e cercavo la Verità in tutto ciò che facevo. Ho anche sperimentato momenti di felicità, avendo percezioni di Paradiso, ma solo qui ho avuto una visione completa di ciò che cercavo. Adesso sto vivendo la vera vita perché la mia anima ha lasciato il mio corpo. L’amore è amplificato e sarà per sempre. Credetemi, non esiste niente di più importante dell’amore, perché qui in Paradiso si vive solo per gustarne la purezza, poiché Dio ci ha creati per amore e per amare.

La Verità è amore. Non vi parlo di Dio e non voglio soffermarmici perché non è facile parlarne nemmeno dal Paradiso e poi tanti non credono alla Sua esistenza, ma cercate almeno di credere nell’Amore, che è più forte dell’odio, anche se questo è purtroppo molto diffuso sulla Terra. Dio vi sarà rivelato dopo che avrete lasciato il corpo fisico e comprenderete la stretta relazione che esiste tra Dio e l’Amore supremo.

PARTE SECONDA

RIFLESSIONI

GLI SVANTAGGI DELLA BONTÀ

Chi è cattivo, immagina che persino i buoni siano cattivi e li giudica con malignità, quindi, chi non ha cattiveria ha uno svantaggio doppio, perché non immagina che i cattivi possano essere tanto malvagi e in più, da questi, pur senza esserlo, viene giudicato cattivo. Malgrado tutto, penso però che non convenga appartenere alla categoria dei malvagi.

L’INGANNO

Ciò che mi sgomenta e mi indigna maggiormente tra i comportamenti dell’essere umano è l’inganno e la mistificazione.

Tutto si può perdonare, ma quando qualcuno si vuole prendere gioco di me con l’inganno, mi cade subito dal cuore. È difficile conservare la stima verso chi si è rivelato falso e ipocrita.

LA CALUNNIA

La calunnia, come un terremoto, scuote tutti gli edifici, ma soltanto quelli più fragili o costruiti male vengono distrutti. La calunnia è come un cancro. Le cellule ammalate intaccano le cellule sane, fino a contaminarle. Le persone prive di raziocinio si lasciano suggestionare dal calunniatore di turno, che, come un criminale, è capace di distruggere la reputazione della persona presa di mira. Chi però si lascia plagiare dalle maldicenze, ha anch’egli una colpa, perché senza motivazioni reali perde la fiducia nei confronti della persona che prima stimava.

La calunnia, quindi, attecchisce negli individui deboli che, come le bandiere, si fanno trasportare dove tira il vento. Purtroppo, sono poche le persone che presentano fermezza e coerenza, che non si lasciano traviare dai calunniatori, che raggiungono il loro scopo quando inquinano i sentimenti altrui, li convertono negativamente, mutando i loro sentimenti che diventano malevoli. Bisognerebbe avere il buon senso di diffidare delle persone che parlano male degli altri.

L’apparenza inganna, quindi non bisognerebbe prendere in considerazione le calunnie delle persone superficiali, mentre, purtroppo, la gran parte si lascia suggestionare facendosi coinvolgere emotivamente dalle opinioni contorte dei calunniatori, sempre pronti ad additare qualcuno con l'intento di distruggerlo, diffamandolo solo perché magari non risulta simpatico o, semplicemente, per ostentare una propria presunta superiorità.

Prima di farsi un’opinione sul conto di un essere umano, si dovrebbe averci a che fare personalmente; chi dà retta alle voci di corridoio, dovrebbe vedere con i propri occhi se la persona presa di mira agisce male in società o in famiglia, senza attenersi a ciò che viene raccontato, piuttosto ascoltando l’altra campana, per capire e conoscere la verità.

Solo successivamente si potranno tirare le somme ed esprimere un giudizio imparziale. Per questo motivo non bisognerebbe mai giudicare nessuno, ma piuttosto giudicare sé stessi. Purtroppo, a causa delle calunnie, vengono compromesse tante relazioni umane.

Bisognerebbe farsi sempre i fatti propri piuttosto che intrufolarsi nelle cose private degli altri, che siano una coppia, una famiglia o un collega di lavoro, perché si finisce soltanto per creare attriti e divisioni. Purtroppo, tanti individui sono bravi a farsi maestri e spesso alimentano la discordia. Quando la mente umana viene compromessa a causa della malattia o di squilibri psichici, persino i sentimenti vengono inquinati, insieme alla capacità di ascolto che risulta compromessa, di conseguenza anche la comunicazione diventa impossibile.

OLTRE LE APPARENZE

Ognuno misura l’entità dei problemi altrui prendendo a paragone i propri. Ad esempio, se qualcuno accusa mal di testa, chi deve comprenderlo giudicherà la gravità del problema in funzione delle proprie esperienze col mal di testa. Analogamente, per quanto riguarda le relazioni umane, molte volte in un legame affettivo o addirittura di sangue, si verifica che uno dei due decida di allontanarsi dalla vita dell’altra persona definitivamente. I motivi possono essere svariati.

A parte i casi in cui qualcuno si allontana da un altro senza una reale motivazione, ma solo per una questione di pregiudizio, ovvero quando la sua scelta non si può giustificare, in tante situazioni abbastanza ricorrenti, in cui si arriva a questa drastica soluzione, è perché questi è stato vittima della crudeltà dell’altro, dal quale ha subito violenze psicologiche. Credo che nessuno possa essere in diritto di giudicare tale scelta attuata da parte di chi è stato vittima e ha deciso di tagliare i ponti con una persona.

In un rapporto tra due individui, infatti, non solo nella sfera delle amicizie, nella vita di coppia o nella parentela, a prescindere dal grado o dal vincolo che fino a quel momento li aveva legati, se viziato da una grande incompatibilità di carattere o dalla diversità di valori, non potrà esserci mai un punto d’incontro. Per cui trovo che sia sacrosanto allontanarsi per sempre.

La pace interiore e la salute non hanno prezzo e non potrebbero essere sacrificate per tregua di facciata, quindi, pur se doloroso, in quei casi separarsi è indispensabile, proprio per tutelare la propria persona. È una scelta a fin di bene. Dove starebbe il male? Il male semmai potrebbe risiedere nel fatto di doversi frequentare ostinatamente. Il male sarebbe nell’abituarsi al dolore e alla mortificazione interiore che una relazione impossibile, tenuta a forza in vita, potrebbe determinare.

Relazionarsi con qualcuno dovrebbe tradursi in un arricchimento reciproco, non deve essere un sacrificio, una forzatura, né un’imposizione volta a soddisfare le aspettative o il giudizio sociale, deve invece essere uno slancio dettato esclusivamente dal sentimento e per questo accettato dall’altra parte attraverso la gratitudine.

Bisogna fare le proprie scelte e agire solo in funzione della propria coscienza, tutto ciò che fosse dettato dal giudizio sociale il più delle volte accontenta l’ipocrisia.

Nel libro “Gli apparenti” (2020 - Mnamon Editore) ho cercato di andare oltre le apparenze e soprattutto ho tentato di far capire l’importanza di vedere la realtà oltre ciò che sembra, di non giudicare mai, perché spesso, oltre la nostra impressione, si cela una realtà invisibile, quindi una verità nascosta. La gente comune purtroppo fa in fretta a giudicare con un’abilità impressionante fatti o persone che crede di conoscere, ma si illude, essendo ingannata dall’apparenza o, ancora peggio, condizionata dalle calunnie di gente cattiva e ignorante.

Insomma, sia nel bene che nel male, bisognerebbe riuscire a vedere oltre ciò che appare. Ad esempio, esistono delle persone sante dietro le quinte e dei demoni dietro la parvenza di angeli.

Nel libro “Gli apparenti”, oltre a far riflettere e a raccontare, ho voluto semplicemente giudicare le azioni degli individui che hanno la presunzione di giudicare gli altri. “Non giudicare e non sarai giudicato”.

I MISTIFICATORI

In modo subdolo, cioè senza lasciare traccia, i mistificatori sono capaci di infangare la reputazione altrui, spesso spinti dall’invidia. La loro maldicenza ovviamente porta frutti malefici, mentre la loro smania di recriminare non ha mai fine ed anche quando certi “fantasmi” sono spariti, loro li evocano e li fanno rivivere.

Le persone mistificatrici si possono riconoscere da alcuni indizi. Innanzitutto, parlano in continuazione a raffica, senza lasciare spazio agli altri, dato che a loro poco interessa conoscere i problemi o le gratificazioni altrui, se non per sentirsi autorizzati a fare i “maestri” nel momento in cui giudicano, dando persino dei consigli impropri. Lo fanno perché credono di non dover imparare nulla, perché sanno già tutto. Credono di essere sapienti.

Inoltre, a loro poco importa di compenetrarsi nei problemi altrui, essendo privi di sensibilità. Di solito i mistificatori si auto elogiano, attribuendosi tutte le qualità e i meriti di questo mondo. Però, se si va a scavare nel loro animo più profondo, il motivo reale è la volontà di camuffare la loro vera indole, intrisa di lati oscuri, quindi, per costruirsi un alibi, affinché non si debba mai dubitare di loro.

È come se volessero tessere una tela per catturare il proprio interlocutore, come farebbe il ragno con la sua preda. Usano un linguaggio forbito e sono capaci di suggestionare con le loro bellissime parole. Diverse possono essere le finalità. Devono indurre la persona con cui si relazionano a comprare qualcosa, quindi per interessi economici, oppure vorrebbero trascinarla nel loro credo religioso, spesso una setta, o, il più delle volte, per scroccarle qualcosa di importante, come una prestazione, mirano ad estorcere qualche lavoro senza retribuirlo. Cercano di arruffianarsi il pollo di turno con le loro moine e continui esagerati elogi, affinché questo entri nelle loro grazie e loro raggiungano i loro scopi senza scrupoli.

Non hanno dignità, all'occorrenza si atteggiano a dei “poveretti”, piangendosi addosso per i loro problemi economici, pretenderebbero di ricevere dei doni, ma solo per il gusto di scroccare. In questo modo sminuiscono il lavoro altrui, proprio perché non rispettano gli altri. Credono che solo il loro tempo sia importante, mentre quello degli altri non conti nulla. In altri casi, invece, ostentano ricchezza economica solo per farsi grandi.

Per i mistificatori, la loro condotta è diventata una filosofia di vita. Si sentono astuti, ma in realtà non è difficile scoprirli, perché le loro bugie prima o poi verranno a galla. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ovviamente le false relazioni possono funzionare per un po’ di tempo ma, quando vengono denudati, è inevitabile che gli altri si allontanino definitivamente dalla loro vita, a meno che non siano loro stessi a scappare per la vergogna.

I mistificatori si lamentano degli altri, credono fermamente che siano tutti malvagi, per evidenziare che soltanto loro sono brave persone. Di conseguenza, con atteggiamento vittimistico, giustificano la loro solitudine, dato che non hanno amici, poiché affermano con convinzione che le altre persone non posseggono i loro stessi valori, cioè onestà, correttezza e soprattutto lealtà. A loro avviso, tutti gli altri individui sono troppo diversi, per questo con le persone hanno soltanto relazioni di lavoro.

La verità è che sono emarginati dagli altri. Non a caso, i mistificatori non hanno l’esigenza di trovare un vero amico, poiché concepiscono l’amicizia soltanto come un'opportunità da sfruttare, dato che non si legano mai a nessuno. Questi autentici valori da loro tanto declamati, correttezza, onestà e lealtà, li esaltano e se li attribuiscono, mentre in verità se li mettono sotto i piedi, allo stesso modo di come sono abituati a calpestare gli altri.

Esiste poi una categoria di mistificatori su vasta scala. Sono i più spietati, occupano cariche sociali molto importanti, per cui i loro obiettivi, in proporzione, diventano assai più importanti e quindi le loro colpe molto più gravi. Per questo commettono dei veri e propri reati, per arrivare ai loro loschi scopi. Questi mistificatori per eccellenza li paragonerei a dei veri e propri criminali.

LA MORTE

La morte fisica in tanti casi è una liberazione per sé stessi e per gli altri, anche se sarà inevitabile la grande sofferenza per il distacco. Tanto più si ama, tanto più si soffre. Soltanto chi è insensibile o disumano, non conosce sofferenza. Ci sono anche dei casi estremi, in cui figli snaturati non si preoccupano minimamente dei genitori anziani.

Ma a volte ad essere snaturati sono i genitori. Si pensi alle giovani madri che decidono di abortire o che abbandonano i propri neonati in un cassonetto dell’immondizia, o quelli che massacrano di botte i propri figli, fino ad ucciderli! Non esiste fine al peggio.

Sarà Dio a giudicare le azioni degli esseri umani, perché il Suo giudizio è giusto, solo Lui sarà in grado di leggere nei nostri cuori e soprattutto di considerare il grado di consapevolezza o incoscienza di chi ha commesso un’azione sbagliata. Solo Dio può perdonare.

La vera morte, quella più atroce in assoluto, è quella dell’anima, dopo che avrà abbandonato il corpo fisico. Essa riguarda coloro i quali, guidati da una smisurata superbia, hanno agito seguendo la via delle tenebre, la via del peccato mortale, senza alcun ravvedimento, procurando sofferenza agli altri.

Sarà invece salvata l'anima di chi ha operato il bene, vivendo per amore. Chi ha fede in Dio, non ha un merito in più rispetto a chi non ce l’ha, semmai un vantaggio in più, perché avrà la consolazione e la speranza di rinascere a nuova vita, quando finalmente la sua anima sarà liberata dal peso corporeo e da ogni tipo di sofferenza. Potrà ricongiungersi per sempre alle persone care, potrà godere della beatitudine suprema e sarà una gioia senza limiti.

IL NATALE

Il Natale non è soltanto la nascita di Gesù. È il simbolo della vera vita, della speranza. È il desiderio di pace, quella pace che spesso ci viene negata. Tutti noi siamo alla ricerca continua della pace nel cuore, nel nostro nucleo familiare, desiderando infine che si stenda a tutto il mondo.

Purtroppo, la pace è minacciata dalla paura, dalle preoccupazioni, dalle persone che interferiscono negativamente sulla tua esistenza. Il Natale è in contrapposizione alla morte.

Quotidianamente ci troviamo davanti alla realtà della morte, la morte fisica delle persone care, la morte di un giorno che finisce, la morte delle nostre idee, dei nostri sentimenti, del nostro entusiasmo, la morte di Dio stesso, quando sembra che non ci ascolti, quella del nostro spirito, quando qualcuno ci pugnala alle spalle, della gioia, quando dobbiamo lottare contro una malattia, o quella di una persona che ci sta a cuore, la perdita di una persona che amiamo.

Moriamo ogni volta che siamo schiacciati da qualche angoscia. Ci sentiamo morire quando l’amore che doniamo a qualcuno non è corrisposto, quando vediamo la sofferenza dilagare sull’intero pianeta, a causa dell’egoismo umano e della cattiveria.

Il Natale per me è una speranza che si rinnova, una sorta di risposta a tutte le nostre domande. La morte in tutte le sue sfaccettature è come una crocifissione continua e la si può paragonare alla passione di Cristo fino al momento in cui grida: “Dio, perché mi hai abbandonato?” e ancora: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!”

Il Natale è la nascita di Gesù, ma anche la certezza che Gesù è la Vita, è la speranza della vita eterna, dove la nostra anima sarà unita all’Amore di Dio, dove sarà ristorata e ripagata da tutte le sofferenze che abbiamo dovuto patire. Dove l’Amore trionfa e annulla tutto ciò che è separato da Dio.

L’INCAPACITÀ DI AMARE

Quando in qualcuno non esistono sentimenti autentici, il rapporto che instaura con un'altra persona è destinato a fallire. Esistono molti individui che riescono a relazionarsi con gli altri solo in apparenza, per opportunismo o per l’esigenza di affermare la propria supremazia.

Questo si può verificare in una relazione di coppia, di amicizia o persino di stretta parentela. Finché tutto va bene, è possibile che l’altra persona non se ne accorga, ma quando si presenta un problema, questi individui si faranno scoprire nel momento in cui si dilegueranno dinanzi ad una richiesta d'aiuto. Loro non sono disposti a rinunciare a nulla, si preoccupano di soddisfare solo il loro orgoglio. Volere bene significa compenetrarsi nell’altro, essere presente soprattutto nel momento del bisogno, non significa esprimerlo a parole, ma dimostrarlo nelle azioni.

Tutti noi siamo testimoni di situazioni incresciose come la rottura definitiva di una relazione. Se il rapporto tra due persone non si potrà più ricucire, non è perché non si è capaci di tollerare o di perdonare, ma semplicemente perché i due hanno valori diversi, non si trovano sul piano dei sentimenti e dei pensieri.

Esistono persone trasparenti, leali e oneste, capaci di affezionarsi agli altri e di amare. Esistono peraltro persone doppie, sleali, che vivono solo per difendere il loro orgoglio e prestigio, soprattutto per manipolare e sottomettere l’altro, che solo in questo modo concepiscono una relazione. Non sono capaci di rispettare il prossimo perché lo considerano inferiore. Ma quanti sono disposti a concepire la relazione in questo modo? Quante persone sono disposte a farsi sottomettere?

Il problema delle rotture dei rapporti, in ogni ambito e contesto, dipende quindi dall’incapacità di amare. Non è un caso se i simili si attraggono e gli opposti si respingono. Un legame affettivo potrà durare per sempre con una persona soltanto se esiste una stima reciproca.

La storia allegorica del lupo che si lamenta con l’agnello che gli sporca l’acqua è molto significativa e noi dovremmo imparare dalle favole, che nascondono una grande verità. La persona che ha l’indole dell’agnello, per la propria bontà d’animo, non potrà mai familiarizzare con una che ha l’indole del lupo, perché avrebbe tutto da perdere.

Diffidate dalle persone che dicono di volervi bene e poi agiscono in modo scorretto e sleale! Quante persone false abbiamo incontrato? La natura umana non si può educare, perché se una persona ha l’indole del prepotente, la sua cultura lo porterà ad esercitare la prepotenza, magari in modo raffinato, ma resterà sempre un prepotente. È un’illusione che la cultura renda le persone migliori. Essa serve per allargare la mente, ma non cambia la natura dell’individuo e il suo spirito.

L’AMICIZIA

Le amicizie spesso vengono riempite dal nostro modo di rendere importanti le relazioni, ma non sempre questi sentimenti sono vissuti e sentiti allo stesso grado dalla persona che eleggiamo come amica. Nel qual caso, prima o poi arriva il momento in cui tutto crolla.

L'IPOCRITA

Una persona ipocrita è calcolatrice. Sfoggia un’apparente bontà per puro tornaconto, allo scopo di per poter contare sugli altri, ma non ha una vera coscienza a cui dare conto, dal momento che l’ha sostituita col giudizio altrui.

LA SUPERBIA E IL PERDONO

La persona superba che commette un grave errore e continua a persistere nella sua errata condotta, non solo non si predispone per essere perdonata, ma ti odia se cerchi di farle capire che ha sbagliato. Non a caso si crede che Dio elargisca il perdono a tutti coloro che si pentono, ma non ai superbi.

Se Dio non è capace di perdonarli, non è per una decisione! Come si può infatti perdonare qualcuno che non è consapevole di avere sbagliato? Ecco perché il perdono non va sprecato, ma è concesso a colui che chiede di essere perdonato, nel momento in cui si ravvede. Analogamente tra gli esseri umani si innesca lo stesso meccanismo. Se Dio non è capace di perdonare i superbi, come potrà esserne capace l’essere umano?

RIFLESSIONI

Le persone umili e leali non potranno mai relazionarsi con quelle superbe e litigiose, perché avrebbero tutto da perdere. I superbi, prima di confrontarsi con le persone leali, dovrebbero fare un bagno di umiltà, ma ciò è impossibile. Siccome non intendono avere un rapporto alla pari, pretendendo soltanto la sottomissione, intenti alla manipolazione, non esisterà mai una relazione serena. Per questo motivo, è giusto e sensato che stiano distanti dagli altri.

Tra l’altro, se le persone litigiose sono abituate ad attaccare briga, le persone pacifiche amano la tranquillità, quindi sarà inevitabile per loro tenerle a distanza.

IL GIOCO DEL GATTO COL TOPO

In natura esiste un tipo di sofferenza necessaria per la sopravvivenza, in particolare in tutte le occasioni in cui il predatore deve catturare la sua preda per nutrirsi. Ma ci sono casi in cui il rapporto tra cacciatore e vittima si trasforma in un gioco, un gioco crudele in cui lo scopo del più forte è umiliare e soggiogare l'altro.

Quando un gatto va a caccia di un topo, può farlo in diversi modi: catturandolo e dandogli il colpo di grazia immediatamente, oppure “divertendosi” a tenere in scacco la sua preda, mostrandole la sua superiorità, mortificandola senza ucciderla. Per l’animale tutto questo rappresenta un gioco, ma, vista l’inutilità della sofferenza inflitta, noi umani lo interpretiamo come un'azione crudele. Tutte le volte, quindi, che questi atteggiamenti o comportamenti si riscontrano nei rapporti tra persone, bisogna dare ad essi il peso e il valore che hanno, perché dagli esseri umani ci si aspetterebbero empatia e sensibilità.

Tra questi, infatti, esiste un simile meccanismo: l’individuo che ha una natura prepotente e arrogante, propenso a sottomettere gli altri, ignora le regole del rispetto e tratta i suoi simili utilizzando la tattica del gatto che gioca col topo. Quando però la sua vittima usa tutte le strategie per non farsi distruggere, si imbestialisce, perché dal suo punto di vista è inammissibile che questa reagisca, che lo faccia fingendosi morta, come il topo, o manifestando la sua legittima indignazione.

In breve, la persona prepotente e dominante si sente autorizzata a sottomettere l’altro con tutte le angherie possibili e immaginabili, pretendendo che non si debba opporre alle sue sopraffazioni, proprio perché si sente in una posizione di ragione e di privilegio.

Ebbene, esistono tante persone fatte in questo modo, le quali concepiscono il rispetto in senso unilaterale, pensando di poter annientare il prossimo per sentirsi importanti e vincitrici. Questa categoria di esseri umani potrà relazionarsi soltanto con i suoi simili, perché le persone miti ne faranno a meno, l'allontaneranno per sempre dalla loro vita, proprio come accade al topo, a meno che questo non sia già morto o si faccia credere tale per dissuadere il predatore.

SETTE MOTIVI PER I QUALI PUOI ESSERE ODIATO

1. Perché non ti conoscono e proiettano su di te la propria malvagità. 2. Perché invidiano tutte le qualità che a loro mancano. 3. Perché ti vedono diverso, credendo che il “diverso” sia cattivo e che la “normalità” debba coincidere con i loro gusti o i loro punti di vista. 4. Perché i tuoi valori morali li mettono in crisi, se paragonati ai falsi valori che li caratterizzano. 5. Perché tu ami la verità, mentre questi la odiano e cercano di oscurarla, se non ne hanno un tornaconto. 6. Perché sei umile e sei te stesso, mentre loro amano apparire per quello che non sono. 7. Perché sei stato capace di strappare la maschera che loro hanno indossato per un’intera vita. Diventano furibondi, dileguandosi come saette e non ti perdoneranno mai.

I MATTI LUCIDI

Esistono persone che hanno manie di grandezza, se non addirittura di onnipotenza e di persecuzione: sono imprevedibili e pericolose, vivono per essere sempre acclamate e trattano gli altri senza riguardo alcuno. Si relazionano in modo sereno con gli altri fin quando questi si comportano come cagnolini ammaestrati che di fronte a “Lor grandi personaggi” scodinzolano, fanno le feste ed approvano ogni megalomane comportamento. Alla più piccola controversia, gli esseri considerati inferiori vengono ovviamente liquidati senza troppe storie.

Personalmente li definisco dei “pazzi lucidi”, anche se nell’ipocrita società in cui viviamo raramente vengono dichiarati tali. Hanno, costoro, gravissimi problemi di convivenza, distruggono ogni legame anche affettivo e non riescono ad affezionarsi a nessuno in particolare. Tali pericolosi esseri vivono solo per sé stessi, hanno l’egoismo innato e voglia costante di stare al centro delle attenzioni.

Giudicano facilmente il prossimo ed emettono sentenze, ma se i loro “inferiori bersagli” reagiscono o provano ad opporsi diventano furibondi, sino a trasformarsi in apparenti vittime. Quando qualcuno inizia ad autoproclamarsi, ad auto incensarsi, o a sentirsi migliore degli altri a livello psicologico, la sua posizione di pensiero non è molto distante da quella del matto che crede di essere Napoleone Bonaparte, Giulio Cesare o analoga figura eccelsa.

DOMANDE SENZA RISPOSTA

Non ho mai capito perché la natura sia crudele, basandosi sulla violenza; infatti, la catena alimentare è un’uccisione continua: l’animale più grosso mangia quello più piccolo, a partire dalle più microscopiche forme di vita fino a quelle più grandi. Dov’è la perfezione del creato? Dov’è l’amore tanto decantato? Perché Dio non ha creato gli animali tutti erbivori (incluso l’uomo) così non ci sarebbe stata la necessità di mangiare i propri simili?

Perché si crede che la natura sia perfetta se le leggi che la governano si basano sulla crudeltà? Anche nella società degli esseri umani, purtroppo vige la legge del più forte, infatti il più prepotente uccide il più debole (l’uccisione avviene anche nel campo dell’economia) e anche se tra gli esseri umani esiste una legge che impedisce lo sfruttamento, in pratica la giustizia non è uguale per tutti, poiché purtroppo non è mai applicabile. Non a caso nel Mondo predomina l’ingiustizia e gli squilibri, tali da creare disparità di entità sproporzionate.

GESÙ BAMBINO

Tenere in braccio Gesù Bambino è una gioia immensa, la Sua bellezza trasmette un amore infinito.

La Sua tenerezza è indescrivibile. La Sua dolcezza ti fa percepire un barlume di Paradiso.

Se lo contempli, la tua anima si perde nella Sua. Lui è amabile e amorevole.

Riesci ad amarlo come un figlio e nello stesso tempo ti senti piccolo e bisognoso della Sua protezione.

Il suo sguardo celestiale ti regala l’Amore nella sua totalità, ti fa dimenticare ogni preoccupazione, persino il fardello del tuo corpo fisico.

Gesù Bambino esprime la purezza e la magnificenza dello splendore di Dio.

Lui è il centro della nostra esistenza, la personificazione dell’Amore. Il mio augurio è che Gesù doni consolazione e pace nei nostri cuori.

LA SCADENZA

La vita è determinata da stagioni, fasi, scadenze e traguardi da raggiungere,

ma ci sarà un giorno in cui arriverà la fine per ognuno di noi. Si tratta della scadenza definitiva che ci aspetta,

senza sconti, senza eccezioni, senza pietà. Spesso pensiamo a quel giorno ignoto, a quel tempo che arriverà,

che, come beffardo, si prenderà gioco di noi, poiché la vita ci illude, come se quel momento non ci appartenesse,

come se questo mondo esistesse per sempre, come se le cose fossero immutabili, come se noi fossimo eterni.

Ci chiediamo allora qual è il senso della nostra esistenza e spesso non riusciamo a darci delle risposte.

In verità non ci dovrebbe essere spazio per odio, rabbia e rancore, ma solo per l’amore, perché amando si coltiva gioia e speranza.

Il tempo scaduto però sarà l’inizio di una nuova vita, dove non ci saranno più stagioni, fasi, scadenze, ma soltanto l’attimo presente.

Le anime che si troveranno immerse nella beatitudine, dimenticheranno il dolore e tutto il male ricevuto,

perché soltanto l’immensa gioia e l’infinita bellezza permetteranno di vivere per l’eternità.

LA MUSICA

La musica vola in alto e placa l’anima irrequieta. Sento una pace infinita, mentre il suono mi investe come un turbine di gioia.

Le note mi conducono in epoche passate e in epoche future. Il presente si fa eterno, in uno stato ipnotico, senza pensieri, senza spazio, né tempo, mentre le emozioni si impossessano di me.

Cosciente di appartenere all’universo, la musica mi eleva verso dimore sconosciute mentre emerge la sete di verità.

L’AMORE

Il vero amore supera le distanze, non morirà mai e durerà per l’eternità. L’amore è l’unico scopo dell’esistenza per il quale bisognerebbe vivere.

Si soffre per amore, ma l’amore è più forte del dolore stesso. l’Amore trionfa e annulla tutto ciò che è separato da Dio.

L’AMORE DI DIO

Se gli Angeli potessero parlare attraverso i dipinti che li raffigurano, li immortalerei sulle tele per donarli gratuitamente al Mondo intero, affinché gli esseri umani possano conoscere l’Amore di Dio.

Se i fiori potessero parlare, le persone imparerebbero a rispettare e ad amare la natura.

Non è tanto importante essere amati per le proprie qualità o talenti, quanto per la capacità di amare.

Se l’essere umano provasse per un solo attimo a percepire l’amore di Dio, comprenderebbe che l’amore terreno, non è nulla a confronto.

NOTE BIOGRAFICHE

Olga Serina nasce a Palermo il 22 Marzo 1965. Dal 1990 vive in provincia di Milano.

Cantautrice dal 1983 al 1989.

Ritratti dal vero ai turisti presso la Fiera del Mediterraneo di Palermo e nella località di Taormina.

Animatrice caricaturista e ritrattista presso Agenzie di Spettacolo di Milano per Convegni e feste private (dal 1990 al 1998).

Lezioni private di disegno e pittura a Legnano per bambini e adulti.

Mostre di pittura presso Gallerie, Comuni, Chiese in diverse località e presso il Palazzo Ducale di Palma di Montechiaro.

Video: Arte PURA di Olga Serina (650 opere artistiche) durata 40 minuti.

Dal 2007 Insegnante di Ed. Artistica presso Ministero della Pubblica Istruzione (provincia di Milano).

Pubblicazioni libri dal 1989 al 2021:

Grande terrazza (racconti di esperienze di viaggio).

Sulle ali dell’arte (considerazioni e riflessioni del rapporto tra arte e spiritualità).

Dio nel cuore (riflessioni sul tema spirituale).

Il miracolo continua (riflessioni sui segni del soprannaturale).

La realtà che supera la fantasia (racconti umoristici, reali e fantastici).

S.O.S. Scuola (ricognizione di testimonianze raccolte tra persone operanti nell’ambito scolastico).

Il matrimonio del cactsu (racconti umoristici).

Usi e abusi del potere (storie di mobbing nella Scuola).

Quando i nani si credono giganti (racconti tra fantasia e realtà).

Pensieri per volare (meditazioni di uno spirito libero).

PraticArte (impara a disegnare e inventa i colori per le illustrazioni).

Pagine della mia vita, i miei ritratti.

Gli apparenti (racconti e riflessioni).

Il colossale inganno (riflessioni sul periodo critico del Covid 19 nell’era del Covid 19).

Rivelazioni di un’anima (romanzo).

www.olgaserina.it

pagina fb: Olgallery

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